Tutti i luoghi e personaggi sono inventati e NON s'ispirano a personaggi reali. Alcuni personaggi, nomi e luoghi POSSONO essere tratti da opere già esistenti, ma sono comunque originali. Per esempio Ganondorf è ovviamente ispirato a Legend of Zelda per quanto riguarda il nome e alcune delle sue caratteristiche, ma va considerato un personaggio a sé!
-- Prologo --
✨🔮Lontano da tutti i regni esplorati, distante dalle città che tutti gli avventurieri conoscono..
Circondata dai grandi oceani riposa un antico continente.
Le sue coste paradisiache sono zeppe di spiagge bagnate da calme onde azzurre e spuma profumata.
Ricca di praterie, il suo suolo è principalmente collinare e piante, erba e fiori crescono rigogliosi insieme ad alberi di ogni dimensione che donano pace ai viaggiatori affaticati sotto le loro fronde che si muovono delicatamente con le carezze del vento. In queste praterie incontaminate e boschi colmi di alberi antichi, abitano cavalli selvatici, fate, fuochi fatui e tante altre creature misteriose.
✨Circa 1000 anni fa, in seguito all’approdo degli umani sul suolo di Fabula, il magico equilibrio fu sconvolto, poiché gli umani conoscevano magie molto diverse da quelle degli abitanti di fabula, e pregavano Divinità più popolari e conosciute rispetto agli Orialco, gli enormi Draghi Primordiali che ormai rimasti in pochi vivevano solo su questo continente.
Il maestoso ed eterno trono di Mithril della città di Lux Aeterna apparteneva agli Orialco da tempi immemori.
C’è da dire una cosa sugli Orialco, essi sono esseri antichissimi, ancestrali e divini.
Alcuni sospettano abbiano partecipato alla creazione dell’universo. Sono enormi draghi serpentini lunghi come interi fiumi, dalle corna che si estendono come alberi e occhi grandi quanto specchi d’acqua.
Nel vecchio continente la loro esistenza è ignorata poiché loro, conoscendo la propria potenza, hanno scelto l’esilio. E I grandi Draghi delle leggende s’inginocchierebbero di fronte alla presenza di un Orialco.
Ma:
⚔️
600 anni fa, ci fu una grande guerra, e le alleanze degli elfi con le creature magiche combatterono contro l’invasore umano, che più otteneva, più voleva.
Così, Yunaleska, la più giovane dei cinque Orialco rimasti decise di compiere una Preghiera. 🙏🏼Poiché anche gli umani, in fondo, possedevano un animo buono, percorse l’intero continente, insieme al suo amato Ganondorf, 🐉l'Orialco più forte e grande. Con il loro lungo ed enorme corpo batterono le strade che tutt’oggi conosciamo. Yunaleska si recò in ogni villaggio a chiedere la pace, si mostrò in tutta la sua magnificenza e tutta la sua grandezza, dolcezza e compassione.
Ma non ottenne ciò che tanto desiderava. Poiché l’animo della guerra si era fatto spazio nei cuori degli abitanti di fabula.
Arrivata a sud, in una notte di mezz’estate✨ nel cielo buio e ricolmo dei disegni che il cosmo e gli astri dipingono nelle notti di Fabula, vide una stella cometa e decise di esprimere un desiderio.
Quello che tutti gli abitanti di Fabula potessero vivere in pace ed armonia. Ma quando lo espresse la grande cometa azzurra, chiamata Azura le chiese di compiere un sacrificio, di essere la Fiamma che illumina il mondo. 🌙
Yunaleska e Ganondorf capirono che era giunto il momento di separarsi per sempre, ma Ganondorf d’impeto esaudì lui stesso il desiderio, cercando di proteggere la sua amata. Inondato dalla luce della cometa s'incendiò divenendo la fiamma che illumina il mondo.
👺Ganondorf divenne così Calamità Ganondorf un enorme Orialco Infuocato, ed accecato dalla collera cominciò a distruggere ogni cosa attorno a sé, anche Yunaleska provò a fermarlo ma Ganondorf era divenuto troppo forte e troppo rabbioso.
Così, un’alleanza tra ogni creatura di Fabula, umani e Orialco venne fondata quasi all’istante ed insieme sconfissero Calamità Ganondorf nelle grandi pianure, che ormai erano diventate terre riarse per via del calore terrificante.🔥
Ganondorf, ormai sconfitto, si posò a terra, dinnanzi a tutto il popolo di Fabula, e cominciò a svanire in un turbinio di luci danzanti.✨
Una lacrima scese dai suoi enormi occhi vedendo che il desiderio della sua adorata si era avverato, tutti erano uniti e insieme fecero un voto di pace eterna per la sconfitta della calamità.💦
Quella notte dopo la battaglia, gli Orialco si misero in cerchio proprio dove Ganondorf era caduto, e intonando una melodia che fece tremare i cuori dei presenti le loro lacrime caddero a terra insieme a quelle del loro ormai scomparso consanguineo, formando così un grande lago. Poi scomparvero come polvere di stelle al vento... 🌬️
Dalla cenere del corpo di Ganondorf spuntò un uovo... Il desiderio d’amore di Yunaleska di lasciare il segno del passaggio di lei e il suo amato su questo mondo.
Alla vista di questo presagio tutti si inginocchiarono di fronte all’involucro illuminato dalla luce delle stelle.
Dall’uovo nacque una creatura nuova, era l’elfo Orialco, chiamato così dagli elfi stessi che adoravano gli antichi draghi più di qualsiasi altra razza.
Così Orialco, L’unico, fu inneggiato successore al trono di Mithril.🔮
🐉Orialco era davvero l’unico, l’unico della sua razza, le sue lunghe orecchie erano a punta e più grandi di quelle degli elfi, 🧚♂️ed adornate con gioielli dorati. Aveva grandi corna che uscivano dal suo capo, i suoi capelli erano ricolmi di piume rossastre e la sua pelle era scura.
Gli anni passarono ed egli s’innamorò di una grandissima guerriera del clan degli orchi e i due ebbero un figlio, che chiamarono come il grande Ganondorf.
Ganondorf crebbe e quando venne il momento salì sul trono. Poi, durante il suo primo pellegrinaggio, s’infatuò di un’umana, Jenna, una sacerdotessa del tempio di Yunaleska.
Jenna era una donna bellissima, dai capelli neri e gli occhi a mandorla, una regina dal cuore d’oro e acclamata per la sua premura verso il popolo.✨
I due ebbero tre figli, Yuna🌿, Sidon 💦e Ganon.🔥
La progenie di Ganondorf era estremamente bella e pura. Yuna aveva la pelle bianca come il latte appena munto, capelli pieni di piumaggio grigio bianco e un naso corvino.
Sidon aveva capelli azzurri che portava lunghissimi, due grandi piume blu e striature sul suo petto che parevano costellazioni.
Ganon, invece, era più basso rispetto ai suoi fratelli. Ma aveva una prestanza fisica notevole, occhi scuri e pelle abbronzata. Capelli rossi come il fuoco e orecchie lunghissime piene di anelli, portava anelli dorati anche sui capezzoli e sulle braccia.
Somigliava tanto a suo padre Ganondorf e per questo lui lo adorava più degli altri…
Erano tre combattenti magnifici.
“Perfetti” diceva sempre loro padre.
Ma venti anni fa, Ganondorf, condannato a una lunga vita a causa del suo retaggio rimase solo coi suoi figli: a causa della breve vita degli umani, Jenna perì. Tre anni dopo morì anche Orialco, all’età di 590 anni.
Il re decise di cedere il trono al suo più devoto amico, Ocelot il Saggio.
Ocelot era un umano allora sulla trentina, aveva combattuto qualche battaglia contro chi si metteva contro Ganondorf e sapeva bene quello che faceva.
Ocelot aveva un figlio, Gabrant.
Crebbe per diventare un bellissimo uomo, alto, prestante e ricco d’iniziativa.
Attualmente re Ocelot regna sul trono di Mithril con bontà di cuore e giustizia, e suo figlio, il principe Gabranth è a capo dell’esercito di Fabula, sebbene di guerre in vista non vi sia nemmeno l’ombra.🔮
🌱Ora, il primo giorno di primavera sta per giungere e il grande Pellegrinaggio sta per avere inizio, poiché ogni 10 anni dalla grande battaglia di 600 anni fa le stelle convergono e quella cometa brilla sul fondo del Lago. I pellegrini ripercorrono gli stessi passi di Yunaleska, e come meta finale hanno quel lago nel deserto, creato dalle Lacrime di Ganondorf e Yunaleska. In quel luogo, gli astri si allineano e concedono al pellegrino di esprimere un desiderio..
Oh.. Pellegrini.. Che il cammino vi sia lieve..✨🔮🌱
I
C'era una volta a Fabula
Era il primo giorno dell'anno 1010 del nuovo calendario della parola degli umani o il 610 dal primo pellegrinaggio, a seconda dell’interpretazione. Da qualche tempo, a Fabula, il calendario faceva corrispondere il capodanno all’inizio della primavera, quindi si poteva dire, e a Hitoshi questo metteva un po’ di insensata confusione, che fosse anche il primo giorno di primavera. Era tramonto e il giorno seguente i pellegrini sarebbero partiti presto, perché il sacro pellegrinaggio era alle porte. Chi da eremi lontani, chi da sperduti villaggi, chi dallo splendore della capitale reale… chi da Brea.
L'aria quella sera a Brea era leggermente fresca, ma l'atmosfera della locanda “IL GOBLIN AMMICCANTE” riscaldava gli animi come solo l’abbraccio caldo di una madre avrebbe saputo fare. All'aperto, alcune lucciole balenavano tra le pertiche di una veranda. Le travi erano ricoperte da rampicanti ricchi di fiori, i quali poco a poco, timidamente, iniziavano a sbocciare. La fragranza dei narcisi permeava l'aria sino a impregnare le narici dei clienti di quell’aroma che solo in primavera si poteva respirare. Un focolare scoppiettava al centro della piccola veranda, con il fumo che si alzava in una spirale, solleticando le architravi in faggio, intagliate con deliziosi bassorilievi. Sul fuoco alcune pentole erano appese ad un paletto e da esso scaturiva odore di stufato. Poco fuori, oltre la piccola staccionata in legno, si estendeva un boschetto, che, data l'ora, iniziava a scurirsi. Ne scaturiva un leggero contrasto con il ruscello limpido che scendeva ignavo dal grande monte sovrastante il villaggio. Difatti, sulla superficie si specchiava la luna o meglio le due lune, che tutto guardavano e tutto sorvegliavano.
In quel piccolo ritaglio di pace, era difficile non notare un orco con taglio tomahawk appoggiato alla porta in legno di frassino, intento a fumarsi una pipa. Sembrava oltremodo tranquillo e rilassato mentre riposava le ciglia, godendo dei profumi e del paesaggio. Un altro lo avrebbe descritto come ostile e minaccioso, ma non Hitoshi, perché lui tra gli orchi era nato e cresciuto.
Lo sguardo dell’orco si soffermava di tanto in tanto su un mezzelfo che distribuiva bevande ai pochi tavoli occupati. Lo si poteva dire con certezza che era un mezzelfo, perché le sue orecchie erano a malapena arricciate e i suoi lineamenti erano dolci, ma più modesti di quelli degli alti elfi. Non appena aveva le mani libere da boccali e piatti, strimpellava qualche nota con il suo yarting: una specie di chitarra, anche se un po’ più bombata sulle estremità, Hitoshi la riconobbe a un primo sguardo, anche se non l’aveva mai suonata. Aveva capelli biondi corti, un po’ sparuti. Era di bell'aspetto, con lineamenti aggraziati e morbidi, quasi da fanciulla. Occhi? Azzurri, molto chiari. Non sembrava separarsi mai da uno stocco dall'elsa lustrata a giorno, in enorme contrasto con un piccolo tamburello legato in vita logoro e mal mantenuto. Il suo atteggiamento sembrava un tantino timido nell’incedere, come se non lavorasse in quel luogo da molto e dovesse ancora abituarsi a dove si trovava la spatola, il vassoio, i menù… Hitoshi avrebbe detto che anche quell’aspetto non faceva che incentivare la sua bellezza, ma detto da lui non significava poi molto.
L'orco diede un’occhiata alla luna nuova che sorgeva e scostandosi la pipa dalla bocca, batté due volte le mani. "Forza, stasera offre la casa, domani avrà inizio il grande pellegrinaggio. Bevete tutti a volontà!" tuonò con voce possente. Come era facile immaginare, era il locandiere. Rivolgendosi al mezzelfo con una pacca sulla spalla, continuò: "Anche tu, ragazzo, per stasera sei apposto, grazie".
Sul viso del mezzelfo si affacciò un sorriso. “Lo ha detto lei eh!” Sfuggendo da ulteriori percosse amichevoli con un guizzo, si spostò in un tavolo all'angolo della veranda. Alle parole dell'orco seguirono i fatti. Vari boccali di birra uscirono in gran carriera dalle cucine diretti in veranda a dare conforto alle papille gustative e alle gole degli avventori.
Al tavolo nel quale il mezzelfo si era spostato c’era un'elfa dall'aspetto molto strano, che a Hitoshi ricordava vagamente la luna un po' annuvolata durante il solstizio d’inverno. Infatti, la sua pelle era bianca come il latte, le orecchie di egual colore erano divise all'estremità in due punte, come il becco di una poiana. Dalla nuca scendeva una cascata di capelli nerissimi dai quali luccicavano alcune frange dalle sfumature viola. E poi c’erano quegli occhi nero seppia con iridi così scuri che si aveva difficoltà anche solo nello scorgere il contrasto con la pupilla. Dalla fronte crescevano due contorti rami di rovo con spine acuminate. Sembravano provenire da qualche strano roveto remoto, di quelli che serragliavano i castelli dov’erano prigioniere le principesse nelle fiabe. Per il resto, l'elfa era vestita completamente di nero da capo a piedi, inoltre, le sue vesti erano adornate da un mantello e una giacca lunga ed elegante.
Quella prima impressione così bizzarra che diede a Hitoshi non doveva essere particolarmente nefasta al mezzelfo biondo, che si avvicinò canticchiando al tavolo, riservando niente meno che un cenno amichevole a quell'avventrice ‘straordinaria’. Questa fu l’ultima cosa che Hitoshi annotò sul suo inseparabile diario prima che una strana sonnolenza, atipica per lui, gli strappasse fin troppi sbadigli per permettergli di continuare a scrivere come gli Orialco comandano.
Dal canto suo, il mezzelfo continuò a sfrecciare fra i tavoli quasi esclusivamente vuoti, cercando segni di ordini di qua e di là. Ma era più sfoggio della propria musica che altro, ovverosia un modo per evitare certi lugubri argomenti da una certa lugubre pallida elfa. Gufi, corvi, biologia degli alberi e occasionalmente composizioni chimiche, ne aveva la testa piena. Ci mancava solo che quella lì lo intrappolasse in un altro dibattito sull’esistenza del larice bigocce. I suoi unici argomenti di discussione sembravano essere la natura e come moriva o come portava la morte o, se andava bene, come poteva prevenire la morte. Questo solo se, come era accaduto a lui, si commetteva l'impudenza di fermarsi a fare quattro chiacchiere. Nonostante le evidenti defiance sociali e il look gotico da megera, comunque, il mezzelfo la considerava una tipa piuttosto innocua, e la locanda avrebbe sentito la sua mancanza una volta che se ne fosse andata.
L’orco si accorse in fretta che aveva appena perso il suo cavallo da battaglia nel lasciare libero il menestrello di fare come gli pareva, così con una lieve spallata piombò nel mezzo dei tavoli distribuendo boccali a tutti i presenti di suo pugno. Certo, la musica era un balsamo per l’anima, ma bisognava pur che qualcuno prendesse seriamente il servizio, anche in una piccola località come Brea. Ma uno dei boccali venne spinto ossequiosamente indietro. Con un filo di voce, quasi per non farsi sentire, l’elfa dalle corna spinate si rivolse all’orco: "Sambuca all'11 percento, per favore". Di rimando, l'orco rispose in modo oltremodo fragoroso. "Assolutamente! Cliente esigente come al solito, anche questa sera!".
Esigente era un modo interessante per definirla. Lei avrebbe usato il termine precisa, puntigliosa, forse anche pedante, ma l’elfa, in quel momento, decise di non esprimersi a proposito. Tutto sommato, quella sera ne sentiva il bisogno, di quella sambuca. Più alcolica fosse stata, meglio sarebbe stato.
Con voce ancor più roboante, come se ce ne fosse stato bisogno, l'orco si rivolse al mezzelfo, sperando di ottenere almeno un intrattenimento continuativo per i suoi pochi clienti, visto che era l’ultima sera che lo avrebbe avuto in sala: "Ottimo lavoro Beiro, tu si che ci sai fare con la chitarra! Più forte! Più forte!". E Beiro, con un occhiolino da casanova, iniziò a darci dentro. La donna in nero si rilassò impercettibilmente al suono, le mani appoggiate alle ginocchia, come un vecchio gatto siamese, distendendo quella tensione che era sempre lì in agguato.
Poi accadde qualcosa d’imprevisto, che Beiro non poteva aspettarsi. “Ti posso chiedere di smettere di suon-...” All’intensificarsi del suono della sua strana chitarra, un giovane umano dai capelli neri, piccolo ed emaciato crollò in avanti di faccia, nel porridge che aveva ordinato. Si agitò come una specie di tartaruga rovesciata, sputando il cibo grigiognolo e scivolando giù dalla sedia. THUMP!
Il tonfo sordo della sua testa che batteva contro l’asse del tavolo garantiva un bernoccolo sicuro. Ma invece che rialzarsi imprecando come una persona normale, il ragazzo iniziò a ronfare come un ghiro, il porridge che gli impiastricciava il viso. La sua era una corporatura minuta, 50 kg scarsi disposti in poco più di un metro e 60 centimetri. La pelle era sicuramente abbronzata come se il giovane umano avesse trascorso molto del suo tempo all'aria aperta, ovviamente senza alcuna protezione nemmeno l'ombra di un albero. Un piccolo pipistrello gli svolazzava attorno, occasionalmente si posava sulla sua nuca, guardandosi attorno spaesato come un cucciolo abbandonato. Il piccolo animale spazió con gli occhi verso un aiuto che non veniva e tentò con la mole del suo corpicino di sollevare la testa del giovane avventore per risvegliarlo. Dato lo scarso risultato il pipistrello cercò almeno di assicurarsi dello stato di salute del giovane. Ogni suo tentativo era vano, ma attirò lo sguardo di diversi avventori. In una posa umiliante il giovane in armatura di cuoio, venne lasciato lì, addormentato davanti alla ciotola rovesciata e alla pinta di birra intonsa. Ciliegina sulla torta, il bastone ferrato che aveva appoggiato sul tavolo dondolò un poco prima piombare giù, giusto per aggiungere il danno alla beffa. Beiro rise burlescamente, prima di ricevere uno schiaffone dal locandiere che lo rimise al suo posto.
Di lì a poco arrivò il drink richiesto dall'elfa, una sambuca all’11% dall’aria veramente sublime. Curioso, l'Orco si rivolse all'Elfa: "Bevanda particolare la tua. Questa la ordinano le persone che hanno qualcosa a cui pensare. In alternativa che hanno qualcosa da dimenticare. Oppure un pensiero che non riescono a mandare giù. Quindi ti chiedo: cosa c'è ragazza? Sei anche tu qui per il pellegrinaggio?".
La signora in nero lo studiò come si studierebbe un raro esemplare di orso grizzly. Oh, se si fosse dovuta mettere lì a elencare i suoi crucci, ci sarebbe voluto un secolo, a essere ottimisti, dieci a essere pessimisti. Ma, di nuovo, l’elfa scelse di non condividere con la classe. Non del tutto, almeno. Annuì poi rispose titubante: "Ci sono molti avvenimenti che mi lasciano perplessa, amareggiata e francamente molto preoccupata".
L'orco parve decisamente incuriosito. "Che tipo di preoccupazioni cela il tuo cuore, ragazza?".
L'elfa rispose enigmatica, il viso annebbiato per l’alcol che non aveva ancora bevuto, ma che intendeva bersi fino all’ultima goccia. "Una preoccupazione di natura… legale? Lei si intende di diritto familiare?". Aveva scelto di andare per la tangente, ma non aveva mentito, dopotutto legalità e sentimenti erano difficili da conciliare.
Ecco che alla menzione del diritto familiare tutta la curiosità dell'orco crollava, come un castello di carte, c’era da aspettarselo: "Di quelle storie non me ne intendo per niente. E non voglio neanche entrarci. Con tutte le donne incontrate in locanda, se dovessi pensare a tutta sta roba, ahi, ahi, ahi, sarei fritto in padella".
Quasi sollevata dall'interesse in caduta libera dell'orco, l'elfa alleggerì la conversazione affermando: "Posso immaginare… Che lei ci creda o meno, anche io ho avuto le mie piccole vicissitudini romantiche. Nessuna di esse è andata a finire particolarmente bene".
L'orco si mise le mani sul grembiulone che portava legato alla cintola. "Magari questo cammino ti porterà fortuna, chi lo sa?".
"Oh spero di no". L’elfa condì quel bisbiglio con una piccola smorfia, come per dire, ‘ho già dato, tante grazie’.
Poi torse il busto, scrocchiando diverse ossa e tentò di attaccare bottone con una ragazza sorridente in armatura che stava ispezionando i propri avambracci un tavolo a fianco: era piuttosto alta, robusta, muscolosa, con capelli rossi ciliegio medio-corti che gli arrivavano alle spalle, begli occhi dorati e pelle di carnagione rosea. La sua armatura era sgargiante, adornata con cura e dedizione: spallacci di rame sbalzato a proteggerle le spalle, un sole splendente dipinto sulla corazza, drappi scarlatti sfilacciati che spuntavano dalle giunture, pezze colorate raffiguranti molteplici stemmi araldici che percorrevano il girovita, i gambali e la spalla, sulla schiena una lancia da cavaliere a striscie bianche e rosse lunga almeno quindici cubiti… l’elfa si chiese se quella strana avventrice non fosse pronta a sfilare in una parata di fronte alla sua magra cena solitaria al grido di ‘chi viene con me a uccidere un drago?’: sarebbe stato davvero di pessimo gusto.
"Io sono Melissa Kcucklos e voglio diventare un cavaliere, ma tu puoi chiamarmi Mel" trillò la ragazza con entusiasmo, stringendo vigorosamente la mano di lei.
Mentre il suo braccio veniva sconquassato come una coperta tarmata, quest’ultima notò che sul braccio destro della ragazza, in una zona appena visibile, si scorgevano tre tatuaggi di farfalle multicolori, mentre al braccio sinistro aveva tatuato con un pirografo un coniglietto con una benda sull'occhio con sottoscritto in lingua comune una frase sufficientemente minatoria: "SMAMMA". E sul gomito… santo cielo ma cosa si mettevano i ragazzi d’oggi… c’era appesa una specie di targhetta stilata in un linguaggio sdentato e imbastardito… "Rule of cool", qualunque cosa significasse. E non finiva lì. Era armata fino ai denti: al fianco destro una spada lunga dall'aria graziosa e fronzuta riposava nel fodero, al fianco sinistro una morning-star minacciosa dall'aspetto tetro lanciava lugubri bagliori tutt'intorno. Poi c’era lo scudo, a forma deltoidale, che ritraeva uno schizzo non meglio definito di un volto e nei quattro angoli le parole dorate "Gloria", "Ardore", "Verità" e la sigla "L.D." E ovviamente non si poteva non menzionare quella lunga e ingombrante lancia da torneo. Il resto del suo bagaglio lo teneva appeso alla schiena tramite una cordicella che legava tutto insieme, bagaglio compreso di una pala, di una padella e di uno strano incensiere dall’aria invecchiata. Quando finì la sua analisi minuziosa e il tempo ricominciò a scorrere a norma, l’elfa si rese conto che avrebbe dovuto rispondere se non voleva passare per la stramba del caso.
"Piacere, Morgana Blackthorn" scombussolata dall’energia della ragazza dai capelli rossi, Morgana mantenne a stento il contatto visivo, mentre pronunciava quelle parole a mezza voce.
Di contro, Melissa s’illuminò ancora di più e protendendosi verso l’elfa con slancio l’attaccò con una raffica di parole tutte dietro fila: "Piacere? Piacere? Il piacere è mio, sei un cavaliere? Sei per caso un cavaliere?".
L'elfa ritrasse la mano, balbettando. "No, no, ecco, io...".
Senza lasciarle il tempo di trovare un modo adeguato per risponderle, la ragazza rise divertita. "Ah, vabbè, non è un problema. Troverò un cavaliere. Prima o poi lo troverò. Io voglio diventare un cavaliere, come potrai aver capito. Per diventare un cavaliere però devo diventare prima una scudiera. Ma per diventarlo mi serve un cavaliere. Cercherò e troverò un cavaliere. Ne sono sicura".
Morgana, seppur sopraffatta, mormorò che avrebbe indicato volentieri alla ragazza un cavaliere se solo ne avesse conosciuto qualcuno. Sfortunatamente aveva un pessimo record in fatto di cavalieri, ma quest’ultima parte non la menzionò.
Quel menestrello di nome di Beiro, che aveva casualmente afferrato un brandello di conversazione, piombò sul tavolo come un avvoltoio su una carcassa, dandosi aria d’importanza.
"Ho forse sentito cavalieri? Ne conosco un sacco di cavalieri io. Le leggende del figlio di Ganondorf si narrano in lungo e in largo. Potrei essere la persona che fa al caso tuo".
Mel guardò il mezzelfo in adorazione e iniziò ad annuire con veemenza. "Davvero? Se me lo facessi incontrare ne sarei enormemente felice. E' un tuo amico?".
Il mezzelfo mise le mani avanti, perdendo in fretta l’aria di spavalderia. "Ehi, calma. C'è differenza fra il conoscere un paio di storie avvincenti e avere rapporti d'amicizia con i loro protagonisti".
Ma il bardo era ormai entrato nell’area di minaccia di Melissa, che invece di perdersi d’animo schizzò in piedi e gli prese d’impeto i polsi: "Comunque ciao, io sono Melissa Kcucklos e voglio diventare un cavaliere, ma tu puoi chiamarmi Mel".
Morgana approfittò di quel momento in cui non era più al centro dell’attenzione per dardeggiare gli occhi verso un cliente assai particolare che aveva fin da subito attirato la sua attenzione. In un tavolino distante da tutti gli altri, c’era una figura femminea seduta da sola, con un boccale ancora ricolmo di birra davanti, immaginò non di suo particolare gradimento. Era una fata di dimensioni grandiose, alcuni l’avrebbero chiamata pixie o ‘una dei nidi’. Fosse stato per Morgana avrebbe usato il termine Telika Incantade Armoniosa, ma pixie era più facile da dire, scrivere, ed era l’unico termine che non l’avrebbe resa bersaglio di ortaggi e frutta marcia a una conferenza sull’antropologia.
La PIXIE aveva capelli corti da maschiaccio di una tonalità viola firmamento, la pelle abbastanza chiara, gli occhi marroni tendenti ad un verde dorato. Dalla sua schiena spuntavano delle lunghe ali diafane. La cosa strana era l’armatura, di cuoio borchiato, palesemente ricavata a mano da mani poco esperte. Per il resto, non potevano mancare due lunghe paia di calze verde scuro che dalle cosce le arrivano ai piedi, scoprendo sole i talloni e le punta delle dita.
Non era propensa a partecipare alla goliardia della serata, anzi sembrava esterna a tutto il trambusto che quel raggio di sole di Melissa e quel musico impazzito di Beiro stavano causando. Fissava intensamente un oggetto a cui si aggrappava come se ne andasse della sua stessa vita: era un orsacchiotto di peluche, dall’evidente valore affettivo. Ma poi… come se un sesto senso l’avesse messa in guardia dall’impicciona strega Morgana Blackthorne che non si faceva mai i fatti suoi, urca… guardava proprio verso di loro! La vide alzarsi e sollevare il mento tutta impettita. Si rivolse all’allegra combriccola con falsa spocchia e un timbro sorprendentemente sordo e vibrante. "Allora, ragazzi? Dovete partire anche voi per il pellegrinaggio?".
Non passò nemmeno un istante che Melissa fu davanti alla pixie troneggiando su di lei dall’alto dei suoi due metri di altezza. "Ciao, io sono Melissa Kcucklos e voglio diventare un cavaliere, ma tu puoi chiamarmi Mel!" Da dietro la schiena in armatura di quella guerriera, Morgana vide le ali della pixie fremere per l’imbarazzo.
“Lorelay e… posso sapere perché ti presenti così a tutte le persone che incontri?”
In effetti quella ragazza vestita da parata era un po’ un disco rotto e Morgana, che collezionava dischi da più di cento anni, poteva ben dirlo, ma in senso buono. I dischi rotti in vinile avevano il loro charme.
“Dire chiaro e tondo ciò che si vuole non lascia dubbi al destinatario ed evita che si vengano a creare equivoci!” fu la risposta pronta di Mel.
“Ha senso” commentò il bardo, strizzando l’occhio verso il dorso girato. “Beiro Berevan”. Melissa fece qualche passo indietro per fargli posto nel cerchio che si era venuto a creare, calpestando per sbaglio il braccio del ragazzo steso a freddo sul pavimento con il porridge ancora in faccia. “Opss…. scusa!”
Ancora con la bava alla bocca e sbadigliando l’umano si destò dal suo sonno. “Non f…faaaaa niente… yawnnnn… sto apposto". Fece per rialzarsi, ma con un pizzico di malizia, Beiro sfiorò le corde della sua chitarra, creando un breve motivetto. E dopo pochi istanti, il petto del piccolo umano si gonfiò in un enorme sbadiglio e lo osservarono crollare al suolo ronfando alla grossa. L’elfa pallida appoggiò il mento sulla mano, sorpresa. Curioso. Quindi quella era narcolessia provocata dalla musica. Dati. Servivano altri dati. Si mise a scribacchiare sopra degli appunti che teneva in un taschino del suo corpetto a onde. Senza chiederlo a nessuno, Lorelay prese il proprio boccale di birra, da cui non aveva accennato a mandar giù una singola goccia. Battendo le ali si sollevò in volo e versò il contenuto sulla testa del povero narcolettico.
Un risveglio quantomeno bagnato, pensò Hitoshi, mentre quel dannato che lo aveva messo a nanna rideva a crepapelle e gli faceva girare delle fiammelle luminose attorno alla testa usando una semplice magia. Semplice magia. A quanto pareva semplice per lui, perché il trucchetto da prestigiatore a tempo perso aveva lasciato esterrefatta la ragazza in armatura araldica, la quale non perse tempo a complimentarsi con il bardo apprezzandone le doti magiche (figurarsi se una ragazza così carina poteva guardare dalla ‘sua’ parte). Con suo disappunto, l’orco se la rise a sua volta delle sue sventure. "Grande Beiro, mi fai sempre sbellicare".
Visibilmente contrariato sentendosi lo zimbello della serata, Hitoshi pensò di issarsi in piedi ed esprimere il suo disappunto, sino a quando, riconoscendo di essere inzaccherato di porridge e birra, fece capolino un pensiero nella sua mente: che forse, ma forse forse, sarebbe stato meglio stare zitto e sperare che tutti si dimenticassero di quanto fosse patetico.
Il suo sogno recondito venne esaudito… circa, perché quello splendido angelo con il sole sul petto iniziò a parlare… con lui invece che ridere di lui! "Ciao, io sono Melissa Kcucklos e voglio diventare un cavaliere, ma tu puoi chiamarmi Mel".
Cavalcando l'onda della figura barbina a cui aveva fatto da protagonista fino a quel momento e ammaliato da quella Melissa dai capelli rossi che gli sorrideva, Hito si presentò in modo decisamente poco lucido: "Hito. Cioè Hitogawa, cioè volevo dire Hitogawa Hitoshi, si.... non sono molto avvezzo con… il gentil sesso, allora… no… Hitoshi Hanagawa. Detto Hito. Per facilità. Ecco".
Le tre ‘ragazze’ (era difficile determinare l’età di un’elfa) risero assieme come amiche di vecchia data. Spaesato, Hito sentì che a una a una si presentavano a lui con insolita buona disposizione e prese mentalmente nota di cosa avrebbe scritto sul suo diario rispetto alla loro incredibile bellezza: ognuna, a suo modo, figurava eccezionale ai suoi occhi.
Lorelay: Stretta oltremodo vigorosa, ma allo stesso tempo delicata forse per scusarsi della doccia di birra. Lei nasconde molto affetto e bontà sotto un fronte ribelle da bruta.
Morgana: Penso di avere un debole per il nero. E’ riservata e fuori dall’ordinario, ma le domande che mi porge sono acute e ponderate, dal grande fascino intellettuale. Credo di avere una chance.
Melissa: Poderosa, raggiante e determinata. E’ un angelo? Credo che sia genuina nel non nascondere i suoi scopi, visto che li viene a dire in faccia a ogni individuo animale o vegetale, non appena lo vede. Sì. Credo di non avere mezza chance.
Valutò di pensare a qualcosa da scrivere anche di Beiro, che poteva a sua volta passare per una bella fanciulla con un po’ di trucco e grazia in più, ma… come dire… nel luogo in cui veniva Hitoshi… insomma, meglio non pensarci ora… non avrebbe beneficiato in alcun modo alla ricerca…
Sulla veranda del Goblin Ammiccante era ormai calata la notte. Il fuoco crepitava nel focolare, con le fiamme che danzavano, giocando a rincorrersi come tanti bambini in un meriggio passato presso l’argine di un fiume. Gli scoppiettii e il cicaleccio all’esterno creavano una melodia di sottofondo mite e serena. Il clima non poteva essere più avvolgente, un abbraccio primaverile che gli abitanti di Fabula vedevano come la certezza che le grandi divinità draconiche guardavano ancora nella loro direzione, anche dopo tutti quegli anni dalla caduta della cometa.
A un certo punto, Lorelay prese la parola e con qualche colpo di tosse attirò l’attenzione di tutti su di sé. “Lo richiedo perché non mi avete risposto la prima volta: siete forse qui… per il pellegrinaggio?”
Era la terza volta che quella parola emergeva sulla bocca di uno dei presenti. Questa volta però non accadde niente di strano, né qualcuno provò a cambiare argomento. Rimasero tutti a fissarsi l’un l’altro, come scommettendo su chi avrebbe aperto bocca per primo, per risponderle. Lorelay si chiese fra sé e sé se fuori dai confini della sua patria il pellegrinaggio non fosse un tabù di cui non si era propizio parlare con tanta leggerezza. Dopotutto gli usi e i costumi degli Incantadiani erano assai differenti da quelli degli Elfenheims, tanto per dirne una.
Fu Hitoshi, il quale aveva appena finito di pulirsi il volto con un burazzo, a spezzare il silenzio: “Pellegrinaggio..?”
Lorelay aggrottò la fronte, mettendosi le mani sui fianchi. Possibile che fosse così tonto? “Sì, Hito, pellegrinaggio. So per certo che la gente dice di trovarsi qui verso l’inizio della primavera per partire. Se sono in ritardo o in anticipo, questo…”
“Per il pellegrinaggio questa vi sarà utile e mi cadessero i denti se non siete in grandiiiiissimo ritardo, sono quasi tutti in marcia per Colle Tempesta, amici miei”. Il locandiere era arrivato al tavolo a cui tutti i suoi quattro clienti e Beiro si erano radunati. Con la manona verdognola aveva disteso una mappa logora di fronte alla fata, presa alla sprovvista.
“““SIAMO IN RITARDO???””” domandarono tutti insieme i cinque, confermando che alla fine della fiera erano tutti lì per lo stesso motivo.
Il pipistrello panciuto che prima aveva girato attorno alla testa di Hitoshi, mentre era svenuto per terra, decollò, caracollò e azzannò dispettosamente un angolo incartapecorito della mappa, con i suoi piccoli dentini aguzzi. Non riuscendo a tenerlo fermo e beccandosi anche una morsicata, il suo padrone brontolò e infilò nella sua sacca la mappa, senza nemmeno averla potuta studiare. Il piccolo animale si appollaiò di nuovo sulla spalla irrequieto. "Non capisci un cavolo. Questa si legge! Ora dobbiamo rimandare le pianificazioni!" lo rimproverò con vigore Hitoshi.
Lorelay aprì la bocca, per chiedere senza nessun tipo di accusa perché non l’avesse consultata prima di intascarsi la mappa che era stata fornita a lei, ma Morgana le rubò la scena, sistemandosi una specie di monocolo con catenella e mettendosi a fare un’analisi del mammifero notturno, molto interessata: "E' tuo? Di che specie è? Pipistrello vampiro? Pipistrello della frutta? O forse una razza esotica?"
Hito aprì la bocca, la richiuse e poi la riaprì, come un pesce pagliaccio. "Sì, è mio e non è un pipistrello vampiro, dev'essere un pipistrello della frutta. Mangia le bacche che gli dò quindi sicuramente della frutta. Si chiama Pirpi”. Non era disinvolto, ma nemmeno impacciato come prima. Sembrava più seccato, come se serbasse rancore per qualche ragione sconosciuta.
Morgana comprese il non detto tra le righe, pur non comprendendo il cambio d’umore del ragazzino che non doveva avere più di diciassette anni. Affascinata, si distese in un sorriso nostalgico. Ovviamente i due erano legati da un vincolo magico. Un pipistrello era atipico come famiglio, non erano noti per essere animaletti facilmente addestrabili. Scelta discutibile, ma molto caratteristica e un classico caso di rarità statistica. Con tutte le ricerche a campione che aveva fatto, l’elfa trovava la variabile in difetto sempre la più intrigante.
Riuscì con successo a massaggiare un po’ la membrana delle sue alucce, prima che Pirpi si girasse dall’altra parte, in maniera quasi sdegnosa. “Sei proprio un asino!” esclamò Hitoshi scuotendo la testa. “Sì, lo so che sei un pipistrello, ti ho detto che sei un asino perché ti comporti da asino” continuò vedendo che l’animale s’era offeso. Melissa fece qualche passo esitante in avanti e tese la mano a sua volta.
Foooooshh…
Pirpi era volato sopra una delle travi del soffitto. “Tutte le volte!” piagnucolò Mel battendosi un pugno sulla ginocchiera in metallo.
“Scorbutico questo pipistrello!” commentò Lorelay, facendo dondolare la gamba.
La pixie si era inginocchiata sopra uno dei tavoli come se il contatto con il pavimento non la mettesse per niente a suo agio. Dopotutto la loro razza era chiamata “quelli dei nidi” da alcuni mica per niente.
Morgana si aggiustò il monocolo e guardò Hito, interrogativa, indicando il pipistrello che squittiva imbronciato sulla sua spalla. “Capisci quello che dice?”
“Per forza! Questo briccone”.
“Grazie a qualche dote arcana particolare?” chiese Beiro dandogli un pugnetto amichevole.
“Arcana no di sicuro!” il viso dell’umano non trasudava allegria, come se fossero argomenti che avrebbe preferito tenersi per sé.
La curiosità di Melissa però era un’argine in piena: per quanti tronchi uno poteva impilare su una diga, prima o poi se il livello dell’acqua fosse continuato a salire, una corrente travolgente avrebbe spezzato le sue difese. "Dote arcana? Cos’è l’arcano? Credo di averlo già sentito, tra un allenamento e l’altro, c’entra con quelle fiammelle che hai usato tu, Beiro?”
Il bardo si sentì chiamato in causa. Per sua sfortuna non aveva la minima base accademica per darle una risposta chiara, ma fece del suo meglio. “Eccome, ahahaaah! L'arcano è la capacità di lanciare incantesimi, specialmente quelli più antichi richiedono doti arcane molto alte”. Sperò di aver fatto centro e guardò Morgana, distratta a mettere a posto il suo palco di rovi.
Melissa, che Beiro determinò essere una tabula rasa tutta da riempire, parve soddisfatta della spiegazione, doveva diventare la sua protetta, a tutti i costi.
"Cavolo dev'essere bellissimo saper lanciare incantesimi!" esclamò eccitata.
“Hem… per essere precisi” Morgana, disturbata dalla disinformazione di Beiro, fece una smorfia perentoria, alzandosi, “la capacità di lanciare incantesimi arcani non è propriamente legata a doti particolari, ma solo all'intelletto e allo studio!” Quando vide che tutti la guardavano, tornò con la mente al fatidico giorno della sua tesi di laurea all’accademia di Elfenheim. “Ecco, me l’hanno martellata in testa questa cosa, perché è un errore comune” cercò di giustificarsi, per non sembrare una ‘so tutto io’. “Non è talento, è questione di giorni e giorni di studio”. Beiro aveva tutta l’aria di voler ribattere, ma rimase in silenzio, senza spiccicar parola. Melissa pareva a sua volta un po’ giù di tono.
Morgana si sarebbe voluta impiccare in quel momento. Perché non riusciva mai a dire la cosa giusta? E perché in quel momento pensare all’impiccagione le faceva ricordare quell’affascinante libro sui metodi di tortura, quello con tutte le illustrazioni fatte a mano da Murad II? Perché le veniva in mente quella roba, quando avrebbe dovuto pensare a un modo per tirare su di morale quei giovani ragazzi? Tortura… tortura… giusto! Giusto! Morgana ricordava cos’altro era stato una tortura all’accademia, qualcosa che non aveva mai compreso fino in fondo. Si schiarì la gola, sicura di aver fatto centro. "Esistono altri tipi di magia!!!" Morgana frugò ansiosamente fra i suoi appunti, per darsi una mano. Vari plichi di fogli levigati, disseminati in ogni piega del vestito. “In primis, e non è un caso che abbia usato questo termine, c’è la magia divina che risulta più familiare a, in ordine di notorietà, chierici, paladini, druidi e sciamani!”.
Sperando di mettere la parola fine a ulteriori spiegazioni e quindi non sviscerare segreti che a suo parere dovevano rimanere tenere tali, Hitoshi la interruppe alzando la mano, con un movimento esagerato, come uno studente che sapeva la risposta alla difficilissima domanda della maestra: "Questa, questa è mia! Il tipo di magia che uso io!".
Ma fallì nel fermare la spiegazione di Morgana.
“Capisco. Rispetto a druidi e sciamani, il dibattito è ancora in corso. C’è chi li considera non legati alla magia divina, bensì piuttosto da riti e rapporti di simbiosi con la natura. Elettrizzante non è vero?” Si fermò, ponderando. Forse non era il luogo né il momento adatto per citare loro gli studi dei suoi professori universitari. Il bel tacer non fu mai scritto.
Melissa stava in quel momento contando sulle dita. Quando arrivò a tre, si voltò verso Lorelay, che diveniva più sciolta ogni secondo che passava, tanto da aver assunto una posa quasi strafottente sopra il tavolo, con le gambe divaricate e il volto dall’aria smorfiosa. "Quindi anche tu sai fare magie?" le chiese la donna in armatura, curiosa. Senza scomporsi la Pixie le rispose di stare a guardare, e in un attimo dal palmo fece germogliare un piccolo tiglio che esplose in un turbine di fiocchi di neve.
Con la luce dorata che strabordava da quel viso rotondo, Melissa li guardò tutti incantata, come una fan accanita di fronte a una band: “Tutti e quattro? Sapete usare la magia? Ah, siete così carini!”
“Ah, magia, magia… non serve a niente. Quello che serve è una bella ascia per tagliare della legna, giusto Beiro?” L’orco, che si era messo ad ascoltarli un po' in disparte, sbuffò sonoramente e disse la sua, senza mezze misure. Mel gli sorrise solidale, la sua contentezza evidente nel constatare che perlomeno un'altra persona aveva solo il buono e vecchio acciaio come strumento da battaglia.
Quanto al mezzelfo… era infastidito che tutti lo chiamassero sempre in aiuto per sostenere le loro teorie. Cos'era, il vicino della porta accanto che doveva sempre avere la risposta giusta e poi scomparire quando non serviva più? Va bene che aveva viaggiato praticamente dappertutto, in ogni bordello e taverna del continente, però che cazzo!
Tuttavia, il suo intuito gli diceva che le parole dell'orco avevano ferito qualcuno anche se quella persona non lo dava a vedere e quel qualcuno era Morgana. Era ferita perché quel grezzone aveva sminuito la magia? Pfff… nah, da esibizionista qual era, Beiro sapeva era solo ingrugnita perché aveva perso l'attenzione degli avventori. La fama era davvero un’amica volubile. Sicuramente ci teneva molto a finire la sua spiegazione. Quindi, liquidando con un volgare “già” il locandiere che l’aveva messo sotto i riflettori, si coprì la bocca con una mano e sussurrò nelle orecchie di Morgana: "Tranquilla, la magia serve ad un sacco di cose, semplicemente lui è un po'... prevenuto?" Il morale di Morgana non vacillò di nemmeno una virgola. “Oh, non del tutto” mormorò in risposta. “O meglio, la magia ha dei limiti. O ancora meglio, li ha la magia di livello basso, quella che padroneggio io. Santo cielo, se potesse risolvere tutti i problemi” accennò un risolino come se la cosa fosse inaudita “cento per cento, puoi giurarci che non sarei qui. A volte la magia può essere più inutile di una semplice ascia di metallo: su questo il nostro anfitrione non mente affatto”.
Il mezzelfo voleva dissentire, ma comprese che non era il momento giusto, visto che quel tappetto di Hito li stava guardando con aria interrogativa da qualche secondo. Già non lo sopportava. Era il tipico fratellino minore silenzioso che ti guardava sempre con aria giudicante. Ad averne di fratelli, pensò Beiro sospirando. La conversazione fra l’orco e Mel si era spostata su armi ed armature, e in gamba tesa si era gettata sull’argomento anche Lorelay, che sembrava impaziente di ottenere rassicurazioni.
“Tu ne sai di armi e armature?" chiese all’orco.
“Io sono Brom del clan degli orchi di Orchea!!! Certo che ne so di armi e armature” tuonò stringendo il pugno. “Una volta ero un guerriero capace di far scuotere i monti, ghuahahah!”
“E’ un guerriero, un guerriero” Lorelay si mise a dare gomitate a Mel, che sembrava un po’ più lenta della fata ad arrivare a delle conclusioni.
“Un guerriero… oh… anch’io sono una guerriera!” saltò su Melissa, con la sua voce squillante, cogliendo quello che Lorelay stava cercando di dirle “magari è anche un cavaliere. Sei un cavaliere?” chiese a Brom.
“Un cavaliere??? Vorrai scherzare”. Il codino dell’orco ondeggiò quando scosse la testa in diniego. “Un cavaliere è roba da femminucce. Armature colorate. Battaglie sui cavalli. No, la via del guerriero che ho intrapreso io è irta, come i denti di un grosso Inox”.
Roba da femminucce, ma non da femmine, pensò Beiro, che andando a memoria non aveva mai sentito di cavalieri donna, almeno non nella loro epoca
Lorelay sbatté le alucce, un po’ in soggezione, ma poi raccolse il coraggio e parlò con forza e ammirazione a Mel: “Una donna guerriera, eh? Quindi esistono, ne sei la prova vivente” le sue mani fremevano, fra sicurezza e insicurezza. “Non sono l’unica” ridacchiò lei in risposta, grattandosi il collo, ma la pixie aveva ormai abbandonato ogni traccia del suo atteggiamento provocante.
“Vorrei diventarlo anch’io in futuro, una guerriera”
“Che bello!”
“Anche se ho solo questa armatura rappezzata e nemmeno un’arma mia!”
“Non è affatto un problema”.
“Tu potresti insegnarmi?”
“Sì, certo che posso insegnarti. Sono qui anche per questo in fondo”.
“Ti ringrazio”.
Melissa raddrizzò la schiena, le sue spalle dritte e fiere. “Non c’è di che!”
Era già evidente chi avesse fatto comunella con chi. Ma ovviamente quando si era in cinque, un numero dispari, ci sarebbe sempre stata l’ultima ruota del carro. Hitoshi si guardò i piedi, mesto. Come al solito. Il suo carattere ‘nè carne nè pesce’ gli aveva giocato un altro brutto tiro. Emise un sospiro profondo. Forse era ora di tirare i remi in barca e ritirarsi nella sua camera…
“Non preoccuparti, di compagnia è sempre possibile trovarla”.
Fu certo di avvertire una mano con qualche ruga ed ematoma sfiorargli la spalla e per un attimo credette di vedere Morgana a qualche centimetro da lui in segno di supporto, ma poi vide che era impegnata in una conversazione con Beiro a debita distanza, riguardo un corvo impagliato o qualcosa di simile. Possibile che la musica del mezzelfo stesse alterando la sua solitamente ineccepibile percezione delle cose? Scosse la testa e trangugiò una bacca ristorativa che aveva tenuto in serbo per la colazione del giorno seguente. Poi ne prese una seconda e la iniziò ad ammollare fra il pollice e l’indice. Ne aveva un po’ da parte. Erano piccole, grinzose. Avevano la forma di un grumo di radici sfilettate, verdi o gialle. Il gusto prelibato che rimpolpava le guance era sempre lo stesso, anche se potevano andare un po’ a noia, se se ne faceva uso assiduo. Per fortuna Theo gli aveva fornito anche la parte di Markus…
Hitoshi sbiancò. Rosso? Rosso vermiglio? No… scarlatto.
Senza farsi vedere da nessuno Hito fece scivolare la bacca in un piccolo sacchetto. L’enclave. Avrebbe voluto sapere. Il fruscio della piuma iniziò a riempire l’aria della veranda.
“Tornando al pellegrinaggio, ecco io in realtà è la prima volta che esco dal mio villaggio per fare qualcosa di diverso da quello che fanno tutti gli altri” Lorelay era seduta sul tavolo, la schiena reclinata all’indietro, pensosa, o forse stava rievocando immagini di un passato molto vicino. Beiro, Melissa e Morgana l’ascoltavano con attenzione. “Per questo motivo, non sono molto esperta di queste cose. Vi… vi farebbe piacere percorrere il cammino insieme? Non posso essere l’unica stordita a cui è arrivata la data d’inizio sbagliata” cercò di stemperare con una specie di battuta ma non le riuscì proprio benissimo.
“Assolutamente! Anzi, con me alla guida, posso garantirvi che dovranno passare sul mio cadavere prima di poter allungare un dito su di voi!” esclamò Melissa sollevando lo scudo.
Hitoshi raggiunse in quel momento un posto accanto a Morgana, che gli chiese se era tutto a posto. Dopo un cenno sbrigativo, il ragazzo col bastone ferrato diede segni di voler dire la sua. “Io mi sono perso tre volte per arrivare qui a Brea… dato che vorrei arrivare alla fine del pellegrinaggio, una guida farebbe comodo”.
Morgana rise nervosamente. “Tre volte? Non hai idea che fatica ho fatto io l’ultima volta ad arrivare a Locanda Foschia, che è la prima tappa. Dammi la mappa” appena l’agguantò dalla borsa di Hitoshi, Morgana iniziò a creare dei percorsi su di essa con il dito adunco. “Locanda Foschia, hmph! Un nome, un programma” commentò, mordendosi il labbro smaltato “dovremo fare molta attenzione. Una singola deviazione sbagliata e non arriveremo neanche al primo tempio del giudizio”.
Lorelay si piazzò davanti a lei e arrotolò la mappa, con aria astuta, sollevandola e impedendole di continuare la sua arringa angosciosa. “Ma se… chiedessimo a Brom? Un guerriero così esperto… saprà tutto sul pellegrinaggio. Lo hai già percorso?”.
“Due volte!” rispose l’orco, ma la pixie notò che non aveva il solito tono orgoglioso.
Egualmente sorpresa Lorelay, lo incalzò: “Due volte, fino in fondo?”
“Proprio” Brom distolse lo sguardo. “Ma è stato un compito arduo”. La temperatura nella veranda scese di diversi gradi. Una raffica di vento freddo, reduce dall’inverno? O qualcos’altro? L’orco si grattò la tempia, una goccia di sudore che scendeva giù lungo la spessa mandibola. “Eravamo in quindici all’inizio, e siamo rimasti in due alla fine”.
Calò il silenzio.
Morgana si passò un fazzoletto ricamato sulla fronte. Se la notizia l’aveva sconvolta non lo dava a vedere. Questo, assieme a un altro paio di segnali e sue dichiarazioni iniziarono a far metabolizzare nella mente di Hitoshi l’idea che quella non fosse la prima volta che intraprendeva quel cammino. In quel momento, tuttavia, c’era in ballo ben altro e le parole dell’orco erano più preoccupanti che mai.
“E' davvero così pericoloso questo pellegrinaggio?” chiese.
Melissa Kcucklos fece una smorfia di disapprovazione, un po’ incredula. Cosa si aspettava esattamente quel ragazzino? Un giro in mezzo ai campi? Una melensa premura rimpiazzò in fretta lo scorno. Vabbé. Non importava. L'avrebbe protetto da qualunque minaccia, perché anche i più gracili potevano diventare eroi. Sfoderando il classico sorriso ottimista, si rivolse a tutti quanti: “Secondo me abbiamo tutte le qualità per affrontare e sopravvivere a questo viaggio”.
Hito alzò un sopracciglio dubbioso. “Forse te ne saresti in grado, io non ne sono così convinto”. Mel per un attimo stette zitta. Ancora? Un po’ di positività non avrebbe guastato, non c’era mica bisogno di essere stoici come la sfinge di Edipo Re. Aveva avuto modo di tendere a moribondi più speranzosi di lui. “Sarò io a convincerti allora” la fiamma ardimentosa incendiava il suo cuore di passione. “Never, never, never… non devi mai smettere di credere in te stesso e nelle tue potenzialità!” L’umano non poté far altro che arrossire e mormorare un ‘se lo dici tu’.
Mel preparò un altro discorso d’incoraggiamento infuocato, ma la voce sdrammatizzante del menestrello distolse la conversazione dal piccolo umano, portandola invece sullo scudo ancora sollevato che le apparteneva. “Il dipinto è incompleto per un motivo? Questione di stile?” fece, ammiccando.
“L’incompletezza non è stile” ribattè Mel con decisione “la perfezione lo è. Semplicemente devo ancora decidere che forma dargli”. Con il dito sfiorò febbrilmente la sigla L.D. sullo scudo.
“Se hai bisogno…” Beiro appoggiò una piccola saccoccia alcuni strumenti da pittura sul piatto vuoto di Mel. “Sappi che sono piuttosto bravo con questa forma d'arte!”
Lorelay si rivolse a Melissa, con una leggera nota di gelosia. "E tutti quei tatuaggi, dove te li sei fatti?".
Anche quella volta Mel rispose senza omettere nulla. “Ah beh… diciamo che sono stati altri a spingere, nel mio villaggio mi sono fatta un nome, anzi in realtà se incontrassimo gente comune in giro, un po’ più a est di qui, probabilmente potrebbero dire di aver sentito parlare di Melissa Kcucklos, perché comunque ho vinto un piccolo torneo e questo al piccolo popolo piace molto. A me fa molto piacere. Anche se non ho mai cercato queste attenzioni!”
Cercò di essere il meno vanagloriosa possibile. Non sopportava quando la gente la bollava come una frivola bambina a cui interessava solo di diventare popolare, una con la puzza sempre sotto il naso. Con quella tenera pixie però era difficile, dato che continuava a mitrargliarla di domande sul suo successo, che a dirla tutta non era neanche un grande achievement visto che si era trovata a cavalcare in una quintana con ringhiere di fango contro un pugno di contadini. Eppure, non poteva nascondere del tutto una sorta di perverso piacere a sentirsi adulata in quel modo.
“Ti hanno mai mandato una lettera d’amore?”
“Qual è il tuo nome d’arte?”
“Hanno mai scritto una canzone su di te?”.
“Canzoni? In realtà non passo molto tempo nelle locande. Sarebbe molto bello se lo avessero fatto!" ridacchiò Mel, al settimo cielo.
Beiro non perse un secondo e abbozzò una canzoncina che aveva come protagonista una ragazza che voleva diventare un cavaliere. Il mezzelfo aveva indubbiamente un dono naturale, perché quella canzone palesemente improvvisata aveva rime e metriche degne di diventare un capolavoro se solo rifinite un minimo. Chissà se, come i grandi artisti, anche quel mezzelfo creava canzoni dal potenziale infinito per capriccio per poi gettarle nel dimenticatoio subito dopo? Morgana l’avrebbe volentieri intervistato, ma c’era la gazzetta del pellegrino per questo. Quindi, perché darsi da fare tanto?
Melissa aveva gli occhi sgranati e un sorriso che andava da un orecchio all’altro: “Quindi cantano questo di me in giro?”
Che cucciola… pensò la maga. Si vedeva che era innocente dalla punta dei piedi a quella dei capelli.
Beiro si accarezzò il mento. "Ziii.. puoi starne certa, e l’ho scritta io in persona. sulle prime non ti avevo riconosciuto” mentì spudoratamente.
“Io è la prima volta che la sento” sentenziò Hito, beccandosi una gomitata nel costato.
“Tu torna con la testa nel porridge” lo attaccò Beiro, incazzato.
Melissa alzò le spalle. “Inventata sul momento o no, cantata per me o per qualcun altro, non ha alcuna importanza. A me piace molto”. E questo mise il punto al diverbio tra i due maschietti. Morgana le avrebbe dato un bacio.
Lorelay, immersa nello spirito gioviale della serata, si rivolse a Brom: "Un giro di birra a tutti i miei amici! Ho capito che offriva la casa o era solo un modo per fregare i clienti?” L'orco rise sguaiatamente e corse in cucina tornando con un vassoio pieno di boccali. “Offre la casa signorinella, ma sto’ giro brindo anche io” sogghignò, senza alcun tipo di ostilità.
Le sue mani ruvide si mossero con maestria e uno se non due boccali colmi fino all’orlo di spumoso liquido fermentato dal miglior luppolo della zona vennero spinti di fronte a ognuno dei cinque avventori. La pixie, che in cuor suo sapeva di non aver mai neanche sorseggiato quella bevanda così lontana dai sidri dei suoi adorati nidi, alzò il boccale verso il soffitto, in piedi sul tavolo, facendo roteare la sua gonna di felci e cuoio. “Al nostro pellegrinaggio speriamo fortunato. E incrociamo tutti le dita perché giungiamo tutti insieme alla fine… ah… e già che ci siamo anche di non morire”. Melissa deglutì. “I discorsi motivazionali lasciali a me la prossima volta”. Tutti scoppiarono in una fragorosa risata. Lorelay sorrise. Non aveva usato il termine sbagliato: quelli erano davvero i suoi nuovi amici.
La sera procedette d’incanto. Hito fece di tutto per ottenere qualcosa di non fermentato e fallì miseramente, facendo quasi venire il mal di testa al povero Brom con le sue richieste surreali. Tutti gli altri apprezzarono la bevanda frizzante e fresca, abbinata perfettamente ai profumi floreali che si diffondevano nella veranda. Lorelay bevve più di tutti, dato che non aveva mai assaggiato niente di così buono. Poi tutti quanti diedero chiari segni di cedimento e stanchezza. Il locandiere propose ai cinque un pernotto d’eccezione per una misera moneta d'argento, dato che, a detta sua, questo eterogeneo gruppetto gli stava in simpatia. Gli avventori accettarono di buon grado. Ovviamente per Beiro il pernottamento era gratuito. Il mezzelfo aveva grandi doti da intrattenitore, aiutato anche dalla sua proverbiale bellezza elfica. Perciò mentre uno ad uno i clienti salivano verso la loro stanza, lui si lanciò in una storia satirica, con note autobiografiche e fantastiche, non lesinando sul suo eterogeneo albero genealogico. In qualche modo riusciva a rendere avvincente persino un argomento così noioso, anche se sia Morgana che Hito concordarono silenziosamente che c’era ben poco di vero in quelle vicissitudini.
Si diedero appuntamento il giorno dopo, orario non definito. Tanto erano già in ritardo, disse Beiro, come se si preparasse a bigiare la scuola. Ma dopo la tirata d’orecchie di Mel, promise che si sarebbe alzato a un orario umano. Ognuno salì nella sua stanza e chiudendo le porte ancora sorridevano, pensando al bel tempo passato insieme. Non potevano sapere quanto quel viaggio sarebbe stato estenuante, quanto li avrebbe messi alla prova, quanto importante sarebbe stato ognuno di loro nel definire la storia futura del continente di Fabula. Non potevano sapere quanto avrebbero rimpianto di non essere mai partiti per quella cometa che ancora brillava in fondo al lago…
La stanza del mezzelfo era già affollata di vasi di marmellata pieni di vernice, tripiedi per cornici e anche qualche scarabocchio, che aveva buttato giù durante la cena. Un artista come lui sapeva alternare lingua e penna con la stessa rapidità con cui un camaleonte cambiava colore. Sulla parete vuota, con ancora il segno dei soprammobili che vi erano appoggiati quando era arrivato, c'era una grande tela. Spatolate di colore avevano già delineato lo sfondo e quattro sagome, per ora informi, ma destinate a indossare volti che Beiro aveva già imparato ad amare. Sarebbe scappato? Di nuovo? Vattelappesca’. Forse. Se quello era il caso, avrebbe creato il meglio del meglio da ogni singolo istante con loro. Il pennello era caldo nella sua mano, perché dipingeva persone calde, tanti fuochi, fuochi con i loro sogni, in cui gettò pure il suo, sperando di creare un grande, grande incendio.
Morgana si preparò una bella camomilla. Senza nulla togliere alla sambuca 11% che Brom gli aveva rifilato, c’era una sola bevanda che poteva inibire le sue ansie. In mancanza di essa (perché non aveva abbastanza spazio in borsa per le foglie di mors martia) anche la camomilla avrebbe dato pan per focaccia ai suoi brutti presentimenti. Dopo aver inalato per qualche minuto il tepore caldo - oh no… stava invecchiando eh? - appoggiò la tazza sopra la mappa che aveva preso in prestito da Hitoshi, che a sua volta aveva sottratto a Lorelay che l’aveva ricevuta dal locandiere. Per qualche ragione, alla sua età, quell’immagine della mappa ballerina la mise di buon umore.
Nervosamente, soffiò via la polvere che la ricopriva. “Dunque... dunque, questa volta non mi perderò, questa volta starò sul compito, ho un lavoro da fare. E' estremamente importante! Non sei solo tu con la tua dolce metà, Morgana, quindi testa china a datti da fare”. Sulla mappa tracciò a matita la strada che aveva già percorso nel suo precedente pellegrinaggio da Brea fino a Locanda Foschia. Ogni volta che la sua mano tremava e sbagliava, digrignava i denti, cancellava tutto e ripartiva da zero. L'obiettivo era semplice: capire quale strada fosse stata la più sicura, tenendo presente il meteo, i pericoli e tutto ciò che avrebbe potuto intralciare il suo secondo pellegrinaggio. “Allora… la probabilità di acquazzoni in primavera se si passa per il valico è… cosa diceva quella strega della professoressa di biologia? 23,2%??? Miseriaccia, perché non ho preso appunti su quello… dai, dai… mantieni il focus. Incontrare un orso è raro” il suo respirò accelerò vertiginosamente “ma non è impossibile. Ah… ah… Cos’era che bisognava fare se incontravi un orso? Mmm… salire sulle spalle di qualcuno e sbracciarti finché non scappava? Ma chi è l’idiota che ha pensato una roba del genere? Scommetto che nessuno c’ha provato!!!” si mordicchiò l’unghia del pollice. “Forse sperano che qualcuno ci provi per verificare la teoria? Forse è per questo che stanno usando quell’incantesimo di localizzazione su di me!? Aghhhhh! Concentrati! Quei quattro sono nelle tue mani, Morgana Blackthorne! Orsi! Melissa li può far scappare via con la sua spada… ma se fossero goblin? Daccapo! Daccapo! Concentrati!”
L’elfa dalla pelle bianca come il latte tracannò l’intera tazza di camomilla, per placare quell’isterica sensazione che sarebbe andato tutto male. Tipico delle persone che avevano vissuto più di centocinquant'anni. Non immaginava il signore Andolin che ne aveva quattrocento!
Adagio, adagio, si calmò. Forse era la matita che frusciava sulla carta. Forse era il cero che si consumava. Forse era il vapore che si gonfiava dalla tazza vuota. Senza neanche accorgersene, Morgana aveva già varcato il mondo dei sogni. Solcò quel mondo senza pericoli, senza preoccupazioni su una nave di legno bianco, che frangeva le onde con un rostro d’argento. La polena era una splendida fanciulla con le orecchie a punta. Ah! Era lo stesso legno, ci aveva messo fin troppo a discernere gli anelli nelle assi. A pensare che lo avevano usato persino per il feretro, le venne quasi da ridere, ma stava anche piangendo. Ossimorico! Eppure, era secondo le sue volontà. Quel legno che attirava coccinelle e bruchi, che odorava di ortensia. Ci poteva essere legno meno adatto per una bara?
Lorelay chiuse la porta e per un po’ raffreddò la schiena contro di essa, ripercorrendo la serata appena percorsa. Era un rituale che la pixie faceva ogni sera, perché non dimenticasse mai, perché non scordasse mai. Perché dimenticare era come uccidere ai suoi occhi. E lei non voleva uccidere nessuno. E non avrebbe ucciso nessuno!
Buttò tutta la sua roba sul letto in maniera disordinata. Che strana quella birra di cui tanti parlavano come se ne fossero ossessionati. Faceva girare tutto. Era come rotolare dentro un tronco che scendeva lungo il versante della collina sopra Incantade, solo che non si arrivava mai al fiume. Gettò un’occhiata sconsolata alla sua bisaccia. I suoi pochi averi si contavano sulle dita di una mano. Un pianto lontano rispetto a quell’armatura spettacolare che indossava Mel. Lorelay si buttò sul letto e cominciò a prendere a pugni il cuscino, imbronciata e confusa. Ubriaca? Era una parola che non esisteva da dove veniva lei. “Blub… hic... ubriaca un corno… voglio solo paarttiiree… con Beeeiro Bereevan… e Melisssa Kaklas… Hitokoshi Hagawè…” la sua voce era più monotona del solito o era un’impressione? Diede un altro pugno al cuscino, che finalmente smise d’importunarla, quel deficente. Abbracciò il suo pupazzino e si addormentò in un sonno profondo e ristoratore.
Avere sonno. Non poter dormire. Vivere nella paranoia. Non riuscire a chiudere occhio. Avere sonno.
Quando gli chiedevano com’era soffrire d’insonnia, in origine indugiava spiegando nel dettaglio le sfaccettature di quella patologia. Ma alla ventesima volta, era più semplice dire che funzionava così:
Avere sonno. Non poter dormire. Vivere nella paranoia. Non riuscire a chiudere occhio. Avere sonno.
Provò a dormire, beninteso. Ma fu un lungo tormentoso alzarsi dal letto per bere un bicchier d’acqua, per controllare che l’imposta fosse ben chiusa, per indagare su un rumore lontano, ed infilarsi di nuovo sotto le coperte, più stanco di prima, sperando di crollare esausto nella dimensione dell’incoscienza. Verso le tre di notte, apparve evidente che era un'altra notte NO.
Smise di combattere i bisogni del suo corpo, maledicendolo perché aveva le priorità tutte sballate e si mise seduto sulla sedia della piccola stanza, iniziando ad assortire le cose per il lungo viaggio del giorno dopo. Preparò altre bacche, dopo averle attentamente passate a un’indagine. Intanto lo trivellava il pensiero opprimente del potere di quello yarting che Beiro si portava dietro. Quindi c’era una soluzione! C’era una soluzione alla sua veglia continua! Peccato che si trovasse in mano alla persona più odiabile di tutto quel gruppo.
Meditabondo, si mise ad intagliare il bastone ferrato, e meccanicamente storse il naso per la zona metallica dell'arma. “Theo… questo viaggio ha un senso? Lo so. Ho visto quell’albero, spoglio… ho sentito le radici parlarmi… discendere nella mia anima, mostrarmi quel luogo di cui nessuno ha conoscenza, ma ha senso… questo viaggio?” Rimuginando e osservando Pirpi sonnecchiare su un piccolo trespolo di rami intrecciati, l’orologio da pendolo avanzò pian piano… guidandolo verso una mattina più nuova e più giusta, e sperò… meno scarlatta.
“Voglio diventare un cavaliere!”
Nella stanza di Melissa era in corso uno stranissimo colloquio. Vestiti sparsi erano gettati alla rinfusa sul pavimento. Corazza, elmo, spada, mazza ferrata e lancia a strisce erano appoggiate sistematicamente allo scaffale aperto. Ma la ragazzona dai capelli rossi non dormiva, anzi, vestita per metà del suo metallo sbalzato, e per metà di una tunica sfilacciata beige con drappi scarlatti, era protesa in avanti di fronte allo specchio, dove la sua immagine riflessa le sorrideva entusiasta.
“Io sono Melissa Kcucklos e voglio diventare cavaliere, ma voi potete chiamarmi Mel.... no, non va bene ci vuole di più.... più charme.... Io sono Melissa Kcucklos e voglio diventare cavaliere, ma voi potete chiamarmi Mel. Ecco già meglio”. Si fece l’occhiolino. Quella era l’unica amica che era sempre con lei. Quell’amica che non l’avrebbe mai tradita. Che non l’avrebbe mai abbandonata. Che non avrebbe mai deriso il suo sogno dorato.
Sé stessa.
“Io sono Melissa Kcucklos e voglio diventare un cavaliere…” la ragazza quasi gridava, incurante dell’orario. “Meglio, i can do better than this!” mormorò in quel gergo che solo i cavalieri usavano. Sorrise, con ancora più insistenza, con ancor più determinazione, con ancor più testardaggine, cercando di imprimere in quel volto che la guardava un’energia oltremisura, più calda e sfavillante del sole, che nelle storie di papà un carro splendente con puledri alati portava a spasso attraverso il cosmo.
“...ma tu puoi chiamarmi Mel”.
Strizzò gli occhi lucidi, la voce d’un tratto più morbida, poi scosse la testa e gli splendidi capelli color ciliegio, rigorosamente corti, le cascarono davanti al volto.
E solo per un attimo, più fugace di un battito di ciglia, più repentino di un fulmine a ciel sereno…
…lì nello specchio…
…c’era qualcos’altro che fissava la ragazza dagli occhi dorati.
Note d'autore:
Questo è stato l'inizio di tutto. Vederlo narrato su carta mi mette una gioia indescrivibile. C'è voluto un po' di tempo a riassortire i vecchi appunti e riscriverli in una forma quantomeno leggibile, ma è stato divertente! Dopottutto, anch'io ho sognato di diventare un cavaliere! Ho già messo un sacco di foreshadowings, perché ci sta! Se la storia vi è piaciuta, vi esorto a recensire. Se non vi è piaciuta, vi esorto con ancor più decisione! Ringrazio ancora la mia guida spirituale per avermi fornito il prologo originale con tutte le emoticon! Senza, non avrei abbozzato neanche la prima riga del capitolo. See ya!! Alla prossima!!!