Eccomi
quiiiiii……ebbene sì sono
già ritornata a stressarvi con questa fan fiction :-P
Dai
per ora mi fermo qui così vi lascio leggere in santa pace…a dopoooo!!!
BUONA
LETTURA!!!^^
CAPITOLO 1
Il luogo del delitto era già circondato dalla polizia locale e da una
decina di turisti la cui eccessiva curiosità li portava a voler fotografare
persino il punto in cui la giugulare della vittima era stata recisa in maniera netta
e a dir poco brutale. Era vero…alle volte gli esseri umani si dimostravano
essere peggio degli animali; almeno loro non fotografavano i loro morti.
Velocemente Lisbon e Jane
scesero dalla macchina, dirigendosi con passo deciso verso il luogo in cui era
stato gettato quel corpo ormai privo di vita.
Lisbon lanciò una
veloce occhiata in direzione di Jane, il quale
sembrava aver avuto il suo stesso identico pensiero, arrivando così ad
incrociare simultaneamente quegli occhi tanto verdi quanto espressivi.
“Salve…voi siete?!” chiese un poliziotto dai
capelli biondi come il grano, la cui giovane e spaventata espressione dipinta
sul volto indicava chiaramente la sua scarsa esperienza sul campo.
“Siamo gli agenti Lisbon e Jane
del CBI! E lei è?” si limitò a chiedere Lisbon,
tralasciando volutamente il fatto che il suo collega non fosse propriamente un
agente della California Bureau of Investigation.
“Sono l’agente Keys” rispose il giovane, cercando di evitare di posare nuovamente
lo sguardo sul cadavere a pochi centimetri da lui.
Rigida e irremovibile, come si mostrava ogni qual
volta si trovasse sulla scena del crimine, Lisbon
puntò il suo sguardo sul giovane di fronte a lei, cercando di ignorare la
strana sensazione che quel caso fosse più complicato del previsto. Una donna
uccisa e lasciata sul ciglio della strada non doveva essere
nulla di così….complicato. Dopotutto poteva benissimo trattarsi di
qualche conoscente geloso o di un marito frustrato.
Sicuramente tutta quella negatività era dovuta
alla mancanza di sonno, ne era certa.
Mentre a sua volta aspettava un resoconto da parte dell’agente, Jane si ritrovò nuovamente a riflettere sulla donna di
fianco a lui, il cui volto serio e corrucciato cercava
in tutti i modi di non far trasparire nulla da quegli occhi fin troppo
espressivi.
Dopotutto, se ci pensava bene, in più di una occasione
aveva intravisto la parte dolce e sensibile del suo carattere; come durante
quel caso avvenuto a Santa Marta, dove quella ragazza era stata uccisa dai suoi
stessi amici surfisti, e suo padre, il quale aveva perso persino la moglie,
stava pian piano cominciando a lasciarsi andare, quasi disinteressandosi dei
figli più piccoli. Quel giorno aveva intravisto una profonda sofferenza nello
sguardo di Lisbon; una sofferenza riemersa proprio da
quella triste storia, la quale sembrava essere lo specchio della sua vita
passata. Un padre che abbandona la propria figlia, obbligandola così a prendere
totalmente le redini della famiglia; come se, senza accorgersene, avesse
preferito l’alcool ai suoi stessi figli. Lei, così piccola e
spaventata, privata di un’infanzia che non sarebbe più tornata indietro.
Già, ma quelle cose Patrick le sapeva già, nonostante Teresa non gliele avesse mai
direttamente rivelate, e forse era proprio questo ad irritarlo; il fatto che
lei non si fosse mai sentita libera di esporsi con lui. Mai…
“Chi l’ha trovata?!” esclamò la voce decisa di Lisbon, riportando il consulente al suo fianco nel mondo reale.
Nonostante fingesse di essere totalmente concentrata a
ciò che l’agente stava per dirle, in realtà la giovane detective dai capelli
scuri aveva notato l’assenza di Jane e, chissà
perché, la cosa la preoccupava leggermente. Chissà che
diavolo aveva fatto quel poveretto davanti a lei per catturare l’attenzione di Jane. Probabilmente aveva spostato lo sguardo di
lato, chiaro segno che stava mentendo, e probabilmente Jane
si stava preparando una delle sue tipiche frasi ad effetto, ovvero
una di quelle frasi poco opportune per metterlo alle strette.
“Un barbone, Rufus Caine,
girovagava da queste parti verso le sei del mattino….e….l’ha trovata stesa a
terra…con gli occhi….”
Il poliziotto dai capelli scuri si bloccò, come se improvvisamente le
parole che avrebbe dovuto dire gli si fossero bloccate
in gola, impedendogli così di parlare. Non c’era che dire, quello non era di
certo il mestiere più adatto a lui.
“Aveva gli occhi aperti!” lo aiutò Jane,
avvicinandosi al cadavere della vittima, inginocchiandosi accanto a lei.
La donna aveva i lunghi capelli neri del tutto scompigliati, con diverse
ciocche incollate al viso pallido per via del sangue, rosso ed essiccato il
quale ricopriva visibilmente gran parte del suo corpo. Indossava una camicia
raffinata, la quale doveva essere stata di un candido bianco perla,
prima di essere totalmente ricoperta di sangue e terriccio.
Era di costituzione minuta, alta si e no un
metro e sessanta, massimo sessantatre. Gli occhi chiusi erano leggermente a
mandorla, come a voler ricordare le sue inconfondibili origini cinesi.
“Di che colore erano gli occhi?!” chiese Jane, alzandosi nuovamente da terra, riportando la sua
attenzione sui vivi presenti in quel momento.
“v…verdi…perché? che importanza ha?”
Senza rispondere a quella domanda, Jane si alzò da terra, scrollandosi distrattamente gli
eleganti pantaloni grigi impolverati dall’asfalto su cui si era appena
inginocchiato. Al contrario di Lisbon non indossava la giacca abbinata al resto del
completo, ma solo la camicia azzurra con sopra un’inconfondibile
gilet blu, il quale caratterizzava quasi sempre il suo stile.
“Allora?!” lo esortò Lisbon,
concentrando tutta la sua attenzione sul consulente, il quale in più di un
occasione aveva dimostrato di saperci fare più della scientifica nello studio
dei cadaveri.
“Sto pensando…”
“A…?!”
“….a come fai a tenere quella giacca addosso con questo caldo. Su
toglila…chi vuoi che si accorga che ti sei spanta il caffé
addosso!” esclamò improvvisamente Jane, lasciando la
donna di fronte a lui con uno sguardo a dir poco scioccato. Anche l’agente Keys sembrava essere sul punto di chiedere dove fosse
nascosta la telecamera; era inconfondibile la frase che gli si leggeva in
faccia: chi diavolo era quel pagliaccio?!
Faticando non poco nel trattenere ciò che avrebbe realmente voluto dire,
o peggio ancora fare, Teresa si avvicinò a Jane,
cercando invano di mantenere un tono di voce serio e
controllato.
“Jane….non mi sembra il momento adatto per dire
certe cose..” sussurrò la
donna all’orecchio del biondo, lanciando una veloce occhiata in direzione del
poliziotto poco distante da loro.
“…ma lo dico per te…” continuò l’uomo,
sussurrandoglielo anch’egli all’orecchio, in modo da riuscire almeno lievemente
a nascondere il sorriso che gli si era dipinto sulle labbra.
“Scusate…” cercò di intromettersi il giovane poliziotto, sempre più
confuso dalla situazione che si era ritrovato a vivere da un momento all’altro.
“Per l’assassino era importante!” rivelò Patrick
improvvisamente, come se lo scambio di opinioni appena
avvenuto tra lui e Lisbon non fosse realmente
accaduto.
“cosa?!” chiese l’agente, sbigottito
“Il colore degli occhi….Mi ha chiesto lei perché volevo saperlo!”
“in che senso era importante?!”
“Nel senso che per l’assassino il colore degli occhi della vittima era
importante…” esclamò Patrick, riavvicinandosi al
cadavere “..per questo ha fatto in modo che
rimanessero aperti e, sempre per lo stesso motivo, ha appiccicato i capelli su
tutto il viso, tranne che sugli occhi…come a volerlo nascondere, farlo passare
in secondo piano”
“Da quando sei diventato un esperto nel tracciare i profili degli
assassini?” lo schernì Lisbon, avvicinandosi a sua
volta al cadavere.
“Oh ma io non sto tracciando il profilo dell’assassino… mi sto solo basando
su ciò che vedo della vittima!” continuò, soddisfatto.
“Ah sì? Spiegati meglio per noi poveri mortali!”
“Susan era un avvocato di successo, per di più di origini
orientali…ragion per cui non avrebbe mai tenuto i capelli sciolti…le avrebbero
tolto parte della sua innata classe. Infatti se noti…”
disse Jane, inginocchiandosi nuovamente vicino al
corpo della vittima “…i capelli hanno una piega…come se fossero rimasti legati
per tanto, troppo tempo…. per giorni, senza mai essere slegati...neanche per una
spazzolata. Probabilmente l’assassino li ha sciolti prima di ucciderla…e il
codino che ha sul polso credo ne sia una prova…”
concluse, indicando il polso sinistro della vittima.
Lentamente Lisbon infilò il guanto in lattice,
in modo da non contaminare le prove. Attentamente e con
delicatezza, come se temesse di farle del male, Teresa sollevò il codino nero,
notando che sotto a questo la pelle non portava nessun segno. Jane aveva ragione, i capelli della vittima
erano stati sciolti poco prima di essere stata gettata lì in mezzo alla
strada.
Era…impressionante…
Dal canto suo l’agente Keys rimase senza parole.
In una decina di minuti quello che fino a poco prima aveva considerato il
pagliaccio della situazione aveva dato importanti, se
non impensabili, dati riguardanti l’assassino e la vittima di quel caso. Come
diavolo c’era riuscito? Chi si sarebbe mai aspettato una simile performance
degna di Sherlock Holmes?
“Bene…chiamateci non appena viene fatta
l’autopsia!” lo liquidò Lisbon, lanciando una veloce
occhiata in direzione di un Jane leggermente
soddisfatto, per poi dirigersi con il suo consueto passo spedito verso l’auto
nera.
Dopo tutti i casi risolti grazie alla sua particolare attenzione per i
dettagli, Teresa non riusciva a fare a meno di credere che gran parte delle sue
intuizioni avevano un fondo di verità. Era inutile
chiedersi come ci riuscisse e come mai a lei non fosse risaltato agli occhi
quel particolare. Dopotutto in molti lo credevano un sensitivo…perciò qualcosa di anormale doveva pur averlo.
“S…sì…certo!” le rispose l’agente qualche istante dopo, seguendo quelle
due singolari figure mentre si allontanavano con
l’auto dell’agente Lisbon.
“Dove andiamo?!” chiese Jane,
mettendo la cintura di sicurezza, anche se con la guida sicura di Lisbon era pressoché inutile.
“Torniamo alla centrale…”
“Ah non andiamo a casa tua?!”
“…e perché mai dovremmo andare a casa mia?”
chiese la donna, non riuscendo a trattenere quel dolce sorriso che Jane riusciva sempre a strapparle in un modo o nell’altro.
“Vuoi rimanere tutto il giorno con l’odore da caramella al caffé?!”
“N..no…”
“Allora andiamo a casa tua così ti cambi…”
“Devo ricordarti che dobbiamo trovare l’assassino di quella povera donna?!”
“Certo che no…ma non credo che lei si alzerà da terra per lamentarsi del
servizio offerto!” esclamò ironico Patrick,
porgendole l’ennesimo dei suoi sorrisi. Chissà se era a conoscenza di quanto
fossero affascinanti, in particolar modo quando erano
rivolti proprio a lei…il suo capo. Già...quel piccolo dettaglio doveva
ripeterselo in più di un’occasione.
Lisbon rimase in
silenzio, spostando per un attimo lo sguardo fuori dal
finestrino.
“Mmmm chissà…forse ha ragione Rigsby!” esclamò improvvisamente Jane,
interrompendo il momentaneo silenzio che si era venuto a creare.
“E cioè?...” chiese
incuriosita Teresa.
“bè…dice che forse hai
una relazione…”
“Ah sì?!” gli chiese leggermente stupita da
quella…confessione.
Ma di che diavolo
parlavano durante le pause? delle sue relazioni
sentimentali?
“Sì ma tranquilla gli ho detto che si sbaglia…”
le confessò Jane, sapendo bene che con quella risposta
il livello di irritazione della donna sarebbe sicuramente aumentato si e no del
60%.
“Ah…perché naturalmente tu sai cosa faccio nella mia vita privata giusto?!”
“Bè sì perché..”
“Shh zitto…non voglio nemmeno saperlo!” lo
liquidò Teresa, inserendo la prima e avviando l’automobile verso la strada
principale, cercando di ignorare lo sguardo solare di Jane
che, nel frattempo, sembrava ridere sotto i denti.
Nel frattempo Van Pelt,
Rigsby e Cho arrivarono
allo studio legale Long & Strass San di Francisco,
dove ad attenderli c’era il padre e il marito della vittima.
Il luogo si presentava simile a qualsiasi altro studio legale: freddo,
moderno e impeccabile in ogni sua parte. Nonostante
gran parte del personale fosse sicuramente a conoscenza della tragedia da poco
avvenuta, il clima all’interno di quello stabile non sembrava risentirne
minimamente.
“Che…freddezza…” esclamò la rossa, guardandosi
attorno, come alla ricerca di qualche impiegato o avvocato rattristato dalla
notizia.
“Chissà…forse non era particolarmente amata!” affermò Cho,
dirigendosi verso l’ufficio del signor Long con la sua classica aria composta e
risoluta.
“O forse la diceria che gli avvocati sono dipendenti del diavolo ha un
fondo di verità!” si intromise Wayne,
riuscendo quasi a far sorridere la dolce Van Pelt.
Una volta preso
l’ascensore che li avrebbe portati all’ultimo piano del maestoso grattacielo
situato al centro di San Farcisco, l’agente Rigsby
non riuscì a fare a meno di lanciare qualche veloce occhiata in direzione di Grace.
Diavolo come faceva ad essere così bella già di
prima mattina. A differenza
di Lisbon che quella mattina in particolare sembrava
aver passato la notte facendo tre volte il giro di Sacramento. Doveva
ammettere che se gli avessero chiesto di elencare le differenze tra lei e il
capo, probabilmente ci avrebbe impiegato una giornata intera; in fin dei conti in
quanto a risvegli Van Pelt vinceva alla stragrande; perfetta in ogni suo dettaglio,
come se niente potesse rovinare quel viso così dolce e sensuale.
Per non parlare del carattere; Grace era
così…così dolce. Lisbon, invece, sembrava sempre sul
punto di estrarre la pistola per mettere tutti in riga. Se il capo diceva
“andate a New York” bisognava essere svelti ad alzarsi e prenotare il volo prima che uscisse dal suo ufficio; in particolar
modo quando Jane ne combinava una delle sue, come
cercare di conquistare la vedova della vittima solo per vincere una scommessa.
Ad ogni modo, stava di fatto che Van Pelt era a dir poco splendida.
- Ahhh maledizione…- si ammonì, schioccando
involontariamente la lingua, obbligando i due agenti al suo fianco a voltarsi
verso di lui -…un giorno o l’altro mi faccio
ipnotizzare da Jane…ho paura sia l’unico modo per
riuscire a dirle tutto…- si disse,
spostando lo sguardo verso l’alto come a fingere indifferenza.
“Rigsby…tutto bene?!”
chiese tutto ad un tratto la rossa, avvicinandosi lievemente al collega, il cui
voltò sembrò arrossire vistosamente nel giro di qualche istante.
“S…sì…certo..” balbetto,
come se, invece di Val Pelt, avesse un lungo coltello
puntato alla gola.
Velocemente le porte del lussuoso ascensore si aprirono, permettendo a Wayne di trarre un profondo respiro di sollievo.
Cho, come di
consueto, non si scompose minimamente, dirigendosi per primo verso l’ufficio
del signor Long.
Non appena varcarono la soglia della stanza, gli agenti notarono lo
sguardo perso di un uomo sulla sessantina, il cui sguardo inerme sembrava
invadere ogni centimetro di quel vasto ufficio.
Hiro Long se ne stava seduto sul suo comodo ed elegante divano in
palle bianco, con lo sguardo fisso sul televisore al plasma davanti a lui. Un
televisore purtroppo spento da una decina di ore.
Lentamente i tre agenti avanzarono lungo la stanza, aspettando un qualche
cenno di presenza del grande avvocato penalista.
“Signor Long….” Esclamò cauta Van Pelt, avvicinandosi all’uomo qualche
passo in più rispetto
ai suoi colleghi.
Per chiunque avesse avuto modo di conoscere la figlia Susan, non avrebbe
potuto fare a meno di notare la grande somiglianza che
incorreva tra i due: gli stessi zigomi, la stessa bocca, gli stessi occhi tanto
espressivi quanto inflessibili.
“Signor Long sono l’agente Van
Pelt del CBI e loro sono gli agenti Cho e Rigsby!” si presentò la
giovane donna, sperando che almeno questo potesse riportare l’uomo alla realtà.
E, in effetti, per una breve frazione di secondo, il
padre della vittima, spostò lo sguardo su Van Pelt, infondendogli gran parte del dolore che in quel
momento sembrava lo stesse logorando dall’interno.
“Vi prego di scusarlo…” esclamò una voce maschile alle spalle degli
agenti, i quali subito si voltarono per capire di chi si trattasse “….non ha…non ha ancora la forza di parlarne!”
“Purtroppo però dovrà farlo!” lo informò Cho,
sapendo bene di apparire cinico e insensibile.
In fin dei conti, però, quella era un’indagine di omicidio
e se tutti i sospettati avessero cominciato a fingersi talmente straziati da
non riuscire a parlare, bè…il CBI avrebbe presto
chiuso battenti e burattini.
Van Pelt sembrò riservare a Kimball
una veloce occhiata di disappunto. Loro erano gli agenti incaricati di
interrogarli, certo, ma un minimo di umanità non avrebbe
sicuramente guastato.
“Lei deve essere…”
“Mitch Strass!” l’anticipò l’uomo sulla
quarantina “…il marito di Susan!”
Mitch, un uomo ben
curato con una mise tipica di ogni avvocato, appariva
un uomo decisamente…normale: occhi scuri, capelli leggermente brizzolati, alto
all’incirca un metro e settantacinque e dalla costituzione fisica snella ma tutt’altro che palestrata.
“Signor Strass può portarci nell’ufficio della signora Long?!” chiese Cho, indicando se
stesso e l’agente Rigsby.
“C…certo, seguitemi!” rispose il marito, il cui tono di voce appariva decisamente turbato e insicuro, come se i pianti e i
singhiozzi smessi solo qualche minuto prima dell’arrivo della polizia stessero
per fare la loro ennesima entrata in scena.
Una volta che i tre uomini furono usciti dalla stanza, Van Pelt si sedette sul divano,
accanto al padre della vittima. Il volto, segnato dalle rughe, appariva così
straziato da rendere quasi impossibile emettere un solo sospiro. Era un uomo
distrutto, la cui vita probabilmente non doveva più avere alcun senso.
“Signor Long…” cominciò a parlare Grace, sperando di non turbarlo troppo.
“Era tutto per me…” esclamò improvvisamente, mostrando un tono di voce
sicuro, vissuto, quasi saggio; come se l’esperienza di una persona potesse
trasparire dalla tonalità della voce.
“…era…..era tutto ciò che avevo!”
“Lo immagino signor Long..”
Lo sa…ho
perso mia moglie….due….anni fa, stroncata…da una malattia…” le rivelò,
spostando finalmente i suoi occhi segnati dalle lacrime sul volto rattristato
dell’agente al suo fianco.
“Mi dispiace signor Long…davvero…le faccio le
mie più sentite condoglianze…ma ora è importante che lei ci dica…”
“no…non vi dirò nulla…Ora… voglio solo che la
morte venga a prendere anche me! Non…non voglio altro”
“No, non deve affatto dire una cosa del genere…”
lo riprese Van Pelt
notevolmente coinvolta “…lei…lei deve aiutarci. Deve farlo per sua figlia!”
A quelle parole il viso del signor Long divenne decisamente
più tirato, lasciando che le lacrime, fino ad allora trattenute, rigassero
libere sul volto ormai segnato dal tempo.
“Deve…deve aiutarci a trovare il responsabile
della sua morte. Non possiamo permettere che rimanga libero e…impunito!” disse Van Petl, come se desse per
scontato che l’uomo al suo fianco facesse parte della rosa degli innocenti.
Se Cho o Lisbon
fossero stati presenti in quel momento probabilmente
l’avrebbero ripresa per quel suo comportamento così accondiscendente; ma
dopotutto non ci voleva di certo una dote come quella di Jane
per capire che quell’uomo non aveva ucciso la figlia.
Stancamente, Hiro Long fece un leggero segno di assenso con la testa, cercando in tutti i modi di
controllare il costante desiderio di gettarsi da quell’alto
grattacielo. Si sarebbe ucciso, ne era certo.
Ma quella donna
aveva ragione, prima doveva trovare l’assassino di Susan.
Ed eccoci arrivati anche alla fine di questo primo
capitolo (che in realtà sarebbe il secondo se contiamo anche il prologo XD).
Bè…prima di tutto voglio
ringraziare con tutto il cuore evelyn_cla e hikary, due persone dolcissime e gentilissime
che con le loro recensioni mi hanno dato l’ispirazione per scrivere questo
capitolo (e il prossimo che è già in produzione XD).
GRAZIE GRAZIE GRAZIE…e
ancora GRAZIE CON TUTTO IL CUORE!!!!!! Non immaginate quanto mi abbiano fatto
piacere le vostre parole. Prometto che mi impegnerò
sempre di più…cercando di rimanere il più fedele possibile alla psiche e al
comportamento dei personaggi.
hikary
grazie mille per la tua recensione mega
dettagliata, spero di aver fatto un buon lavoro anche in questo capitolo. E Evelyn…grazie per aver inserito il primo commento ed
esserti interessata a questa ff. Vi adorooooooooo!!!!!!
Ok la smetto altrimenti mi
commuovo ^^ (e voi mi uccidete!!!).
Cmq in questo capitolo ho
dovuto concentrare l’attenzione sul caso, anche perché con il proseguire della
storia diventeranno supeeeeer
importanti sia le vittime che
l’assassino….soprattutto per il CBI!!!! Eh eh…basta basta altrimenti svelo
troppo.
A presto per il prossimo capitolo. Continuate a leggere mi raccomando.
Un bacioneeeee
T.L.
NB: Come al solito nel precedente capitolo ho dimenticato di
inserire i Desclaimer ^^:
Jane, Lisbon
e tutti i personaggi di The Mentalist
naturalmente non mi appartengono. La mia fan fiction è un semplice omaggio a
questa splendida serie!!!!!^^