LUGLIO 2024
Ho pensato, mentre mi guardavo allo specchio, che fosse davvero ingiusto che il mio corpo mi avesse tradita in modo così becero. Che adesso che avevo 30 anni sembrava così poco tonico, sempre affamato, sempre stanco per le settimane tese a lavoro. Perché la pelle del mio viso era diventata meno rosea? Perché la grana della pelle era così variabile, da dove spuntavano quelle macchie cutanee color cappuccino? Perchè, perchè se provavo a sorridere restavano dei segni intorno alle labbra? Erano forse già le mie prime rughe?
Non parliamo della pancia, soffice, non tanto facile da nascondere e che preme contro quei jeans a vita alta che tanto ho amato ai tempi dell’università.
Era chiaro, anche se ancora potevo considerarmi giovane, il mio corpo mi stava tradendo, regalandomi meno energia, meno voglia di fare.
Dov’era finita quella me sempre attiva, che faceva tutto a piedi, che dopo lavoro usciva sempre e studiava anche per gli esami? Quella che poteva vestirsi con poco ed essere sempre bella e tonica, che poteva anche non truccarsi ed essere sempre splendida?
Mi interrogavo su questo mentre mi fissavo con rabbia nello specchio di casa, la casa che condivido con quello che a breve sarà mio marito, quella che ho desiderato tanto mentre all’università mi chiedevo se sarei mai stata capace di pagarmela, una casa. Se avrei mai trovato qualcuno che potesse amarmi per quella che ero e che sarei diventata nel tempo.
Mi siedo sul letto e fisso la mia immagine allo specchio.
È stato davvero il mio corpo a tradirmi?
Ma se scavo a fondo nella mia coscienza, se penso in tutta onestà, posso ricordare che sono sempre stata io a tradirlo, in verità. Mai contenta, spesso pretenziosa. Ho cominciato io. Eppure a pensarci, il mio corpo non mi aveva mai davvero tradita o abbandonata, non aveva mai ceduto, nemmeno quando lo portavo allo stremo per la fame o per l’allenamento. Nemmeno quando lo privavo del sonno e fumavo un numero troppo alto di sigarette.
Avevo cominciato io, era questa la verità.
Avevo cominciato quando il mio desiderio di uniformarmi aveva preso il sopravvento sul valore che davo alla mia unicità.
Quando avevo deciso che non potevo mangiare quello che mi piaceva, e che se lo facevo dovevo compensarlo con un maggiore sforzo fisico.
Quando avevo deciso che per non sentire la fame era meglio fumare. Quando avevo pensato che bere fino a vomitare era meglio che pensare al dolore per la morte di mio padre.
Quando piacere agli altri era diventato più importante che piacere a me stessa.
E nonostante questo il mio corpo aveva retto il colpo, si prestava a duri allenamenti, resisteva alla tentazione di mangiare i miei piatti preferiti, si omologava in silenzio ai corpi degli altri, ai desideri degli altri, alle aspettative degli altri.
Per anni, per anni si è adattato.
E poi ha ceduto, quando ho iniziato ad abbuffarmi, quando ho smesso di fissarmi con le cure del corpo, le creme i sieri e le vitamine in pastiglie. Ha ceduto quando ho smesso di uscire al sole, perchè stare in casa a letto era meglio. Ha ceduto quando ho smesso di allenarmi e quando per avere più soldi ho fatto un lavoro che odiavo per un tempo che parve infinito.
Avevo tradito me stessa, era questa la verità che mi colpì, mentre mi vedevo riflessa nello specchio.
Avevo trattato male il mio corpo, sempre, perchè il corpo era tutto quello che contava e doveva essere perfetto.
Poco importava se all’interno fosse quasi tutto spento.
Ecco questo mi fece pensare molto a come potevo cambiare il rapporto conflittuale che da anni portavo avanti con me stessa.
Potevo ad esempio, farmi aiutare da un nutrizionista a dare davvero da mangiare al mio corpo.
Potevo trovare uno sport che mi aiutasse a stare bene, a scaricare lo stress.
Potevo coltivare un hobby e accettare che non per forza bisogna uscire tutti i sabati sera per essere persone ‘ok’.
Che se non mi andava, era giusto così.
Potevo provare a non pensare che il mio peso definisse qualcosa di me, potevo concentrarmi sul fatto che il corpo cambia nella vita così come cambiano le ambizioni, i progetti, gli amici.
Che tutto è sempre in divenire e quindi è meglio concentrarsi sul fatto che il nostro corpo ci sostiene da sempre e fino all’ultimo dei nostri giorni.
Che è solo il contenitore della nostra essenza, che è molto, molto più grande di quello che un corpo può mostrare.
Potevo ricordarmi che avevo il dono della vista, del gusto, del tatto. Che avevo gambe che potevano portarmi ovunque, occhi che potevano farmi scoprire le bellezze del mondo, mani che accarezzavano gatti, cani, bambini, soffici coperte di cotone e che potevano impastare con dedizione il pane croccante della domenica.
Potevo accettare che in fondo, se il mio corpo stava cedendo, era in realtà colpa mia e della mia ingratitudine.
Potevo accettare che c’era spazio di miglioramento e che si, il mio corpo, come sempre, mi avrebbe perdonata.
‘Da adesso in avanti, avremo un buon rapporto io e te’- dissi davanti allo specchio, guardandomi negli occhi.
‘Da adesso, mi amerò’.