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Autore: Mnemosine__    21/11/2024    0 recensioni
Logan è sempre stato il migliore di noi.
Sequel di Nous - Le ombre degli auryn
Per leggere questa storia sarebbe consigliato leggere quella precedente, anche se non è strettamente necessario.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nous Saga'
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Nel freddo tagliente della sera, Logan, Alexander e Richard si avvicinarono alla villa abbandonata con passo deciso, la determinazione incisa sui loro volti. Il vento gelido sollevava polvere e foglie secche, facendo frusciare i rami spogli degli alberi circostanti. Il sole, ancora basso all'orizzonte, proiettava lunghe ombre sulle mura scrostate dell’edificio, facendolo sembrare ancora più sinistro. Logan, con gli occhi stretti, fissava l'antica struttura decadente. La sentiva: quella strana vibrazione nell'aria, una presenza oscura che aleggiava come una minaccia invisibile. Gli eidolon erano lì, nascosti tra le crepe e le ombre.
La tensione era palpabile, ma per loro era una vecchia compagna. Non c’era paura, solo una calma determinata, come se stessero tornando su un campo di battaglia che conoscevano fin troppo bene. Logan inspirò profondamente, assaporando quell’istante di quiete prima dell’azione. “Entriamo,” disse con un cenno della testa, la sua voce ferma e autoritaria, senza alcuna esitazione.
I tre si divisero con naturalezza, ognuno di loro sapendo esattamente cosa fare. Alexander si diresse verso il lato destro dell'edificio, mentre Richard prese la sinistra. Logan avanzò dritto, i sensi acuiti, il corpo in tensione. Appena oltrepassata la soglia, gli eidolon cominciarono a emergere dalle ombre, come se fossero stati richiamati dalla loro presenza. Dalle crepe nei muri, dai soffitti traballanti, strisciarono fuori, agili e rapidi, come una maledizione liberata dopo secoli di attesa.
Logan non batté ciglio. Con un movimento fluido, estrasse la sua lama, il metallo scintillante che attraversava l'aria con precisione mortale. Il primo eidolon che gli si scagliò contro si dissolse in una nube nera non appena la sua lama lo colpì, ma Logan non si fermò. Si mosse tra le rovine con una grazia letale, colpendo ogni creatura che osava avvicinarsi. La sua lama tagliava attraverso l'oscurità come se fosse aria, con colpi netti e decisi.
Alexander, poco lontano, combatteva con un sorriso divertito sulle labbra. “Ehi, Logan! Non dirmi che ti sei ammorbidito!” gridò tra un colpo e l’altro, lanciando battute mentre affrontava gli eidolon con la sua solita spavalderia. Ogni movimento era accompagnato da risate, come se si stesse godendo una qualche macabra danza.
Richard, al contrario, era concentrato e silenzioso. Si muoveva rapidamente tra le ombre, i suoi colpi precisi, letali. Non c'era spazio per gli errori, non c’era tempo per le parole. Ogni eidolon che si avvicinava a lui veniva abbattuto in un istante, senza esitazione.
Insieme, i tre si muovevano come una macchina ben oliata. Ogni colpo, ogni movimento, sembrava coreografato alla perfezione, come se avessero passato una vita intera a combattere fianco a fianco contro queste creature. Era un gioco per loro, ma un gioco mortale, e nessuno di loro sottovalutava l'oscurità che si celava in quegli esseri.
Logan avanzava attraverso le rovine, i suoi sensi tesi al massimo. Sapeva che Vittoria era da qualche parte lì dentro, impegnata a combattere come loro. Non poteva permettersi di distrarsi, ma non riusciva a togliersela dalla testa. Tra un colpo e l’altro, i suoi occhi perlustravano costantemente l’ambiente intorno a lui, cercando di localizzarla.
Improvvisamente, notò un movimento sopra di lui. Il soffitto marcio, sopra il quale erano rimaste solo travi instabili, si muoveva. Logan si fermò, il cuore che gli balzava nel petto quando vide un enorme eidolon calarsi silenziosamente dall’alto. La creatura, più grande e imponente degli altri, stava puntando Vittoria, che si trovava proprio sotto di lui, ignara del pericolo imminente.
“Attenta!” gridò Logan, spingendosi in avanti senza pensare.
Lei si voltò di scatto, giusto in tempo per vedere la creatura oscura scendere su di lei con gli artigli protesi, pronti a colpire. Il tempo sembrò rallentare mentre la creatura si avvicinava. Logan non esitò. Con un movimento rapido e istintivo, si lanciò verso di lei, afferrandola e spingendola di lato. Il mostro calò gli artigli, ma Logan era già lì, la sua lama che si conficcava profondamente nell’essenza nera dell’eidolon.
La creatura emise un sibilo orrendo, un suono stridente e innaturale, prima di dissolversi in una nube di fumo denso. Logan, ansimando leggermente, si voltò verso Vittoria, che lo fissava con un misto di shock e gratitudine.
"Grazie," mormorò, il suo respiro ancora affannato per lo spavento. Ma prima che potesse aggiungere altro, un rumore improvviso attirò la loro attenzione. “Merda.”  
Non erano soli.
Un gruppo di figure scure e minacciose si delineò all’orizzonte, emergendo dalle rovine con un'aria inquietante e predatoria. I farkas si muovevano con precisione, come predatori perfettamente coordinati, e Logan capì subito che non si trattava di un attacco improvvisato.
“Attenzione,” mormorò Logan, scambiandosi un’occhiata veloce con Alexander e Richard. Le battaglie con i farkas non erano mai semplici, soprattutto perché, come loro, questi avversari erano in grado di manipolare la magia attraverso le gemme.
Logan strinse il pugno della mano su cui aveva la thea, la gemma argentata che aveva fatto incastonare sull’orologio. Con un rapido gesto, lasciò che la magia fluisse attraverso di lui, incanalandola nella gemma. Intorno a loro, le ombre si allungarono e si piegarono sotto il suo controllo, creando illusioni perfettamente sovrapposte alla realtà. Duplicati di Logan, Alexander e Richard emersero tra le rovine, confondendo i farkas che rallentarono il loro attacco, incerti su dove mirare.
“Dividiamoci,” sussurrò Logan ai suoi compagni. “Usiamo le illusioni a nostro vantaggio.”
Mentre i farkas cercavano di orientarsi tra le figure illusorie, Alexander e Richard si mossero in sincronia con le loro copie, sfruttando la confusione.
Logan si mosse rapido come un'ombra, fondendosi con le illusioni che aveva creato. Il respiro calmo tradiva una tensione sottile ma costante, il cuore che martellava sotto il torace mentre valutava la scena. I farkas si stavano organizzando, muovendosi tra le rovine come una forza predatoria, i loro occhi scintillanti nell'oscurità.
Alexander, arco in mano, si era posizionato su un rilievo roccioso a qualche metro di distanza. La sua figura snella e agile era in perfetto contrasto con la sua padronanza della magia dell'aria. La gemma d'aria, l’aer, brillava sul dorso della sua mano sinistra, alimentando le sue frecce con una precisione letale. Con ogni scocco del suo arco, i venti rispondevano al suo richiamo, incanalando i dardi in traiettorie impossibili. Ogni colpo colpiva il bersaglio con una forza devastante, accompagnato da raffiche d’aria che sibilavano come uragani. I farkas tentavano di avanzare, ma le sue frecce cariche di vento li costringevano a rallentare o a cadere rovinosamente al suolo.
Richard, possente e massiccio come una montagna, combatteva al centro del campo di battaglia. Con il suo corpo imponente e la forza bruta. La gea che aveva al collo, pulsava con un’energia grezza, rendendo ogni colpo della sua mazza una manifestazione di pura potenza. Ogni fenditura del terreno, ogni crepa che si apriva sotto i piedi dei nemici, era il frutto della sua forza combinata con la magia della terra. I farkas che osavano avvicinarsi a lui venivano travolti da una furia selvaggia, spazzati via come foglie al vento. La sua presenza era sufficiente a tenere lontani anche gli eidolon, che vacillavano davanti alla sua potenza travolgente.
Vittoria, nel frattempo, era tornata in piedi, la determinazione incisa sul suo volto. La keraunos che aveva al dito brillava con una luce azzurro elettrico. Sollevò il braccio e un fulmine esplose dalla sua mano, tracciando un arco nel cielo scuro. Il lampo si abbatté con una violenza terrificante su un gruppo di eidolon, distruggendo la loro essenza fumosa in un'esplosione di energia. Vittoria continuava a scagliare fulmini, con i suoi occhi che scintillavano della stessa elettricità che alimentava la sua gemma. Ogni attacco era preciso, devastante, lasciando solo cenere e polvere sul suo cammino.
Logan, avvolto nelle sue illusioni, sfruttava la confusione per muoversi agilmente tra i nemici. La sua gemma continuava a distorcere la percezione dei farkas, creando duplicati illusori di se stesso e dei suoi compagni. I nemici colpivano l’aria vuota, mentre Logan scivolava tra di loro, tagliando con la sua lama affilata. Il suo obiettivo era chiaro: mantenere la confusione, impedire ai farkas di organizzarsi e, soprattutto, proteggere i suoi compagni.
Improvvisamente, Logan percepì un movimento rapido alla sua sinistra. Un eidolon, dalle dimensioni imponenti, avanzava verso Alexander, cercando di coglierlo di sorpresa. Con un rapido scatto, Logan si lanciò in quella direzione, la sua spada pronta a colpire. L'eidolon emise un sibilo orrendo, sollevando le sue mani spettrali per attaccare l'arciere, ma Logan fu più veloce. Con un colpo preciso, affondò la lama nella sostanza nebulosa del mostro, tagliando attraverso l'oscurità. L'eidolon si disfece in un grido spettrale, dissolvendosi in una nube di fumo nero.
"Grazie," mormorò Alexander, senza distogliere lo sguardo dal prossimo bersaglio. Logan annuì, il fiato ancora corto, e tornò rapidamente nella mischia.
Logan avanzò rapido verso uno dei farkas, la lama pronta, ma un bagliore all’orizzonte attirò la sua attenzione. Un arco veniva teso, e Logan vide una freccia con una punta scintillante di nyx.
Il tempo sembrò rallentare mentre la freccia veniva scoccata.
“Vittoria!” urlò Logan con la voce piena di allarme, ma il suo grido arrivò un istante troppo tardi.
La freccia saettò nell'aria e colpì Vittoria di striscio al fianco, abbastanza da aprirle un taglio lungo la pancia. Vittoria emise un gemito di dolore, piegandosi in avanti e stringendosi il fianco, il viso sbiancato per lo shock improvviso del colpo.
“Cazzo,” mormorò Logan tra i denti, lanciandosi verso di lei.
Mentre si avvicinava, la battaglia infuriava intorno a loro, ma Logan aveva occhi solo per Vittoria. Il sangue macchiava la sua camicia, scorrendo lentamente dalla ferita. Logan si inginocchiò accanto a lei, scostando con delicatezza la mano dalla ferita per vedere quanto fosse profondo il taglio.
“È una freccia di nyx,” sibilò Logan con rabbia. Quella gemma era una delle poche cose capaci di ferire realmente persone come loro.
“Non è profonda,” cercò di rassicurarla, anche se il suo sguardo tradiva preoccupazione. La magia della nyx stava già facendo effetto; il dolore era amplificato dall'energia oscura che la gemma portava con sé.
“Porca…” sussurrò Vittoria, ancora incredula per l'intensità del dolore. “Puttana – fa un male cane.”
“Sssh, ti porto via di qui,” disse Logan, ignorando il caos attorno a loro.
Senza esitazione, Logan la sollevò con forza, cercando di evitare di sollecitare troppo il fianco ferito. Con un rapido cenno, richiamò l’attenzione di Alexander e Richard. I due si mossero con agilità, continuando a combattere mentre coprivano la ritirata di Logan.
Mentre Logan si allontanava con Vittoria tra le braccia, un farkas tentò di avvicinarsi alle loro spalle. Ma Alexander, con un gesto rapido, incanalò la magia con l’aer e scaraventò l’avversario contro un muro con una forza devastante.
“Alex! Ric!” gridò Logan verso i compagni. I due, già in allerta, si mossero rapidamente per coprire Logan mentre portava via Vittoria. Combatterono con ferocia, aprendo un varco tra i farkas e gli ultimi eidolon che ancora resistevano, mentre Logan correva verso un punto più sicuro, lontano dalla battaglia.
Logan continuava a correre, il cuore che batteva forte mentre stringeva Vittoria tra le braccia. Sentiva il suo respiro rapido e irregolare contro il petto, il calore del suo corpo che contrastava con l'aria fredda del mattino. Nonostante non la conoscesse bene, sentiva la responsabilità di proteggerla. Non c’era tempo per pensare troppo a ciò che significava; la battaglia infuriava ancora alle loro spalle e la sicurezza era la priorità.
Alexander e Richard, come due ombre veloci, combattevano con una precisione letale, mantenendo il perimetro libero dai nemici. L'aer di Alexander era come un turbine devastante, respingendo i farkas e annientando gli eidolon che si avvicinavano troppo. Richard, da parte sua, con una calma spaventosa, maneggiava le armi antiche con un'eleganza letale, abbattendo i nemici uno dopo l’altro. I due uomini avanzavano, fendendo l'aria con le loro gemme incantate, aprendo una via sicura per Logan.
Logan si rifugiò dietro a un muro parzialmente crollato, appoggiando delicatamente Vittoria a terra, cercando di capire quanto grave fosse la situazione. Lei strinse la mano sulla ferita, il viso pallido ma gli occhi ancora fermi. C'era del coraggio in lei, qualcosa che Logan non poteva fare a meno di notare, anche mentre il sangue impregnava i suoi vestiti.
“Resisti, ti tireremo fuori di qui,” disse Logan con voce bassa ma determinata, cercando di tenerla sveglia.
Vittoria annuì, i suoi occhi verdi che cercavano di mantenere la lucidità nonostante il dolore intenso che la stava logorando. “Sto bene,” mormorò con un sorriso forzato, una piega di ironia nei suoi occhi.
Logan si chinò sopra di lei, il suo sguardo serio mentre analizzava la ferita. La freccia di nyx l’aveva colpita di striscio, ma il taglio era più profondo di quanto avesse sperato. La gemma aveva lasciato una traccia oscura lungo i bordi della ferita, un segno inequivocabile del suo potere distruttivo. Doveva intervenire al più presto.
Mentre Logan cercava di pensare a una soluzione, un rumore improvviso lo fece alzare di scatto. Nonostante Alexander e Richard stessero tenendo a bada la maggior parte dei nemici, alcuni farkas si stavano ancora avvicinando troppo. Logan strinse i denti ed utilizzò di nuovo la thea, la gemma scintillante incastonata nelle lancette del suo orologio, che aveva già usato per creare illusioni.
Con un rapido gesto, Logan evocò un’immagine illusoria di sé stesso e Vittoria, nascondendoli temporaneamente alla vista dei nemici. Le figure illusorie si spostarono a lato, distogliendo l'attenzione dei farkas, mentre Logan sfruttava il tempo guadagnato per applicare una pressione più salda sulla ferita di Vittoria.
“Non muoverti troppo,” le sussurrò. “Devo bloccare l'emorragia finché non saremo al sicuro.”
Vittoria annuì debolmente, i suoi occhi che si chiusero per un attimo. Il dolore la stava indebolendo, ma Logan sapeva che doveva resistere ancora un po'. Sentiva una strana connessione crescere tra di loro, anche se non l'aveva mai conosciuta davvero prima di quel momento.
Alexander e Richard finirono per raggiungerli in pochi minuti, coperti di polvere e sangue, ma apparentemente senza ferite gravi. Logan li guardò, annuendo. "Dobbiamo portarla via, adesso."
“Ho visto un'uscita sicura a nord,” disse Alexander, respirando affannosamente. “Ma devi muoverti in fretta. Non so per quanto tempo ancora riuscirò a tenere i farkas lontani.”
Logan si alzò, di nuovo con Vittoria tra le braccia. Richard aprì la strada, e Alexander chiudeva la retroguardia, pronto a usare ancora la sua magia per respingere gli ultimi attacchi dei farkas rimasti. Mentre si facevano strada tra le rovine, i suoni della battaglia si allontanavano lentamente.
"Non lascerò che ti succeda niente," mormorò Logan a Vittoria, sentendo il suo respiro sempre più debole contro il suo petto.
Mentre si allontanavano dal campo di battaglia, il rumore della lotta si affievoliva, ma la tensione rimaneva alta. Logan, con Vittoria stretta tra le braccia, cercava di mantenere il passo stabile, nonostante il suo cuore battesse all'impazzata per l'adrenalina e la preoccupazione. Vittoria, seppur debole, cercava di mantenere la lucidità, ma il dolore continuava a farla vacillare.
Finalmente raggiunsero l’uscita nord, dove la loro auto era nascosta tra la vegetazione. Logan si affrettò a sistemare Vittoria sul sedile del passeggero, cercando di muoverla con estrema delicatezza. Ogni suo movimento era accompagnato da uno sguardo attento e preoccupato, mentre cercava di non peggiorare la ferita. Posizionò un panno sul fianco per rallentare il flusso di sangue, le sue mani ruvide ma sorprendentemente gentili.
“Stai ferma,” le disse ancora una volta, il tono della sua voce basso e rassicurante. "Andrà tutto bene, te lo prometto."
Vittoria, con un filo di voce, rispose con un sorriso stanco. “Non fa così male, sai?” cercò di scherzare, anche se il suo viso era pallido per il dolore. Logan accennò un sorriso a sua volta, anche se l'ombra della preoccupazione non lasciava i suoi occhi.
Nel frattempo, Alexander e Richard rimasero vicini, osservando la situazione con attenzione.
Logan chiuse delicatamente la portiera dell'auto, lo sguardo rivolto verso Alexander e Richard, il volto contratto dalla frustrazione. Sentiva dentro di sé l'istinto di tornare a combattere, ma anche il peso della responsabilità che gravava sulle sue spalle.
"Non posso lasciarvi andare da soli," disse Logan, scuotendo la testa. "Non ha senso affrontarli senza di me. Siamo più forti insieme, e tu lo sai."
Alexander si avvicinò a Logan, i suoi occhi chiari che lo fissavano con una calma risoluta. Con un gesto leggero ma deciso, posò una mano sulla spalla del compagno. “Log,” iniziò Alexander, il tono di voce più serio del solito. “Io e Ric siamo perfettamente in grado di muoverci in sincronia. Ma tu…”
Alexander fece una pausa, lasciando che le parole si insinuassero nella mente di Logan. “Tu non hai tuo fratello qui con te,” continuò. “Vittoria ha bisogno di qualcuno che la porti al sicuro. È meglio se ci rimaniamo noi, qui, e tu lo sai.”
Richard, che era rimasto silenzioso fino a quel momento, annuì gravemente. “Alexander ha ragione, Logan. Lei è ferita, e se resta qui ancora a lungo, potrebbe non farcela. Noi possiamo gestire il nido. Abbiamo fatto cose più folli di questa, e ne siamo sempre usciti vivi. Ma Vittoria ha bisogno di te. Ora."
Logan si voltò a guardare Vittoria, il suo corpo piegato sul sedile, il fiato debole ma ancora presente. Non c’era spazio per ripensamenti. Sapeva che i due amici erano una squadra perfetta, invincibili quando erano insieme. E ora la loro forza risiedeva anche nella fiducia che riponevano in lui.
Logan strinse i pugni per un attimo, combattuto, ma alla fine annuì lentamente. “Merda. D’accordo,” borbottò, la voce carica di frustrazione. “Non fatemi pentire di lasciarvi soli là dentro. E recuperate la nyx.”
Alexander sorrise appena, la solita scintilla di sfida nei suoi occhi. “Non preoccuparti,” disse con un tocco di leggerezza. “Noi due abbiamo tutto sotto controllo. Quando tornerai, quel nido sarà solo cenere.”
Richard gli rivolse un cenno d'assenso, mentre Alex si preparava a tornare sul campo di battaglia. “Ora vai,” disse Alexander. “Portala via, Logan. È il tuo compito.”
Logan guardò i suoi due amici allontanarsi, tornando verso il cuore della battaglia. Sentiva una strana mescolanza di sollievo e preoccupazione nel lasciarli indietro, ma la responsabilità verso Vittoria lo chiamava. Si voltò verso l'auto, tornò al volante e accese il motore.
Fece un respiro profondo, lanciando un ultimo sguardo a Vittoria. La ragazza, nonostante il dolore, tentò un sorriso debole. “Non mi piace essere un peso.” sussurrò con un filo di voce. “Cazzo.”
Logan scosse la testa, una scintilla di dolcezza nei suoi occhi. “No,” rispose con fermezza. “Non sei un peso. Ti porto a casa.”
Logan parcheggiò l’auto davanti alla casa di Vittoria, il motore che si spense con un ultimo ruggito soffocato. Il silenzio calò improvvisamente attorno a loro, spezzato solo dal respiro debole e affannoso di Vittoria. Si voltò verso di lei, il volto segnato dalla preoccupazione. Non c’era tempo da perdere. Doveva portarla dentro, lontano dai pericoli, e curarle la ferita prima che peggiorasse.
Scese dall’auto con un movimento rapido, poi si diresse verso il lato del passeggero. Aprì la portiera con attenzione, chinandosi per prendere Vittoria con tutta la delicatezza di cui era capace. Lei lo guardò per un attimo, gli occhi stanchi e appesantiti dal dolore, ma non disse nulla. Logan si chinò ancora di più, infilando un braccio sotto le sue gambe e l’altro dietro la schiena, sollevandola senza sforzo. La strinse a sé, cercando di non toccare la ferita.
“Va tutto bene,” le sussurrò, più a se stesso che a lei, come a rassicurarsi. Sentì il suo corpo debole e tremante contro il suo petto mentre avanzava verso la porta di casa.
Arrivato di fronte all’ingresso, Logan si fermò un istante, piegando leggermente il capo per concentrarsi. Attinse alla gemma che Vittoria aveva al collo, l’anoixis, a contatto con il proprio petto, e sentì la magia rispondere al suo comando. La serratura scattò e la porta si aprì dolcemente davanti a loro, come se fosse stata spinta da una mano invisibile. Entrò nella casa in fretta, ma con attenzione, e chiuse la porta dietro di sé con un calcio leggero.
Vittoria era sempre più pesante tra le sue braccia, come se stesse perdendo forza a ogni passo. Logan si affrettò attraverso il corridoio, il cuore che batteva forte nel petto. Raggiunse la camera da letto e con movimenti delicati la adagiò sul letto. Ogni muscolo del suo corpo era teso per non farle male. Vittoria gemette leggermente quando la sua schiena toccò il materasso, e Logan si morse il labbro inferiore, consapevole del dolore che doveva provare.
La osservò per un momento, incerto su cosa fare. Poi, con un sospiro, si diresse velocemente verso il bagno. Rovistò tra gli armadietti, cercando qualsiasi cosa potesse usare per curarle la ferita: bende, disinfettanti, garze. Afferrò tutto quello che trovò e tornò di corsa in camera, posando con cura i materiali sul comodino accanto al letto.
Ma la realtà della situazione lo colpì con forza. La maglietta di Vittoria era ancora appiccicata alla ferita, intrisa di sangue, e Logan si rese conto che avrebbe dovuto rimuoverla per poter vedere bene l’entità del danno. Il solo pensiero di doverle causare altro dolore lo fece esitare per un attimo, ma non c’era alternativa. Si inginocchiò accanto a lei, il volto teso e concentrato.
“Ehi,” mormorò con voce calma, cercando di non trasmetterle la sua preoccupazione. “Devo tagliare la tua maglietta, ok? Devo vedere bene la ferita.”
Lei lo guardò con occhi stanchi, ma annuì leggermente, consapevole della necessità. Logan tirò fuori un pugnale dalla sua cintura, la lama scintillante riflessa nella luce fioca della stanza. Con mani incredibilmente delicate, cominciò a incidere il tessuto dalla pancia fino al collo. Ogni movimento era misurato e attento, cercando di non toccare la pelle più del necessario.
Il rumore del tessuto che veniva tagliato riempì l’aria, un suono sottile che sembrava rimbombare nella stanza silenziosa. Logan aprì lentamente la maglietta, allargando il tessuto per esporre la pelle ferita. Il sangue aveva cominciato a coagularsi, ma la ferita sembrava ancora dolorosamente fresca. Cercò di non farle troppo male, tenendo il tessuto lontano dalla carne lacerata.
“Rimani sveglia,” le disse, la sua voce un sussurro preoccupato. “Guarda me. Non chiudere gli occhi.”
Lei obbedì, fissandolo con una determinazione velata dalla stanchezza. Ogni battito di ciglia sembrava una lotta, ma Logan sapeva che doveva tenerla vigile.
Una volta aperta la maglietta, Logan si rese conto che avrebbe dovuto pulirle la ferita immediatamente. “Devo bollire dell’acqua calda per pulirti,” le spiegò, ma prima che potesse muoversi verso la cucina, Vittoria allungò una mano debole verso di lui.
“Non lasciarmi qui… da sola,” mormorò, la sua voce fragile ma intrisa di una supplica sincera.
Logan esitò per un attimo. L’idea di lasciarla lì, anche solo per pochi minuti, gli risultava insopportabile. Poi si ricordò delle gemme che aveva con sé. Le sfiorò con la mano, tirando fuori una piccola hidor dalla tasca. Non aveva bisogno di allontanarsi. Poteva restare al suo fianco.
Concentrandosi, Logan incanalò l'energia della gemma. L'acqua iniziò a fluire dal lavandino del bagno come se fosse animata da una volontà propria, serpeggiando nell’aria fino a raggiungere una bacinella che aveva preso dalla cucina. Logan usò poi una pirè per scaldare l'acqua, e in pochi secondi la superficie iniziò a bollire leggermente. Tutto mentre rimaneva lì, accanto a lei.
“Non mi muovo, sono qui,” le sussurrò rassicurante.
Vittoria lo guardava con una gratitudine mista a sorpresa, mentre Logan immersi un panno pulito nell’acqua calda. Lo strizzò, e poi, con estrema delicatezza, cominciò a pulirle la ferita. Ogni tocco era misurato, attento a non provocarle più dolore del necessario. Il sangue veniva rimosso lentamente, rivelando la profondità della ferita sotto la luce della stanza.
Logan rimase chino su Vittoria, continuando a pulire la ferita con concentrazione assoluta. Il tempo sembrava scorrere in modo strano, quasi irreale, mentre si sforzava di tenerla vigile, parlando con lei sottovoce. Non si accorse nemmeno dell'arrivo di Alexander e Richard fino a quando non sentì il pavimento scricchiolare alle sue spalle.
“Log?” chiese Alexander con una nota di preoccupazione nella voce. “Come sta?”
Logan alzò lo sguardo verso di loro, il volto teso e contratto. “Non smette di perdere sangue,” disse, con un tono frustrato. “Sto cercando di fermare l’emorragia, ma non so se è sufficiente. Non so cos'altro fare.”
Richard si avvicinò, osservando la ferita con attenzione. I suoi occhi scuri riflettevano una preoccupazione che raramente si vedeva in lui. “Non abbiamo mai avuto bisogno di curare ferite così,” disse, la sua voce bassa ma carica di tensione. “I nostri corpi... si rigenerano. Non sappiamo come si fa.”
Un silenzio carico di paura calò sulla stanza. Era una verità amara: nessuno di loro aveva mai dovuto affrontare una situazione simile. Le loro ferite, anche le più gravi, si sarebbero guarite da sole grazie alle loro abilità sovrannaturali. Ma Vittoria non aveva la stessa fortuna. Lei era diversa, e in quel momento Logan sentì un'ondata di impotenza che lo travolse.
Vittoria era pallida, il suo respiro irregolare, e il sangue continuava a uscire dalla ferita nonostante tutti i loro sforzi. Il tempo stava per scadere.
Alexander si spostò accanto a Logan, il suo sguardo fisso sulla ferita aperta. Era una situazione critica, e per un attimo esitò. Poi, come se una scintilla d'ispirazione gli fosse scattata dentro, si raddrizzò e parlò con sicurezza. “Ok,” disse con un tono risoluto. “Non abbiamo mai dovuto cucire ferite, ma… sono – sono un arciere. Le mie mani sono più ferme delle vostre. Lo faccio io.”
Logan lo fissò per un momento, incredulo, ma poi annuì. “Sei sicuro?” chiese, la preoccupazione ancora evidente nella sua voce.
“Sì,” rispose Alexander, la sua voce decisa. “Non possiamo aspettare oltre.”
Senza bisogno di indicazioni esplicite, Richard annuì e sparì oltre il corridoio, tornando poco dopo con un ago e un rocchetto di filo, ma i suoi occhi tradivano l'incertezza. “Non è il massimo,” ammise, porgendoli ad Alexander. “Ma è tutto ciò che abbiamo.”
Alexander prese l'ago e il filo, guardandoli come se fosse una sfida da affrontare.
“Fermo.” Lo bloccò Logan, aprendo il palmo ed evocando il fuoco con la pirè. “Forse devi…” Accennò all’ago. “Io non lo so, come si fa. Ma…”
“Ma è una buona idea. Ric.” Il biondo guardò il compagno con la coda dell’occhio, mentre avvicinava l’ago al fuoco. Richard sparì di nuovo oltre la porta. Quando tornò aveva una bottiglia di whisky in mano. Senza dire una parola la versò sul rocchetto, poi sulle mani di Alexander. Logan bloccò il flusso di magia, chiudendo il pugno vuoto e lasciandolo ricadere lungo il fianco.
Il biondo inspirò rumorosamente, poi si inginocchiò accanto a Vittoria e, con mani ferme, cominciò a lavorare sulla ferita. I suoi movimenti erano calmi e precisi, quasi come se stesse maneggiando un arco piuttosto che un ago.
Logan rimase vicino a Vittoria, le teneva la mano e le parlava con tono rassicurante, cercando di distrarla dal dolore. “Ehi, Alexander,” disse all'improvviso, cercando di alleggerire la tensione. “Hai mai pensato di iscriverti a medicina? Potresti far carriera.”
Alexander, senza sollevare lo sguardo dal suo lavoro, fece un piccolo sorriso. “Sai, non ci avevo mai pensato,” disse con una calma sorprendente. “Ma dopo oggi... potrebbe non essere una cattiva idea.”
Richard emise un lieve ringhio di frustrazione. “Lui potrebbe, certo,” disse sarcastico, “io invece non riesco neanche a guardare.”
Logan fece una piccola risata, anche se l’angoscia che provava non si era dissolta. Ma il momento di leggerezza sembrava aver calmato Vittoria, che stava respirando un po’ più regolarmente ora. E mentre Alexander continuava a cucire la ferita con la stessa attenzione che metteva nell'incoccare una freccia, Logan sentì un barlume di speranza risalirgli dentro.
Alexander lavorava con una concentrazione quasi ferrea, le sue mani si muovevano lentamente e con precisione chirurgica mentre chiudeva la ferita di Vittoria. I minuti si trascinavano, lunghi e pesanti, e Logan e Richard si davano il cambio per tenere la luce puntata sulla ferita, in modo che Alexander potesse vedere chiaramente ogni singolo punto da cucire. Logan osservava il viso di Vittoria, vedendola lentamente perdere conoscenza mentre cercava di rimanere vigile. Ogni tanto apriva gli occhi a fatica, per poi richiuderli immediatamente, come sopraffatta dalla stanchezza e dal dolore.
Quando Alexander finì finalmente di cucire la ferita, si lasciò ricadere pesantemente a terra, esausto, le mani tremanti per lo sforzo e la tensione. "È fatta..." sussurrò, il respiro affannoso. Si passò una mano sulla fronte sudata, lasciando che il sollievo cominciasse lentamente a prendere il posto dell'ansia.
Logan, senza staccare lo sguardo da Vittoria, chiese a bassa voce: "E il nido?"
Richard rispose, la sua voce stanca ma soddisfatta. "Distrutto. I farkas sono stati sterminati, abbiamo bruciato tutto con la pirè. Non resta nulla."
Logan annuì, finalmente permettendo a se stesso di tirare un sospiro di sollievo. La battaglia era finita, almeno per ora. Tuttavia, il peso della preoccupazione per Vittoria non accennava a diminuire. La guardò ancora una volta, notando le sue labbra pallide e il respiro lento ma stabile.
Alexander si alzò a fatica. "Vado a farmi una doccia," disse, con un cenno d'intesa verso Logan e Richard. "Tornate a chiamarmi se c’è bisogno." E così, uscì dalla stanza, camminando lentamente verso il bagno, trascinandosi quasi per la stanchezza.
Logan e Richard rimasero lì, osservando la scena per un attimo. "Dobbiamo cambiarle le lenzuola," disse Logan infine, la sua voce pratica ma stanca. "Non può restare così, immersa nel sangue."
Richard annuì.
Logan si accovacciò delicatamente accanto a Vittoria, il suo sguardo fisso sul suo volto pallido e segnato dalla fatica. Con una cura infinita, le prese la mano tra le sue, stringendola con delicatezza, come se avesse paura che un movimento troppo brusco potesse causarle ancora più dolore. La sentiva fragile, vulnerabile, e ogni fibra del suo essere si concentrava sull'obiettivo di non farle provare nemmeno un briciolo di sofferenza in più.
“Ti tengo io,” mormorò sottovoce, cercando di rassicurarla anche se lei ormai era quasi completamente priva di sensi. Le sue parole erano più per se stesso che per lei, un modo per ancorarsi alla calma in un momento in cui tutto dentro di lui gridava preoccupazione.
Con un movimento lento e attento, Logan infilò un braccio sotto la sua schiena e l'altro sotto le sue gambe, sollevandola delicatamente dal letto. Sentì il corpo di Vittoria abbandonarsi completamente al suo sostegno, la sua testa reclinarsi contro il suo petto. Il suo cuore martellava, non per la fatica ma per la responsabilità. Ogni muscolo del suo corpo era teso, impegnato a mantenerla il più stabile possibile, cercando di evitare qualsiasi scossone.
“Ce la faccio da solo,” disse a Richard, che si preparava ad aiutarlo. Il suo amico corpulento annuì, grattandosi la barba prima di girarsi verso il letto per iniziare a cambiare le lenzuola.
Logan la tenne tra le braccia come fosse di vetro, il suo respiro misurato. La sua pelle era fredda contro la sua, e il battito del suo cuore, seppur lento, lo rassicurava. “Stai bene,” continuò a mormorare, anche se lei non poteva sentirlo, ma in quel momento sentiva il bisogno di parlare, di creare un legame tra loro anche nel silenzio. Non c’era altro che potesse fare se non starle accanto e vegliare su di lei, anche quando la battaglia sembrava ormai conclusa.
Richard, massiccio e forte, si muoveva con un’agilità sorprendente mentre cambiava le lenzuola insanguinate. Nonostante la sua imponenza, i suoi movimenti erano precisi e veloci, il suo volto segnato dalla stanchezza, ma con un’ombra di determinazione che non si era ancora dissolta. Le nuove lenzuola erano pulite, immacolate, una piccola isola di pace in mezzo al caos della battaglia appena conclusa. Nonostante il compito fosse umile, Richard lo eseguiva come se fosse cruciale per la loro sopravvivenza, perché sapeva che quel gesto era parte della guarigione di Vittoria.
Logan rimase immobile tutto il tempo, le braccia rilassate, continuando a tenere Vittoria stretta a sé, avvolta in un fragile abbraccio protettivo. Ogni tanto le sfiorava il viso con il mento o aggiustava una ciocca dei suoi capelli, come se quel piccolo contatto potesse aiutarla a rimanere aggrappata alla vita.
Finalmente, Richard si voltò verso di lui e annuì, indicando il letto appena sistemato. “Fatto,” disse con una voce bassa, stanca.
Logan si avvicinò con cautela al letto, inclinando leggermente il corpo per adagiare Vittoria con la massima delicatezza possibile. Appoggiò prima le sue gambe, poi il busto, fino a far scendere lentamente la sua testa sul cuscino. Anche in quel momento, si muoveva come se temesse che ogni piccolo errore potesse causare un danno irreparabile.
Si chinò su di lei, sistemando le coperte sopra il suo corpo fragile, e si fermò per un momento, guardandola respirare lentamente. Il suo respiro era regolare, anche se ancora debole, ma sapeva che ora il peggio era passato. Logan le spostò una ciocca di capelli dalla fronte, sfiorandole delicatamente la pelle con la punta delle dita, un gesto che racchiudeva tutta la sua preoccupazione e il suo affetto.
“Riposa,” le mormorò, la sua voce carica di una dolcezza che raramente permetteva a se stesso di mostrare. Rimase in quella posizione per qualche secondo in più, come se volesse assicurarsi che fosse davvero al sicuro.
Quando si alzò, il peso della stanchezza iniziava finalmente a farsi sentire anche su di lui. Richard si mise accanto, fissando la scena con un leggero cenno del capo.
“Se osi fare una battuta del cazzo sul fatto che l’ho tenuta in braccio ti uccido.” Lo bloccò Logan, sorridendo quando sentì la risata dell’amico riempirgli le orecchie.
Alexander tornò dal bagno, i capelli umidi e il volto finalmente più rilassato. "Grazie," disse semplicemente, mentre Richard si avviava verso la doccia, esausto.
Alexander si accovacciò accanto al letto, cominciando a sistemare le garze e i materiali medici sparsi sul pavimento. Si vedeva che, nonostante la stanchezza, voleva tenersi occupato, forse per distrarsi dalla tensione appena passata.
Logan, quasi senza rendersene conto, cominciò a togliere con delicatezza i vestiti sporchi di sangue di Vittoria. Con una mano ferma ma gentile, sfoderò il pugnale e cominciò a tagliare la stoffa della maglietta anche sulle braccia, intorno alle spalle, cercando di muoverla il meno possibile per non peggiorare il suo stato. Ogni taglio della lama era preciso, la stoffa si separava senza opporre resistenza, scoprendo la pelle pallida e segnata da sangue e sudore. Logan lavorava in silenzio, con la mente completamente concentrata su di lei, quasi dimenticando la presenza di Alexander nella stanza. Sfilò gli stracci con estrema delicatezza ed inspirò, scuotendo la testa, quando i suoi occhi si fermarono sul reggiseno macchiato.
Alzò lo sguardo verso Alexander, inginocchiato a terra davanti al letto, che lo guardava. “Lo faccio io?” Chiese, con voce gentile.
“Sono un soldato. L’ho fatto altre volte. Non ce n’è bisogno.” Disse lui, stringendo l’impugnatura della lama e facendola passare sulla spallina, tagliandola di netto. Fece la stessa cosa anche con l’altra, fermandosi con la lama a pochi centimetri dal petto di Vittoria, fermo tra il suo seno.
“Sei sicuro? A me non piacciono le donne e lei è come una sorella. Non mi scandalizzo.” La voce di Alexander arrivò lontana, quasi fosse un sussurro.
“E?” Logan sbuffò e tagliò la strisciolina di stoffa tra le due coppe. Appoggiò il pugnale sul secondo comodino, dal suo lato del letto, e le sfilò anche quell’indumento senza muoverla ulteriormente. “Come faccio a metterle una maglietta senza spostarla?” Chiese, senza abbassare lo sguardo sul suo petto e continuando a guardare il suo viso.
“Forse è meglio che la ferita rimanga all’aria. Io le coprirei solo il seno, sai, per evitare di farti sbavare come stai facendo ora. Meglio toglierle anche stivali e pantaloni.”
“Vaffanculo, Alex.”
“Ci penso io. Tu vai a lavarti.”
Logan sbuffò, ma annuì. Era esausto, il corpo teso e i nervi a fior di pelle dopo la lunga notte. Si alzò dal letto, gettando un'ultima occhiata a Vittoria, poi si diresse verso il bagno senza un'altra parola. Alexander gli rivolse un sorriso, ma sotto si leggeva la stessa stanchezza.
Logan uscì dal bagno con la pelle ancora umida e la mente leggermente più chiara. Sentiva ogni muscolo indolenzito, ma ora che si era tolto di dosso il sangue e la polvere, si sentiva almeno un po' più umano. Quando tornò in camera, trovò Alexander accovacciato accanto al letto, sistemando con cura le garze attorno alla ferita di Vittoria.
Alexander alzò lo sguardo quando Logan entrò nella stanza. "Ric è andato in farmacia," disse con calma. "Sta cercando qualcosa di utile."
Logan annuì senza dire nulla. L'aria era ancora carica di tensione, nonostante il momento di tregua, ma c’era anche un senso di sollievo nell’aver fatto tutto il possibile finora. Si avvicinò lentamente al letto, osservando il viso pallido di Vittoria. Era ancora incosciente, il respiro debole ma regolare. Logan non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di responsabilità che lo attanagliava.
"Come sta?" chiese a bassa voce, i suoi occhi fissi su di lei.
"Stabile, per ora. Credo. La ferita non sembra peggiorata," rispose Alexander, continuando a sistemare le ultime garze. "Non appena Richard torna, possiamo pulire meglio tutto."
Logan si passò una mano tra i capelli ancora umidi, sospirando. Non aveva mai provato tanta impotenza in vita sua. Si sedette accanto al letto, guardando i movimenti meticolosi di Alexander.
"Dovremmo davvero imparare qualcosa sulle ferite." mormorò Logan, più a se stesso che ad Alexander.
Alexander lo guardò per un attimo, poi tornò a concentrarsi sulla ferita di Vittoria. "Credo che mi iscriverò sul serio a medicina. Il sangue non mi dà nessun fastidio e ho visto ferite di ogni tipo – ma non so come comportarmi per curarle. Spero che chiudendola non abbia peggiorato la situazione."
Il silenzio si distese tra loro, denso di preoccupazione e fatica. Logan si chinò leggermente, osservando Vittoria più da vicino. Le sue labbra erano screpolate, e la sua pelle sembrava quasi traslucida sotto la luce fioca della stanza.
"C’è qualcosa che posso fare ora?" chiese, la voce quasi un sussurro. La domanda era più un riflesso della sua frustrazione che una vera richiesta di aiuto.
Alexander si alzò lentamente, scrollandosi le spalle come per togliersi un peso immaginario. "Non ne ho idea." L'onestà nella sua risposta era disarmante.
Logan si lasciò cadere sulla sedia accanto al letto, stendendo un braccio sul bordo e sfiorando appena la mano di Vittoria, come se quel contatto potesse in qualche modo aiutarla. "E il nido?" chiese, cercando di cambiare discorso, sperando che parlare d’altro potesse alleviare la tensione.
"Non è stato facile," ammise Alexander, appoggiandosi contro il muro, "ma eravamo abbastanza incazzati. Abbiamo distrutto tutto. Bruciato fino all'ultimo farkas."
“Perché lei è qui da sola?” Chiese, riportando lo sguardo sulla ragazza. “Posso capire lo studio, ma abbiamo la stessa età e noi abbiamo sempre avuto i pryderi a istruirci.” La voce più dura.
Alexander lo osservò con uno sguardo pensieroso, poi fece una smorfia, come se fosse infastidito da qualcosa. “Forse non te ne sei accorto, quando eravamo piccoli. Ma Helena è morta.”
“Non è un buon motivo per andarsene. È una di noi.” Commentò Logan.
“Lei non lo pensa allo stesso modo.” Il biondo inspirò ed espirò lentamente. “Anche se non fosse stata una nyx, ci avrebbe messo un po’ a guarire.”
“Per questo dico che mandarla qui da sola a controllare l’attività degli eidolon è stata una mossa stupida. Soprattutto se chi ce l’ha mandata è suo padre.”
“Lei non vuole stare all’Oikos e lui non sa come comportarsi. Quindi l’ha mandata qui, sperando che il tempo lontano l’avrebbe aiutata.”
Logan scosse la testa e si sistemò meglio sulla sedia.
Passò un'ora, e nella stanza il silenzio era rotto solo dal respiro regolare di Vittoria e dai loro stessi pensieri. Logan e Alexander si trovavano ancora lì, entrambi troppo stanchi per parlare, e alla fine anche il bisogno di riempire il vuoto si era affievolito.
Alexander, stremato, si era seduto per terra accanto al letto, appoggiato al muro. Il suo sguardo ogni tanto vagava sulla ferita di Vittoria, ma non sembrava che la situazione fosse peggiorata. Logan si era appoggiato sulla sedia accanto al letto, il gomito sul bracciolo, la mano che sfiorava distrattamente il lenzuolo. Si sentiva gli occhi pesanti, come se ogni minuto di silenzio li trascinasse sempre di più verso il sonno. Ma non poteva permettersi di cedere del tutto. Ogni tanto sonnecchiava, per poi scattare sveglio alla minima variazione nei movimenti di Vittoria, con il cuore in gola.
Dopo quella che sembrò un'eternità, il suono della porta che si apriva fece alzare entrambi di scatto la testa. Era Richard, tornato dalla farmacia con una busta di garze, disinfettanti e altro materiale medico. Il suo volto era stanco, segnato dalle ultime ore, ma c'era un barlume di sollievo nei suoi occhi.
"Sono tornato," disse piano, facendo attenzione a non alzare troppo la voce.
Logan si passò una mano sul viso, cercando di scrollarsi di dosso il torpore. "Hai trovato tutto?"
"Sì," rispose Richard, mettendo la busta sul comodino. "Garze, bende, disinfettanti. È tutto qui." Fece un cenno con la testa verso il letto, preoccupato. "Come sta?"
"Così," rispose Logan con un cenno del capo. "Non è peggiorata, ma neanche migliorata di molto. Dovrebbe riprendersi, se riusciamo a tenerla pulita e medicata."
Un altro silenzio cadde tra di loro. Richard si guardò intorno, notando Alexander che stava quasi per crollare. Sembrava sul punto di cedere al sonno.
Logan si alzò lentamente dalla sedia, stiracchiando le spalle tese. "Ragazzi, perché non andate a riposare? Ci penso io a controllarla."
Alexander lo guardò, indeciso per un momento, ma poi annuì lentamente. "Sei sicuro?"
"Sì," disse Logan con decisione, gettando un'occhiata a Vittoria. "Starò qui accanto a lei. Se ci fosse qualche problema, vi sveglio."
Richard sbadigliò e mise una mano sulla spalla di Logan, dandogli una leggera stretta di incoraggiamento. "Grazie, amico. Ne abbiamo davvero bisogno."
Alexander, con lo stesso gesto stanco, si alzò dal pavimento e si stirò, facendo scricchiolare le ossa. "Se succede qualcosa, chiamami subito."
Logan annuì, guardandoli mentre si allontanavano dalla stanza. Alexander e Richard si diressero verso le camere da letto, troppo esausti per resistere all’invito del riposo.
Quando il rumore dei loro passi si affievolì nel corridoio, Logan si ritrovò solo con Vittoria. Fece un respiro profondo, si sedette di nuovo sulla sedia accanto al letto, e si chinò verso di lei. Le strinse delicatamente la mano, come se quel contatto potesse in qualche modo darle forza.
"Ce la farai," sussurrò, più per rassicurarsi che per altro. E così, con gli occhi fissi su di lei, si preparò a vegliare per il resto della notte.


# Angolo autrice
Ora potete uccidermi. A mercoledì :) 
   
 
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