Videogiochi > Zelda
Ricorda la storia  |      
Autore: Zorn    30/11/2024    0 recensioni
[“Vai via di nuovo?”. Era una domanda retorica perché si stava già infilando gli stivali. “Sì”. Silenzio.
Ormai era diventata un’abitudine. Zelda si morse il labbro per cercare di non inveirgli contro. “Sei
tornato da poco, sei sicuro che – “. “Sì”. Si strinse nei vestiti e lo guardò mentre finiva di prepararsi.
Aveva indossato l’armatura da barbaro perché, diceva, gli migliorava le prestazioni combattive e
non poteva permettersi di perdere. All’inizio aveva ammirato la sua dedizione ma ora la
preoccupava. Dopo che aveva sconfitto Ganon, l’aveva abbracciata e aveva pianto. Si erano tenuti
stretti per chissà quanto tempo, poi l’aveva baciato per il semplice fatto che aveva letteralmente
passato cento anni a sperare di poterlo fare, un giorno. I giorni successivi alla vittoria, li aveva
passati con lui, a parlare e a riavvicinarsi e aveva capito subito che c’era qualcosa che non
andava.]
.
.
.
Storia cronologicamente posta alla fine di Breath of the Wild
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Link, Princess Zelda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Vai via di nuovo?”. Era una domanda retorica perché si stava già infilando gli stivali. “Sì”. Silenzio. Ormai era diventata un’abitudine. Zelda si morse il labbro per cercare di non inveirgli contro. “Sei tornato da poco, sei sicuro che – “. “Sì”. Si strinse nei vestiti e lo guardò mentre finiva di prepararsi. Aveva indossato l’armatura da barbaro perché, diceva, gli migliorava le prestazioni combattive e non poteva permettersi di perdere. All’inizio aveva ammirato la sua dedizione ma ora la preoccupava. Dopo che aveva sconfitto Ganon, l’aveva abbracciata e aveva pianto. Si erano tenuti stretti per chissà quanto tempo, poi l’aveva baciato per il semplice fatto che aveva letteralmente passato cento anni a sperare di poterlo fare, un giorno. I giorni successivi alla vittoria, li aveva passati con lui, a parlare e a riavvicinarsi e aveva capito subito che c’era qualcosa che non andava. Sapeva che farlo dormire tutto quel tempo gli avrebbe alterato la memoria e i ricordi e, di conseguenza, anche la personalità, ma non credeva così tanto. Non era né il Link con cui aveva discusso e che odiava e né quello che aveva imparato ad apprezzare e di cui, alla fine, si era riscoperta innamorata. Per i primi tempi non ci aveva fatto caso – o almeno ci aveva provato – ma non era stupida, vedeva che c’era qualcosa che non andava. A partire da come lui non la guardasse mai negli occhi e non l’avesse mai sfiorata dopo quel bacio. Non ne avevano mai parlato, e non si erano mai espressi neanche sui loro sentimenti.

Dopo la sconfitta di Ganon, aveva cercato di ritornare a palazzo, ma alcune guardie le avevano detto che era non era possibile. I nemici avevano distrutto e saccheggiato tutto, anche il suo studio e la sua stanza erano invivibili. “Ci siamo già tutti messi all’opera per la ristrutturazione vostra altezza, appena sarà completata potrete ritornare”. Aveva annuito ringraziandoli e non aveva chiesto altro. Le faceva male pensare che era andato tutto distrutto, che anni di storia e cultura erano persi per una sua inadeguatezza. Quando quei pensieri venivano a galla – e succedeva spesso -, Zelda si ritrovava rapidamente in una spirale di panico e angoscia. Paradossalmente, il tempo che aveva speso a tenere a bada Ganon, le aveva occupato gran parte dei suoi pensieri più oscuri. Ma ora che era finita, poteva osservare il caos che ne era derivato e sentirsi completamente inerme davanti a tutto. Erano passati cento anni e la maggior parte delle persone che aveva conosciuto non c’era più. Alcuni, però, erano ancora lì e, nonostante fosse immensamente grata di avere qualcuno del suo passato, questi rappresentavano anche un monito per quello che non era stata in grado di fare. Quando la chiamavano “vostra maestà”, sentiva un’ondata di disgusto verso sé stessa. Che diritto aveva di portare ancora quel titolo? Principessa di un regno che – lei – Ganon aveva distrutto.

Gli effetti di tutto, però, li vedeva in Link. Quando aveva dato l’ordine di salvarlo, togliendogli scelta e addormentandolo per tutto quel tempo, sapeva che ci sarebbero state conseguenze, ma non si aspettava questo. Non aveva un posto dove stare e aveva chiesto a lui se potesse momentaneamente ospitarla. A ripensarci ora, le batteva forte il cuore a pensare che, forse, avrebbero potuto vivere quello che molte coppie, che aveva osservato da lontano, avevano. Lui le aveva ceduto il suo letto, da vero cavaliere, ed era rimasto di sotto a dormire sul divano. Quante notti aveva passato sperando che sarebbe salito e l’avrebbe abbracciata? Troppe. Così, una notte decise di fare lei il primo passo. Si alzò e iniziò a scendere le scale e quando lo vide ebbe un colpo al cuore. Aveva preparato tutto quello che serviva per intervenire tempestivamente laddove ci fosse stato un pericolo. La spada, lo scudo e lo zaino erano su un mobile vicino l’ingresso. Ma la cosa che la distrusse fu il vederlo dormire seduto e vestito, con la divisa da campione. Sembrava non stesse neanche dormendo, al più si stesse riposando. Prima della calamità non l’aveva mai visto molto dormire, doveva sempre vegliare su di lei o era in missione ma quello che le si presentava davanti era diverso; quel ragazzo in salotto non era più Link.

Le sue doti e capacità erano note ovunque ed anche giustamente. L’eroe di Hyrule che con la spada suprema aveva salvato il regno era diventato famoso quasi quanto la principessa, anche se lei non aveva fatto nulla. Con i pro della popolarità, erano arrivati anche i contro. Arrivavano sempre più spesso lettere e richieste d’aiuto, da parte della milizia reale ma anche del popolo. “Sir Link può aiutarci con questo o quel mostro? La preghiamo”. Lui aveva sempre accettato e lei lo aveva sempre supportato, nonostante avesse iniziato a odiare tutta quella gente. Loro si approfittavano della sua infinita gentilezza e bontà. Voleva che la smettessero di assillarlo ma poi si ricomponeva, perché ricordava che lei non era diversa; anche lei si appoggiava a lui, sapendo inconsciamente che non le avrebbe mai detto no. Quando Link tornava, il villaggio lo festeggiava e lui, all’inizio, si fermava per conversare e scherzare ma poi era diventato restio a passare il tempo con loro, ritirandosi con scuse riguardo la stanchezza, fino a quando non si fermava più e loro avevano smesso di accoglierlo. Zelda si era accorta di tutto ma non sapeva cosa dirgli. Nei momenti in cui rientrava, cercava di essere affettuosa e chiedere come stesse ma lui le rispondeva con poche frasi e alzate di spalle e si defilava altrove. Non solo non voleva stare con gli altri, ma non voleva stare con lei.

Quando lui non c’era, lei cercava di fare del suo meglio per aiutare il popolo. Nel villaggio di Finterra, dove abitava Link, aveva costruito una scuola ed aiutava l’insegnante con i bambini. Ci stavano provando tutti a fare del loro meglio e lei doveva fare ancora più di loro, per ripagarli della fiducia che ancora riponevano in lei. Le volte in cui lui era in casa erano inferiori a quelle che passava fuori. Non avrebbe voluto che andasse ma come poteva chiedergli una cosa del genere? Lo aveva svegliato dopo cento anni, privato di tutto; privato dei suoi affetti, dei suoi ricordi e a malapena ricordava chi fosse. Gli aveva impartito un ordine preciso e lui aveva combattuto per lei, di cui a stento ricordava il volto. Aveva rischiato di morire infinite volte perché lei non aveva risvegliato il potere in tempo. Come poteva chiedergli di rimanere a casa, al sicuro con lei? La Zelda egoista pre – calamità l’avrebbe fatto ma ora non poteva più. L’aveva fatto diventare lei così e ora poteva solo guardarlo come monito per quello che non era riuscita a fare. Se solo avesse risvegliato i poteri in tempo, lui avrebbe potuto abbandonare i suoi doveri da guardia personale della principessa e fare altro, coltivare un suo hobby. Ricordava che gli piacesse molto leggere ma purtroppo con gli allenamenti e gli impegni, non riusciva. Da quando la calamità era finita, non l’aveva mai visto neppure guardare un libro. Qualche volta gli aveva proposto di leggere per lui, ma Link si era defilato con scuse su scuse e Zelda non aveva mai insistito. Sembrava che la sua sola presenza gli desse fastidio. Non riusciva a guardarla, ad avere una conversazione normale con lei. Figuriamoci instaurare qualcosa di più. Era come se fossero completi estranei. Probabilmente era troppo gentile e educato per rinfacciarle tutto e dirle che la odiava.

“Qual è la missione questa volta?” Non voleva che il suo tono sembrasse seccato ma lo era, non voleva che lui andasse ma non aveva la forza di chiederglielo. Si odiava per questo. Era sempre stata così, troppo spaventata per fare le cose da sola. Era facile andare in giro per rovine, a cercare di decifrare il funzionamento di questo e quello se c’era qualcuno che avrebbe pagato con la vita il non averla difesa dai pericoli. Che cosa poteva chiedere lei a lui che non le desse già? Del resto, il fatto che partisse continuamente per eliminare mostri e nemici del regno, non doveva essere una lode al merito? Stava lavorando duramente per rendere Hyrule un posto sicuro, quindi, come poteva chiedergli di non farlo? Per un periodo credette che gli piacesse l’adrenalina del combattimento, la sensazione di potenza alla fine di uno scontro vinto. Maggiore era il pericolo e maggiore sarebbe stata la gratificazione, ma quando lui andava via, vedeva che aveva paura e quando tornava, inspiegabilmente, ne aveva di più. Quello che c’era lì fuori gli faceva perennemente paura.

Stava finendo di aggiustare le sue cose e se non avesse passato così tanto tempo a guardarlo, non si sarebbe accorta del lieve tremito delle sue mani. Prima non era mai successo. “Lynel” le disse distrattamente mentre lo sguardo saettava da un lato all’altro della stanza in cerca di cosa avesse dimenticato. Zelda lo sapeva che non poteva scordare nulla, era così meticoloso nell’ordine che sarebbe stato impossibile sbagliare qualcosa. All’inizio l’aveva preso in giro per la sua fissazione ma poi aveva smesso perché lui non rideva mai, abbozzava una risata e tornava serio. Gli mancava così tanto il suono della sua risata e il modo in cui socchiudeva gli occhi quando rideva. Non l’aveva mai visto ridere da quando aveva sconfitto Ganon e lei si era crogiolata nell’ennesima bugia che forse, un giorno, tutto si sarebbe sistemato. Non era minimamente cambiata sotto questo aspetto. Era una bambina, come diceva suo padre, sempre presa da altro per non vedere le sue responsabilità. Forse era anche per questo che rimaneva con lui, perché le ricordava cos’era realmente. Lo aveva sempre fatto: prima con l’estrazione della spada a ricordarle che lei aveva fallito, e ora con il distacco e l’indifferenza, come segnale che non andava tutto bene, che la paura che aveva lasciato la calamità strisciava ancora sotto la pelle di tutti.

Lo guardava mentre si fissava la spada sulla schiena e le venne il forte impulso di gettargli tutto a terra e dirgli di non farlo, di non partire. Ma, come sempre, si limitò a stringere forte i pugni fino a sentire il dolore causato dalle unghie che le entravano nelle carni. “Sta’ attento, per favore”. Lui si era fermato con la mano sulla maniglia e Zelda aveva trattenuto il respiro. Forse aveva cambiato idea, se solo gli avesse detto qualcosa o lo avesse preso per mano, se solo - “Sì”. E poi se n’era andato, senza dire altro. All’inizio lei lo aiutava nel prepararsi, con il cuore che le doleva e la paura che la attanagliava. Era forte ma non invincibile, resistente ma non indistruttibile. Le sembrava, però, che gli desse fastidio il suo tocco o le sue premure. Ma si sbagliava, giusto? Non si aspettava che lui provasse quello che provava lei, ma sicuramente non era infastidito dalla sua presenza. L’aveva anche ospitata volentieri. Però, poi, aveva preso a non dirle più quando doveva partire e lei lo vedeva semplicemente prepararsi senza guardarla, salutarla distrattamente, ed uscire. E allora lei si accasciava alla porta, si rannicchiava e piangeva. Piangeva perché anche adesso era la “principessina inutile”; piangeva perché lo aveva guardato tanto in questi cento anni e aveva pregato con ancora più intensità di poterlo riabbracciare o anche solo stargli vicino. Ora gli stava vicino, ma così era devastante. Quello che Link le aveva riservato erano solo silenzi e, Dea, quanto pesavano. Meno parlava e più lei sentiva freddo nelle ossa ma una parte di lei sapeva che era giusto così. Lei lo aveva privato di sé stesso.

Quando lui partiva, Zelda trovava il modo di passare meno tempo possibile in casa. Il vuoto di quella casa e il gelo che sentiva le faceva venire voglia di distruggere tutto e non poteva farlo. Aveva iniziato a odiare tutto di quella casa. Era capitato, prima della calamità, che alcune volte, mentre Link la accompagnava in giro, lui le avesse chiesto di passare un attimo da casa sua per prendere questa o quell’altra cosa, ma lei non era mai entrata. Fissava le facciate della casa chiedendosi cosa avrebbe provato se avesse vissuto lì con lui, arrossiva e cercava di calmarsi prima che lui tornasse, anche se qualche volta non c’era riuscita a giudicare dallo sguardo incuriosito di Link. Ora, invece, odiava stare lì. Sembrava che neanche gli oggetti la volessero, insieme al suo padrone. Per questo, cercava di tenersi impegnata e disponibile con chi avesse avuto bisogno di lei. Qualche volta aveva ricevuto alcune battute in merito alla sua convivenza con Link ed ogni volta arrossiva in risposta e si imbarazzava. Poi erano semplicemente cessate e non era difficile capire il perché. Durante una delle serate in onore di Link, Pruna aveva preso la tavoletta Sheikah e aveva esordito, con la sua solita allegria: “Ed ora vorrei scattare una foto agli eroi di Hyrule. Su Link non essere timido e abbraccia la principessa”. Zelda si era imbarazzata ma poi aveva visto la sua reazione ed era raggelata. Link aveva un’espressione indecifrabile. Era un misto di panico e rabbia e stringeva così forte la panca su cui era seduto che credeva si sarebbe rotta. Non aveva risposto nulla e, in poco tempo, le risate si erano trasformate in mormorii e Pruna, imbarazzata, aveva detto loro che scherzava e si era seduta. Non voleva stare neanche vicino a lei per una foto, figuriamoci condividere il suo tempo con lei. Quello sguardo di devozione e affetto che aveva visto nei suoi occhi prima di svenire, ormai non esisteva più. Questa versione di Link la odiava con tutto sé stesso per quello che lei gli aveva tolto. Quando aveva scelto le foto che simboleggiassero lo sviluppo della loro relazione, in modo tale che lui avrebbe potuto riacquistare i ricordi gradualmente, ci aveva pensato così tanto e credeva di aver fatto un buon lavoro. Quella sera, mentre era a letto e lo sentiva mettere in ordine le sue cose prima di dormire, capì che aveva sbagliato tutto. Lui si era rivisto, costretto a difendere e a servire una principessa viziata, che aveva fatto soccombere tutti i suoi amici e che alla fine aveva deciso cos’era meglio per lui. L’oblio. Forse la odiava già prima ma ora non doveva più fingere.

Anche adesso era egoista. Sapeva che non la voleva lì e che probabilmente le aveva detto di sì, quando lei gli aveva chiesto di stare da lui, semplicemente perché lei era la Principessa Zelda e la sua indole di cavaliere l’aveva piegato un’altra volta ai suoi capricci. Però, anche così, lei non voleva andare via, aveva un disperato bisogno di lui perché era l’unico che la conosceva realmente e che la teneva ancorata alla realtà. Lei aveva risvegliato il potere perché lui era in pericolo e poi l’aveva perso per tutto quel tempo. Non poteva accettare di perderlo nuovamente ma non poteva nemmeno costringerlo alla sua presenza.

L’occasione era arrivata quando, un paio di giorni dopo la sua partenza, era arrivato un messaggero reale a dirle che, seppur il castello non fosse ancora pronto per viverci, era stata costruita una casa per lei, nella piana di Hyrule, in cui avrebbe potuto trasferirsi già subito, se avesse voluto. Aveva anche aggiunto che purtroppo non era elegante e regale come sua maestà la principessa, ma avevano lavorato assiduamente. Mentre lui parlava e si dilungava sui dettagli della casa, a Zelda veniva solo da urlare e cacciarlo via. Come poteva essere così spontaneo e gentile con lei? Lei che non valeva niente. Se non fosse stata così inetta a tempo debito, il popolo ora non avrebbe dovuto ricostruire nulla, non avrebbe dovuto diventare geloso di quel poco che aveva per paura di perderlo, non avrebbe dovuto provare la paura di perdere la propria casa o veder morire familiari per una guerra che non gli apparteneva. Avrebbe voluto dirgli che dovevano demolire quella casa, perché lei meritava di dormire al freddo e al gelo, di vedere la rabbia sul volto di tutti come la vedeva – anche se troppo poca – sul volto di re Dorephan che aveva perso sua figlia, di trovare rancore laddove trovava sorrisi. “State bene principessa?” Il messaggero l’aveva guardata preoccupato e lei si maledisse per non essere riuscita, ancora una volta, ad esprimere i suoi reali sentimenti. “Sì, grazie. Mi scuso ma ero solo sopraffatta dalla felicità. Vi ringrazio per il vostro duro lavoro”. Il messaggero sorrise e si congedò. Zelda lo guardò andare via e pensò che non avesse completamente mentito: era davvero sopraffatta dalla devozione che il – suo – popolo provava per lei. Si voltò e si osservò allo specchio in salotto. Era facile che Link la odiasse; la odiava anche il suo riflesso.

Aveva deciso che si sarebbe trasferita lì. Lo doveva a chi aveva lavorato così assiduamente per lei e lo doveva a Link, che non la voleva in casa sua. Gli avrebbe alleggerito il peso – forse – per una volta. Stava conservando in un borsone quei pochi effetti personali che aveva quando lo sguardo le cadde su un vaso contenente la Principessa Serena. Accarezzò i petali e le venne in mente quando, voltandosi verso Link, si era chiesta se anche lei sarebbe stata una principessa destinata a sparire, come quel fiore. Allora, lui l’aveva guardata e non aveva detto nulla e lei gli era grata per questo. Tutti si affannavano per consolarla ma lui no. Link la guardava comprendendola realmente, perché condivideva il suo stesso destino e peso, e su quello sguardo si era appoggiata per tutto questo tempo. Era il momento di finirla. Aveva gettato un ultimo sguardo alla pianta e le aveva chiesto scusa. Aveva sbagliato anche con un semplice fiore. Forse stava sparendo come desiderio della natura; una bellezza infinita destinata a rimanere solo nei libri di botanica ma lei l’aveva forzata a rimanere e a guardare cos’era successo, a guardare come il regno soccombesse giorno dopo giorno. Aveva fatto lo stesso con Link, del resto. Sospirò e decise che gli avrebbe lasciato la Principessa Serena perché lui avrebbe saputo meglio di lei come prendersi cura di qualcosa di fragile.

Aveva finito con le cose presenti in stanza – non erano molte – e stava controllando se c’era qualcosa in salotto che stava dimenticando. Non voleva lasciargli nulla perché significava che allora lui si sarebbe mosso per portarle l’oggetto dimenticato e avrebbe dovuto rivederla, e lei non voleva. Su una mensola c’era un suo elastico blu per capelli e, per un attimo, le attraversò la mente il pensiero di poterlo prendere e portare via con sé. Un ultimo pezzo di lui che avrebbe custodito e che le avrebbe ricordato il colore dei suoi occhi anche se, lo sapeva, non ce ne sarebbe stato bisogno. Forse non se ne sarebbe accorto, quindi che male poteva fare. Allungò la mano per afferrarlo quando sentì un tonfo alle sue spalle e, voltandosi di scatto, lo vide. “Che stai facendo?” Zelda tremò di paura per come suonava la sua voce. Sapeva che non le avrebbe mai fatto male ma aveva paura lo stesso perché ora era una versione di Link che non le apparteneva. Adesso poteva essere geloso delle sue cose, quindi, come osava lei prenderle? “Scusami, io non volevo. Stavo solo – “. “Ho incontrato il messaggero reale e mi ha detto della casa. Te ne vai?” Era ancora quel misto di rabbia e panico che aveva visto quella sera, durante i festeggiamenti e si ritrovò ad indietreggiare. Zelda era così impaurita che la sua mente aveva accantonato il pensiero che lui fosse tornato da lei, sano e salvo.

“S-Sì vado via. Nella casa che mi hanno costruito perché – “. “Dovevi avvertirmi, ora dovrò preparare tutto in fretta per venire con te. Ho tante cose da sistemare”. Aveva iniziato a muoversi dappertutto e a prendere oggetti che infilava distrattamente nel borsone. Zelda credette di impazzire; si sentiva male e le girava la testa. Perché doveva venire con lei? Se ne stava andando per lasciarlo libero e ora lui la voleva seguire? Le ci era voluta tutta la volontà che aveva solo per considerare l’idea di andarsene ed ora lui si comportava così? “Link -”. Lui non smetteva di muoversi e non sembrava sentirla. Zelda aveva iniziato a tremare e le mancava l’aria. “Link per favore”. L’ennesimo richiamo non udito. “Link basta, smettila”. Questa volta aveva – finalmente – gridato e lui si era fermato a guardarla ma non sembrava sorpreso, come se sapesse che sarebbe successo, prima o poi. Di fronte all’ennesimo sguardo carico di paura, le sue gambe non avevano retto più ed era piombata a terra. Guardava il pavimento e si rese conto, dopo che alcune gocce caddero, che aveva iniziato a piangere. “Zelda – “. Il suo nome era caduto nel vuoto ed era rimasto lì, incerto se raggiungere la sua padrona o no. Un tempo, si rese conto, con lui anche i silenzi erano carichi di significato mentre invece ora no. Erano solo carichi di angoscia e di voglia di andarsene, ma alla fine nessuno lo faceva. Era come se entrambi si sentissero legati da un filo che li costringesse a rimanere ancorati e, nonostante i tentativi di tagliarlo, fosse ancora lì. Indissolubile. Per un attimo maledisse la Dea. Chissà se questo era successo a tutte le versioni di loro o se solo questa volta si era registrato un tale fallimento. Lei aveva i suoi sentimenti e le sue emozioni, come anche Link, ma già dalla nascita erano stati condannati ad essere l’ennesima copia di qualcun altro; erano stati condannati ad anteporre tutto a loro stessi. Quando i suoi poteri si erano manifestati, era successo tutto così velocemente che non aveva realizzato di essere davvero la reincarnazione della Dea. Con Link era diverso però: lui aveva avuto il tempo di capire e di riflettere. Link non aveva dovuto provare la frustrazione di non sapere se fosse davvero il prescelto o meno; non aveva provato il fallimento di non farcela per l’ennesima volta e tornare sconfitto a casa. Però, di contro, Zelda non aveva provato il panico che aveva provato lui quando, estraendo la spada, si era concretizzata l’eventualità che fosse davvero lui l’Eroe. Doveva continuare a fare quello che aveva sempre fatto, cioè, proteggere la principessa e il regno, ma ora doveva farlo con il peso della consapevolezza che un suo passo falso avrebbe decretato le sorti di tutti.

Si era alzata barcollando, avvicinandosi a lui, e aveva tirato quel filo immaginario che la Dea aveva avvolto intorno a loro in modo prepotente; gli aveva preso il viso tra le mani e l’aveva costretto a guardarla. Costretto era il termine adatto perché aveva iniziato ad agitarsi, nervoso ed impaurito ma non se n’era andato. “Cosa ti succede Link? Parlami ti prego”. “Niente io devo preparare le cose per la partenza e – “. Lo aveva stretto più forte. “Mi dici che non c’è nulla di cambiato ma io lo so com’eri. Sei sempre con me ma non sei con me; quando siamo con altre persone mi guardi a malapena e quando siamo da soli non esisto. È cambiato anche il modo in cui mi parli. Mi consolo pensando che sei stanco e che sono paranoie ma non vero, giusto? Perché, se fosse vero mi guarderesti negli occhi e non sarebbe difficile per te arrivare alla fine di questo discorso. Lo so che per colpa mia hai perso tutto e continui a perderlo giorno dopo giorno, so che ho sbagliato tutto ma, Link ti prego, dimmi cosa posso fare perché io non voglio più punirti con la mia presenza”.

Non sapeva se lui stesse tremando di suo o perché lei, tremando e stringendolo forte, lo faceva tremare di riflesso. Almeno ora, però, la guardava negli occhi. Le aveva preso le mani e l’aveva accompagnata sul divano, sedendosi con lei. Le accarezzava il palmo su cui era comparso il simbolo della triforza e lei – per un momento – ebbe la percezione che muovesse il pollice come per cancellarlo. “Io penso a te ogni giorno, sempre, ma ogni volta che vorrei parlarti i tuoi occhi mi spaventano. Ho sognato l’idea di noi due così tante volte, ma la realtà è ben diversa. Credevo che l’ultima volta in cui i miei occhi si sarebbero posati su di te fosse quella in cui avevi risvegliato i tuoi poteri, ma poi mi sono risvegliato nell’Altopiano delle Origini e mi sentivo perso. Sentivo la tua voce e la seguivo come una luce ma ogni volta che mi sforzavo di ricordare il tuo volto o il tuo nome, i ricordi cadevano nel vuoto e il panico mi assaliva. Quando, pian piano, ho riacquistato i ricordi ed ho ri-imparato il tuo nome, non c’era giorno in cui non lo pronunciassi. Avevo paura di dimenticarmi di nuovo di te. Ho fatto di tutto per salvarti e quando eri davanti a me, dopo la sconfitta di Ganon, ho avuto più paura di quanta ne avessi mai provata in tutta la mia vita. Ho capito che il Link a cui sorridevi non ero io e, per colpa della mia inettitudine, non l’avresti avuto più. Se solo, se solo – “. Zelda si era portata una mano alla bocca, piangendo. Non era possibile che lui si sentisse sbagliato. Però, per l’ennesima volta, le aveva confermato che solo con lui poteva condividere questo fardello e maledisse un’altra volta la Dea per averli scelti. “Link io – “. “No aspetta”. L’aveva fermata e lei lo aveva lasciato fare. Percepiva il bisogno che aveva di sfogarsi. “Io non ti ho salvata e non mi ricordavo di te. Ti ho lasciato cento anni con quella cosa, mentre la tenevi a bada, e tu hai fatto così tanto, aiutandomi con i ricordi e con la spada e io non potevo che sentirmi una nullità davanti a te. Ed ora che sei qui, con me, non riesco ad amarti come so che vorrei fare perché ho paura di perderti di nuovo ed ho paura che quello che guardi, quando mi osservi, non sia abbastanza per te.”

Ora anche lui stava piangendo. Era completamente stupita. Credeva che lui la odiasse ed invece si era sentito esattamente come lei e questo la spaventava. Poteva essere davvero in grado di aiutarlo? Convincendosi che lui la odiasse, aveva preso la decisione facile, ovvero andarsene e lasciarlo libero, ma ora si rendeva conto che lui provava quello che provava lei e non sapeva se avesse la forza per due. Però l’avrebbe trovata. “Link io mi sento come te, mi odio per averti privato di tutto e credevo che tu mi odiassi e non ti avrei biasimato perché ti ho sobbarcato del peso del regno ed io – “. Era stata zittita da un bacio carico di tristezza ma anche consapevolezza, perché Link non aveva altro modo per esprimerle quello che provava senza crollare definitivamente. Era un semplice bacio perché nessuno dei due aveva il coraggio di muoversi. Alla fine, Link si era staccato e le aveva sussurrato “paradossalmente dovrei essere il detentore del coraggio, ma se lo avessi davvero, allora sarei come te.” Zelda aveva abbassato lo sguardo sconfitta. Lo aveva sempre pensato anche lei: lui era come Zelda avrebbe voluto essere, cioè adeguato, e credeva fosse solo suo quel sentimento ma si sbagliava. Si era sempre sbagliata, su tutto. “Perché mi dici questo? Era più facile quando credevo che mi odiassi perché saresti stato giustificato ma ora, così, non so come fare. Non ero pronta a questi sentimenti e non so cosa fare. Per l’ennesima volta ti sto costringendo a porgermi la mano per aiutarmi.” Link aveva sospirato e aveva appoggiato la fronte sulla sua. “Non sono passati cento anni solo per me ma anche per te, Zelda. Sei cambiata anche tu. Hai sofferto ed hai cercato di rimediare, ma continui ancora a punirti, lo so. Mi ha fatto male che tu non mi abbia mai chiesto di rimanere ma al contempo non volevo, perché vorrei che tu potessi camminare senza minacce o paura. Volevo rivedere il tuo sorriso quando giravamo per Hyrule e scoprivi qualcosa di nuovo.” “Io vorrei solo ricostruire casa nostra, il nostro regno, e ritornare, almeno un po’, a come eravamo prima. Ti ho aspettato così tanto, ed ora che ti ho, mi rendo conto che quello che ti sto dando non lo meriti”. Gli aveva messo le mani sulle spalle e aveva chiuso gli occhi, respirando il suo profumo. Aveva notato che, ogni volta che rientrava da una missione, non era mai sporco, segno che si era lavato altrove. All’inizio credeva che lo facesse perché non voleva farla preoccupare; poi, con i mille pensieri che si era fatta, credeva lo facesse perché non volesse essere disturbato dalle sue domande; ora, invece, aveva capito che lo faceva perché voleva essere giusto per lei. Un vero cavaliere. “Ricostruiamo Hyrule ma ricostruiamo anche me e te. Non potrei sopportare di perderti di nuovo. Se ti va”. Dicendolo, era arrossito e a Zelda si sciolse il cuore perché per la prima volta, dopo tanto tempo, le sembrava di poter riavere il diritto di fantasticare su di lui e riprese a respirare. Gli diede un ultimo bacio veloce e si alzò in piedi, aprì la porta e lo guardò sorridendo. “Iniziamo da subito, ti va? Però non come la Principessa e l’Eroe ma come me e te”. Link annuì, la seguì e fece quello che più gli era mancato: stare con lei.



 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Zelda / Vai alla pagina dell'autore: Zorn