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Autore: Teresa Lisbon    23/09/2009    3 recensioni
Al California Bureau of Investigation un nuovo caso viene affidato alla squadra di Lisbon. Un caso difficile che non sembra presagire nulla di buono. A San Francisco una donna, Susan Long, viene trovata morta sul ciglio della strada, mostrando i chiari segni di percosse su tutto il corpo. Omicidio passionale o Premeditato? Entrambe le opzioni sembrano probabili; ma con il proseguire delle indagini le vittime aumentano facendo arrivare il CBI alla conclusione che non si tratti di un assassino alle prime armi. Chi è l’assassino? E perché sembra così interessato alla squadra del CBI? Jane, Lisbon, Rigsby, Cho e Van Pelt si ritroveranno a fare i conti con un serial killer pronto e tutto pur di ottenere ciò che vuole con conseguenze sconvolgenti nel cuore e nelle menti di ciascuno di loro. Nel bene….e nel male.
Genere: Generale, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Eccomi quiiiiii……ebbene sì sono già ritornata a stressarvi con questa fan fiction :-P

Eccomi quiiiiii……ebbene sì sono già ritornata a stressarvi con questa fan fiction :-P

Dai per ora mi fermo qui così vi lascio leggere in santa pace…a dopoooo!!!

BUONA LETTURA!!!^^

 

 

 

CAPITOLO 1

 

 

 

Il luogo del delitto era già circondato dalla polizia locale e da una decina di turisti la cui eccessiva curiosità li portava a voler fotografare persino il punto in cui la giugulare della vittima era stata recisa in maniera netta e a dir poco brutale. Era vero…alle volte gli esseri umani si dimostravano essere peggio degli animali; almeno loro non fotografavano i loro morti.

Velocemente Lisbon e Jane scesero dalla macchina, dirigendosi con passo deciso verso il luogo in cui era stato gettato quel corpo ormai privo di vita.

Lisbon lanciò una veloce occhiata in direzione di Jane, il quale sembrava aver avuto il suo stesso identico pensiero, arrivando così ad incrociare simultaneamente quegli occhi tanto verdi quanto espressivi. 

“Salve…voi siete?!” chiese un poliziotto dai capelli biondi come il grano, la cui giovane e spaventata espressione dipinta sul volto indicava chiaramente la sua scarsa esperienza sul campo.

“Siamo gli agenti Lisbon e Jane del CBI! E lei è?” si limitò a chiedere Lisbon, tralasciando volutamente il fatto che il suo collega non fosse propriamente un agente della California Bureau of Investigation.

“Sono l’agente Keys” rispose il giovane, cercando di evitare di posare nuovamente lo sguardo sul cadavere a pochi centimetri da lui.

Rigida e irremovibile, come si mostrava ogni qual volta si trovasse sulla scena del crimine, Lisbon puntò il suo sguardo sul giovane di fronte a lei, cercando di ignorare la strana sensazione che quel caso fosse più complicato del previsto. Una donna uccisa e lasciata sul ciglio della strada non doveva essere nulla di così….complicato. Dopotutto poteva benissimo trattarsi di qualche conoscente geloso o di un marito frustrato.

Sicuramente tutta quella negatività era dovuta alla mancanza di sonno, ne era certa.

Mentre a sua volta aspettava un resoconto da parte dell’agente, Jane si ritrovò nuovamente a riflettere sulla donna di fianco a lui, il cui volto serio e corrucciato cercava in tutti i modi di non far trasparire nulla da quegli occhi fin troppo espressivi.

Dopotutto, se ci pensava bene, in più di una occasione aveva intravisto la parte dolce e sensibile del suo carattere; come durante quel caso avvenuto a Santa Marta, dove quella ragazza era stata uccisa dai suoi stessi amici surfisti, e suo padre, il quale aveva perso persino la moglie, stava pian piano cominciando a lasciarsi andare, quasi disinteressandosi dei figli più piccoli. Quel giorno aveva intravisto una profonda sofferenza nello sguardo di Lisbon;  una sofferenza riemersa proprio da quella triste storia, la quale sembrava essere lo specchio della sua vita passata. Un padre che abbandona la propria figlia, obbligandola così a prendere totalmente le redini della famiglia; come se, senza accorgersene, avesse preferito l’alcool ai suoi stessi figli. Lei, così piccola e spaventata, privata di un’infanzia che non sarebbe più tornata indietro.

Già, ma quelle cose Patrick le sapeva già, nonostante Teresa non gliele avesse mai direttamente rivelate, e forse era proprio questo ad irritarlo; il fatto che lei non si fosse mai sentita libera di esporsi con lui. Mai…

“Chi l’ha trovata?!” esclamò la voce decisa di Lisbon, riportando il consulente al suo fianco nel mondo reale. Nonostante fingesse di essere totalmente concentrata a ciò che l’agente stava per dirle, in realtà la giovane detective dai capelli scuri aveva notato l’assenza di Jane e, chissà perché, la cosa la preoccupava leggermente. Chissà che diavolo aveva fatto quel poveretto davanti a lei per catturare l’attenzione di Jane. Probabilmente aveva spostato lo sguardo di lato, chiaro segno che stava mentendo, e probabilmente Jane si stava preparando una delle sue tipiche frasi ad effetto, ovvero una di quelle frasi poco opportune per metterlo alle strette.

“Un barbone, Rufus Caine, girovagava da queste parti verso le sei del mattino….e….l’ha trovata stesa a terra…con gli occhi….

Il poliziotto dai capelli scuri si bloccò, come se improvvisamente le parole che avrebbe dovuto dire gli si fossero bloccate in gola, impedendogli così di parlare. Non c’era che dire, quello non era di certo il mestiere più adatto a lui.

“Aveva gli occhi aperti!” lo aiutò Jane, avvicinandosi al cadavere della vittima, inginocchiandosi accanto a lei.

La donna aveva i lunghi capelli neri del tutto scompigliati, con diverse ciocche incollate al viso pallido per via del sangue, rosso ed essiccato il quale ricopriva visibilmente gran parte del suo corpo. Indossava una camicia raffinata, la quale doveva essere stata di un candido bianco perla, prima di essere totalmente ricoperta di sangue e terriccio.

Era di costituzione minuta, alta si e no un metro e sessanta, massimo sessantatre. Gli occhi chiusi erano leggermente a mandorla, come a voler ricordare le sue inconfondibili origini cinesi.

“Di che colore erano gli occhi?!” chiese Jane, alzandosi nuovamente da terra, riportando la sua attenzione sui vivi presenti in quel momento.

“v…verdi…perché? che importanza ha?”

Senza rispondere a quella domanda, Jane si alzò da terra, scrollandosi distrattamente gli eleganti pantaloni grigi impolverati dall’asfalto su cui si era appena inginocchiato. Al contrario di Lisbon non indossava la giacca abbinata al resto del completo, ma solo la camicia azzurra con sopra un’inconfondibile gilet blu, il quale caratterizzava quasi sempre il suo stile.

“Allora?!” lo esortò Lisbon, concentrando tutta la sua attenzione sul consulente, il quale in più di un occasione aveva dimostrato di saperci fare più della scientifica nello studio dei cadaveri.

“Sto pensando…”

“A…?!”

“….a come fai a tenere quella giacca addosso con questo caldo. Su toglila…chi vuoi che si accorga che ti sei spanta il caffé addosso!” esclamò improvvisamente Jane, lasciando la donna di fronte a lui con uno sguardo a dir poco scioccato. Anche l’agente Keys sembrava essere sul punto di chiedere dove fosse nascosta la telecamera; era inconfondibile la frase che gli si leggeva in faccia: chi diavolo era quel pagliaccio?!

Faticando non poco nel trattenere ciò che avrebbe realmente voluto dire, o peggio ancora fare, Teresa si avvicinò a Jane, cercando invano di mantenere un tono di voce serio e controllato.

Jane….non mi sembra il momento adatto per dire certe cose..sussurrò la donna all’orecchio del biondo, lanciando una veloce occhiata in direzione del poliziotto poco distante da loro.

“…ma lo dico per te…” continuò l’uomo, sussurrandoglielo anch’egli all’orecchio, in modo da riuscire almeno lievemente a nascondere il sorriso che gli si era dipinto sulle labbra.

“Scusate…” cercò di intromettersi il giovane poliziotto, sempre più confuso dalla situazione che si era ritrovato a vivere da un momento all’altro.

“Per l’assassino era importante!” rivelò Patrick improvvisamente, come se lo scambio di opinioni appena avvenuto tra lui e Lisbon non fosse realmente accaduto.

“cosa?!” chiese l’agente, sbigottito

“Il colore degli occhi….Mi ha chiesto lei perché volevo saperlo!”

“in che senso era importante?!

“Nel senso che per l’assassino il colore degli occhi della vittima era importante…” esclamò Patrick, riavvicinandosi al cadavere “..per questo ha fatto in modo che rimanessero aperti e, sempre per lo stesso motivo, ha appiccicato i capelli su tutto il viso, tranne che sugli occhi…come a volerlo nascondere, farlo passare in secondo piano”

“Da quando sei diventato un esperto nel tracciare i profili degli assassini?” lo schernì Lisbon, avvicinandosi a sua volta al cadavere.

“Oh ma io non sto tracciando il profilo dell’assassino… mi sto solo basando su ciò che vedo della vittima!” continuò, soddisfatto.

“Ah sì? Spiegati meglio per noi poveri mortali!”

“Susan era un avvocato di successo, per di più di origini orientali…ragion per cui non avrebbe mai tenuto i capelli sciolti…le avrebbero tolto parte della sua innata classe. Infatti se noti…” disse Jane, inginocchiandosi nuovamente vicino al corpo della vittima “…i capelli hanno una piega…come se fossero rimasti legati per tanto, troppo  tempo…. per giorni, senza mai essere slegati...neanche per una spazzolata. Probabilmente l’assassino li ha sciolti prima di ucciderla…e il codino che ha sul polso credo ne sia una prova…” concluse, indicando il polso sinistro della vittima.

Lentamente Lisbon infilò il guanto in lattice, in modo da non contaminare le prove. Attentamente e con delicatezza, come se temesse di farle del male, Teresa sollevò il codino nero, notando che sotto a questo la pelle non portava nessun segno. Jane aveva ragione, i capelli della vittima erano stati sciolti poco prima di essere stata gettata lì in mezzo alla strada.

Era…impressionante…

Dal canto suo l’agente Keys rimase senza parole. In una decina di minuti quello che fino a poco prima aveva considerato il pagliaccio della situazione aveva dato importanti, se non impensabili, dati riguardanti l’assassino e la vittima di quel caso. Come diavolo c’era riuscito? Chi si sarebbe mai aspettato una simile performance degna di Sherlock Holmes?

“Bene…chiamateci non appena viene fatta l’autopsia!” lo liquidò Lisbon, lanciando una veloce occhiata in direzione di un Jane leggermente soddisfatto, per poi dirigersi con il suo consueto passo spedito verso l’auto nera.

Dopo tutti i casi risolti grazie alla sua particolare attenzione per i dettagli, Teresa non riusciva a fare a meno di credere che gran parte delle sue intuizioni avevano un fondo di verità. Era inutile chiedersi come ci riuscisse e come mai a lei non fosse risaltato agli occhi quel particolare. Dopotutto in molti lo credevano un sensitivo…perciò qualcosa di anormale doveva pur averlo.

“S…sì…certo!” le rispose l’agente qualche istante dopo, seguendo quelle due singolari figure mentre si allontanavano con l’auto dell’agente Lisbon.

“Dove andiamo?!” chiese Jane, mettendo la cintura di sicurezza, anche se con la guida sicura di Lisbon era pressoché inutile.

“Torniamo alla centrale…”

“Ah non andiamo a casa tua?!

“…e perché mai dovremmo andare a casa mia?” chiese la donna, non riuscendo a trattenere quel dolce sorriso che Jane riusciva sempre a strapparle in un modo o nell’altro.

“Vuoi rimanere tutto il giorno con l’odore da caramella al caffé?!

“N..no…”

“Allora andiamo a casa tua così ti cambi…”

“Devo ricordarti che dobbiamo trovare l’assassino di quella povera donna?!

“Certo che no…ma non credo che lei si alzerà da terra per lamentarsi del servizio offerto!” esclamò ironico Patrick, porgendole l’ennesimo dei suoi sorrisi. Chissà se era a conoscenza di quanto fossero affascinanti, in particolar modo quando erano rivolti proprio a lei…il suo capo. Già...quel piccolo dettaglio doveva ripeterselo in più di un’occasione.

Lisbon rimase in silenzio, spostando per un attimo lo sguardo fuori dal finestrino.

Mmmm chissà…forse ha ragione Rigsby!” esclamò improvvisamente Jane, interrompendo il momentaneo silenzio che si era venuto a creare.

“E cioè?...” chiese incuriosita Teresa.

dice che forse hai una relazione…”

“Ah sì?!” gli chiese leggermente stupita da quella…confessione.

Ma di che diavolo parlavano durante le pause? delle sue relazioni sentimentali?

“Sì ma tranquilla gli ho detto che si sbaglia…” le confessò Jane, sapendo bene che con quella risposta il livello di irritazione della donna sarebbe sicuramente aumentato si e no del 60%.

“Ah…perché naturalmente tu sai cosa faccio nella mia vita privata giusto?!

sì perché..

Shh zitto…non voglio nemmeno saperlo!” lo liquidò Teresa, inserendo la prima e avviando l’automobile verso la strada principale, cercando di ignorare lo sguardo solare di Jane che, nel frattempo, sembrava ridere sotto i denti.

 

Nel frattempo Van Pelt, Rigsby e Cho arrivarono allo studio legale Long & Strass San di Francisco, dove ad attenderli c’era il padre e il marito della vittima.

Il luogo si presentava simile a qualsiasi altro studio legale: freddo, moderno e impeccabile in ogni sua parte. Nonostante gran parte del personale fosse sicuramente a conoscenza della tragedia da poco avvenuta, il clima all’interno di quello stabile non sembrava risentirne minimamente.

Che…freddezza…” esclamò la rossa, guardandosi attorno, come alla ricerca di qualche impiegato o avvocato rattristato dalla notizia.

“Chissà…forse non era particolarmente amata!”  affermò Cho, dirigendosi verso l’ufficio del signor Long con la sua classica aria composta e risoluta.

“O forse la diceria che gli avvocati sono dipendenti del diavolo ha un fondo di verità!” si intromise Wayne, riuscendo quasi a far sorridere la dolce Van Pelt.

Una volta preso l’ascensore che li avrebbe portati all’ultimo piano del maestoso grattacielo situato al centro di San Farcisco, l’agente Rigsby non riuscì a fare a meno di lanciare qualche veloce occhiata in direzione di Grace.

Diavolo come faceva ad essere così bella già di prima mattina. A differenza di Lisbon che quella mattina in particolare sembrava aver passato la notte facendo tre volte il giro di Sacramento. Doveva ammettere che se gli avessero chiesto di elencare le differenze tra lei e il capo, probabilmente ci avrebbe impiegato una giornata intera; in fin dei conti in quanto a risvegli Van Pelt vinceva alla stragrande; perfetta in ogni suo dettaglio, come se niente potesse rovinare quel viso così dolce e sensuale.

Per non parlare del carattere; Grace era così…così dolce. Lisbon, invece, sembrava sempre sul punto di estrarre la pistola per mettere tutti in riga. Se il capo diceva “andate a New York” bisognava essere svelti ad alzarsi e prenotare il volo prima che uscisse dal suo ufficio; in particolar modo quando Jane ne combinava una delle sue, come cercare di conquistare la vedova della vittima solo per vincere una scommessa.

Ad ogni modo, stava di fatto che Van Pelt era a dir poco splendida.

- Ahhh maledizione…- si ammonì, schioccando involontariamente la lingua, obbligando i due agenti al suo fianco a voltarsi verso di lui -…un giorno o l’altro mi faccio ipnotizzare da Jane…ho paura sia l’unico modo per riuscire a dirle tutto…-  si disse, spostando lo sguardo verso l’alto come a fingere indifferenza.

Rigsby…tutto bene?!” chiese tutto ad un tratto la rossa, avvicinandosi lievemente al collega, il cui voltò sembrò arrossire vistosamente nel giro di qualche istante.

“S…sì…certo..balbetto, come se, invece di Val Pelt, avesse un lungo coltello puntato alla gola.

Velocemente le porte del lussuoso ascensore si aprirono, permettendo a Wayne di trarre un profondo respiro di sollievo.

Cho, come di consueto, non si scompose minimamente, dirigendosi per primo verso l’ufficio del signor Long.

Non appena varcarono la soglia della stanza, gli agenti notarono lo sguardo perso di un uomo sulla sessantina, il cui sguardo inerme sembrava invadere ogni centimetro di quel vasto ufficio.

Hiro Long se ne stava seduto sul suo comodo ed elegante divano in palle bianco, con lo sguardo fisso sul televisore al plasma davanti a lui. Un televisore purtroppo spento da una decina di ore.

Lentamente i tre agenti avanzarono lungo la stanza, aspettando un qualche cenno di presenza del grande avvocato penalista.

“Signor Long….” Esclamò cauta Van Pelt, avvicinandosi all’uomo qualche passo in più  rispetto ai suoi colleghi.

Per chiunque avesse avuto modo di conoscere la figlia Susan, non avrebbe potuto fare a meno di notare la grande somiglianza che incorreva tra i due: gli stessi zigomi, la stessa bocca, gli stessi occhi tanto espressivi quanto inflessibili.

“Signor Long sono l’agente Van Pelt del CBI e loro sono gli agenti Cho e Rigsby!” si presentò la giovane donna, sperando che almeno questo potesse riportare l’uomo alla realtà. E, in effetti, per una breve frazione di secondo, il padre della vittima, spostò lo sguardo su Van Pelt, infondendogli gran parte del dolore che in quel momento sembrava lo stesse logorando dall’interno.

“Vi prego di scusarlo…” esclamò una voce maschile alle spalle degli agenti, i quali subito si voltarono per capire di chi si trattasse “….non ha…non ha ancora la forza di parlarne!”

“Purtroppo però dovrà farlo!” lo informò Cho, sapendo bene di apparire cinico e insensibile.

In fin dei conti, però, quella era un’indagine di omicidio e se tutti i sospettati avessero cominciato a fingersi talmente straziati da non riuscire a parlare, …il CBI avrebbe presto chiuso battenti e burattini.

Van Pelt sembrò riservare a Kimball una veloce occhiata di disappunto. Loro erano gli agenti incaricati di interrogarli, certo, ma un minimo di umanità non avrebbe sicuramente  guastato.

“Lei deve essere…”

Mitch Strass!” l’anticipò l’uomo sulla quarantina “…il marito di Susan!”

Mitch, un uomo ben curato con una mise tipica di ogni avvocato, appariva un uomo decisamente…normale: occhi scuri, capelli leggermente brizzolati, alto all’incirca un metro e settantacinque e dalla costituzione fisica snella ma tutt’altro che palestrata.

“Signor Strass può portarci nell’ufficio della signora Long?!” chiese Cho, indicando se stesso e l’agente Rigsby.

“C…certo, seguitemi!” rispose il marito, il cui tono di voce appariva decisamente turbato e insicuro, come se i pianti e i singhiozzi smessi solo qualche minuto prima dell’arrivo della polizia stessero per fare la loro ennesima entrata in scena.

Una volta che i tre uomini furono usciti dalla stanza, Van Pelt si sedette sul divano, accanto al padre della vittima. Il volto, segnato dalle rughe, appariva così straziato da rendere quasi impossibile emettere un solo sospiro. Era un uomo distrutto, la cui vita probabilmente non doveva più avere alcun senso.

“Signor Long…” cominciò a parlare Grace, sperando di non turbarlo troppo.

“Era tutto per me…” esclamò improvvisamente, mostrando un tono di voce sicuro, vissuto, quasi saggio; come se l’esperienza di una persona potesse trasparire dalla tonalità della voce.

“…era…..era tutto ciò che avevo!”

“Lo immagino signor Long..

 Lo sa…ho perso mia moglie….due….anni fa, stroncata…da una malattia…” le rivelò, spostando finalmente i suoi occhi segnati dalle lacrime sul volto rattristato dell’agente al suo fianco.

“Mi dispiace signor Long…davvero…le faccio le mie più sentite condoglianze…ma ora è importante che lei ci dica…”

“no…non vi dirò nulla…Ora… voglio solo che la morte venga a prendere anche me! Non…non voglio altro”

“No, non deve affatto dire una cosa del genere…” lo riprese Van Pelt notevolmente coinvolta “…lei…lei deve aiutarci. Deve farlo per sua figlia!”

A quelle parole il viso del signor Long divenne decisamente più tirato, lasciando che le lacrime, fino ad allora trattenute, rigassero libere sul volto ormai segnato dal tempo.

Deve…deve aiutarci a trovare il responsabile della sua morte. Non possiamo permettere che rimanga libero e…impunito!” disse Van Petl, come se desse per scontato che l’uomo al suo fianco facesse parte della rosa degli innocenti.

Se Cho o Lisbon fossero stati presenti in quel momento probabilmente l’avrebbero ripresa per quel suo comportamento così accondiscendente; ma dopotutto non ci voleva di certo una dote come quella di Jane per capire che quell’uomo non aveva ucciso la figlia.

Stancamente, Hiro Long fece un leggero segno di assenso con la testa, cercando in tutti i modi di controllare il costante desiderio di gettarsi da quell’alto grattacielo. Si sarebbe ucciso, ne era certo.

Ma quella donna aveva ragione, prima doveva trovare l’assassino di Susan.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci arrivati anche alla fine di questo primo capitolo (che in realtà sarebbe il secondo se contiamo anche il prologo XD).

…prima di tutto voglio ringraziare con tutto il cuore evelyn_cla e hikary, due persone dolcissime e gentilissime che con le loro recensioni mi hanno dato l’ispirazione per scrivere questo capitolo (e il prossimo che è già in produzione XD).

GRAZIE GRAZIE GRAZIE…e ancora GRAZIE CON TUTTO IL CUORE!!!!!! Non immaginate quanto mi abbiano fatto piacere le vostre parole. Prometto che mi impegnerò sempre di più…cercando di rimanere il più fedele possibile alla psiche e al comportamento dei personaggi.

hikary grazie mille per la tua recensione mega dettagliata, spero di aver fatto un buon lavoro anche in questo capitolo. E Evelyn…grazie per aver inserito il primo commento ed esserti interessata a questa ff. Vi adorooooooooo!!!!!!

Ok la smetto altrimenti mi commuovo ^^ (e voi mi uccidete!!!).

Cmq in questo capitolo ho dovuto concentrare l’attenzione sul caso, anche perché con il proseguire della storia diventeranno supeeeeer importanti sia le vittime che l’assassino….soprattutto  per il CBI!!!! Eh ehbasta basta altrimenti svelo troppo.

A presto per il prossimo capitolo. Continuate a leggere mi raccomando.

 

Un bacioneeeee

 

T.L.

 

 

 

NB: Come al solito nel precedente capitolo ho dimenticato di inserire i Desclaimer ^^:

Jane, Lisbon e tutti i personaggi di The Mentalist naturalmente non mi appartengono. La mia fan fiction è un semplice omaggio a questa splendida serie!!!!!^^

 

 

 

 

  
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