[UN PRIMO POMERIGGIO TRANQUILLO]
Gloria Green era seduta da sola in sala da pranzo e fumava una sigaretta infilata in un lungo bocchino d'avorio. Era un pomeriggio piuttosto soleggiato e Alice doveva essere andata a fare una passeggiata fuori. Non c'era nemmeno Daniel, mentre Norman e la sua consorte dovevano essere ai piani superiori, l'uno a suonare il violino, l'altra a dipingere. Alexandra non avrebbe sentito la loro mancanza.
Mentre Gloria spegneva quello che restava della sua sigaretta su un posacenere di porcellana, Alexandra si accomodò di fronte a lei e le domandò: «Sai per caso se mia sorella intende rimanere o se pianifica un altro viaggio?»
La Green sussultò. Appariva pensierosa e, per quella ragione, non doveva essersi accorta di lei.
«Come hai detto, Alexandra?»
«Ti ho chiesto se Alice ti ha messa al corrente delle proprie intenzioni. Mi ha dato l'impressione di desiderare con tutte le proprie forze un ritorno in Egitto. Le è piaciuto molto.»
Gloria scosse la testa.
«No, Alice non intende andare in Egitto, per il momento. Crede che la sua presenza qui sia importante, specie in un periodo come questo.»
Alexandra non capiva.
«Quale periodo?»
«Hai sentito anche tu. Lord Winterport è già stato vittima di due tentativi di avvelenamento.»
«Oh!» esclamò Alexandra. «Capisco, non vi avevo dato molto peso.»
«Eppure, a causa di quei fatti, ha deciso di modificare il proprio testamento» replicò Gloria. «Mi sembra un dettaglio molto significativo.»
Alexandra scosse la testa.
«Oh, no, non lo è affatto. Mio zio Lord Winterport non ha mai parlato apertamente del proprio testamento, prima di ieri sera. Non possiamo sapere per certo che, in precedenza, ci fosse un testamento diverso, che poi ha cambiato. Non abbiamo nemmeno la certezza che quello che ha detto ieri sera sia vero.»
Gloria accennò un lieve sorriso.
«Non ti fidi della parola di Lord Winterport?»
«Come posso fidarmi di qualcuno, se non potevo fidarmi nemmeno della parola di mia madre?» borbottò Alexandra. «Mi aveva parlato tanto di suo fratello, descrivendomelo come una persona totalmente diversa da quello che Lord Winterport si è rivelato. A volte mi sono detta che il denaro deve avergli dato alla testa. Mia madre non lo incontrò per anni e anni, non doveva essere al corrente del suo cambiamento. È l'unica spiegazione che riesco a darmi.»
«Si direbbe che, a parte il denaro, tu abbia avuto più che altro seccature, dalla vostra parentela» osservò Gloria.
«Se vogliamo vederla così, non hai tutti i torti» ammise Alexandra. «Diciamo che avrei potuto cavarmela prendendo un marito ricco, se non fossi stata un'ereditiera. Non che sia stato facile, in ogni caso, sposarmi con un uomo che ricco non era.»
Ancora una volta, Gloria accennò a sorridere. Alexandra non capì se si trattasse di solidarietà o se sorridesse in maniera accondiscendente. Decise che non le importava.
Subito dopo, la Green osservò, in tono apparentemente distratto: «Deve essere piuttosto imbarazzante ritrovarti con il tuo passato spasimante sotto lo stesso tetto.»
Alexandra non sapeva come comportarsi. Gloria Green era la più cara amica di sua sorella, quindi poteva essere considerata persona di fiducia, ma non era certa che fosse bene raccontarle i propri affari privati. Aveva poco tempo a disposizione per prendere una decisione, quindi si affrettò a specificare, senza esporsi troppo: «A quei tempi credevo che Gabriel McKay fosse il grande amore della mia vita, ma mi sbagliavo. Sono contenta di non averlo sposato. Questo non significa che mi soddisfi la maniera in cui mio zio si è intromesso nelle mie scelte. Non ne aveva il diritto.»
«Ma avresti sposato l'uomo sbagliato.»
«Se così fosse stato, avrei sempre potuto divorziare e risposarmi. Non c'era motivo per cui mio zio dovesse impicciarsi nei miei affari e fare sì che non ci fosse alcun matrimonio tra me e Gabriel. Avrei capito di più se mi avesse impedito totalmente di frequentarlo. Invece no, potevo uscirci insieme senza intromissioni, però non potevo fare progetti per il futuro. Questo modo di agire era totalmente incomprensibile. Meno male che mia madre diceva che suo fratello era un uomo pragmatico, le cui azioni avevano sempre un senso logico!»
Gloria puntualizzò: «Lord Winterport è un attempato Lord convinto di potere dominare su tutto e su tutti. Non sarà uno di quei tipi totalmente insopportabili che vaneggiano giorno e notte sul diseredare parenti, ma ciò non toglie che sia comunque abituato a spadroneggiare. O fai quello che vuole lui, oppure ti costringe ad adeguarti. Ieri sera mi ha detto che dovrei convincere tua sorella a prendere marito.»
«Oh.»
«Ti stupisce?»
«Un po'.»
«Stupisce anche me. Ha detto che, per quanto lo riguarda, Alice potrebbe sposarsi con chiunque e approverebbe.»
Alexandra abbassò lo sguardo.
«Ha in qualche modo giustificato quelle parole? Perché a me non ha mai detto che avrei potuto sposare chiunque. Anzi, ha fatto l'esatto contrario. Anche quando ho iniziato a frequentare Daniel, non era molto contento. All'inizio si è opposto al matrimonio. Poi, a poco a poco, si è convinto.»
«Per quanto possa esserti difficile crederlo, la spiegazione di Lord Winterport è stata non solo plausibile, ma anche piuttosto coerente» la informò Gloria. «Ha affermato che, a trentadue anni, tua sorella dovrebbe essere in grado di decidere da sola con chi sposarsi, senza il pericolo che prenda decisioni avventate, dettate dalla giovane età. Mi sembra realistico, posto che, in ogni caso, avrebbe dovuto avere la decenza di non tarparti le ali.»
Alexandra annuì. Certo, era un ragionamento che comportava un certo grado di profondità, che non era certa potesse appartenere a Lord Winterport, ma era sensato pensare che l'avesse ritenuta troppo giovane per sposarsi senza sottostare al suo giudizio. Le dispiaceva essere stata considerata una ragazzina dalle idee labili e incapace di badare a se stessa, ma non aveva importanza. Lord Winterport era solo il fratello di sua madre, che con lui non aveva avuto contatti per gran parte della propria vita. Se non avesse avuto un serio attacco di cuore dal quale non si era mai più ripresa del tutto, forse non l'avrebbe implorato di rivedersi almeno un'ultima volta e, in quel caso, Alexandra non l'avrebbe mai conosciuto. Certo, non avrebbe conosciuto nemmeno Gabriel e Daniel, che erano entrambi suoi dipendenti, ma senza ombra di dubbio avrebbe conosciuto un altro uomo. Non vi era un regola aurea secondo cui le coppie fossero destinate a finire insieme. Semplicemente, le persone si incontravano. Se un incontro non fosse avvenuto, ci sarebbero stati altri incontri. Le sarebbe dispiaciuto essere sposata con un uomo che non fosse Daniel Johnstone, ma formulava tale pensiero perché lo conosceva e perché era divenuta sua moglie. Se non avesse mai saputo della sua esistenza, non avrebbe certo potuto mancarle.
Cercò di frenare i propri pensieri. Avrebbe detto qualcosa di troppo, prima o poi, dato che non avrebbe potuto mantenere il silenzio troppo a lungo. Decise quindi, per evitarlo, di cambiare argomento, chiedendo a Gloria: «Cosa ne pensi della segretaria di mio zio?»
«Perché?» azzardò Gloria. «Ritieni forse che abbia qualcosa da nascondere?»
«Oh, no, non credo» ammise Alexandra. «Che io sappia, è stata assunta alla ditta per occuparsi del centralino e della reception. È solo un caso che sia qui, sostituisce un'altra donna, che è malata. Però tu mi dai l'impressione di avere intuito, quindi vorrei sentire un tuo parere su di lei.»
«Mi sembra una persona con uno spiccato senso della fantasia» rispose Gloria. «L'idea di un tentato avvelenamento non la spaventa, non perché sia sadica - anzi, non lo sembra affatto - ma perché il suo sogno è quello di indagare su un crimine e arrivare alla soluzione. Mi sembra sveglia, anche se un po' bislacca. Vive in un mondo tutto suo e non sembra preoccupata. Se ne accorge benissimo, ma preferisce restare fuori da tutto. O meglio, restarne fuori, ma tenere tutto sotto controllo da lontano. Non so se mi sono spiegata.» Le sfuggì una risata. «Se mai a te e ad Alice venisse voglia di assassinare vostro zio, assicuratevi prima che Miss Crystal sia a debita distanza, dove per a debita distanza intendo in un altro continente. Qualora un giorno dovesse trasferirsi nelle Americhe, potreste considerarvi al sicuro, ma non prima. Potrebbe leggere la notizia sul giornale e fiondarsi qui a indagare. Per quanto le indagini su un delitto siano soltanto sue fantasie, la determinazione non le manca. Mi prenderai per pazza, ma sono assolutamente convinta che potrebbe tranquillamente risolvere un caso di omicidio, se per una ragione o per l'altra vi si imbattesse.»
«Non vi si imbatterà.»
«Sei molto ottimista.»
Alexandra chiarì: «Non vi si imbatterà qui e ora. Mio zio non sarà assassinato. Qualcuno dei suoi futuri titolari, chi lo sa, può darsi.»
***
Per quanto Gabriel McKay si sforzasse di scacciare quello sgradevole pensiero, stare a Sadness Garden era estremamente sgradevole. Già da quando non gli era stata concessa la mano della signorina Alexandra Byron si era rassegnato alla propria condizione ineluttabile di impiegato. Non sarebbe mai riuscito a superare quello status, non essendo destinato alla possibilità di sposarsi per interesse. Aveva addirittura dedotto che sarebbe stata una forzatura, per lui, intraprendere quella strada. Avrebbe dovuto lavorare ancora per decenni e quella prospettiva poteva anche andargli bene. In fondo non disprezzava l’occupazione che svolgeva e non provava un particolare peso, la mattina, quando entrava negli uffici della ditta di tessuti di Lord Winterport, sapendo che fino all’ora del tè non avrebbe potuto disporre a proprio piacimento del tempo che gli era stato concesso. Tuttavia un conto era svolgere il proprio lavoro all’interno di un ufficio, alla sede aziendale, circondato da colleghi impegnati ugualmente nelle rispettive mansioni, mentre era tutt’altra storia essere costretto a occuparsi degli affari di Lord Winterport presso la sua abitazione, sapendo perfettamente che, oltre lo studio nel quale si trovava insieme al signor Albert Harris e allo stesso titolare, parenti e affini di quest’ultimo trascorrevano le proprie giornate dedicandosi ai propri passatempi, oppure leggendo o giocando a bridge.
Era difficile riuscire a restare concentrato, quindi Gabriel si ritrovò a spaziare con la mente. Chissà, un giorno l’umanità avrebbe raggiunto conclusioni quali che fumare nella stessa stanza di altri era disdicevole, quindi i fumatori avrebbero potuto allontanarsi dalle rispettive scrivanie per recarsi all’esterno a fumare. Invece, purtroppo, non era nemmeno presente Miss Crystal, quindi non poteva nemmeno uscire con la scusa che l’odore del sigaro la faceva tossire. Lo stesso Harris era già arrivato al terzo sigaro del pomeriggio, mentre Lord Winterport stava tranquillamente fumando la pipa mentre dettava ad Albert precise istruzioni.
Bisognava inventarsi assolutamente qualcosa, quindi Gabriel attese pazientemente che i due smettessero di parlare e avanzò una proposta: «Potremmo farci portare un tè, cosa ne pensate, Lord Winterport?»
Il Lord parve entusiasta di quella proposta. Del resto, non si tirava mai indietro quando si trattava del tè, ed erano ben lontane le tanto agognate cinque del pomeriggio, che avrebbero messo fine a quella lunga e interminabile giornata di lavoro. Tuttavia vi era un problema notevole: «Purtroppo in questo studio non c’è il campanello, quindi non possiamo chiamare il maggiordomo affinché vada a chiedere in cucina di prepararlo.»
«Non c’è problema» osservò Gabriel. «Posso sacrificarmi e recarmi io stesso in cucina per chiedere che ci venga servito. Se per caso avete bisogno d’altro, Lord Winterport, non esitate a domandarlo. Sarò molto lieto di assecondare le vostre richieste.»
Lord Winterport non aveva altre richieste, quindi Gabriel si alzò in piedi e uscì dallo studio prima che il datore di lavoro potesse ripensarci. Si sentì sollevato. Non vedeva l’ora di ritornare alla sede, dove se non altro c’era più spazio e a condividere l’ufficio con Winterport era soltanto la sua segretaria personale, oppure Miss Crystal, quando questa non era presente. In ditta, era a tu per tu soltanto con il signor Harris, con il quale distrarsi all’occorrenza parlando di automobili di lusso e di cavalli, oltre che con una dattilografa che ricordava a entrambi che non erano ricchi abbastanza per potersi permettere di possedere né delle automobili di lusso né dei cavalli.
Mentre si dirigeva verso la cucina, Gabriel stava calcolando mentalmente il tempo che poteva concedersi di mancare dall’ufficio senza passare per uno scansafatiche. Tuttavia quel conteggio venne presto interrotto quando una voce esclamò: «Buon pomeriggio, Gabriel!»
Preso com’era dalle proprie elucubrazioni, non si era accorto di Daniel Johnstone, che portava un cappotto sopra la giacca, quindi doveva provenire dall’esterno.
«Buon pomeriggio Daniel» rispose Gabriel. «Come stai passando la tua giornata? Sei stato fuori?»
L’altro annuì.
«Sì, è una bella giornata.»
«Effettivamente non c’è nemmeno paragone, con quella di ieri» ammise Gabriel, «Anche se per me non cambia molto.» Abbassò la voce. «Sono sempre dentro allo studio, costretto a sorbirmi la noia mortale di quel vecchio malefico.»
Daniel ridacchiò.
«Almeno tu non sei diventato suo parente. Credimi, hai scampato un bel pericolo! Dovresti accendere un cero per ringraziare il tuo santo protettore, perché ti ha risparmiato una bella serie di seccature. Certo, non nego che essere il marito di un’ereditiera e non dovere più lavorare sia un grosso salto di qualità, ma ci sono da considerare anche le conseguenze negative della mia parentela con Lord Winterport.» Aveva parlato a propria volta con tono piuttosto basso, ma rialzò la voce per passare ad argomenti che non suscitassero pettegolezzi da parte di ipotetici membri del personale di servizio appostati dietro le porte a origliare. «Hai detto che sei sempre nello studio, ma ti trovi nel corridoio. Non stai nemmeno andando in direzione della toilette. Devo forse pensare che tu stia scappando, oppure ti è stata affidata qualche commissione improrogabile?»
«Mi è stata affidata, su mia proposta, la più improrogabile delle commissioni improrogabili» rispose Gabriel, «Dal momento che sto andando in cucina a chiedere che ci sia servito del tè. Sono stato molto fortunato, dato che non c’è stata la possibilità di mettersi in contatto con il maggiordomo.» Sospirò. «Non ci crederesti mai, ma quel Nolan lavora molto meno di me!»
«A proposito, quel Nolan guarda in modo molto strano mia cognata Alice, quasi come se avesse un debole per lei.»
«Ma è un maggiordomo!»
«Appunto. È un maggiordomo, quindi un uomo. Che cosa c’è di strano, se è attratto da una bella donna? A te non è mai capitato, McKay, di essere attratto da una bella donna?»
Gabriel rabbrividì. Non gli piaceva sentirsi porre una simile domanda, specie lì dove poteva esserci qualche domestica pettegola appostata con l’intento specifico di captare i suoi pettegolezzi - una domestica che doveva anche avere sentito della sua intenzione di andare in cucina a chiedere del tè, ma che si guardava bene dal facilitargli le cose facendo il proprio dovere.
«Sai che, mentre ti parlo di chi mi attrae, potrebbe esserci quella rimbambita della Livingstone ad ascoltare? Oppure la Jackson, che è un po’ più sveglia, nei limiti del possibile, e che, per questa ragione, è ancora più pettegola delle altre. Vuoi che tutti vengano a conoscere i miei più reconditi segreti, Johnstone?»
«Oh, no, non ha alcuna importanza che tutti conoscano i tuoi segreti» ribatté Daniel. «Io conosco i tuoi segreti e questi mi bastano. Comunque, se vuoi goderti qualche istante di libertà in più, andrò io in cucina a chiedere che vi venga portato il tè.»
«Posso fidarmi? Non vorrei che Lord Winterport non ricevesse mai il tè e si facesse qualche domanda di troppo.»
«Figurati. Quando tornerai, si dimenticherà in fretta e furia del tè. Inizierà a lamentarsi per qualche faccenda di lavoro e, se il tè non dovesse mai arrivare, non se ne accorgerà nemmeno. Lo conosco bene, ci ho lavorato anch’io.»
«Non a contatto così stretto come sto facendo io in questi giorni.»
«Grazie al cielo, mi verrebbe da dire. Non sono certo che sarei riuscito a resistere senza licenziarmi e andare a cercarmi un altro lavoro. Perché non fai la stessa cosa anche tu?»
Gabriel scosse la testa.
«No, non intendo lasciare la ditta.»
«Fai male» osservò Daniel Johnstone, con tono stranamente cupo. «Sai, ho sempre avuto la brutta sensazione che quell’azienda nasconda qualche segreto sgradevole.»
«Che i tessuti commerciati sono prodotti in qualche colonia da manovalanza sottopagata?» ipotizzò Gabriel. «Non ho mai avuto dubbi. Tuttavia non è qualcosa a cui io possa porre rimedio. Non potrei nemmeno visitare le colonie per sfizio, figuriamoci se potrei recarmi in quei luoghi reconditi per invitare le popolazioni del posto a ribellarsi alle svantaggiose condizioni contrattuali loro imposte dagli imperialisti britannici. Peraltro, perché dovrebbero ascoltarmi? Me li immagino a dirmi: “scusate, signor McKay, per caso, se lasciamo le nostre occupazioni, avete intenzione di passarceli voi, quei quattro soldi che ci guadagniamo lavorando e con i quali manteniamo le nostre famiglie?” Mi dispiace, Johnstone, ma non posso cambiare il mondo... e soprattutto non lo posso cambiare standomene seduto in uno studio di Sadness Garden.»
«Sadness Garden» ripeté Daniel. «È un nome insolito, non credi?»
«È la villa di un Lord» replicò Gabriel. «È davvero così strano che abbia un nome improbabile?»
«Non posso fare a meno di chiedermi da dove sia venuto fuori.»
«Potresti chiederlo ad Alexandra. È la nipote del Lord, deve esserne al corrente.»
«Gliel’ho già chiesto» chiarì Daniel. «Non lo sa. Le ho suggerito di chiederlo a suo zio, ma ha affermato di non avere l’abitudine di conversare con lui a proposito di simili amenità. Dovrò rimanere con un dubbio atroce. Chissà che cosa significa. Perché Giardino della Tristezza? Non...» Si interruppe e si voltò, probabilmente udendo un rumore di passi alle proprie spalle, dato che dietro di lui stava sopraggiungendo Miss Crystal. «Già di ritorno?»
«Già di ritorno» confermò Miss Crystal. Guardando Gabriel, anziché Daniel Johnstone, spiegò: «Purtroppo uno degli uffici nel quale dovevo recarmi per conto di Lord Winterport era chiuso, quindi dovrò tornare in città anche domani.»
Quella donna aveva una fortuna sfacciata. Le venivano affidati incarichi di varia natura, grazie ai quali poteva allontanarsi dallo studio e stare ben lontana da Lord Winterport. In teoria, per la ditta, avrebbe dovuto essere l’ultima ruota del carro, eppure era l’unica che era pagata per svignarsela e riposarsi un po’ la testa, invece di sentire la voce martellante di quel vecchio.
Oltre che fortunata, era anche un’acuta osservatrice, dal momento che gli domandò: «Come mai siete qui in corridoio a conversare con il signor Johnstone?»
«Sono appena stato in cucina a chiedere che ci venga portato un bricco di tè caldo» rispose Gabriel, lanciando un’implorante occhiata a Daniel. Magari Winterport si sarebbe dimenticato del tè, ma Miss Crystal se ne sarebbe rammentata perfettamente. «Stavo proprio tornando nello studio. Se volete venire con me, signorina...»
La segretaria si tolse il cappotto di tweed e, dopo essersi guardata intorno alla ricerca di una cameriera, in assenza di essa andò ad appenderlo di persona all’attaccapanni. Infine seguì Gabriel, diretta con lui verso lo studio. Soltanto pochi metri prima della meta osservò: «Ho sentito che il signor Daniel Johnstone vi stava parlando della storia che sta alle origini del nome di Sadness Garden.»
«In realtà il signor Johnstone non lo sa» concluse Gabriel. «Resteremo anche noi con questo dubbio esistenziale. Non credo ci toccherà molto, tuttavia. Presto i lavori alla sede aziendale finiranno e potremo lasciare questo posto.»
***
Nonostante Alice Byron trascorresse la maggior parte del proprio tempo a fantasticare, e nei suoi pensieri vi fosse quasi sempre l’antico Egitto, non disdegnava nemmeno l’osservare la realtà e il presente. Da tale osservazione, si accorse subito che, dopo l’ora del tè, Gabriel McKay si era allontanato subito dalla sala da pranzo. Aveva affermato di essere stanco e di preferire dedicarsi alla lettura, invece che al bridge. Per la consueta partita di bridge del tardo pomeriggio, Alice e la sorella Alexandra non avevano potuto contare nemmeno sul marito di quest’ultima: Daniel Johnstone sosteneva di avere mal di testa e di preferire prendere una boccata d’aria. Per fortuna c’erano Norman Winterport e la sua consorte, mentre invece Gloria aveva preferito dedicarsi agli scacchi insieme al signor Harris.
Nonostante la tensione che si respirava la sera precedente dopo la cena, la situazione sembrava piuttosto tranquilla. I coniugi Winterport pensavano alla partita a carte e non davano segno di volere intavolare un’assurda polemica come quella legata al testamento. Sembrava che il tentativo di avvelenamento di cui Lord Winterport sosteneva di essere stato vittima fosse ormai un ricordo lontano e, anche se presente all’interno della sala da pranzo, il Lord si limitava a borbottare distrattamente, senza proferire in alcuna invettiva. Inoltre non aveva invitato i suoi dipendenti a recarsi a cena in sala da pranzo quella sera, quindi nulla lasciava pensare di essere vicini a un altro grande annuncio.
Tutto proseguì in maniera assolutamente calma, senza intoppo alcuno. La cena fu consumata senza la presenza dei dipendenti e, ancora una volta, Daniel Johnstone affermò di avere un forte mal di testa. Dopo il dessert, non bevve nemmeno il consueto amaro, né volle assaporare i successivi liquori. Si alzò da tavola e annunciò la propria intenzione di ritirarsi. Il maggiordomo Nolan fu invitato ad andare a preparare la sua stanza da letto. Alice fu lieta di vederlo allontanarsi. Le era sembrato che quell’uomo le lanciasse degli sguardi inquietanti. Possibile che fosse lui l’autore delle lettere che aveva ricevuto? Non le sembrava possibile che fossero state scritte da un maggiordomo. Vi erano allusioni sessuali piuttosto esplicite e non poteva immaginare che un domestico avesse una maniera così poetica di accennare a certi argomenti scabrosi. Le era molto difficile immaginarsi il personale di servizio dedito ad atti sessuali. Era assai probabile che i maggiordomi giacessero con le governanti al fine di mettere al mondo nuove generazioni di domestici. Se non l’avessero fatto, sarebbe stato piuttosto arduo. Chi si sarebbe occupato delle faccende di casa? Chi avrebbe ripiegato le coperte del letto, in modo che i benestanti potessero andare a dormire? Ma soprattutto, chi avrebbe versato il tè o il caffè? Chi avrebbe svuotato i posacenere? Chi avrebbe aperto la porta, quando suonava il campanello e tutti erano intenti a giocare a bridge?
Dal momento che quell’attività stava iniziando a diventare ripetitiva, Alice ebbe un’intuizione e propose: «Come sarebbe se invece, stasera, giocassimo a poker?»
Alcuni presenti si lasciarono andare all’entusiasmo, tra cui Alexandra, ma non i dipendenti di Lord Winterport. Su Miss Crystal non vi erano grossi dubbi, ma il signor Harris rifiutò, sostenendo di dovere scrivere delle lettere, mentre Gabriel McKay sostenne di avere digerito male e che sarebbe andato in cucina a chiedere una tazza di tè caldo. Non si sentiva bene, quindi non sarebbe tornato per il poker, disse. Non era così sorprendente, in fondo. Anzi, era piuttosto prevedibile, anche se scherzare con il fuoco rischiava di essere molto pericoloso. I giocatori furono Alice, Alexandra e, ancora una volta, i coniugi Winterport. Gloria Green si guardò intorno e, proprio mentre Lord Winterport dava segno di volersi avvicinare a lei, si avvicinò di scatto a Miss Crystal. Ad Alice parve di sentire pronunciare il termine “scacchiera”, quindi comprese immediatamente a quale attività si sarebbero dedicate di lì a poco le due donne. Tuttavia, le notò mentre fissavano la fotografia appesa alla parete, in cui un molto più giovane Lord Winterport posava accanto al socio Alfred Smith.
Rimasero a guardare quell’immagine per diversi minuti, Alice se ne accorse dando loro qualche occhiata fugace, mentre giocava. Forse era distratta, perché faceva mosse azzardate. Cercò di dare la colpa alle pessime carte che aveva pescato, ma c’era qualcosa di più. Si sentiva turbata, ma non ne capiva la ragione. In fondo era andato tutto bene, non vi erano stati ulteriori presunti tentativi di avvelenamento e non era successo alcunché di sconveniente. Certo, c’era di nuovo il maggiordomo, che stava sparecchiando, e ad Alice venne da chiedersi chi avrebbe preparato il letto di Gabriel McKay, se si sarebbe rivolto a qualcuna delle domestiche o se avrebbe fatto da sé, ma quel pensiero non era sufficiente, di per sé, a distoglierla dal poker.
Sua sorella si accorse che qualcosa non andava. Approfittando del fatto che Norman e Charlotte Winterport avessero deciso di fare una breve pausa per sorseggiare del cognac, le due rimasero sedute al proprio posto a fumare.
«Cosa succede?» le chiese Alexandra. «È successo qualcosa? Per caso quell’uomo ti ha scritto di nuovo?»
Alice le scoccò un’occhiataccia.
«Non devi parlare di queste cose.»
«E perché no?» ribatté Alexandra. «Ho ventiquattro anni, non sono più una bambina. Anzi, sono molto più donna di te, dato che sono sposata. Tu, invece, secondo me non hai ancora fatto il salto di qualità nemmeno al di fuori del matrimonio. Forse dovresti incontrare quell’uomo e lasciarti andare un po’.»
Alice sospirò.
«Provo un malessere profondo e non sono in grado di spiegarmelo. Come puoi essere così banale? Mi sento a disagio e...»
«Forse» la interruppe Alexandra, «Dovresti semplicemente tornare in Egitto. Non ti piacerebbe? Rivedere la Sfinge, la Valle dei Re, le...»
Anche Alice non la lasciò finire, protestando: «Non mi servirà a niente fare un viaggio in questo momento. C’è qualcosa di maledettamente sbagliato in questa casa, con queste persone, e non riesco a capire di che cosa si tratti. Non ti sembra che tutti, in un modo o nell’altro, si comportino in maniera strana, o che abbiano qualcosa da nascondere?»
«Tutti, a modo nostro, abbiamo piccole cose da nascondere» ribatté Alexandra. «Però, a volte, è meglio che rimangano nascoste, non credi?»
«Cosa vuoi dire?»
«Mettiamo che io abbia un sospetto, molto forte, sul fatto che una persona possa avere commesso un crimine.»
Alice spalancò gli occhi.
«Tu sai che...» Non finì la frase. Aveva attirato su di sé l’attenzione di Miss Crystal che, non più davanti alla fotografia, ma seduta a giocare a scacchi con Gloria Green, doveva averla udita. «Stai parlando così per ipotesi, vero?»
Alexandra non chiarì quel punto.
«Mettiamo che io abbia questo sospetto. Ho due opzioni. La prima potrebbe essere quella di parlare, ma di rischiare che la cosa possa ritorcersi contro di me. La seconda è fare finta di nulla, tanto lo stesso sospetto non è venuto a nessun altro. Che cosa faccio? Parlo, rischiando di rovinarmi, oppure resto in silenzio?»
«Sorellina cara, non importa che cosa dice la legge» replicò Alice. «Un crimine è ciò che nuoce a qualcuno, le leggi possono anche essere sbagliate. Mi dispiace solo che tu ti ci sia ritrovata in mezzo... ma se non ci fossi tu, davvero vorresti rovinare la vita a...» Lo sguardo stralunato di Alexandra, le fece ipotizzare di avere completamente travisato. «No, aspetta! Tu non stai parlando di...?»
Non ritenne opportuno fare nomi, ma soprattutto, se sua sorella non sapeva, veniva a trovarsi in una difficile situazione. Alexandra, però, non nutriva alcun sospetto in una certa direzione e, piuttosto, affermò: «No, non parlo del tentativo di avvelenamento. Perché, poi, dici che la cosa non nuoce a nessuno? Qualcuno voleva far fare a nostro zio il grande viaggio, per quanto ne sappiamo. Non mi sembra una cosa innocua.»
Alice scosse la testa, sorridendo.
«Oh, no, lascia stare. Ho detto cose senza senso.»
«Ci puoi scommettere, Alice!» ribatté Alexandra. «Te l’ho detto cosa dovresti fare. Ma eccoli», indicò Norman Winterport e la consorte, «Stanno tornando. Sei pronta per un’altra partita? Stavolta dobbiamo vincere!»
Il tono scanzonato della sorella minore lasciava pensare che non fosse per nulla turbata dal discorso che avevano appena fatto. Era molto probabile che non ne avrebbero parlato mai più. In effetti sarebbe andata proprio così, ma non per le ragioni che Alice ipotizzava. Piuttosto, non avrebbero avuto mai più la possibilità materiale di discuterne.