Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Fabian_Dominc_DeJenisse    29/11/2024    0 recensioni
Ma poi, in fondo, le statue di sale hanno memoria? Si rendono conto che il tempo passa e che le cose nella vita cambiano? Se anche io, statua di sale, vedessi quello che voglio vedere adesso o tra breve, riuscirei poi ad andare avanti e a voltare pagina, oppure mi metterei a cercare altre pietose scuse per restare con inutile ostinazione abbarbicato al passato?
Una storia “vecchia” che oggi sarebbe considerata “tossica” o almeno una Red Flag, come si dice nel linguaggio moderno, con un certo abuso di anglismi e di terminologia da psichiatria. Ma tossica non lo è mai stata e quello che oggi sarebbe considerato come un atto di stalkeraggio puro, un tempo avrebbe ricevuto una maggiore considerazione a livello sentimentale. Non foss’altro che qui nessuna donna è mai stata realmente nemmeno solo infastidita.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Come una statua di sale

 

A L. M. con tutto l'amore che posso. Se anche diventassi cento volte madre di figli non miei, non mi scorderei mai di te, perché mi sei dentro che pungi e bruci come un cristallo di sale piantato proprio lì, in mezzo al cuore.

 

 

Avevo maturato l'idea in tarda mattinata, ma non pensavo fino a poco prima di uscire da casa che sarei stato capace di metterla in atto. Mi sembrava una cosa assolutamente inutile, per non dire folle, ma adesso sono qui. L'ho fatto. In questo momento sono sotto casa sua, fermo e immobile, come una statua di sale in attesa. L'ho vista. Tornava a casa a piedi dopo aver parcheggiato la macchina nel solito slargo. Se solo fossi uscito prima da casa mia, come volevo fare, avrei visto tutto. Avrei potuto guardarla bene e non solo di sfuggita. Avrei potuto vederla di faccia e non solo di profilo. In ogni caso non c'era alcun dubbio che fosse lei. Aveva lo stesso golfino verde e lo stesso paio di pantaloni di quel giorno maledetto di tre anni fa, quando ci dicemmo addio. Unica differenza rispetto ad allora: oggi portava gli occhiali. Erano occhiali nuovi, con una montatura diversa, di quelle spesse e colorate come vanno di moda adesso. Forse, un acquisto recente. Chissà, magari avrà cambiato anche le lenti. Avrà messo quelle al cobalto che sono di minor spessore e nascondono le mipie più forti.

Io arrivavo proprio nel momento in cui, continuando a camminare senza esitazione, tirava fuori le chiavi dalla borsa. Ho rallentato di colpo, senza nemmeno guardare nello specchietto. Se avessi avuto qualcuno dietro, si sarebbe sentito un bel botto e poi la situazione sarebbe stata davvero imbarazzante.

Dicevo, ho rallentato, ma non ho avuto il coraggio di fermarmi del tutto. Avevo, allo stesso tempo, desiderio e paura di esser riconosciuto. Cosa sarebbe accaduto in quel caso? Sarebbe rimasta di sasso? Mi avrebbe salutato? Mi avrebbe solo guardato senza spiccicare una parola e senza far nulla, rientrandosene a casa come ogni giorno dopo il suo turno di lavoro?

Ora me nesto qui, fermo e senza far nulla con l'assurda speranza di vederla di nuovo. Magari, chi lo sa, potrebbe affacciarsi al balcone. Se non ha visto me, potrebbe aver notato almeno la mia auto; dovrebbe esserle tanto familiare. Potrebbe venirle il desiderio di controllare per capire se magari si era sbagliata, chi lo sa. O potrebbe scendere di nuovo. Può darsi che sia passata da casa per fare una doccia, cambiarsi ed uscire di nuovo.

Non mi importa se esce da sola oppure se viene a prenderla qualcuno. Non stiamo più insieme da tre anni. Potrebbe essersi rifatta una vita, vivere un nuovo amore. A me interessa solo vederla di nuovo. Magari potrei venire domani alla stessa ora e poi domani l'altro e poi ancora, capire se c’è qualche regolarità dei suoi turni per avere maggiore certezza di vederla e insistere fino a quando non si accorge di me…

Lo ripeto, non mi importa se poi spunta fuori qualcuno. Anzi sarebbe meglio. Finalmente avrei un motivo valido per dimenticarla. Niente è servito in precedenza a tale scopo. Ho provato di tutto. Ho anche chiesto aiuto a lei stessa una volta, come una famosa canzone. Patetico, vero?

Pareva aver funzionato e, invece, non ha funzionato, proprio per nulla. Ho tentato di tutto e di più per dimenticarla. Ho persino tentato di alterare, nella mia memoria certi fatti, cambiare chiave di lettura per poter arrivare a pensare male di lei o addirittura finire per detestarla, ma alla fine una voce nella mia coscienza mi diceva sempre che avrei compiuto una operazione troppo ingiusta per puro e semplice egoismo. E, di fatto, quelle poche volte che per mera disperazione ho abbozzato un tentativo del genere non è valso a nulla. Mi sono solo fatto male da solo.

Se ora invece arrivasse qualcuno e se la portasse via, così, sotto i miei occhi, avrei la ragione definitiva per dimenticarmela e voltare pagina per sempre... Ecco, proprio così, ci vorrebbe un evento contingente contro il quale non potrei nulla. Se mi rendessi "fisicamente" conto di amare una donna diventata ormai di un altro, prima o poi, questo amore si deciderebbe a languire e morire accorgendosi di quanto è impotente e sfortunato.

Mi rendo conto che non potrei fare nulla nemmeno adesso perché, come ebbe a dire lei stessa tempo fa, si era "abituata a vivere senza di me", mentre io sembravo ancora brancolare nel buio. E lei invece ne aveva fatto di progressi. Alla fine aveva trovato lavoro, si era fatta il conto in banca, aveva iniziato a girare per la città senza nessuno appresso e senza bisogno di nessuno. È vero, sembrano cose banali per una persona adulta, ma lei non le aveva ancora. Fatte. Io invece le avevo fatte molto tempo fa e mi allarmavo che lei si dichiarasse incapace di quello che per molti è normale. Adesso le cose sono cambiare. A dispetto delle tante cose fatte entro i giusti termini, ancora oggi devo constatare come la mia vita si sia fermata a quel maledetto giorno di tre anni fa, quando stava davanti a me con gli occhi lucidi, indossando lo stesso golfino verde e gli stessi pantaloni di oggi. E io invece stavo lì che giocavo a fare il duro e la cacciavo via. Le dicevo che non me la sentivi di stare con una donna che si dichiarava cronicamente incapace a vivere. Avrei dovuto fare il padre e non il compagno o il marito, se non fosse che lei un padre lo aveva già.

Ma chi cacciavo? Dicendo quali parole? Ma come ho fatto poi? Con che cuore? In nome di che cosa? Che demone mi aveva preso quel giorno e che demone mi impedì ancora di cercarla per i successivi cinque mesi, dandole tutto il tempo di farsene una ragione?

Ma è arrivata da sola.

In tutta franchezza, negli ultimi tempi l'ho sempre immaginata accompagnarsi a qualcuno. Forse, in verità, non c'è nessuno nella sua vita ancora adesso. Possibile che una donna così bella non abbia trovato ancora un uomo migliore di me dopo di me? Notizie recenti affermavano il contrario. Davano per imminente addirittura il suo matrimonio. Da dive sono saltate fuori così improvvisamente? E chi me le aveva date? Non riuscivo a ricordarlo, nemmeno sforzandomi.

Ha davvero un uomo adesso? Lo ha cercato? Lo ha trovato? Certo, considerato che lei per prima, ci ha messo la classica "pietra sopra", sarei addirittura meravigliato se fosse ancora da sola. Ma qualcuno (chi però?) mi ha detto che un uomo ce l'ha e che sta per convolarci pure a nozze, però una parte di me si rifiuta di crederlo e spera ancora che mi abbiano detto una fandonia, così, per il puro gusto di farmi star male o di vedere come reagivo in quel momento…

Ci eravamo visti una volta sola dopo quei cinque mesi. Eravamo stati così bene che a un certo punto avevamo iniziato a chiederci come mai c’eravamo lasciati.

Tornare insieme? Forse, ma solo con un progetto di una vita familiare vera davanti.

E lì io avevo tentennato. Ci lasciamo con un bacio, un bacio che ciascuno rubò all’altro all’improvviso, prolungato. Forse era il bacio che non ci eravamo dati quella sera quando lei uscì dalla mia auto e se ne andò senza nemmeno voltarsi. L’avevo voluta io quella rottura e lei lo aveva capito. E poi me ne ero pentito amaramente. Essere stato così categorico e definitivo era stata la più grande minchiata che avevo fatto in vita mia fino a qual momento.

Ho parlato spesso di lei a Lina, una delle mie migliori amiche, che ha una interpretazione completamente diversa dalla mia in merito alla "nostra ultima conversazione". Lina sostiene che una donna che non ama più un uomo non gli propone di sposarla in tempi brevi. La proposta di matrimonio non sarebbe stata quindi un diktat, la conditio sine qua non per tornare insieme, ma una estrema dichiarazione d'amore. Forse ha ragione, ma io avevo troppa paura che l'idea di questo benedetto matrimonio contasse più di quanto non contassi io. E così rifiutai. O meglio, le dissi che non potevamo rischiare sulla nostra stessa vita, che volevo stare con lei e che in fondo il progetto era solo rinviato a tempi migliori. Solo che questi tempi migliori non arrivavano mai.

In effetti se solo avessi potuto farlo subito, lo avrei fatto. Avrei sfidato qualsiasi parere contrario e ce ne sarebbero stati. Magari i primi a fare opposizione sarebbero stati proprio i suoi, cui sarebbe apparsa strana e sospetta questa mia ricomparsa all'improvviso, dopo che di me si erano perse tutte le tracce. Se solo avessi avuto uno straccio di certezza sul lavoro. E invece no. Nemmeno adesso le cose sono cambiate. Ho battagliato come un leone contro i miei avversari per averlo quel posto, ma alla fine hanno vinto loro. Inutile dirlo, in quella mia battaglia il pensiero tornava a lei, ma non perché sperassi di ritornare con il trionfo della vincita. Specialmente dopo tutto il tempo trascorso e dopo gli ultimi eventi avrebbe avuto poco o nessun senso. Leone o pecorella che io sia stato non cambia nulla. E in fondo, come ero prima mi ritrovo adesso.

Ma ora non conta. Non avrebbe contato in ogni caso. Sono pure e semplici elucubrazioni quelle che mi invadono il cervello. L'unica cosa certa è che sto qui sotto casa sua chiuso in macchina con un sole cocente che mi batte addosso, nell'assurda speranza di un segnale o di una visione. E tra una "passeggiata" e l'altra tra lo slargo del parcheggio e le vie laterali, così, giusto per cambiare angolazione, per vedere meglio se si accende la luce nella sua stanza, resto fermo ed immobile come un ladro o peggio una spia, o più semplicemente, come una statua di sale.

Qualcuno deve aver notato la mia strana presenza. Ogni tanto si affaccia e guarda verso di me. E' lo stesso tizio che si affacciava anni fa, quando restavamo in macchina a chiacchierare per prolungare un altro po' la compagnia, prima che lei se ne andasse a casa. Facesse pure ciò che gli pare, quello lì. Che guardasse pure e se anche decidesse di chiamare la Polizia per eccesso di prudenza io non mi schiodo da qui.

Come dice, Agente, i documenti? Eccoli… e via... Stare qui è un mio diritto. Non faccio male a nessuno e a nessuno credo di dare fastidio. Come dite? Ha chiamato qualcuno? Ah si quel signore anziano che anni fa non trovava nulla di meglio da fare che spiarci dalla finestra. Cosa voglio dire? Beh guardi è una storia un po' lunga. Ma non è nulla, suvvia, sciocchezze. Volete controllare la macchina? Fate pure. Troverete qualche cianfrusaglia dimenticata, una latta d'olio motore mezza consumata, un girabacchino ed un po' di terriccio per via dell'ultima gita in campagna. Se fossi una statua di sale, farebbe tutto sto casino quel signore lì per me? No? E allora?

Potessi avere nuovamente la grazia di vederla, come prima. Mi piacerebbe vederla con un sorriso però, non con quell'aria di stanchezza che le era dipinta sul volto. Era quasi pallida. Forse arrabbiata. E vorrei vedere... ritrovarsi con un turno di lavoro che t’impedisce di stare a pranzo a casa tua proprio nel giorno del primo di Maggio…

Le vorrei dire che anche a me capita di fare degli orari assurdi, di non arrivare a tornare a casa anche se lo vorrei, di essere sfruttato e spremuto come un limone. E' purtroppo la maledizione di noi "generazione senza potere contrattuale". Certo non mi capiterà mai di lavorare il primo di Maggio o in qualsiasi altra giornata di festa istituzionale, lì dove sto adesso. Nella sfortuna mi posso considerare fortunato. E anche parecchio. Però adesso, lascia stare il lavoro, non ci pensare più, affacciati un attimo, uno solo, te ne prego!

E invece, in questo giorno sembra che nulla voglia muoversi. Persino quei pochi aliti di vento che sento spirare ogni tanto devono fare davvero degli strani giri, perché non si muove una foglia. Ci sarebbe persino un silenzio irreale se non fosse per gli uccelli sulle cime degli alberi che tirano fuori una vocetta squillante e garrula, godendosi il tepore della primavera e fregandosene altamente di quello che accade a terra e nelle nelle teste e nelle case degli esseri umani.

Suona la campanella della parrocchia nel piazzale. Chi lo sa, magari adesso scende per la messa. Ma che idiota, oggi è lunedì e non ci sono messe... Quella campanella, mi sa che tra un'ora suonerà ancora.

Stamattina, sognavo di lei. Ultimamente mi capita molto spesso. Mi sono svegliato con le mani sugli occhi come se volessi nascondere una specie di pianto. In effetti avevo gli occhi leggermente inumiditi, anche se non piangevo. Ero in preda ad un coacervo di sentimenti che andavano dalla tenerezza all'avvilimento e volevo solo nascondermi alla luce del giorno che veniva. Altre volte ho provato questo desiderio di non destarmi, di ricominciare a sognare di lei, completamente indifferente al pullulare della frenesia del mondo. E invece no. Anche se ci tentavo non mi capitava mai. Al massimo volava la mia immaginazione, ma non era la stessa cosa, perché non c'era spontaneità, non c'era casualità. Tutto andava a parare esattamente dove volevo io, ma senza vera soddisfazione, perché sapevo di essere io a far accadere quelle cose. Era tutto falso. Almeno sognando non me ne rendevo conto. Non potevo sapere che c'ero sempre io a barare in fondo...

Il senso del tatto, quel sentire le mani sul mio volto mi ha fatto necessariamente andare indietro nel tempo, quando le mani non erano le mie, ma le sue. Quando non era per nascondersi, ma erano carezze. Ho allargato le dita proprio come era solita fare lei. E allo stesso tempo ricordavo quando poi ero io a ricambiare le carezze sul viso e sentivo com’era perfetta la sua pelle. Oddio, forse non era così perfetta, ma chi se ne frega?. Era la sua e tanto bastava perché fosse perfetta. Adesso, invece, sul mio viso c'erano le "mie" mani. Potevo allargare le dita quanto volevo io, ma mi rendevo lo stesso conto dell'inganno.

Ripreso contatto con la realtà, mi vedevo solo in questo vano tentativo di nascondermi a me stesso, chiedendomi quando sarebbe finito quel tormento estatico, quell'eterno suo vagare nella mia mente. Forse non ho ancora voglia che finisca, per dire almeno un minimo di verità. Nei sogni precedenti accadeva di tutto, piccolezze o eventi straordinari. Si passeggiava o si parlava o si faceva l'amore come non s'era mai fatto prima. Una volta sognai che mi abbracciava stando dietro di me, mentre tutt'intorno succedeva non so bene che finimondo da squagliarsi le budella. La città era in fiamme, come se fossero cadute delle bombe sganciate chissà da chi. Si sentiva il crepitio delle fiamme, urla da lontano, gli allarmi delle auto che suonavano senza requie, ma io non badavo a tutto questo bailamme. Sentivo solo le sue braccia, ma, chissà perché, non ero capace di voltarmi e vederla. A volte vedevo il suo corpo, ma non il suo viso. A volte il contrario. Altre volte aveva fattezze completamente differenti, lineamenti che non erano i suoi, ma io sapevo che era lei come potevo essere certo della mia stessa identità. Adesso anche nei miei pensieri, malgrado tutto, il contatto delle pelli era sparito.

Nel mio sogno di questa notte, e non chiedetemi perché, mi ritrovavo dal suo ottico di fiducia, quello dove lei comprava, a scadenze più o meno regolari, le lenti a contatto usa e getta. Quelle che invece oggi non portava. Chiedevo sue notizie alla commessa. In verità non sapevo chi fosse questa ragazza bionda con il camice bianco dietro il bancone. Non ricordavo di averla mai vista prima. Però sapevo che lei la conosceva e, a dire il vero, pareva che lei conoscesse anche me e che sapesse tutto della nostra storia.

A un certo punto, vedendomi in uno stato di profonda prostrazione, mossa a pietà mi chiese di aspettare. Andò sul retro e una volta tornata, mi porse quelli che paervano due blocchetti di appunti, di quelli coi fogli tenuti assieme con anelletti di plastica.

"Questi sono i suoi diari" - mi diceva - "li ha affidati a me. Ogni volta che passa da qui, ci annota su qualcosa e poi me li rende dicendomi che tornerà a scriverci ancora. So di commettere una scorrettezza nel farteli vedere, ma forse ti potrebbero essere di aiuto".

La ragazza aprì una pagina a caso e mi disse: "Guarda come è diseguale la sua calligrafia. Sembra quasi che faccia diversi tentativi di scrittura, come se volesse con questo manifestare i suoi tentativi di ritrovare, oltre alla grafia, un'identità personale".

Non so come potesse trarre queste conclusioni da provetta grafologa, ma in effetti era mi pareva che fosse così per davvero. La scrittura era diversa sui vari capoversi. Avevo di fronte appena due paginette fittamente vergate, ma le differenze erano impressionanti come se fossero state scritte da più mani diverse.

"Posso tenerli per un po'?" Le chiesi.

"Va bene, ma non troppo" mi rispose "Sai, non vorrei che arrivasse all'improvviso". E aggiunse: "Oggi in teoria non dovrebbe venire, ma non si sa mai...".

Mi misi a sedere su una poltroncina poco distante e li tenni un po' in mano senza far nulla. Effettivamente non sapevo se aprirli o meno. Da un lato desideravo farlo, dall'altro avevo la tentazione di rendere tutto alla commessa e dirle che sì, in effetti aveva ragione quando aveva parlato all’inizio, non era giusto, che apprezzavo la sua delicatezza verso di me, ma non si poteva... e poi… tanti saluti.

Non mi sfiorò nemmeno per un istante l'idea di chiedermi come mai avesse lasciato da lei e in quel posto i suoi "diari". In fondo questa ragazza era una semi sconosciuta. Era assurdo, ma era un sogno e nei sogni, si sa, le cose più assurde sembrano normali, sicché non ci pensai, né in quel momento, né oltre. Alla fine vinse la curiosità, mi feci forza e li aprii.

Osservai quella grafia assai disuniforme. A tratti aveva un piglio sicuro ed era molto ordinata. In altri punti era più sciatta, come se avesse scritto di corsa e non si fosse preoccupata di mantenere una parvenza d'ordine o come se le fosse mancato un appoggio saldo. Ma anche dove era più ordinata c'erano alcune palesi differenze. A tratti si notavano delle rigidità ben evidenti, come se si sforzasse di scrivere le lettere imitando uno stile non suo. Talora le lettere si spigolose dirigendosi verso l'alto, talaltra erano fatte così, assolutamente come venivano, ma insistevano certe rotondità che non sapevo dire se premeditate o no.

Inizialmente, a dire il vero, non lessi nulla. Guardavo, osservavo e scrutavo. Più che leggere stavo lì a contemplare gli arabeschi delle sue parole, così, senza cercare alcun filo logico.

Poi iniziai a leggere sul serio. Ma non vi trovai nulla di che. Solo ordinaria amministrazione. Vita di tutti i giorni e nemmeno troppo palpitante. Piccole preoccupazioni di lavoro, a volte banali liste di cose da comprare e motivazioni sul perché comprarle. Appuntamenti dal dentista, annotazioni sulla sorella, sulle nipotine, piccole lamentele e manifestazioni di noia. Anche resoconti sintetici, se non addirittura frettolosi, di piccole meschinerie tra colleghi che rinascevano sistematicamente in ogni periodo di rinnovo dei contratti - mors tua vita mea - e momenti di alleggerimento successivi a cose ormai fatte con soddisfazione di (quasi) tutte e cambi repentini di atteggiamento con annesso miele che cola a sproposito...

Non una sola parola su di me. Nulla di nulla. Nemmeno un ricordo del passato, bello o brutto che fosse. Si trattava di cose recenti. Eppure me la sentivo vicina lo stesso. Anche se non fisicamente, era lì con me. C'erano i suoi pensieri di tutti i giorni. Finalmente la sua essenza non mi era più estranea e lontana.

Una delle cose che mi aveva fatto soffrire un sacco dopo la nostra separazione era questo pensiero fisso: Avevamo sognato e tentato in ogni occasione di fonderci, di diventare una persona sola. Avevamo un desiderio di vicinanza, di sapere cosa pensavamo, cosa facevamo e tutto d'un colpo il buio. Eravamo diventati da un giorno all'altro degli estranei, come se non ci fossimo mai conosciuti. Peggio, come se in verità al mondo non esistessimo o non fossimo mai esistiti. Ovviamente non era così, ma era lo stesso l'impressione che ci capitava di provare. Anche quando ci pensavamo intensamente. Ciascuno attribuiva all'altro un’indifferenza cocente che si manifestava ostentatamente nel non tentare di cercarsi. Non ci cercavamo più, dopo anni che eravamo stati insieme sempre, dopo che persino una sola settimana di lontananza forzata, per motivi di lavoro, pesava come un macigno, dandoci una malinconia struggente. Parlo anche per lei e non solo per me, perché ne ho certezza, perché quella volta che ci rivedemmo furono baci ed abbracci da non potersene saziare. Poi di nuovo il nulla. Eravamo forse le più strane creature di tutto l’universo. Adesso era di nuovo lì con me, silenziosa, ma avevo nuovamente la prova tangibile che esisteva, che viveva, che affrontava la vita come tutti nel bene nel male. Era li con me anche se sembrava non ricordare chi fossi. Paradossale, è vero, eppure mi appariva così. In genere non pensiamo mai queste cose di tutta la gente che non vediamo più. Però noi non eravamo solo "la gente", e in ogni caso per "la gente" non si prova questo senso di lacerazione. Ma forse perché, in effetti, una vera lacerazione, una vera separazione non c'era mai stata?

Nemmeno quando si litiga con un amico al quale ci si tiene da morire è la stesa cosa.

A dire il vero, dopo di lei, a volte, questo senso di lacerazione mi si è presentato spesso e anche a sproposito, quando davvero non era il caso, come se mi si fossero sballati tutti i punti di riferimento. Mi ero fermato un attimo a considerare queste cose, poi ripresi a sfogliare in modo casuale, quando all'improvviso, su un vago discorso che aveva per oggetto il futuro, un passo catturò inevitabilmente la mia attenzione. A lettere chiare ed ordinate c'era scritto:

Tante cose sono accadute e tante ancora ne dovranno accadere. Il flusso della vita continua in ogni caso. Ora io so di essere parte del gioco e non mi tiro più indietro come un tempo. Ciò malgrado, le mie speranze e la mia vita sono nelle mani di Massimiliano. Non mi resta altri che lui.

Massimiliano? Chi era. Ma si, lui! Non poteva essere che lui, sebbene non ne facesse più un solo cenno, né in quella pagina, né nelle successive.

Respirai profondamente. Quindi era vero! Non avevo sospettato invano, né erano infondate le notizie che mi erano giunte. Respirai di nuovo forte, poi chiusi tutto e andai al banco per restituire i blocchetti. Mi ci volle un po' per tornare ad attirare l'attenzione della commessa che in quel momento aveva a che fare con due clienti pignoli. Misi i blocchetti sul banco senza dire nulla. La commessa capì e non aggiunse altro. Poi mi fece cenno di aspettare. Tornò un istante nel retrobottega e ne rispuntò con alcune strane buste.

"Ho capito che per te è molto importante" - mi disse - "tieni queste. Mi aveva chiesto di distruggerle in verità, ma ancora non avevo trovato il tempo per farlo".

Erano queste buste due strane confezioni di cellophane che contenevano delle foglie. Sì, delle foglie sia secche che ancora versi. Queste erano sistemate in ordine, come delle tegole, parzialmente sovrapposte, senza che nessuna coprisse interamente le altre. Su queste lei aveva scritto una minuta, almeno parziale, di quelle pagine. La disposizione delle foglie, in verità, non era poi così regolare. Era l'ordine della scrittura che la faceva apparire tale.

Le presi e dopo aver ringraziato mi avviai precipitosamente verso l'uscita. Purtroppo le foglie non erano compatte come pensavo e bastarono pochi movimenti perché iniziassero, con mio grande sgomento, a mescolarsi tra di loro. Ogni mio maldestro tentativo di rimediare a quella situazione non faceva che peggiorare le cose, sicché, in breve, mi ritrovai con un miscuglio di lettere e monconi di parole che non avevano più senso e continuavano a confondersi ancora di più.

Pensare di mettersi con calma a ricomporre il tutto era roba da matti. Sapevo che non ci sarei mai riuscito. Fui assalito dallo sconforto. Era una nuova e più definitiva perdita...

Non ricordo altro. Credo d'essermi svegliato in quel momento con le mani sul volto e gli occhi inumiditi, come ho detto prima.

§§§

E' tardi adesso, sono passate tre ore e più da quando sono arrivato. Non si è mossa una foglia e nessuno si è affacciato al balcone. In una ulteriore e vana speranza ho pensato che mi arrivasse un messaggio sul cellulare. Qualcosa del tipo: "Sei tu quello che vedo lì nel piazzale, chiuso in macchina?" Ovviamente non è accaduto.

Solo, ad un certo punto è arrivato un uomo sulla quarantina in macchina. Ha parcheggiato a poca distanza da me ed uscito dall’abitacolo con una certa solerzia. Non ha guardato in nessuna direzione in particolare e s'è diretto con un piglio sicuro verso il cancelletto di casa sua. "Ecco, Costui potrebbe essere Massimiliano" ho pensato. "Ecco, ci siamo, tra poco avremo l'epilogo, lei scenderà abbracciata a lui, monteranno in macchina e se ne andranno. Io soffrirò come un cane all’inizio, ma poi, finalmente anch’io, come lei troverò la pace e forse anche la forza per andare avanti".

E invece no. Nemmeno lui si è visto più. Mi è rimasto il dubbio di sapere chi sia e dove effettivamente sia andato. Oggi non so davvero come va il mondo. È come se tutti venissero ingoiati in una voragine della memoria.

Ma poi, in fondo, le statue di sale hanno memoria? Si rendono conto che il tempo passa e che le cose nella vita cambiano? Se anche io, statua di sale, vedessi quello che voglio vedere adesso o tra breve, riuscirei poi ad andare avanti e a voltare pagina, oppure mi metterei a cercare altre pietose scuse per restare con inutile ostinazione abbarbicato al passato?

E' tardi adesso. Tra poco il sole calerà definitivamente dietro la sagoma a forma di cono del monte Cuccio che dal suo balcone si è sempre visto così bene.

Tra poco gli ultimi raggi di sole all'imbrunire imporporeranno quelle poche nubi che con casuale svogliatezza si sfilacciano sopra il monte.

Dunque non ti affaccerai più, amore mio?

Nemmeno per vedere il tramonto?

 

Palermo, 1 Maggio 2006.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Fabian_Dominc_DeJenisse