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Autore: _Alcor    30/11/2024    3 recensioni
Gli emersi – invasori dimensionali che appaiono all’improvviso e senza apparente regolarità – hanno già devastato una delle province del paese e minacciano ogni giorno di causare nuove morti.
In risposta, l’umanità ha creato le armature d’assalto CHIMERA, l’unica speranza di combattere ad armi pari contro individui che sembrano poter piegare la natura al loro volere con un movimento della mano.
Eppure ci sono forze che vogliono che il testing delle armature venga interrotto e sembrano disposte a tutto: aggressioni, minacce e attentati…
Perché?
{Terzo capitolo della serie Chimere | ispirato all'esperimento di Milgram&Kamen Rider}
Genere: Angst, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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XXVI. Yuuki Shinomiya

[Da un post su Acchiappa l’emerso]

Questo è il motivo per cui non sopporto gli apologisti degli emersi. Fidarsi di loro non è un problema di umanità, è un problema di quanto ci rimetti se sbagli. Andate a dire ai morti che sono state brave persone per essersi fidate, dai!
EDIT: se un altro mi dice
Mira è okay, vengo a casa sua solo per sputargli in faccia.





Dall’alto il parcheggio della Kaiser sembra gremito di uno sciame di formiche azzurre corazzate. Sciamano intorno alle camionette per il trasporto dell’ibrido, fucili stretti al petto e elmi sul viso.

Se pensano di poter essere aggrediti così vicino alla loro base, non hanno per niente capito quando noi agiamo.

Positivo, tenere l’attenzione alta continuamente è insostenibile. Sono destinati ad abbassare la guardia presto o tardi.

Striscio fino a sporgermi dal tetto dell’edificio che abbiamo scelto per le osservazioni. Stare premuta a terra per un appostamento non è mai stato il mio passatempo preferito, ma la nostra coordinatrice ha bisogno di qualcuno sul campo.

E poi il gusto di una trappola raffazzonata che scatta come dovrebbe è impagabile.

Alzo la fotocamera e inquadro Tae e Allen che oltrepassano il cancello di entrata. Scatto. Lei ha le braccia cariche di fogli, chissà cosa ci sarà scritto sopra. Superano la camionetta dove si trova l’ibrido sedato e tirano dritti verso l’entrata dell’edificio principale.

Mastico l’amarezza. Chissà se si sono resi conto che il ragazzino che volevano salvare è proprio lì, accanto a loro. Forse non hanno modo di agire ora e stanno cercando un’alternativa. Avvicino la mano alla radiolina attaccata al colletto della felpa. Potrei chiamarli.

Prendo un respiro.

Il piano ha bisogno di decisioni razionali. Koller ci è già addosso, non abbiamo bisogno dell’ennesima persona che fa colpi di testa più che collaborare. Clicco il pulsante laterale della radio.

«Takane, hai visto la foto?»

«Spriggan. Usa i nomi in codice.»

Mi trattengo dal roteare gli occhi, lo ha usato per tutta la vita. Non posso aspettarmi che smetta da un momento all’altro. «Hanno la ricetrasmittente addosso?»

«Li terrò d’occhio.»

Mi scappa un sospiro tremante, non ho nemmeno bisogno di dirle le mie intenzioni per fortuna. Vorrei ridere ma la situazione mi fa sentire solo frustrata, dovrei essere contenta che non stanno interferendo con il nostro piano.

Il ruglio frustrato di Kaito fa tremare il ricevitore. «Ma si danno una mossa?»

Scuoto la testa, clicco il pulsante per attivare la linea. «Calma piatta, mi dispiace, oh rissoso.» Lo sciame di formiche si divide in due, un gruppetto ci passa attraverso trascinandosi dietro cassette degli attrezzi. Hanno chiamato gli artificieri. Schiocco la lingua.

Inquadro e scatto. «Mi sa che hanno trovato la bomba.»

«Quale delle sette?» mormora Kaito.

«Quella dietro la ruota di sinistra della terza camionetta.»

«Mi aspettavo avrebbero fatto un check up prima.»

«Sarà un ulteriore controllo di sicurezza prima di partire, che è positivo perché significa che non sanno ancora della falla di sicurezza all’officina.»

Un colpo di tosse spezza la voce di Kaito prima che riprenda a parlare. «Prestate attenzione, ragazzi.» Mamma è leggera come un sussurro.

Serro le labbra prima di dire altro. Chiusa com’è la città tra i versanti delle colline, la via che la Kaiser sarà costretta a prendere per uscire è obbligatoria. Il blitz è stato preparato, gli incaricati si sono disposti con le armi. L’unica cosa che ci resta è aspettare, forse persino lei sta iniziando a sentire l’impazienza nelle vene.

Inquadro gli artificieri-formiche che sfilano le bombolette per lo spray colorato una per una, raccolgono dentro una cassetta i pezzi dell’ordigno. Scatto. Un paio dei tecnici girano intorno al cofano della camionetta. Dentro il serbatoio dell’olio abbiamo nascosto una manciata di gemme magiche esplosive, se i loro macchinari captano un insolito disturbo energetico siamo fregati.

Questo colpo ci serve solo per portare via quel bambino dalle mani della Kaiser. Non è necessario riuscire, ma non voglio fallire.

Una stella cometa rosa taglia il cielo, lascia alle sue spalle un leggero bagliore di potere. Atterra alle mie spalle con il delicato toc di un paio di tacchetti. Mira.

Tengo la faccia sull’obiettivo. Scatto una foto alla fiancata della camionetta, dove stanno smontando la bomba numero cinque. Takane non ha ancora dato aggiornamento sui due cretini che si sono infilati dentro la base nemica.

Il battere insistente di un piede alle mie spalle mi fa mordere il labbro. Mira è furiosa con me, mi aspettavo sarebbe arrivata a recriminare le mie scelte. Ma speravo non mi sarebbe venuta a cercare proprio poco prima della fase finale del piano.

Accidenti. Rilasci energia anomala con la tua sola presenza, non mi va di avere i radar della Kaiser addosso proprio ora!

Poggio la fotocamera e puntello i gomiti sul pavimento per girarmi.

Capelli rosa chiusi in una morbida coda di cavallo, occhi brillanti che riflettono la galassia, corrucciati in uno sguardo di pura disapprovazione. Incrocia le braccia al petto.

«Mira, sei troppo brillante. Non dovrei farmi notare quassù.»

Si avvicina. Trattengo l’istinto di farmi più piccola per prepararmi alla scrollata peggiore della mia vita. Mi acchiappa per le spalle e tira su senza fatica, tiene gli occhi piantati sui miei. «Non mi avevi detto di dover rovinare le vite di persone per fermare la Kaiser.»

Tocco terra. Il movimento nel parcheggio è ancora regolare, ma senza lo zoom della fotocamera non si capisce nulla di cosa sta effettivamente succedendo.

Me la devo scollare di dosso. «Sono state decisioni ponderate.»

Mira mi mette un dito sul mento e mi fa girare verso di lei. «Far diventare un ragazzino un esterno era una scelta ponderata?» La voce tradisce delusione. Non so neanche che razza di differenza ci sia tra un emerso e un esterno, sono sempre gente che fa casino.

Le prendo i polsi. «Se mi distrai ora, averlo reso un esterno sarà inutile. Rimandiamo la conversazione?»

Mira sta zitta, non riesco nemmeno a decifrare la sua espressione. Esasperazione? Comprensione? L’elfa dall’aria svampita è la tipa più incomprensibile in questa dannata città.

«Per quanto può contare,» riprendo, il tono mi si abbassa a poco a poco. «Non pensavo sarebbe successo.»

Mi stringe in un abbraccio. «Non devi diventare un mostro per fermare dei mostri.»

Esito, potrei ricambiare in fretta per pacificarla ma sembra così fuori luogo. Potrei scherzare e dire che per distruggere dei mostri serve un drago. Meglio stare zitti… Le batto una mano sulla schiena.

Perché devi essere così gentile?

Si stacca dopo un istante che sembra interminabile. «Dove volete portarlo?»

Mi chino a sedere sul bordo dell’edificio e imbraccio di nuovo la macchina fotografica. «I capi hanno ipotizzato che la vostra alchimista potesse fare qualcosa. Sul dove, non so…»

«C’è il Gamble.»

A forza di portare gente in quel casinò, non rimarrà spazio per i clienti. Senza contare che non abbiamo garanzie di quanto velocemente potremo curare il piccoletto o quanto sia violento.

«Da chi devo andare per sapere qualcosa?» mi incalza Mira.

«Ah boh. Nessuno ne ha un’idea. Ce la caveremo sul momento.» Inquadro le formiche-soldati che entrano una dopo l’altra nella camionetta. «C’è da dire che nessuno ha mai salvato un emerso degenerato.» Esterno, giusto. «Figurati un ibrido come le chimere.»

«Io vorrei provarci.»

Mi scappa un sorriso. Vuole fermare la Kaiser, salvare la città, far ben volere gli emersi e persino salvare quelli che ormai sono perduti. Non può esistere davvero una così. «Ti recupero il piccoletto, tu vedi di riuscirci.»

Il corteo di camionette schiva le radici degli alberi e oltrepassa il cancello di uscita. Clicco il pulsante laterale della radiolina. «Sono in movimento.»

Takane gracchia: «Hai smesso di inviarci immagini negli ultimi minut–»

«Sono stata aggredita da un alpaca.»

A Kaito scappa da ridere. «L’alpaca è rosa?»

Mira inclina la testa di lato, non saprei dire se ci è o ci fa.

Le camionette viaggiano in fila indiana, con quella che contiene Glenn al centro. Proseguono verso la ventesima strada, inconsapevoli dei due sicari posizionati sui palazzi e altri due a terra armati di tirapugni stordenti e granate magiche.

Takane tossicchia. «Chimera 06 è scesa ai sotterranei.»

C'era da aspettarselo.

Un lampo di luce, il fuoco divampa dal serbatoio della camionetta centrale. Le fiamme si colorano dell’arancione e del blu dei barattoli che i tecnici non hanno trovato. Viene smembrata da un'esplosione che spara gli altri veicoli contro i muri con un gran fischio di ruote, vengono capovolte come giocattoli.

Una figura nera emerge dall’inferno crepitante, grida. Il verso viene distorto da un riverbero metallico. Stende le ali membranose, gocciolano nero sull’asfalto.

Alzo la fotocamera e la inquadro, sulle fratture rosse dell’esoscheletro si muovono bolle di carne rossa che ricordano occhi giganti. Guarda come si può sempre contare sulla malsana resistenza delle chimera, non si è nemmeno ferito.

Con un colpo secco il retro delle camionette salta, decine di soldati armati fino ai denti escono fuori. Ogni occhio-pustola incontra la bocca di fuoco di una delle armi che gli viene puntato addosso.

Scatto una foto.

Stanno esitando, lo scoppio della bomba magica ha fritto le strumentazioni per ora. Per ora tutto sta filando liscio.

Dal lato della strada una granata fa una parabola. Scintille azzurre danzano intorno all’ibrido, l’istante successivo sta stringendo l’ordigno tra le zampe artigliate. Un’esplosione diffonde fasci di luci colorate e accecanti.

Il boato di qualcosa che cozza contro il metallo arriva forte e chiaro fino a qua sopra. La luce si disperde: in mezzo al disastro Roland tiene alto lo scudo e blocca l’avanzare dell’ibrido nero. Differenti soldati brandiscono coltellacci da macellaio che sprigionano un bagliore verde.

Materiale anti-emerso, meraviglioso.

«Ora,» gracchia Takane attraverso la radiolina. Dall’alto dei due palazzi partono un paio di proiettili. Rimbalzano sul collo di alcuni soldati. La seconda scarica fa saltare un paio di lame. La terza intacca lo scudo di Roland che abbassa la testa per non essere colpito.

L’ibrido punta le zampe, le scintille si accendono di colore e spinge. Il capitano si getta di lato prima di essere travolto, alle sue spalle passano Kaito e Rokuro che sferrano pugni agli operativi distratti.

Fanno saltare elmi, spezzano le armature e rubano armi. Roland pianta la mano sull’asfalto, alza lo scudo in tempo per parare il pugno crepitante di mio fratello. Gli afferra la maglia e lo getta di lato come un pupazzo, sposta il braccio per incassare un’altra carica di Glenn.

Scappa ragazzino, accidenti.

Un operativo raggiunge Kaito, riverso a terra, e alza il coltellaccio. Un proiettile spezza in due l’arma. Si prende una pedata nelle ginocchia da Rokuro, che gli afferra la testa e la sbatte per terra.

L’uomo piglia l’orso per la mano e lo trascina di lato.

Scatto. Il suono viene divorato dall’ennesima esplosione. Un lampo di luce accecante arriva alle nostre spalle, mi schermo gli occhi e mi volto verso la Kaiser. Il tetto è stato sfondato da una sottile colonna di fuoco rossa.

La colonna pulsa. Gelo artico mi artiglia la pelle, il respiro mi esce in nuvolette di condensa. Lo schermo della fotocamera si opacizza fino a riempirsi di cristalli di ghiaccio. Le braccia calde di Mira mi avvolgono, una barriera traslucida rosata ci ricopre ma non basta a placare la morsa del freddo.

Dalle fiamme si stacca una figura alata. Un vestito arruffato che va dall'argento al rosso, una mantella di piume di pavone che le avvolge i fianchi. Cristalli di brina si allargano sulla mia pelle.

Qualsiasi cosa sia successa a Maeda, è un casino.

Mira mi poggia una mano sulla spalla. «Vado.»

Neanche un momento di esitazione, lei è l’unica che abbiamo che può fare qualcosa. Annuisco. «Stai attenta, devi ancora curare Glenn.»

La cometa rosa scatta verso il secondo ibrido ottenuto con successo da quel pazzo di Havel. Se non la fermiamo, potrebbe tanto congelare quanto dare a fuoco l’intera città. Radici verdi sfondano un muro della Kaiser, ne esce un puntino minuscolo.

Alzo la macchina fotografica. Sarà sicuramente Gareth, ma sta tenendo un fagotto tra le braccia. Mi alzo da terra, miro alle scale antincendio per scendere dall’edificio.

La radiolina attaccata al colletto gracchia. «Spettro, mi senti?»

«Dottor Havel! Onorata di conoscerti!» Mi sforzo di essere allegra. Butto la mano al metallo, è talmente freddo da bruciare. Scendo giù dalla prima rampa, tenendomi stretta al corrimano per non scivolare. «Come ti sei attaccato a questa linea?»

«Ho preso in prestito una delle tue ricetrasmittenti. Volevo ringraziarti dal vivo per quello che hai fatto per il mio progetto, senza i tuoi tentativi di circuire i miei collaboratori, non avremmo mai visto sviluppi tanto magnifici e veloci.»

«Se parla della distruzione della città, c’erano metodi più efficaci per farla accadere prima.»

Scendo la seconda rampa. Ho le punta delle dita arrossate, ho l’impressione che mi si possa spaccare la pelle da un momento all’altro.

Riprende: «la distruzione di Marton ci ha dato tanto, e la distruzione di Yrff oggi ci regalerà altrettanto. Sai quante persone vorranno far parte di questo lavoro, non appena vedranno i guadagni di oggi?»

Perdo la presa sul corrimano, volo giù dalla quarta rampa di scale e batto la tempia contro il terreno. La barriera di Mira trema a malapena, il colpo mi risuona in testa come se me l’avessero appena usata come tamburo. Vorrei avere anch’io ‘sto cavolo di potere magico, è fin troppo comodo.

Punto le mani per terra e scendo ancora.

Havel continua: «ti consiglio di metterti comoda e goderti la scena, anzi ti auguro di essere tra i fortunati che sopravvivranno per vedere il dopo.»

Mira si abbatte sulla donna uccello come una cometa, fiamme e fasci di luce rosata colorano il cielo grigio di nubi. Altro che alchimista, qui l’unico che ha speranza di far tornare normali i tester senza ucciderli è Havel stesso.

«Parli sorprendentemente poco, Spettro. Come ci si sente a sapere che l’unica cosa che hai ottenuto è avere le mani sporche del sangue dei tuoi collaboratori?»





[.note a margine]

Comunicazione interna, mi sono messa in questo casino che è il finale di Necrosi e oh boy, non so come uscirne.

btw, sono tre capitoli che mi dimentico cosa volevo segnalare nelle note. quindi, che dire? adoro gli happy ending, sono solo i miei personaggi che sono così ingovernabili, davvero.

Grazie per essere arrivati qui, i prossimi eventi sono tutti in discesa

  
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