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Autore: Fabian_Dominc_DeJenisse    12/11/2024    2 recensioni
Terzo racconto di una serie intitolata racconti brevi questo su incipit obbligato.
Non fumare - mi dicevi sempre. Ed io ero sotto sotto contento che tu me lo dicessi, anche se in certi momenti mi sembravi solo una gran rottura di palle fine a sé stessa. Sembrava allora che avessi veramente a cuore la mia salute. Tu invece non fumavi. Certo ogni tanto di capitava di farti una cannetta con gli amici, ma non era mai diventata un’abitudine e comunque non era la stessa cosa. E poi capitava pochissimo; ti si poteva anche perdonare. Sorridevo quando mi dicevi di smettere per il mio bene. Ed io ti ripetevo sempre la stessa battuta di Mark Twain: Smettere di fumare? Nulla di più facile, l'ho fatto più di cento volte!
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Tre racconti brevi'
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Cattivi sapori

 

They all want to scape from the pain of being alive. And, most of all, from love. (...) It's no good to fool yourself about love. You can't fall into it like a soft job, without dirtying up your hands.”

John Osborne, Look Back in Anger

 

Degli altri quattro sensi non c'era traccia. Tutto ciò che riuscivo a sentire era uno stucchevole sapore di glassa alla fragola. Ed era cosa ben strana perché qui, all'esterno di questo Bar di Palermo, seduto a un tavolino, avevo ordinato solo un dolcetto piccolino al gelo di melone, come avevo già fatto tante volte in altrettante giornate di bel tempo. Che cosa c'entrava adesso questo sapore stucchevole? A volte mi capitava di sentire un retrogusto di vaniglia, altre volte di cannella, secondo la fantasia del pasticciere, ma sempre molto discreto. E invece, stavolta, mi ritrovo la bocca invasa da questo sapore assurdo che mi stava disturbando non poco, anestetizzando tutto il resto.

Quasi quasi ordino un caffè per cancellare tutto e rifarmi la bocca. Non ho mai sopportato l'aroma artificiale di fragole. Le fragole vere sì, per carità, ma i sapori derivati e artefatti no. Sono falsi come i riflessi del sole sui vetri dei palazzi nelle giornate d'autunno che si appresta a venire.

Mi infastidiva, per la verità, persino il retrogusto di fragola del tuo burro di cacao, quando te lo mettevi per prevenire le screpolature alle labbra.

Magari è proprio nella mia bocca che si annida qualcosa che non va. Avrò fumato troppo.

Non fumare - mi dicevi sempre. E io subito pensavo: “che gran camurrìa che sei” anche se, sotto sotto, ero contento che tu me lo dicessi, malgrado in certi momenti la tua insistenza, quel continuo battere e ribattere su quel tasto, mi sembrasse solo una gran rottura di palle. In verità, da principio mi pareva che parlassi così perché dovevi, perché volevi essere un degno cavaliere della crociata anti-fumo allora tanto alla moda, poi capii che invece avevi veramente a cuore la mia salute. Tu, al contrario, non fumavi e non l'avevi mai fatto. Certo, ammettiamolo pure, ogni tanto ti concedevi una ‘cannetta’ con gli amici, ma non era mai diventata un’abitudine e comunque non era la stessa cosa che mettersi a fumare incatramandosi i polmoni. E poi, a onor del vero, capitava così di rado che ti si poteva anche perdonare. Alla fine quindi sorridevo quando mi dicevi di smettere per il mio bene. Ma io, conscio della mia debolezza, ti ripetevo sempre la stessa battuta di Mark Twain: Smettere di fumare? Nulla di più facile, l'ho fatto più di cento volte!

Ci stavo bene con te e anche tu, credo stavi bene con me. Eri solo dispiaciuto che io non avessi avuto il coraggio di dire alla mia famiglia che stavamo progettando di vivere insieme e che eri il mio ragazzo. Tu l’avevi fatto già da molto tempo. Eri appena un ragazzino. I tuoi genitori, ovviamente, non l’avevano presa per niente bene. I tuoi familiari erano di quelli che si atteggiavano da sempre a grandi progressisti, ma quando gli dicesti che eri gay ti guardarono in faccia senza dire una parola. La notizia venne accolta, insomma, nel gelo più assoluto, e non solo dai tuoi genitori, ma pure da tuo fratello e tua sorella che ti guardarono con una specie di smorfia senza proferire parola. Ci rimasi male quando me lo dicesti. Immaginai tutto il peso che ti avviluppava l’anima quando si rivolgevano a te con quella faccia triste, come se tutti i dispiaceri cui saresti andato incontri nella vita li avessero vissuti loro e non tu. Non si si poteva illudere che fosse una maldestra forma di partecipazione empatica. No, no, era solo banale fastidio, imbarazzo, quello di chi inizia a pensare “che cosa dirà mai la gente”. Ma a te della gente non te ne fregava nulla. Semplicemente, eri libero. Potevi contare sulla confidenza e sull'affetto tenerissimo di tua cugina, la sola ad averti abbracciato, anche quando nei momenti di maggiore durezza tuo padre lanciava contro te ogni genere di dissimulati improperi, mascherandoli da rimproveri, magari per un brutto voto a scuola, e di sottintese maledizioni, mentre tua madre invece, non dicendo nulla, si limitava a piangere. Diciamo che quella freddezza della tua famiglia intorno a te mi dissuase dal rivelarmi alla mia.

Era da tempo che non stavo con un ragazzo. Troppo tempo forse. Mi ero immerso nel lavoro, cercavo di non pensarci. L'ultima volta era finita male, Non avevo reagito strappandomi i capelli. Il rapporto si era notevolmente deteriorato e io intanto mi ero abituato, in un certo senso, ai rapporti che se ne andavano a male. Però mi sentivo privato delle energie, ero spesso irritabile e, in genere, quando in due si sta peggio che da soli allora la rottura di un rapporto viene accolta come una liberazione. Certo poi arrivano inevitabilmente i momenti di malinconia per i trascorsi belli, ma il senso di liberazione, lo stesso, non passa in secondo piano. Lo continui a provare anche dopo. Forse con un retrogusto di colpevolezza dato che l’amore, quando finisce, vorrebbe crogiolarsi nel dolore, o almeno così si dice che debba accadere, ma di fatto, succede di provare, unitamente a quelle altre sensazioni malinconiche, anche un persistente sentimento di ritrovata libertà.

Però ero rimasto da solo per troppo tempo e accoglierti come mio amico, amante e ragazzo era stato per me una fonte di ritrovata es estrema gioia. Certo mi ero fatto un bel po' di problemi inizialmente perché innamorarsi di nuovo, a quarant'anni, di un ragazzo di ‘soli’ venti si porta appresso, inevitabilmente, tutta una serie di problemi, non di per sé, ma per i pensieri che ti capita di fare. Anzi, diciamo pure di paranoie. Guardare i capelli bianchi che aumentano giorno dopo giorno, le prime rughe d’espressione, le strie scure sulle unghie che una volta non c'erano, le piccole macchie sulle mani, iniziare sentirsi tutta la pelle secca e pensare invece al tuo corpo così giovane, fresco e liscio, mette interiormente in imbarazzo. Ti chiedi sempre, fino a quando questo giovane dio greco avrà la pazienza e la voglia di stare con un vecchio che ormai ha imboccato la strada senza ritorno della decadenza fisica. Non c’è periodo peggiore della vita di quello in cui inizia renderti conto che il tuo corpo non ti assomiglia più, ovvero non corrisponde al tuo stato mentale né alla tua anima. La mente corre sempre avanti, il fisico invece resta indietro, inizia ad avvertire la fatica del passo svelto, specialmente se poi hai anni e anni di fumo sulle spalle, anzi, per meglio dire, accumulati nei polmoni.

Inizi a immaginare quando la stanchezza arriverà e a temere di quando ti accorgerai che lui ha iniziato a guardare il corpo più armonioso e meno segnato di qualcun altro.

Mi hai sempre abbracciato quando ti manifestavo timidamente questi timori. Dicevi sempre poche parole, ma quello che era importante per me era il linguaggio del tuo corpo. Mi inebriava la sensazione delle tue braccia su di me, il tuo modo così peculiare di accarezzarmi la nuca, quel tuo appoggiarmi la testa sul petto. Tutto aveva l'effetto benefico di pacificarmi.

Sembravi così sicuro di te stesso, delle tue scelte, mentre io mi sentivo ancora così incerto, incapace di affrontare il biasimo del mondo, malgrado avessi il doppio dei tuoi anni. Tanto insicuro da non aver detto ancora nulla a nessuno. Nessuno di quelli che mi stavano intorno sapeva che io amavo un uomo. Non ne avevo mai avuto il coraggio. Una sola persona lo sapeva, in verità, una carissima amica d'infanzia ormai lontana, emigrata nella fredda e inospitale Milano. Ma più che altro lo aveva capito lei da sola e io, sollevato dal peso di dover trovare parole mie, mi ero solo limitato a confermare tutto. Avevo sempre vissuto una buona metà della mia vita in clandestinità. Tu ovviamente non approvavi, ti pareva, in tal modo, di essere declassato da compagno ad amante clandestino. Ma io continuavo a dirti che la mia scelta era dettata, specie con il mestiere che faccio, dalla necessità di evitare d’essere messo in croce da tutti.

Ne è passato di tempo quando mi accorsi che a essere omosessuale, in un paese come questo, ci si perdeva solo. Non parliamo poi se uno ha un ruolo pubblico. Oggi ancora di più. Prendiamo un esempio. Il povero Umberto Bindi, per quando fosse un musicista sopraffino e geniale, ne fece amaramente le spese con un ostracismo protratto fino alla sua vecchiaia. Dall’altare alla polvere. Nessuno sembrava pensare più che egli era l’autore di melodie che veramente potevano aspirare all'immortalità. Alla fine, cosa importava mai al mondo di chi si portasse a letto? Eppure la sola cosa che sembrò contare, per tanto tempo, fu quella fama di “pervertito” che tutti gli avevano appioppato.

Adesso che tutti iniziano a dire che l'era del buonismo è finita e che il politicamente corretto è morto, si sta ancora peggio. Se poi ti dicono pure che la tolleranza è solo un vestito buon con cui si vorrebbe ammantare il banalissimo e detestabile buonismo, ne deduci pure che, con tutta probabilità, la cosiddetta tolleranza non c'è mai arrivata veramente.

La prima impressione di quanto quelli come noi fossero odiati la ebbi al tempo della scuola media, quando avevo i primi sentori della mia natura, ma ancora le idee molto confuse.

Nel cortile della palestra una banda di bulletti spintonava un ragazzino apostrofandolo con parole come "frocio", "arruso". Se lo passavano l’uno all’altro come se fosse un pallone o, peggio, un sacco da colpire e maltrattare.

Era stato attirato con una scusa nello spogliatoio dove uno, che si era preso il compito di provocarlo e farlo uscire allo scoperto, gli aveva mostrato il pene ancora quasi imberbe, ma già eretto.

Guarda qui. Vedi come mi tira? Ti piacerebbe toccarlo? – gli aveva chiesto quello con sguardo ammiccante e lascivo. Lui, lì per lì era rimasto immobile, pietrificato senza riuscire a spiccicare una sola parola. Poi aveva allungato una mano, ma non aveva fatto in tempo ad avanzare di poco, che, subito, quello lo aveva acciuffato e portatolo fuori di peso fuori, iniziando a prenderlo a botte dietro la schiena e sul capo, si era messo a urlare ai quattro venti:

– “È vero, è vero! è davvero un frocio!”.

E gli altri subito erano accorsi in massa, unendosi al dileggio e alle botte.

I nostri insegnanti intervennero solo quando fu chiaro che la cosa si stava trasformando in un pestaggio.

Ci chiamano "gay", parola neutra e non offensiva solo per finta, che di volta in volta può assumere il significato di gioioso, libidinoso, ma la nostra vita è ben lontana dalla gaiezza che ci si attribuisce. Molto più di quanto non si pensi. È non è nemmeno vero che abbiamo più libido e desiderio di chiunque altro. Invece è verissimo che rischi più di chiunque altro d’innamorarti della persona sbagliata, di cadere nella rete di quelli che vogliono solo provare un momento di trasgressione, di quelli insoddisfatti delle rispettive fidanzate e che vogliono provare con un uomo perché si presume che solo chi ha lo stesso tuo corpo ne possa conoscere tutti i segreti alla ricerca del piacere... o anche solo per provare semplicemente il brivido di qualcosa di diverso o ancora per essere sicuri di “funzionare” – nel senso che se gli riesce di averlo duro in una situazione in cui gli fa schifo, avranno la garanzia d’averlo duro sempre.

Come no! Poveri illusi…

Ma anche quando questi laidi soggetti se ne stanno alla larga, nessuna situazione in cui sarebbe lecito parlare di sentimenti, di vera attrazione o addirittura d’amore è mai veramente sicura. Del resto nessun amore da, o ha mai dato mai, garanzie. E poi, pure tra di noi si celano dei bei soggetti, per davvero…

La presa in giro, l'inganno, il dileggio, infatti, si nascondono anche tra le nostre fila. Mamma mia, detesto parlare così. Sembriamo una folla che si è chiusa dentro un ghetto. Forse l’abbiamo fatto davvero. Specialmente adesso, nell'era e della cosiddetta comunicazione telematica.

Comunicazione un corno!

Ma intanto, avevo conosciuto te che eri diventato la mia oasi nel deserto. Prima di conoscerti mi sentivo così solo. E tu eri così dolce, così accogliente.

E invece m’ingannavi anche tu.

Ho iniziato parlando bene di te, o almeno così pareva da quelle note malinconiche che ho usato, ma adesso devo raccontare anche il resto perché altrimenti sembrerei un folle e non si capirebbe perché me sto qui da solo, come un vecchio cucco, a combattere contro l’idea del mio corpo che invecchia e contro il cattivo sapore di un assurdo gelo di melone, fatto male, con chissà quali diavolerie chimiche, e dal sapore di glassa alla fragola che mi impasta la bocca.

All'inizio mi chiamavi spesso, ci vedevamo tutti i giorni. Abbiamo avuto il nostro momento felice.

Poi hai iniziato a negarti. Dicevi di non poter venire da me, di avere dei problemi, che c'era troppa gente attorno a te che non ti accettava. Strano. Non eri stato tu a dirmi che ce ne dovevamo fregare? Come mai avevi cambiato idea? Stavo quasi per dirti che, quasi quasi, avevo fatto bene io a non fare, come si dice oggi? Ah si, coming out.

Dio buono, che razza di parole vanno coniando oggi, come se non bastassero già quelle che avevamo. Parole nuove, parole fatte di apparenza per un mondo che cambia nella forma, pur restando sempre uguale a sé stesso nella sostanza.

Possibile mai che non trovassi anche solo cinque minuti per te e per me, per sentirci e sapere almeno come stavamo entrambi? Da chi mai eri circondato? Tuo padre forse aveva iniziato a ronzarti sempre intorno?

Ho cominciato presto a sospettare che mi ingannassi. Ma non ci volevo credere. Non tu, mi dicevo. Non è possibile. Non volevo che fosse possibile. Ma la vita se ne fregava e se ne frega di quello che voglio io.

Finimmo per litigare ferocemente per questo motivo, perché mi sembrava che non ti volessi più impegnare abbastanza per fare andare avanti il nostro rapporto. Ma come, prima rimproveravi me, come se il fatto non averlo detto a nessuno fosse sintomo di insicurezza dei miei sentimenti e ora eri tu a tirarti indietro a ogni occasione lamentando che le persone intorno “Non ti capivano”?

Insomma dopo i felici esordi iniziali non sembrava più che avessi l’atteggiamento solare e aperto alla vita di un ragazzo innamorato. E per giunta mi volevi rigirare la frittata, arrivando a sostenere che, in verità, ero io che non volevo questo rapporto.

Alla fine abbiamo rotto. Era inevitabile.

Ho pianto tanto. Erano anni che non piangevo, tanto meno per qualcuno. Forse ero ancora un bambino.

Ho visto mio padre una sola volta piangere quando aveva anche lui quarant'anni. È stato per la morte di sua madre. Poi più nulla. Mi ricordo l'impressione che mi fece vedere quell'uomo piangere senza alcun apparente ritegno mentre si vestiva per andare di corsa al paese per vedere un’ultima volta quella buona vecchietta, spirata durante la notte e della quale adesso non serbo alcun ricordo, tanto ero piccolo...

Dicevo così a me stesso che non ne valeva la pena. Poi abbiamo fatto pace. Siamo tornati insieme, ma non ha funzionato lo stesso. Sei stato amabile e presente solo per due giorni, poi hai ricominciato a negarti.

Perché tu “sei fatto così”, come mi hai detto alla fine dei giochi. Mi cercavi solo quando andavi in calore, come le bestie. Chi sa chi altri beneficiava di questa tua ritrovata carica erotica, magari anche quando era scatenata dalle mie parole delle quali dicevi che “ti infiammavano sia il cuore che il corpo”.

Dicevi di essere solo mio, ma le tue conoscenze aumentavano sempre più, senza che io ne sapessi nulla. C'era gente che ti vedeva molto più di quanto riuscissi a vederti io. Quando ti chiamavo, ci mettevi davvero troppo a rispondere. A volte non mi rispondevi affatto, per non dire di quando direttamente mettevi giù il telefono. E io, invece, stavo li, con l'orecchio proteso al primo segnale e con l’occhio fisso sul cellulare, casomai arrivasse una risposta al messaggio che ti avevo lasciato. Macché... La vera tragedia era che cercavo io, per te, ogni possibile giustificazione.

In quel periodo eri già partito. Eri andato anche tu nella fredda e inospitale Milano, ufficialmente per un master. Ti avevo io stesso incoraggiato a farlo, sebbene sapessi che saremmo visti molto di meno, ma non potevo pensare di porre limiti la tua vita, né precluderti un possibile futuro di successi. Avevo un po' timore che l'apertura di quella città potesse coinvolgerti. Ma poi pensavo: “Che idiozia!” Le cose non sono andate così.

L'ora d'aria ti ha dato alla testa. Alla fine pare che al master tu abbia concluso poco e nulla e che fosse pressoché impossibile trovarti nel tuo alloggio. Provavo a chiamarti e non rispondevi, chiamavo lì e mi dicevano sempre che non c’eri

Alla fine ti ho scoperto. Non sei stato nemmeno tanto furbo quanto credevi. E' bastato poco per fare crollare tutto il castello di bugie che avevi montato su.

E meno male che non sono venuto a Milano da te. Mi avresti lasciato in mezzo a una strada, a vagabondare nella metropoli, senza sapere più nemmeno dove venirti a cercare. Meno male che ti ho scoperto prima di affrontare il viaggio. Chissà cosa ti saresti inventato per evitarmi una volta che avessi attraversato tutta l'Italia. Sei lì da poco e già hai assimilato tutti i comportamenti più merdosi delle peggiori piazze di quel luogo sciagurato. Complimenti. Uno spirito di adattamento così non l'avevo mai visto. Sei di quelli che dopo appena una settimana, perdono l’accento del loro dialetto natio e magari, dopo due appena, si mimetizzano in modo talmente perfetto da aver acquisito l’accento e l’inflessione di quella che s’affrettano a definire la loro vera e sola patria.

E adesso? Tirare avanti, mi dice quella mia cara amica. E non faccio che ripetermelo da solo, malgrado certe volte, specialmente la sera quando mi metto a letto, mi senta addosso un mostro che mi schiaccia il petto con tutto il suo peso.

Ma tu sei fatto così. Sei giovane, hai ancora voglia di giocare. Non hai trovato la via del compromesso che ti consente di giocare senza ingannare… ammesso che esista. Forse sono idiota io che ci ho creduto e forse credo ancora. Ma questa volta non verserò più nemmeno una lacrima perché non ne vale la pena. L'ho capito quando non hai avuto nemmeno il coraggio di dirmi tutta la verità, di spiattellarmi in faccia cos’era successo veramente tra di noi. Sei semplicemente sparito, non hai avuto il coraggio di dirmi che non ne volevi sapere più di stare con me. Ti faceva davvero così paura incrociare il mio sguardo? Cosa temevi, che ti avrei messo le mani addosso? Davvero non sai chi sono, allora.

Bravo, continua così.

Dimenticati che esisto, non mi telefonare quella volta ogni morte di Papa per sapere come sto.

Come cazzo vuoi che stia? Sto così, come un finocchio attempato, ciò che sono mentre guardo i peli che mi spuntano dalle orecchie e dal naso e che prima non c'erano... che ovviamente non piacciono a nessuno. Non piacciono a me, come posso sperare che piacciano ai ragazzi come te.

Come sto?

Male! Soddisfatto?

Sto male e intanto continuo e continuerò a invecchiare, senza che mi passi, purtroppo, la voglia di amare.

Hai conosciuto di certo un sacco di gente lì, nella città da bere. Di tutti i tipi. Hai di che divertirti per i prossimi 25 anni e finché non avrai i capelli bianchi anche tu. La mia amica, nel vedermi così, emaciato e affranto, è venuta a cercarti, inizialmente senza dirmi niente e ha provato a capire cosa stesse succedendo tentando con te una mediazione che però io non volevo. Adesso, forse per darmi una scossa e aiutarmi a dimenticarti, mette il dito nella piaga, senza troppo ritegno e mi dice che frequenti chiunque e vai a letto con tutti.

Ma come hai fatto a ridurti così? Che cosa vuoi dimostrare? Hai mai avuto chiara la differenza tra il divertimento e la baldoria?

Ti hanno visto in giro anche con quelli che se ne vanno in giro facendo le ronde contro di noi e vantandosene pure. Quelli dei vizi privati e delle pubbliche sprangate, quelli che si divertono un mondo a pestare a sangue i “finocchi” come noi, sia quelli brutti e attempati, come me, sia quelli giovani e belli come te, colpendo senza pietà, senza lesinare la furia fino a lasciarci esanimi sulla nuda terra, ma magari di notte se ne vanno con le trans, non per caso, ma perché se le vanno proprio a cercare.

Immagino che tu sia attratto molto dalla loro brutale virilità e vitalità, dalla loro cieca violenza che ancora oggi scambi per forza. Ti sei rivelato molto elementare in questo tratto della tua psicologia.
Ti piace tanto davvero questa gente che si farà con te solo una scopata trasgressiva e poi chi si è visto si è visto. Poi magari te ne lagnerai un giorno. E cosa vuoi? La colpa è tua. Sei tu che non sai scegliere. Ma, tanto, il fatto è che per ora non t’interessa nemmeno capire chi è una persona seria e affidabile e chi no. Sei fatto così, mi hai detto una volta alla fine di una lite.

Hai optato per questa risposta. La risposta jolly per la maggior parte della gente che non vale niente. Quando ti rifilano una fregatura e spariscono, o lo fanno senza alcuna spiegazione, o ti dicono:

Sono fatto così”.

Il banale lasciapassare per la libertà riconquistata con il benefit ulteriore dello sgravio di coscienza.

Fesso io, invece, quando mi faccio problemi e mille scrupoli sulla mia condotta. Anche con il mio precedente ex mi ero fatto un sacco di problemi per chiudere quella storia. Fesso, anche in quel caso, perché senza di me poi è rifiorito.

Pensavo di farlo soffrire e invece… Forse mi ero sopravvalutato, anzi, sicuramente. Non valevo così tanto per lui a giudicare dalla sua velocissima ripresa.

E mi dispiace solo per te adesso. Spero ovviamente che nessuno ti faccia male, anche se temo che essendo tu, come i gatti, per imparare avrai bisogno di scottarti e per bene. Ma mi spiace ancor di più il sapere che ti ritroverai da solo, come mi ci sono ritrovato io, senza sapere il perché. Mi spiace perché nel momento del bisogno non ti ritroverai accanto nessuno. Chi vorrebbe aiutare mai una persona che racconta tante bugie per il solo gusto di farlo?

Curiosamente mi viene in mente quest'idea: per vie diverse siamo arrivati alle stesse conclusioni. Io per aver pavidamente vissuto la mia vita solo a metà, tu per esserti gettato nel gorgo del volerla vivere tutta e a tutti i costi. Ma la verità è che finiremo entrambi soli e vecchi, senza più voglia di guardarci negli occhi e sarà andata già bene quando saremo riusciti a scansare dolori e botte.

Mentre sono immerso in questi pensieri vengo interrotto da un tremendo stridore di gomme in strada. Mi giro. Il conducente di un motorino e quello di un'auto hanno evitato uno scontro per un pelo, ma ora hanno iniziato a litigare ferocemente, senza tanti convenevoli per stabilire chi ha tagliato la strada a chi. Se ne stanno dicendo di ogni, frugando in ogni anfratto del dialetto e della “vastasaggine1” E questo sarebbe il salotto buono della città? Guardo i due e le loro facce atteggiate a un’espressione alterata e truce. Pare quasi che stessero aspettando l'occasione propizia per snocciolare il loro rosario di insulti e bestemmie, la loro rabbia e tutto quello che stavano trattenendo anche loro, da troppo tempo.

Quando ancora quel bailamme non è finito, il cameriere finalmente mi porta il caffè che gli ho chiesto. Devo prendere quasi la tazza al volo: per godersi la scena, dei due “vastasi” quasi me lo versa addosso. Mentre gli echi delle persone volgari si allontanano, metto la tazza sotto il naso. Mi piace l'aroma del caffè. Di solito, me lo godo prima con l'olfatto, ma per colmo di sfortuna anche questo si sta rivelando una delusione sin dal principio. Sento già, al solo accostarlo al naso, solo odore d’acqua sporca. Anche il gusto non è dei migliori. Troppo lungo, troppo “lento” e con sentore di legno bruciato. Sono passato dalla padella alla brace, dal sapore sintetico della glassa a questa brodaglia di polpo per la quale non quale non trovo parole idonee a descriverne il sapore. Avendo già la bocca brutta, tanto vale accendersi un'altra sigaretta, lascio i soldi sul tavolino e me ne vado. Non attendo nemmeno che mi portino il resto.

Oggi non è giornata. I sapori buoni durano poco; quelli cattivi, invece, ci tormentano per ore.

È durato poco, infatti, anche il sapore della tua pelle.

Era così buono.


1 Cafonaggine in dialetto siciliano. Vastaso era colui il quale portava sulle spalle la “vasta” ossia una voluminosa gerla in vimini, praticamente un addetto al facchinaggio nelle campagne.

   
 
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