“Or è d'uso, in codesta regione,
Una pratica antica quanto noi guerrieri,
Secondo cui, chi fu fatto pregione
Per maschilista credenza e vil pensieri
Serìa preso e trattato a damigella,
Conteso fra l'una e l'altra cavalieri
E la più ardita fra tutte indi sugella
Lo suo acquisto e per un lungo tiro
Farà di lui ciò che vuole ella.”
Così spiegosse, mentre andammo a giro,
La franca fantina, di Astianatte seme,
a caval del suo destrier di man porfiro.
“Miserando” Io piangetti ove'l destin mi reme.
“Miseranda” Corresse lei “E non averti pena
Ch’inasprito supplizio converrebba tu geme
Non fosse che la mora curosse la tua scena.
Or mira, obliando le tue lacrime avvizite,
Cosa, piuttosto, ti attendea a piena.”
E passammo davanti a un drappello d'oplite:
Due, disarmate e con le bende agl'occhi,
Givan fuggendo l'equina sferza e colpite,
Fra lor camerate che chiedon “chi vi tocchi?”.
Ed io le riconobbi esser quelle argive
Che m'usaron, in seduta, dare di ciocchi.
Venimmo, a d’una bella fiumana le rive
Ov'è montato de Bradamante pavaglione
E stavvisi attorno le attendenti giulive.
Scesa con balzo, m'adiuvò a disarcione
Prendendomi pei fianchi ed in imbarazzo
Mi coversi le visa e quelle in formazione
Tutt'intorno a noi in quel lieto sprazzo
Coraron “Con mai sì distinta grazia
Adoprò Aminadan il signor di Durazzo!
Oh, com'è vezzosa e di modestia strazia
La fanciulla che scelse la nostra matrona.”
Allora, Bradamante, con ampi gesti spazia:
“Non mi sia detto che ho preso lei per buona
Che anzi mi disturba il suo restarmi appresso,
Ma come cavaliere dell'imperial corona
Giurai d'esser cortese a lo mio stesso sesso
E s'essa ora è parte della nostra schiera
E sarà mia dama allor non la sconfesso
Ma che sappiate tutte, a onore della vera,
Ch’e solo per dovere se non le faccio scorno
Ma oltre questo voi non fatevi chimera
Che non le sarò amante, né amica per un corno!”
Le donne le vollero slacciare gli armamenti
Ma questa le fermò che l'erano d'intorno;
Chiamò me piuttosto e disse in mezzo i denti:
“Se tu credesti dunque che noi dobbiam servire
Marito come dissero le fonti antecedenti,
Vienimi a slacciare il gladio, è mio desire.”
Fremendo, approcciai quella da l'occhi grigi
E videndomi esitare si tolse e mi vire
Il fodero, sì pesante di tutti quei fastigi,
Mi cadde e così m'inchinai a li lor piedi.
“Attenta alla tua gonna. Ora togli gli pterigi.”
M'istruì chi per cui Rugger non ha rimedi.
Tosto mi raddrizzo, me e il vestitino,
E vado alla mia dama, ma certo tu mi credi
Ch'io sapessi dir qual'era il pezzo fino
Che in tutta l'armatura volesse fare stralcio?
Quella allor sorrise e avanzò a me chino
Una gamba avanti e con il gambal intralcio.
Per scioglierlo mi piego e fu in questi versi
Che m’assestosse, d'improvviso, un bel calcio
Da mandar con le gambe e la testa di traversi;
Or tu non chieder se quelle allor s'arrisero.
“Oh tu che hai letto di autori sì diversi”
Mi canzonaro le signore per il misfatto misero
“E hai un bel lessico arcaico e assai forbito,
Confondi le parole e inganni te intrisero?
Di usberghi, loricate, schinieri a mena dito
Hai letto eppure niente conservi ne la mente.”
Mi trassero di terra e lisciarono il vestito
Le sagaci cortigiane e quella più furente:
“Non conosci tu li modi di una moglie degna,
Acciò io ti consegno ad ogni mia attendente
Che possa ben domarti e l'arte tua insegna.
Non vorria domani, che a lo gran torneo,
Sgarbata e sgraziata ti si dia in consegna
Al tuo bel signore per cui vinse il rodeo?
Direbber: Bradamante, ma chi la vole chesta?
Non sai che si riflette nel portamento teo
Il portamento mio che fui scelta a richiesta
L'essere chi te conservi e pur t’amministra?
Or tu va e impara, in tempo per la festa,
Ad esser delicata come un'aspidistra.”
Allora, le ragazze, mi portarono con esse
All'ombra d'un bel salice ch’a destra e sinistra
Menava le sue fronde, sì fresche e sì spesse,
Per marina brezza d'un mar che non se vede.
Io vedetti che quelle dame istesse
Aveano abiti della seta di tal sede
Che le giugneano al loco del calcagno
E di ben tre spanne la mia veste recede.
“Segnor, cui caddi nella tel del vostro ragno,
Io vorria chieder, s'è concesso a galeotto,
Se potessi indossar abito men taccagno,
Men succinta veste, che troppo mostra sotto.”
E quelle mie guardiane disser con sardonia:
“De vesti più modeste non farne motto
Sinché non avremo noi risolto questa storia.
Giacché tutti i pargoli non hanno alcun vergogna
E tu pur, di senno, non vanti ben più gloria,
Vestirai cotale che tanto ti abbisogna
E solo alfine avrai vestir da sposalizio;
Imperocché la gente ti miri e non scalogna
La postura ed il tuo passo non celeranno vizio
Pel nostro premuro precettoraggio.”
E di seguito le lezioni da dama ebbero inizio:
Faceromi sfilare fra loro ed al passaggio
Con sferze di salice piangente mi piagaro
Dicendo “Non star rigida, non fosti faggio.
Alza lo mento, non tien ginocchio varo.”
E ancora mi fecero far giri e riverenze
Alzando bene il lembo che non ebbi riparo
Dai loro staffili ad ogni mie movenze.
Soddisfatte, portaro un purosangue equino
Che assuso mi fissarono e presegli le lenze
A passeggio m'insegnarono come fa il fantino
E di stare con grazia in cima mi fu indotto.
Al passo ci cavai, ma con ghigno arlecchino,
Quelle lo spinsero, il camargue, per un trotto
Che io gli rimbalzai a lungo in sulla sella
E quando infin smontai il paniere ebbi rotto.
Indi medicando con cataplasma la brighella,
Diceano esse “ Com'è cremisi, poverina!
Non pari, al garrese, la galizia Isabella
Che spasima Zerbino, bensì quella Gabrina.”