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Autore: Fabian_Dominc_DeJenisse    12/11/2024    1 recensioni
Terzo racconto di una serie intitolata racconti brevi questo su incipit obbligato.
Non fumare - mi dicevi sempre. Ed io ero sotto sotto contento che tu me lo dicessi, anche se in certi momenti mi sembravi solo una gran rottura di palle fine a sé stessa. Sembrava allora che avessi veramente a cuore la mia salute. Tu invece non fumavi. Certo ogni tanto di capitava di farti una cannetta con gli amici, ma non era mai diventata un’abitudine e comunque non era la stessa cosa. E poi capitava pochissimo; ti si poteva anche perdonare. Sorridevo quando mi dicevi di smettere per il mio bene. Ed io ti ripetevo sempre la stessa battuta di Mark Twain: Smettere di fumare? Nulla di più facile, l'ho fatto più di cento volte!
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Tre racconti brevi'
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Cattivi sapori

They all want to scape from the pain of being alive. And, most of all, from love. (...) It's no good to fool yourself about love. You can't fall into it like a soft job, without dirtying up your hands.”

John Osborne, Look Back in Anger

 

Degli altri quattro sensi non c'era traccia. Tutto ciò che riuscivo a sentire era uno stucchevole sapore di glassa alla fragola. Ed era cosa ben strana perché qui, all'esterno di questo Bar di Palermo, seduto a un tavolino, dove avevo ordinato un dolcetto piccolino al gelo di melone, come avevo già fatto in altre giornate di bel tempo. Che cosa c'entrava adesso questo sapore stucchevole? A volte mi capitava di sentire un retrogusto di vaniglia, altre volte di cannella, secondo la fantasia del pasticciere, ma sempre molto discreto. E invece, stavolta, questo sapore assurdo che mi stava disturbando non poco, anestetizzando tutto il resto.

Quasi quasi ordino un caffè per rifarmi la bocca. Non ho mai sopportato l'aroma artificiale di fragole. Le fragole vere sì, per carità, ma i sapori derivati e artefatti no. Sono falsi come i riflessi del sole sui vetri dei palazzi nelle giornate d'autunno che si appresta a venire.

Magari è nella mia bocca che si annida qualcosa che non va. Avrò fumato troppo.

Mi infastidiva, per la verità, persino il retrogusto di fragola del tuo burro di cacao, quando te lo mettevi per prevenire le screpolature alle labbra.

Non fumare - mi dicevi sempre. E io, sotto sotto, ero contento che tu me lo dicessi, anche se in certi momenti mi sembravi solo una gran rottura di palle fine a sé stessa. Sembrava allora che avessi veramente a cuore la mia salute. Tu invece non fumavi. Certo ogni tanto di capitava di farti una cannetta con gli amici, ma non era mai diventata un’abitudine e comunque non era la stessa cosa. E poi capitava pochissimo; ti si poteva anche perdonare. Sorridevo quando mi dicevi di smettere per il mio bene. Io ti ripetevo sempre la stessa battuta di Mark Twain: Smettere di fumare? Nulla di più facile, l'ho fatto più di cento volte!

Ci stavo bene con te e anche tu, credo. Eri solo dispiaciuto che io non avessi avuto il coraggio di dire alla mia famiglia che stavamo progettando di vivere insieme e che eri il mio ragazzo. Tu lo avevi fatto già da molto tempo. I tuoi genitori ovviamente non avevano accettato la cosa. La notizia era stata accolta con freddezza estrema non solo dai tuoi, ma pure da tuo fratello e tua sorella che ti avevano guardato con una specie di smorfia senza proferire parola. Da quel giorno si rivolgevano sempre a te con quella faccia triste, come se tutti i dispiaceri cui saresti andato incontri nella vita li avessero vissuti loro. Però non era una partecipazione empatica, era solo banale fastidio e imbarazzo perché iniziavano a pensare “che cosa avrebbe mai detto la gente”. A te della gente non te ne fregava nulla. Semplicemente eri libero. Potevi contare sulla confidenza e sull'affetto tenerissimo di tua cugina, anche quando nei momenti di maggiore durezza tuo padre lanciava contro te ogni genere di improperi e di maledizioni e tua madre, non dicendo nulla, si limitava a piangere. Era da tempo che non stavo con un ragazzo. Troppo tempo forse. Mi ero immerso nel lavoro cercavo di non pensarci. L'ultima volta era finita male, Non avevo reagito strappandomi i capelli. Il rapporto si era notevolmente deteriorato e mi ero abituato, in un certo senso, ai rapporti che andavano a male. Mi sentivo privato delle energie, ero spesso irritabile e, in genere, quando in due si sta peggio che da soli allora la rottura di un rapporto viene accolta come la liberazione. Certo poi arrivano inevitabilmente i momenti di malinconia per i trascorsi belli, ma il senso di liberazione, lo stesso, non passa in secondo piano. Lo continui a provare anche dopo. Forse con un retrogusto di colpevolezza dato che l’amore vorrebbe crogiolarsi nel dolore quando finisce, o almeno così si dice che debba accadere, ma di fatto, succede di provare, unitamente a quelle altre sensazioni malinconiche, anche un persistente sentimento di ritrovata libertà.

Però ero rimasto da solo per troppo tempo e accoglierti come mio amico, amante e ragazzo era stato per me una fonte di gioia. Certo mi ero fatto un bel po' di problemi inizialmente perché innamorarsi di nuovo, a quarant'anni, di un ragazzo di venti comporta inevitabilmente tutta una serie di problemi non di per sé, ma per i pensieri che ti capita di fare. Anzi, diciamo pure di paranoie. Guardare i capelli bianchi, qualche ruga di espressione, le striature sulle unghie che una volta non c'erano, qualche piccola macchia sulle mani, sentirsi la pelle secca e pensare al tuo corpo così giovane, fresco e liscio mette interiormente in imbarazzo. Ti chiedi sempre, fino a quando questo giovane dio greco avrà la pazienza e la voglia di stare con questo vecchio che ormai ha presola strada della decadenza fisica? Non c’è periodo peggiore della vita di quello in cui inizia renderti conto che il tuo corpo non ti assomiglia più, ovvero non corrisponde allo stato mentale. La mente corre sempre avanti e il fisico resta indietro, inizi ad avvertire la fatica del passo svelto, specie poi se hai anni e anni di fumo sulle spalle, anzi, per meglio dire, accumulati nei polmoni.

Inizi a immaginare quando la stanchezza arriverà e quando lui inizierà a guardare il corpo più armonioso e meno segnato di qualcun altro.

Mi hai sempre abbracciato quando ti manifestavo timidamente questi timori. Dicevi sempre poche parole, ma quello che era importante per me era il linguaggio del tuo corpo. Mi inebriava la sensazione delle tue braccia su di me, il tuo modo di accarezzarmi la nuca, quando mi appoggiavi la testa sul petto. Aveva l'effetto benefico di pacificarmi. Ma io, a differenza di te, non avevo detto nulla a nessuno. Nessuno sapeva che io amavo un uomo. Non ne avevo mai avuto il coraggio. Una sola persona lo sapeva, in verità, una carissima amica di infanzia ormai lontana, emigrata nella fredda e inospitale Milano. Avevo sempre vissuto una buona metà della mia vita in clandestinità. Tu ovviamente non approvavi, ti sentivi ridotto dal rango di compagno a quello di amante clandestino. Ma io continuavo a dirti che la mia scelta era dettata, specie con il mestiere che faccio, dal cercare di evitare d’essere messo in croce da tutti.

Ne è passato di tempo quando mi accorsi che a essere omosessuale, in un paese come questo, ci si perdeva solo. Oggi ancora di più. Il povero Umberto Bindi, per quando fosse un musicista sopraffino e geniale, ne fece amaramente le spese con un ostracismo durato fino alla vecchiaia. Dall’altare alla polvere. Nessuno sembrava pensare più che egli era l’autore di melodie che potevano aspirare all'immortalità. Quello che sembrava contare era quella fama di pervertito che tutti gli avevano appioppato.

Adesso che tutti dicono che l'era del buonismo è finita e che il politicamente corretto è morto, si sta ancora peggio. Se poi ti dicono che la tolleranza è buonismo, ne deduci pure che, con tutta probabilità, la cosiddetta tolleranza non c'è mai stata veramente.

La prima impressione di quanto fossimo odiati la ebbi quando andavo alla scuola media e avevo le idee ancora molto confuse.

Nel cortile della palestra una banda di bulletti spintonava un ragazzino apostrofandolo con parole come "frocio", "arruso".

Era stato attirato con una scusa nello spogliatoio dove uno con la funzione di provocatore gli aveva mostrato il pene ancora quasi imberbe, ma già eretto.

Ti piacerebbe toccarlo? - gli aveva chiesto con sguardo lascivo. Lui era rimasto immobile, pietrificato senza dire una parola. Poi aveva allungato una mano, ma non aveva fatto in tempo ad avanzare di poco, che, subito, quello lo aveva acciuffato e portato fuori di peso fuori prendendolo a botte dietro la schiena urlando ai quattro venti:

- “E' vero, è vero, è davvero frocio!”.

E gli altri subito si unirono al dileggio e alle botte.

I nostri insegnanti intervennero solo quando fu chiaro che la cosa si stava trasformando in un pestaggio.

Ci chiamano "gay", parola fintamente neutra, che di volta in volta può assumere il significato di gioioso, libidinoso, ma la nostra vita è ben lontana dalla gaiezza che ci si attribuisce. Molto più di quanto non si pensi. Rischi più di qualunque altro di innamorarti della persona sbagliata. Magari rischi di cadere nella rete di quelli che vogliono solo provare un momento di trasgressione, quelli che non sono soddisfatti delle rispettive fidanzate e vogliono provare con un uomo perché si presume che conoscano la sensibilità del corpo maschile meglio di qualsiasi altro... o anche solo per provare semplicemente il brivido di qualcosa di diverso o ancora per essere sicuri di “funzionare” – ovvero nel senso che se gli riesce di averlo duro in una situazione in cui gli fa schifo, avranno la garanzia di averlo duro sempre. Come no, poveri illusi!

Ma anche quando questi laidi soggetti se ne stanno alla larga, nessuna situazione in cui sia lecito parlare di sentimenti, di vera attrazione o addirittura di amore è mai veramente sicura. Del resto nessun amore da o ha mai dato mai garanzie. E poi pure tra di noi si celano dei bei soggetti per davvero…

La presa in giro, l'inganno, il dileggio, infatti, si nascondono anche tra le nostre fila. Mamma mia detesto parlare così. Sembriamo un esercito o forse un ghetto. Specie adesso nell'era e della cosiddetta comunicazione telematica.

Comunicazione un corno!

Avevo conosciuto te. Prima di conoscerti mi sentivo così solo. E tu eri così dolce, così accogliente. E invece mi ingannavi anche tu. Ho iniziato parlando bene di te, così pareva da quelle note malinconiche che ho usato, ma adesso devo raccontare il resto perché altrimenti non si capirebbe perché me sto qui da solo, come un vecchio cucco, a combattere contro l’idea del mio corpo che invecchia da un lato e dall’altro contro un assurdo gelo di melone fatto male e dal sapore di glassa alla fragola che mi impasta la bocca.

All'inizio mi chiamavi spesso, ci vedevamo tutti i giorni. Abbiamo avuto il nostro momento felice.

Poi hai iniziato a negarti. Dicevi di non poter venire da me, di avere dei problemi, che c'era troppa gente attorno a te che non ti accettava. Stavo quasi per dirti che quasi quasi avevo fatto bene io a non fare, come si dice oggi? Ah si, outcoming.

Dio buono, che parolacce vanno coniando oggi, come se non bastassero già quelle che avevamo. Parole nuove, parole fatte di apparenza per un mondo che cambia nella forma, pur restando sempre uguale a sé stesso nella sostanza.

Ma possibile mai che non potevi trovare solo cinque minuti per te per sentirci e sapere entrambi come stavamo? Da chi mai eri circondato? Tuo padre forse ti ronzava sempre intorno? Ho cominciato presto a sospettare che mi ingannassi. Ma non ci volevo credere. Non tu, mi dicevo. Non è possibile. Non volevo che fosse possibile, ma la vita se ne frega di quello che voglio io e di quello che vogliono molti altri.

Avevamo litigato ferocemente per questo perché mi sembrava che non ti impegnassi abbastanza a fare andare avanti il nostro rapporto. Ma come, prima rimproveravi me come se il fatto non manifestarmi fosse sintomo di insicurezza dei miei sentimenti e ora eri tu a tirarti indietro a ogni occasione lamentando che le persone intorno “Non ti capivano”?

Insomma dopo gli esordi iniziali non sembra più nemmeno che avessi il solo atteggiamento solare di un ragazzo innamorato. E paradossalmente tu mi rigiravi la frittata arrivando a dirmi che ero io che non volevo questo rapporto.

Ho pianto tanto. Erano anni che non piangevo per qualcuno. Ho visto mio padre una sola volta piangere quando aveva anche lui quarant'anni. È stato per la morte di sua madre. Poi più nulla. Mi ricordo l'impressione che mi fece vedere quell'uomo piangere senza alcun apparente ritegno mentre si vestiva per andare di corsa al paese a vedere quella buona vecchietta spirata durante la notte e della quale adesso non serbo alcun ricordo tanto ero piccolo...

Dicevo così a me stesso che non ne valeva la pena. Poi abbiamo fatto pace. Ma non ha funzionato lo stesso. Sei stato carinissimo e presente solo per due giorni, poi hai ricominciato a negarti.

Perché tu “sei fatto così”, come mi hai detto alla fine dei giochi. Mi cercavi solo quando andavi in calore, come le bestie. Chi sa chi altro beneficiava di questa tua ritrovata carica erotica magari anche quando era scatenata dalle mie parole delle quali dicevi che “ti infiammavano sia il cuore che il corpo”.

Dicevi di essere solo mio, ma le tue conoscenze aumentavano sempre più, senza che io ne sapessi nulla. C'era gente che ti vedeva molto più di quanto ti vedessi io. Quando ti chiamavo ci mettevi davvero troppo a rispondere. A volte non mi rispondevi affatto, per non dire di quando direttamente mettevi giù il telefono. E io, invece, stavo li, con l'orecchio proteso casomai arrivasse una risposta al messaggio che ti avevo lasciato. Macché...

In quel periodo eri già partito. Eri andato anche tu nella fredda e inospitale Milano, ufficialmente per un master. Ti avevo io stesso incoraggiato a farlo, sebbene sapessi che saremmo visti molto di meno, ma non potevo né bloccare la tua vita e il tuo possibile futuro di successi. Avevo un po' timore che l'apertura di quella città potesse coinvolgerti. Ma poi pensavo: “Che idiozia!” Le cose non sono andate così. L'ora d'aria ti ha dato alla testa. Alla fine pare che al master tu abbia concluso poco e nulla e che sia stato pressoché impossibile trovarti nel tuo alloggio. Provavo a chiamarti e non rispondevi, chiamavo lì e mi dicevano sempre che non c’eri

Alla fine ti ho scoperto. Non sei stato nemmeno tanto furbo quanto credevi. E' bastato poco per fare crollare tutto il castello di bugie che avevi montato su.

E meno male che non sono venuto a Milano da te. Mi avresti lasciato in mezzo alla strada a vagabondare nella metropoli, senza sapere più dove venirti a cercare. Meno male che ti ho scoperto prima di affrontare il viaggio. Chissà cosa ti saresti inventato per non vedermi una volta che avessi attraversato tutta l'Italia. Sei lì da poco e già hai assimilato tutti i comportamenti merdosi delle peggiori piazze di quel posto sciagurato. Complimenti. Uno spirito di adattamento così non l'avevo mai visto. Sei di quelli che dopo appena una settimana, cambiano perfino il loro dialetto natio. Due sole settimane e si mimetizzano in modo talmente perfetto da cambiare anche l’accento e l’inflessione nel pronunciare le parole.

E adesso? Tirare avanti, mi si dice. E lo dico pure io a me stesso malgrado mi senta addosso un mostro disteso su di me, che mi schiaccia il petto con tutto il suo peso.

Ma tu sei fatto così. Sei giovane, hai ancora voglia di giocare. Non hai trovato la via del compromesso che ti consente di giocare senza ingannare… ammesso che esista. Forse sono idiota io che ci ho creduto e forse credo ancora. Ma questa volta non verserò più nemmeno una lacrima perché non ne vale la pena. L'ho capito quando non hai avuto nemmeno il coraggio di dirmi tutta la verità, di spiattellarmi in faccia cosa era successo veramente tra di noi. Sei semplicemente sparito, non hai avuto il coraggio di dirmi che non ne volevi sapere più di stare con me. Avevi forse paura di incrociare il mio sguardo?

Bravo, continua così.

Dimenticati che esisto, non mi telefonare quella volta ogni morte di Papa per sapere come sto. Come cazzo vuoi che stia? Sto così, come il finocchio attempato che sono e che deve combattere contro il tabù dei peli che spuntano dalle orecchie e dal naso e che prima non c'erano... che ovviamente non piacciono a nessuno, tantomeno ai ragazzi come te.

Come sto? Male, soddisfatto?

Sto male, continuo e continuerò a invecchiare, senza che mi passi, purtroppo, la voglia di amare.

Hai conosciuto di certo un sacco di gente nella città da bere. Di tutti i tipi. Hai di che divertirti per i prossimi 25 anni e finché avrai i capelli bianchi anche tu. La mia amica nel vedermi così, emaciato e affranto, è venuta a trovarti, inizialmente senza dirmi niente e ha cercato di capire cosa stesse succedendo cercando con te una mediazione che però io non volevo. Adesso mi dice che frequenti chiunque e vai a letto con tutti. Ma come hai fatto a ridurti così? Che cosa vuoi dimostrare? Hai chiara la differenza tra il divertimento e la baldoria?

Ti hanno visto in giro anche con quelli che fanno le ronde contro di noi – quelli dei vizi privati e delle pubbliche sprangate – che si divertono un mondo a pestare a sangue i “finocchi” come noi magari proprio quelli attempati, come me, ma pure quelli giovani e belli come te, colpendo senza pietà, senza lesinare la furia fino a lasciarci esanimi sulla nuda terra.

Immagino che tu sia attratto molto dalla loro brutale virilità e vitalità, dalla loro cieca violenza che ancora oggi scambi per forza. Ti sei rivelato molto elementare in questo tratto della tua psicologia.
Ti piace tanto davvero questa gente che si farà con te solo una scopata trasgressiva e poi chi si è visto si è visto. Cosa vuoi? La colpa è tua. Sei tu che non sai scegliere. Ma il fatto è che non ti interessa nemmeno capire chi è una persona seria e affidabile e chi no. Sei fatto così, mi hai detto una volta alla fine di una lite.

Hai optato per questa risposta. La risposta jolly per la maggior parte della gente oggi. Quando ti rifilano una fregatura e spariscono, o lo fanno senza alcuna spiegazione oppure ti dicono:

“sono fatto così”.

Il banale lasciapassare per la libertà riconquistata con il benefit ulteriore dello sgravio di coscienza.
Fesso io quando mi faccio problemi. Anche con il mio precedente ex mi facevo un sacco di problemi per chiudere quella storia. Fesso, anche in quel caso, perché senza di me poi è rifiorito.

Mi ero fatto tutti quegli scrupoli, pensavo di farlo soffrire. Forse mi ero sopravvalutato, anzi, sicuramente. Non valevo così tanto per lui a giudicare dalla sua velocissima ripresa.

E mi dispiace solo per te adesso. Spero ovviamente che nessuno ti faccia male, anche se temo che essendo tu, come i gatti, per imparare avrai bisogno di scottarti e per bene. Ma mi spiace ancor di più il sapere che ti ritroverai da solo, come mi ci sono ritrovato io, senza sapere né perché né per come. Mi spiace perché nel momento del bisogno non ti ritroverai accanto nessuno. Chi vorrebbe aiutare mai una persona che racconta tante bugie per il solo gusto di farlo?

Curiosamente mi viene in mente quest'idea: per vie diverse siamo arrivati alle stesse conclusioni. Io per aver pavidamente vissuto la mia vita solo a metà, tu per esserti gettato nel gorgo del volerla vivere tutta e a tutti i costi. Ma in verità finiremo entrambi soli e vecchi, senza più voglia di guardarci negli occhi e andrà già bene quando saremo riusciti a scansare dolori e botte.

Mentre penso questo vengo interrotto da un tremendo stridore di gomme in strada e mi giro. Il conducente di un motorino e quello di un'auto subito iniziano a litigare ferocemente, senza tanti convenevoli per stabilire chi ha tagliato la strada a chi. Se ne stanno dicendo di ogni frugando in ogni anfratto del dialetto e della “vastasaggine1” E questo sarebbe il salotto buono della città? Pare quasi che stessero aspettando l'occasione propizia per snocciolare il loro rosario di insulti e bestemmie, quello che stavano trattenendo anche loro da troppo tempo.

Il cameriere finalmente mi porta il caffè che gli ho chiesto. Devo prendere quasi la tazza al volo perché, per godersi la scena, dei due “vastasi” quasi me lo versa addosso. Mentre gli echi delle persone volgari si allontanano, metto la tazza sotto il naso. Mi piace sentire l'aroma del caffè prima con l'olfatto, ma per colmo di sfortuna anche questo si sta rivelando una delusione sin dal principio perché sento già, al solo accostarlo al naso, odore di acqua sporca. E anche il gusto non è dei migliori. Troppo lungo, troppo lento e con sentore di legno bruciato. Passo così dalla padella alla brace dal sapore sintetico della glassa a questa brodaglia di polpo che non voglio nemmeno definire. Avendo già la bocca brutta, mi accendo un'altra sigaretta, lascio i soldi sul tavolino e me ne vado. Oggi non è giornata. I sapori buoni durano poco; quelli cattivi, invece, ci tormentano per ore.

E' durato poco, infatti, anche il sapore della tua pelle.

Era così buono.


1 Cafonaggine in dialetto siciliano. Vastaso era colui il quale portava sulle spalle la “vasta” ossia una voluminosa gerla in vimini, praticamente un addetto al facchinaggio.

   
 
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