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Autore: Cladzky    25/11/2024    0 recensioni
Un misogino inconsapevole è trasportato nel sonno in una terra favolistica dove la sua condotta verso il sesso femminile è esaminata da una società interamente composta da donne, sia storiche che letterarie. I risultati non saranno positivi e la rieducazione che riceverà non sarà piacevole ma darà i suoi frutti una volta sveglio.
Poema scritto in rima variabile.
Genere: Comico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Cross-over | Avvertimenti: Bondage, Gender Bender, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Poesiamachia ipnagogica'
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“Or è d'uso, in codesta regione,

Una pratica antica quanto noi guerrieri,

Secondo cui, chi fu fatto pregione

 

Per maschilista credenza e vil pensieri

Serìa preso e trattato a damigella,

Conteso fra l'una e l'altra cavalieri

 

E la più ardita fra tutte indi sugella

Lo suo acquisto e per un lungo tiro

Farà di lui ciò che vuole ella.”

 

Così spiegosse, mentre andammo a giro,

La franca fantina, di Astianatte seme,

a caval del suo destrier di man porfiro.

 

“Miserando” Io piangetti ove'l destin mi reme.

“Miseranda” Corresse lei “E non averti pena

Ch’inasprito supplizio converrebba tu geme

 

Non fosse che la mora curosse la tua scena.

Or mira, obliando le tue lacrime avvizite,

Cosa, piuttosto, ti attendea a piena.”

 

E passammo davanti a un drappello d'oplite:

Due, disarmate e con le bende agl'occhi,

Givan fuggendo l'equina sferza e colpite,

 

Fra lor camerate che chiedon “chi vi tocchi?”.

Ed io le riconobbi esser quelle argive

Che m'usaron, in seduta, dare di ciocchi.

 

Venimmo, a d’una bella fiumana le rive

Ov'è montato de Bradamante pavaglione

E stavvisi attorno le attendenti giulive.

 

Scesa con balzo, m'adiuvò a disarcione

Prendendomi pei fianchi ed in imbarazzo

Mi coversi le visa e quelle in formazione

 

Tutt'intorno a noi in quel lieto sprazzo

Coraron “Con mai sì distinta grazia

Adoprò Aminadan il signor di Durazzo!

 

Oh, com'è vezzosa e di modestia strazia

La fanciulla che scelse la nostra matrona.”

Allora, Bradamante, con ampi gesti spazia:

 

“Non mi sia detto che ho preso lei per buona

Che anzi mi disturba il suo restarmi appresso,

Ma come cavaliere dell'imperial corona

 

Giurai d'esser cortese a lo mio stesso sesso

E s'essa ora è parte della nostra schiera

E sarà mia dama allor non la sconfesso

 

Ma che sappiate tutte, a onore della vera,

Ch’e solo per dovere se non le faccio scorno

Ma oltre questo voi non fatevi chimera

 

Che non le sarò amante, né amica per un corno!”

Le donne le vollero slacciare gli armamenti

Ma questa le fermò che l'erano d'intorno;

 

Chiamò me piuttosto e disse in mezzo i denti:

“Se tu credesti dunque che noi dobbiam servire

Marito come dissero le fonti antecedenti,

 

Vienimi a slacciare il gladio, è mio desire.”

Fremendo, approcciai quella da l'occhi grigi

E videndomi esitare si tolse e mi vire

 

Il fodero, sì pesante di tutti quei fastigi,

Mi cadde e così m'inchinai a li lor piedi.

“Attenta alla tua gonna. Ora togli gli pterigi.”

 

M'istruì chi per cui Rugger non ha rimedi.

Tosto mi raddrizzo, me e il vestitino,

E vado alla mia dama, ma certo tu mi credi

 

Ch'io sapessi dir qual'era il pezzo fino

Che in tutta l'armatura volesse fare stralcio?

Quella allor sorrise e avanzò a me chino

 

Una gamba avanti e con il gambal intralcio.

Per scioglierlo mi piego e fu in questi versi

Che m’assestosse, d'improvviso, un bel calcio

 

Da mandar con le gambe e la testa di traversi;

Or tu non chieder se quelle allor s'arrisero.

“Oh tu che hai letto di autori sì diversi”

 

Mi canzonaro le signore per il misfatto misero

“E hai un bel lessico arcaico e assai forbito,

Confondi le parole e inganni te intrisero?

 

Di usberghi, loricate, schinieri a mena dito

Hai letto eppure niente conservi ne la mente.”

Mi trassero di terra e lisciarono il vestito

 

Le sagaci cortigiane e quella più furente:

“Non conosci tu li modi di una moglie degna,

Acciò io ti consegno ad ogni mia attendente

 

Che possa ben domarti e l'arte tua insegna.

Non vorria domani, che a lo gran torneo,

Sgarbata e sgraziata ti si dia in consegna

 

Al tuo bel signore per cui vinse il rodeo?

Direbber: Bradamante, ma chi la vole chesta?

Non sai che si riflette nel portamento teo

 

Il portamento mio che fui scelta a richiesta

L'essere chi te conservi e pur t’amministra?

Or tu va e impara, in tempo per la festa,

 

Ad esser delicata come un'aspidistra.”

Allora, le ragazze, mi portarono con esse

All'ombra d'un bel salice ch’a destra e sinistra

 

Menava le sue fronde, sì fresche e sì spesse,

Per marina brezza d'un mar che non se vede.

Io vedetti che quelle dame istesse

 

Aveano abiti della seta di tal sede

Che le giugneano al loco del calcagno

E di ben tre spanne la mia veste recede.

 

“Segnor, cui caddi nella tel del vostro ragno,

Io vorria chieder, s'è concesso a galeotto,

Se potessi indossar abito men taccagno,

 

Men succinta veste, che troppo mostra sotto.”

E quelle mie guardiane disser con sardonia:

“De vesti più modeste non farne motto

 

Sinché non avremo noi risolto questa storia.

Giacché tutti i pargoli non hanno alcun vergogna

E tu pur, di senno, non vanti ben più gloria,

 

Vestirai cotale che tanto ti abbisogna

E solo alfine avrai vestir da sposalizio;

Imperocché la gente ti miri e non scalogna

 

La postura ed il tuo passo non celeranno vizio

Pel nostro premuro precettoraggio.”

E di seguito le lezioni da dama ebbero inizio:

 

Faceromi sfilare fra loro ed al passaggio

Con sferze di salice piangente mi piagaro

Dicendo “Non star rigida, non fosti faggio.

 

Alza lo mento, non tien ginocchio varo.”

E ancora mi fecero far giri e riverenze

Alzando bene il lembo che non ebbi riparo

 

Dai loro staffili ad ogni mie movenze.

Soddisfatte, portaro un purosangue equino

Che assuso mi fissarono e presegli le lenze

 

A passeggio m'insegnarono come fa il fantino

E di stare con grazia in cima mi fu indotto.

Al passo ci cavai, ma con ghigno arlecchino,

 

Quelle lo spinsero, il camargue, per un trotto

Che io gli rimbalzai a lungo in sulla sella

E quando infin smontai il paniere ebbi rotto.

 

Indi medicando con cataplasma la brighella,

Diceano esse “ Com'è cremisi, poverina!

Non pari, al garrese, la galizia Isabella

 

Che spasima Zerbino, bensì quella Gabrina.”

 
   
 
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