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Autore: JaneD_Alexandra    28/11/2024    1 recensioni
"Alla sua anima non fu permesso salvarsi. La storia per lui si sarebbe ripetuta finchè non avesse trovato la chiave morale per uscirne. Soltanto così avrebbe potuto aspirare all'eternità."
Paride Langley è un chirurgo londinese. È giovane, talentuoso, ma non è perfetto. Sogna la vita ideale tutti i giorni, di potersi riposare dopo un turno estenuante al lavoro; ma quando sembra esserci riuscito, piomba nella sua vita Anya, una giovane studentessa di Storia dell'Arte del King's College, ritrovata ferita e priva di sensi ai piedi dell'edificio universitario. Paride è costretto a un intervento d'urgenza, nel corso del quale capisce che quello della ragazza non è stato un tentato suicidio, anzi.
Da lei è rimasto folgorato.
Non sa che l'incidente è la ripresentazione di una circostanza antica nella storia della sua anima.
Genere: Drammatico, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
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Quest'opera è frutto dell'ingegno e dell'immaginazione della sottoscritta. 
Nasce da una precedente opera che nel tempo è stata rivista e revisionata.
I fatti narrati, così come i personaggi inseriti, anche quando aderenti a cariche o situazioni verosimili, sono interamente inventati.
Non ho intenzione di offendere la sensibilità di nessuno. Opero nel rispetto della sensibilità, ma se qualcosa dovesse urtare qualcuno, sono aperta ad un confronto assolutamente sereno e pacifico.
La storia è coperta da copyright. Violarlo ha conseguenze legali.
 
*  *  *
 
La belle dame sans merci - Parte Seconda
 
 
Franck Dicksee, La Belle dame sans merci, 1901
 
... continua



Rosehill Manor, Derbyshire
1853
 
Era notte quando Margareth rientrò nella stanza con il tè per il conte. Lo trovò addormentato contro lo schienale della sedia accanto al letto della giovane, le braccia conserte, il bacino poggiato sulla punta della sedia e la testa penzoloni all’indietro che lo facevano sembrare uno scolaretto indisciplinato con poca voglia di lavorare.
Con movimenti cauti posò il vassoio sul ripiano accanto al letto. Per fortuna la stanza si era riscaldata, ma andò comunque a ravvivare le braci all’interno del camino. Erano passate ore da quando il conte le aveva ordinato di assisterlo nell’operazione. Sin dal principio un senso di inquietudine le aveva fatto dubitare di tutto quanto stessero facendo, di tutti i tentativi precisi e misurati di salvare la vita della giovane. Giaceva immobile e pallida sul letto, coperta da coltri calde di morbida lana, un panno umido poggiato sulla fronte per assorbire il calore della febbre. Il suo respiro non si sentiva nemmeno: era lieve talmente da far pensare a uno stato di morte apparente. Era bella, lo era incredibilmente. Si era accorta mentre la puliva dallo sporco della terra della sua pelle eburnea, delle sopracciglia sottili, delle mani delicate; e aveva notato poi, mentre li ripuliva dal fogliame, dei lunghi capelli vermigli dalla lucentezza del rame. Non poteva essere una ragazza del popolo perché era troppo curata, anche il tessuto dei suoi abiti era costoso. E allora, se era benestante ed era stata aggredita, era perché c’era qualcosa in ballo e le persone benestanti avevano motivi troppo subdoli e cattivi per farsi del male. C’era un’intenzione studiata, un interesse grande. Certo, poteva anche essere stata la gelosia il movente, e quello era un sentimento nutrito dai ricchi quanto dai poveri; ma la ragazza era ricca, era stata aggredita e poi abbandonata. Così aveva detto il signor Langley. Colpita a tradimento e poi trascinata nel dimenticatoio.
Sospirò, l’ombra della preoccupazione che offuscava il suo volto mentre guardava il conte assopito. Aveva fatto il possibile per aiutarlo e per rassicurarlo mentre lavorava, ma ora si sentiva sola e responsabile, come mai prima. La stanza era impregnata di uno strano silenzio e lei, di fronte a quella fanciulla, non si sentiva più al sicuro come prima.
Per un attimo sperò che non superasse la notte. Nessuno ne avrebbe saputo niente: l’avrebbero portata su una delle colline di Rosehill e lì l’avrebbero consegnata al riposo eterno. Anche fin troppo generoso per una sconosciuta partorita da fosche circostanze. Poi ebbe la meglio la morale cristiana, si pentì e chiese perdono per quei lugubri pensieri andando a rinfrescare nel catino il panno che la ragazza aveva sulla fronte.
Quel gesto riscosse il conte dal sonno con un piccolo sussulto – Mh … eh … è sveglia?
Si alzò prima ancora di riaversi del tutto e ciondolò fino al letto, sfiorandole la guancia con una mano. Era ancora calda e pallida. Lo invase la pena.
- Signor conte, vi ho portato il tè.
- Ti avevo detto che non mi andava.
- Farà bene ai vostri nervi. Ve ne verso una tazza soltanto.
Il conte chinò lo sguardo sul vassoio, dove c’erano due tazze. Gli venne da ridere. – Immagino la seconda sia per te.
Lei non reagì. Versò il tè in entrambe, aggiunse un sorso di latte, e si sedette – Ritengo opportuno ragionare su questa situazione, signor conte.
Decise di accontentarla e prese di nuovo posto, prendendo la tazza e il piattino con una mano e passandosi tra i capelli l’altra. – Ti ascolto.
- Signor conte, mi conoscete. Non ho mai inteso ordinarvi alcunché, solo…
- … speri che io accetti i tuoi consigli.
Margareth annuì.
- Dunque cosa suggerisci?
- Ritengo che sarebbe corretto informare le guardie della presenza di questa giovane a Rosehill Manor, ora che avete provveduto a curarla.
Il conte bevve un lungo sorso di tè, tenendolo un po’ in bocca prima di deglutire – Sarebbe opportuno, ma allertarle adesso non sarebbe strategico. Se la ragazza superasse la notte e domani si risvegliasse, potremmo avere il nome di un sospettato, se non il colpevole stesso, e chiamando la polizia otterremmo di incastrarlo immediatamente.
- Intendete aspettare che si svegli? – ribatté lei, sgranando gli occhi.
- Dopo ciò che le ho fatto, direi che è il minimo.
- Non potete permettere che rimanga qui!
Lui sollevò un sopracciglio – Vorresti cacciarla nelle condizioni in cui è?
- Ma non sappiamo nulla di lei! – rispose ancora con la voce tremante di preoccupazione – L’avete trovata in un bosco, è arrivata come un’ombra, senza nome, senza storia … non sappiamo perché sia stata aggredita, se ha con sé una malattia, se è pericolosa!
Il conte alzò con pazienza lo sguardo su di lei, il volto teso, ma calmo – Non è pericolosa. È solo una giovane donna in difficoltà e io non intendo voltarle le spalle. Sono un dottore, quale paziente conosco alla perfezione al punto da concedergli la mia totale fiducia? – si fermò per un momento, prendendo un sorso di tè. Poi riprese – Io ho giurato di proteggere chi è in bisogno, di non abbandonare nessuno che possa essere aiutato.
La governante sapeva che quella era una delle sue convinzioni più forti. Come medico questa era la sua missione, ma era stata l’origine di tutte le sue sfortune.
- E se fosse pericolosa? – insistette, il tono più basso, ma non meno fermo – Se portasse con sé una malattia che non possiamo combattere o se chi l’ha aggredita fosse un pericoloso assassino? Se…
- Se? Se?! – il conte alzò per la prima volta la voce, ma non c’era rabbia, solo una disperata fermezza – Come fai a pensare così? Perché non guardiamo la realtà, invece di fare supposizioni? Se questa ragazza fosse tua figlia o tua nipote, ragioneresti allo stesso modo? Là fuori potrebbero esserci un padre e una madre disperati che la stanno cercando, che stanno pregando l’Onnipotente di riaverla presto indietro in salute. Sta male e va curata. Quando si riprenderà, allora si vedrà con lei cosa fare, ma fino ad allora resterà sotto la mia tutela. Che ti piaccia o no.
La governante serrò le labbra, trincerando le proprie convinzioni dietro un nuovo sorso di tè con latte. Per un po’ tacque, osservando le fiamme del camino. Poi lo guardò e quando riprese a parlare, il conte non ebbe il coraggio di zittirla, non di fronte al turbamento che emanava dalle sue iridi azzurre – E se fosse una trappola? Se la sua comparsa fosse un inganno? Non potete ignorare le asperità che vi circondano. La vostra reputazione è danneggiata, Rosehill Manor non è più sicura come un tempo. La gente ha delle strane fantasie.
- Né il pensiero, né le parole della gente mi importano, ne abbiamo già discusso.
Margareth scosse il capo – Avete una vita davanti e la sperperate con tanta indifferenza!
- La gente è stupida, il popolo è ignorante – ringhiò lui con un tremolio di mano che fece traballare la tazza sul piattino con un tintinnio – nessuno era qui quando è accaduto. Nessuno di loro era tantomeno in riva al fiume quando ho trovato lei. Nessuno sa, tutti parlano, Margareth. Quanto di preciso dovrei preoccuparmi, di fronte parole così vane?
- Dovreste eccome! Sono proprio le voci che girano ciò su cui dovreste riflettere! Ragionate un attimo: questa ragazza porta i segni di un’aggressione, qualcuno le ha rotto la testa da dietro, voi ritrovate il corpo in riva al fiume e ve lo portare a casa, Dio solo sa per farci cosa, poi, visto che in paese non fanno altro che fantasticare sulla vostra necrofilia e la dissezione dei cadaveri! – disse tutto d’un fiato, diventando rossa come un cavolfiore sulle guance.
Il conte prese un lungo respiro, silenziosamente finì la sua tazza di tè e si alzò per posarla nel vassoio – Nessuno mi ha visto portarla a Rosehill Manor, quindi non c’è ragione di temere alcunché. In ogni caso, ti ripeto, delle voci altrui non dobbiamo occuparcene, non sono una nostra responsabilità. Tutto ciò che dobbiamo fare adesso è comportarci da buoni cristiani e aiutare questa ragazza.
- Ma signor conte …
- Nessun “ma”, Margareth. Adesso sono esausto, dichiaro questa conversazione finita e il discorso chiuso. Vai pure a dormire, io rimango qui a dissezionare cadaveri.
Con inevitabile stizza, la governante prese il vassoio del tè e uscì dalla stanza augurandogli laconicamente la buonanotte.
 
Non aveva fatto altro che assopirsi e risvegliarsi. Per ore e per tutta la notte quella sedia aveva porto i suoi braccioli come cuscini e il suo schienale come scomodo materasso. Con la testa ciondolante e la mente attiva, troppo attiva per tornare a dormire, il conte si alzò e per l’ennesima volta rinfrescò la benda sulla fronte della ragazza, controllandone la febbre. Era ancora alta. Sospirò e si abbandonò sulla sedia, gli occhi fissi sulla ragazza. Che doveva fare? Cosa esisteva al mondo per guarirla che non aveva ancora provato? Lo afferrò il dubbio di aver tralasciato qualcosa di importante e si concentrò, riflettendovi. Si conosceva, sapeva come lavorava, le attenzioni erano sempre le stesse, si andava per gradi, si valutava la gravità della condizione, si procedeva di conseguenza. Fu tentato allora di controllarle i punti sulla nuca, ma no, era stato fiscale, era andato bene anche quello.
Non c’era niente da fare. Si alzò, la mano gli andò di nuovo sulla guancia calda della ragazza, poi si guardò intorno. L’abito di lei era ancora poggiato sulla sedia accanto al camino, si era asciugato. Era un bellissimo velluto verde scuro, molto elegante e di fattura egregia. Poi c’era la redingote di panno grigio, che era pesante a sufficienza per una lunga passeggiata. Gli stivaletti, puliti e curati e poi la biancheria. Quando prese il corsetto tra le mani, istintivamente gettò uno sguardo alla porta: quell’impicciona di Margareth gli avrebbe sicuramente detto di posare tutto, che erano affari da donne. Sì, come no. Nell’intimità era sempre stato lui a toglierlo a sua moglie. Quel corsetto profumava di dolce. Profumava di un uso garbato, di pulito, di buon carattere. Cercò un nome all’interno dell’abito, un’etichetta. Nulla. Si rigirò il corsetto tra le mani, lo posò e tastò le tasche del cappotto. In effetti trovò qualcosa. Trasse dalla tasca destra un orologio da taschino. Fattura elegante, catenina intatta e lucidata. Involucro d’oro rosa, tutto cesellato con un motivo floreale e, al centro, due lettere scolpite appena, con una delicatezza estrema: “AB”. Aggrottò la fronte, dolcemente lo schiuse e ne ammirò la fattura squisita, elegante, lontana dal gusto inglese. All’interno del coperchio era infatti inciso: “Gioacchino Paterna, Napoli, 1852”. La sfortunata era dunque una viaggiatrice? O forse qualcuno le aveva portato l’orologio in dono? E se era straniera? E se si era perduta? Fece per rimettere l’orologio al suo posto, quando tornò indietro: se la ragazza era una forestiera che aveva smarrito la strada, la trama cambiava. Poteva essere stata aggredita e derubata. Ferita alla nuca mentre passeggiava e derubata? No, non si accordava. L’orologio era ancora nella sua tasca. E alla sua aggressione non c’erano spiegazioni. Era stata colpita da dietro con un colpo secco, sicuro e forte che le aveva spaccato il cranio. Però perché era da sola? Tutti in paese evitavano di passeggiare nelle proprietà di Rosehill per via di quelle superstizioni … Se fosse stata in compagnia, sarebbe stata difesa. Difesa e anche soccorsa, naturalmente. No, invece era da sola. Decise di tenere quell’orologio e lo infilò nella tasca del suo gilet. Determinato ad allontanarsi, sistemò il cappotto e il corsetto come li aveva trovati (chi la sentiva Margareth, altrimenti?) e voltò lo sguardo, quando all’improvviso un dettaglio urtò ogni coerenza. Gli stivaletti. Erano puliti. Ricostruì rapidamente i fatti, cercò di ricordare. Anche al momento del ritrovamento gli stivali erano nettati. Allora era inverosimile che l’aggressione fosse avvenuta nel bosco. Era avvenuta prima, in un altro luogo, e poi la ragazza era stata spostata. Una sensazione di gelo lo invase e guardò la ragazza sul letto. Era come diceva Margareth: bisognava subito informare le guardie.

 
...continua

 
Prima di salutarci fino al prossimo capitolo, avevo due domande per voi che mi leggete: 
- La prima è: preferireste che continuassi a pubblicare i capitoli più lunghi in due parti o che pubblicassi il capitolo per intero, per quanto lungo?
- Seconda: vi piacerebbe se postassi anche una canzone/colonna sonora/musica insieme al capitolo? Ho l'abitudine di associare un brano ad ognuno quando scrivo.

Fatemi sapere! Alla prossima! <3


 
  
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