Who won?
“Gabriella,
andiamo, non ti sembra di aver fatto la bambina abbastanza?”
“No.”
Taylor
McKessie sospirò affranta, scostandosi la frangetta dalla fronte: “Tesoro, fare
così non ti servirà a niente.”
“Non
m’interessa.”
“Stai
cominciando a far innervosire anche me.”
“Bene.”
Taylor
incrociò le braccia al petto, imitando la posizione della sua migliore amica:
appollaiata su una poltrona, braccia conserte, gambe incrociate ed il broncio.
“Ti stia
comportando come Sharpay.”
“Evviva.”
“Mi vuoi spiegare
qual è il problema?”
Gabriella
non aprì bocca, si limitò a spostare lo sguardo verso un ragazzo alto e
muscoloso alla sua destra.
La sua
amica si accigliò: “Che c’entra Chad adesso?”
“Non è Chad. È il lavoro di Chad.”
Il
suddetto alzò un sopracciglio: “Oh, capisco. È perché, stranamente, il mio
lavoro è lo stesso di T…”
“Non
azzardarti a pronunciare quel nome!” scattò la mora, alzando minacciosamente
l’indice.
Chad
sembrò ripiegarsi su se stesso: “Va bene, va bene, scusa.”
Gabriella
ritornò al suo stato precedente: “Odio quello stupido lavoro. Odio quello
stupido campo. Odio quella stupida palla arancione. Odio quella stupida
uniforme che sempre puzza e che sempre devo lavare. Odio il basket, odio i
Lakers, e soprattutto odio lui.”
“Gabby,”
il ricciolino si chinò verso di lei, ma sempre mantenendo una distanza che
considerava sicura “Questa partita per noi è molto importante. Devi capirci.”
La mora
gli lanciò uno sguardo di fuoco: “E’ più importante di me e di Taylor, Chad?”
“Non
tirare in mezzo me,” l’avvisò la sua amica “Io ci vado, alla partita.”
L’altra si
sistemò meglio in poltrona: “Beh, io me ne starò qui. A leggere qualcosa, a
rilassarmi, e non accenderò la
televisione, perché a me non interessa.”
Chad e
Taylor si guardarono, increduli e inermi.
“E’ uno
stupido egoista,” la sentirono sibilare “Così impara. Non ci vado alla sua
grande partita, ecco. Non me ne frega niente. Può fare il campione quanto
vuole, ma a me non interessa.”
“Dolcezza,
non è il modo migliore per risolvere i problemi. Sono sicura che se tu venissi
con noi…” provò Taylor, ma fu subito interrotta: “Se venissi con voi alla
partita, non farei altro che dargliela vinta! E siccome non voglio, rimango qui. Visto che lui non si interessa di me, io
non mi interesso di lui.”
Chad
sospirò: “Dio, Gabby, ha soltanto saltato un pranzo! E non è nemmeno colpa sua,
il coach ci ha tenuto in palestra fino a tardi per stasera e…”
“Avrebbe
dovuto dire al coach che la sua fidanzata, fidanzata
e sottolineo fidanzata, lo stava
aspettando in uno dei ristoranti più cari di Los Angeles, la cui prenotazione
era fermata da ben due mesi! E lui lo sapeva che ho sempre voluto andarci!”
sbraitò Gabriella.
“Non fare
come Sharpay, Montez,” la riprese il ragazzo “Anzi, a proposito, perché non ci
vai con lei in quel ristorante? Scommetto che ti farebbero entrare non appena
vedrebbero lo scintillio della Regina di Ghiaccio.”
Gabriella
gli scoccò un’occhiataccia: “Chad, capisco che il tuo spirito maschile stia
cercando in tutti i modi di difendere il tuo amico, ma tanto non funzionerà.”
Taylor si
corrucciò: “Da quando sei diventata così permalosa?”
Il suo
ragazzo fece una smorfia da saputello: “Da quando il coach ha intensificato gli
allenamenti.”
Le due
donne lo guardarono, curiose: “E quindi?”
Il
cestista scrollò le spalle: “E quindi Troy è troppo stanco alla sera per…” ma
non riuscì a finire la frase, perché una delle ballerine di Gabriella si
schiantò contro la sua testa “Ahia! Fa male quella!”
La mora
assunse un’espressione omicida: “Ringrazia che mi sono tolta i tacchi, e
credimi, non li avrei indirizzati alla tua testa.”
La sua
amica scosse la testa, lanciando un’occhiata all’orologio che portava al polso:
“Chad, dobbiamo andare prima che il tuo coach cominci a chiamare come un pazzo.
Gabby, sei sicura che non vuoi venire? Guarda che dopo lo rimpiangerai.”
Ma lei
alzò un dito: “Gabriella Montez non rimpiange mai niente.”
Chad si
alzò dal divano bianco, afferrando il suo borsone e roteando gli occhi:
“Seriamente, Gabriella, smetti di passare tutto quel tempo con Sharpay.”
Taylor le
baciò una guancia: “Ti chiamo negli intervalli, d’accordo?”
Gabriella
fece spallucce: “Ti ho detto che non m’interessa sapere. Fosse per me,
dovrebbero perdere.”
Il
ricciolino, che stava già avviandosi fuori dalla porta, sbuffò: “Farò finta di
non averti sentita.”
La sua
ragazza sospirò: “Ciao Gabby, a dopo.”
Dopo il
suono della porta che si chiudeva, scese il silenzio nell’appartamento.
Gabriella sbuffò arrabbiata, sempre seduta nella stessa posizione. L’idea che, forse, i suoi due migliori amici
potessero avere ragione non le sfiorava nemmeno la mente.
Era fissa
nella sua convinzione.
Borbottò
qualche imprecazione in spagnolo che aveva sentito spesso da suo nonno,
fissando con aria truce l’orologio appeso al muro.
Mancavano
poco meno di due ore a quella partita così
importante, e lui era uscito già
da un’ora, dopo la loro litigata.
Tempo
dieci minuti, ed erano sopraggiunti Chad e Taylor per cercare di risolvere la
situazione.
Ma quella
volta, lei era stata irremovibile. Lui
-le veniva il nervoso solo a pronunciare il suo nome- si era dimostrato
egocentrico, egoista e troppo fissato con il basket, quindi lei, per vendetta, non sarebbe andata alla sua
grande partita.
-Perché a
me del basket non me ne frega niente, in fondo,- pensò con aria decisa –Sono
soltanto degli spilungoni che corrono dietro ad una palla. Giusto?-
Giusto?
Sospirò,
scostandosi una ciocca di boccoli corvini dal viso, e sciogliendo le membra
ormai intirizzite per il poco movimento.
All’improvviso,
un ronzio eccitato la avvisò che qualcuno la stava cercando al cellulare.
Afferrò il
telefono e rispose: “Pronto?”
“Hai cambiato idea? Giro la
macchina e vengo a prenderti.”
Chiuse gli
occhi, contando mentalmente fino a dieci: “Tay, non ho cambiato idea. Voglio
stare a casa, non me ne frega niente.”
Sentì la
sua migliore amica ridacchiare: “Le bugie
hanno il naso lungo, Gabby.”
“Non sono
in vena di ripassare le favole Disney, Taylor. È Kelsie quella incinta, non
io.”
“Va bene, va bene. Chiama appena
decidi che hai bisogno di un passaggio per raggiungerci.”
“Puoi
aspettare la prossima glaciazione!” ma Taylor aveva già riagganciato.
Le venne
voglia di lanciare il cellulare contro il muro, ma poi pensò che non sarebbe
servito a niente. Le venne anche voglia di chiamare Sharpay e chiederle di
andare a fare shopping selvaggio, ma poi realizzò che avrebbe soltanto esaurito
tutto il credito della sua carta solo per voglia di sfogarsi, comprando cose
inutili che non avrebbe mai messo.
Così,
decise che l’unico modo per sfogare il suo nervosismo era gridare.
L’urlo
rimbalzò tra le pareti dell’appartamento vuoto, risuonando in una debole eco.
Anche quel tentativo era fallito.
“Resisti,
Gabriella, resisti. Non arrenderti!”
Oh bene,
adesso parlava pure da sola.
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Una sirena
suonò la pausa del primo tempo, ed i giocatori si accalcarono verso gli
spogliatoi, asciugandosi con gli asciugamani o tirandosi addosso bottigliette
d’acqua.
Troy
Bolton, playmaker e stella emergente dei Lakers, lanciò un’occhiata ai posti a
bordo campo, dove di solito sedevano due brunette di sua conoscenza.
Purtroppo,
quel giorno ne vide solo una, dalla pelle nera e l’aria affranta, che scosse la
testa e le spalle nella sua direzione.
Troy
sorrise triste ed entrò nel cubicolo degli spogliatoi con un sospiro.
Chad lo
raggiunse e gli mise un braccio attorno alle spalle: “Che ci vuoi fare, amico.
Le donne sono fatte così. Non sai quante volte Taylor si è arrabbiata con me
perché ho saltato qualche appuntamento o ho dimenticato qualche assurda
ricorrenza.”
Il suo
migliore amico lo guardò critico: “Ti eri dimenticato il vostro quinto
anniversario, Chad. È logico che Tay non ti abbia parlato per tre giorni.”
“No che
non è logico! E poi comunque ho rimediato subito!”
“Regalandole
una palla da basket autografata dai ragazzi della squadra.”
Il
ricciolino alzò un sopracciglio: “Non sai quanto varrà quella palla, tra poco.”
Troy
sospirò e si accasciò su una panchina dello spogliatoio: “E’ che, tecnicamente, non è stata colpa mia! Ho
cercato di spiegare al coach dell’appuntamento, ma lo sai che non vuole sentire
ragioni…”
“Bolton!”
abbaiò in quel momento l’allenatore “Ti sembra questo il modo di giocare? Avevo
detto tiri da fuori area! Stai
giocando come mia nonna!”
“Lo
perdoni, coach,” ghignò Chad “Problemi di donne.”
Una vena
pulsante comparve sulla fronte dell’uomo: “Ho messo bene in chiaro che i vostri
problemi di cuore non mi interessano. Quindi o giocate come si deve, oppure
finite in panchina per il resto della stagione. D’accordo?”
“D’accordo
coach.” fu la risposta unica di tutta la squadra.
Si
alzarono e si riavviarono verso il campo da gioco, nel silenzio della
concentrazione.
“Bolton,”
Troy si girò al richiamo del suo allenatore, che gli fece l’occhiolino “Regala
un mazzo di fiori alla tua donna. Vedrai che le passa.”
###
Gabriella
lanciò un’occhiata nervosa all’orologio al polso. La partita avrebbe ormai
dovuto essere finita. Non che a lei importasse, certo.
Sbuffò,
facendo svolazzare un ricciolo sfuggito allo chignon. Era seduta nel buio del
salotto, sul divano color crema, a fissare lo schermo nero della televisione.
Il telecomando era sul tavolino in vetro davanti a lei, ma si era ripromessa
che non l’avrebbe toccato e così sarebbe stato.
Guardò di nuovo l’orologio; sì, decisamente la partita era
finita. Anche includendo il gioco in overtime.
E allora lui dove cavolo era
finito?
Le dava
fastidio non sapere dove potesse essere; ma solo perché non sapeva di quanta
‘libertà’ avrebbe ancora potuto godere, naturalmente.
Aveva
passato un pomeriggio tutto dedicato a se stessa, concedendosi un bagno caldo e
una manicure. Era riuscita perfino a declinare con cortesia tutte le chiamate
che Taylor le aveva fatto per convincerla a raggiungerla allo stadio.
Prese il
bicchiere di vino bianco che le stava davanti e ne bevve un sorso. A quell’ora
di solito trasmettevano il suo telefilm preferito… ma se accendendo fosse
incappata in un canale sportivo e avesse saputo quello che non voleva sapere?
Meglio non rischiare. In fondo, oramai conosceva le avventure di Carrie e le sue amiche a memoria.
Finalmente,
sentì le chiavi girare nella toppa. Accese in fretta la luce e agguantò una
rivista abbandonata sul pavimento, giusto per fingersi impegnata, e si
risedette proprio mentre lui entrava
in casa e lanciava il borsone per terra.
“Ciao.” le
disse entrando in salotto.
“Ciao.”
replicò lei, senza staccare lo sguardo dalle pagine.
“Non sei
venuta alla partita.”
“No.”
“Quindi
sei ancora arrabbiata?”
“Sì.”
“Quindi presumo
che non ti interessi sapere chi ha vinto?”
“No.”
“Bene.”
“Bene.”
Lo spiò
con la coda dell’occhio mentre saliva le scale, togliendosi la maglietta e
accartocciandola tra le mani. Di solito riusciva a capire, dal suo
comportamento, com’era andata una partita.
L’acqua
della doccia cominciò a scrosciare al piano di sopra. Se avevano perso, Troy
sarebbe stato intrattabile per tutto il resto della settimana. Se, al
contrario, avevano vinto, Troy avrebbe incominciato a festeggiare come un
bambino.
Però,
quella sera lei non aveva colto nessun atteggiamento particolare; soltanto la
freddezza con cui si erano parlati.
Sospirò,
passandosi una mano tra i boccoli corvini. Per una volta, non avrebbe ceduto.
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“Cioè mi
stai dicendo che sono tre giorni che non gli parli, e ancora non hai saputo il
risultato della partita?” Gabriella annuì alla domanda della sua migliore
amica, che sbarrò gli occhi e scosse la testa “Non ci posso credere. Non… non
riesco nemmeno a capire come abbiate fatto!”
La mora
fece spallucce: “Siamo stati incredibilmente bravi ad evitarci. Sabato io sono
andata in palestra, domenica lui si è visto con Chad, ed oggi siamo entrambi
fuori. E non ho mai acceso la TV, né comprato un giornale.”
Taylor le
scoccò un’occhiataccia: “Scusa se te lo dico, ma Chad ha ragione: tu passi
davvero troppo tempo con Sharpay. Ti sembra una cosa normale questa?”
“Finchè
non mi chiederà scusa, io continuerò così.”
“In
realtà, credo che anche tu gli debba delle scuse, Gabby.”
Lei sgranò
gli occhi: “E perché?”
Taylor
sbuffò: “Come perché? Litighi per una sciocchezza, non vai alla partita che
deciderà le sorti del campionato, e perdipiù non gli chiedi nemmeno com’è andata,
e non gli parli per tre giorni? Sì, decisamente credo di sì.”
Gabriella
incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale della sedia: “Ti detesto
quando fai così.”
La sua
amica sorrise: “Solo perché sai che ho ragione. Perché stasera non gli prepari
una bella cenetta, solo tu e lui?”
“Perché
così non farei altro che dargliela vinta!” ma all’occhiata di fuoco che
ricevette, si corresse “Va bene, d’accordo. Vedrò che posso fare.”
“Non
sforzarti troppo, mi raccomando.”
Gabriella
le fece la linguaccia per quella battuta, poi guardò fuori dalla vetrata del
caffè in cui erano sedute, e sobbalzò: “Oddio. Stanno venendo qui! Che ci fanno
qui?”
Taylor si
strinse nelle spalle: “Io e Chad volevamo pranzare insieme. Troy era con lui al
campetto da basket, evidentemente non voleva lasciarlo solo.”
La sua
migliore amica la guardò in cagnesco: “Grazie davvero.”
“Oh,
figurati.” trillò divertita l’altra, salutando con una mano il suo ragazzo per
farsi vedere.
“Ehilà,
bellezze!” esclamò il riccioluto giocatore di basket, nascosto dietro un grande
paio di occhiali “Tutto bene?”
“Benissimo!”
gli rispose la sua ragazza, alzandosi e dandogli un bacio “Io e Gabby abbiamo
fatto un po’ di shopping.”
La diretta
interessata fece un sorriso tirato, evitando di guardare il suo fidanzato, in
piedi accanto a lei.
“Che
novità,” ghignò Chad “Gabby, vuoi mangiare un boccone con noi?”
Gabriella
scosse la testa: “No, grazie, vado a casa. Ho un sacco… di cose da fare.”
“Ti
accompagno.” sentenziò Troy.
Lei
continuò ad evitare il suo sguardo: “Non c’è n’è bisogno, grazie. Prenderò la
metropolitana.”
Il ragazzo
alzò un sopracciglio: “Ho la macchina qui dietro, e carica come sei di buste
non ci entri nemmeno in metro. Andiamo, ti accompagno.”
“Ciaociao ragazzi.” ridacchiò Chad, avvolgendo con un
braccio le spalle di Taylor.
Troy e
Gabriella camminarono fino all’auto in silenzio; lui l’aiutò a caricare i
sacchetti del suo shopping sul sedile posteriore, ma anche quando salirono, non
si scambiarono una parola.
Nel
silenzio iniziarono il loro ritorno verso casa, finchè il ragazzo non accese la
radio. La sua fidanzata lo guardò con la coda dell’occhio: sembrava rilassato,
canticchiava a voce bassa la canzone che veniva trasmessa.
Al termine
di questa, nell’abitacolo rimbombò la voce del dj: “E adesso passiamo allo sport. Ricordiamo tutti la partita di tre
giorni fa in cui i nostri Lakers…”
“Perché
hai spento?” Gabriella si girò stupita verso il suo fidanzato.
Lui la
guardò di sfuggita, con un sorriso: “Credevo che non volessi sentir parlare di
quella partita.”
La mora
boccheggiò un paio di volte: “Ehm… sì, infatti.” lo sentì ridacchiare, e si
accigliò “Che c’è di tanto divertente?”
Troy
scosse le spalle: “Niente. È solo che era da un po’ che non tiravi fuori la tua
testardaggine.”
Lei alzò
un sopracciglio: “E questo ti fa ridere?”
“Sì,
perché so che la stai usando solo per far innervosire me, anche se sai che hai
torto. Ma sai anche benissimo che tanto non funziona.”
Gabriella
ritornò a fissare la strada di fronte a lei: “Questo lo dici tu. Intanto, non
ti ho dato la soddisfazione di voler sapere il risultato della partita. Perché
a me non interessa.”
Ridacchiò
di nuovo: “Certo, certo.”
Finalmente,
l’auto venne fermata nel parcheggio del loro palazzo, e Troy le scaricò le
buste senza ascoltare le sue proteste.
“Guarda
che sapevo fare da sola.” brontolò non appena entrarono in ascensore.
Lui non
rispose, ed entrarono insieme nel loro appartamento. Era palese il fatto che
non si fossero parlati per alcuni giorni, notò Gabriella, visto che i vestiti o
gli oggetti fuori posto appartenevano esclusivamente al suo fidanzato. Lei
certo non si era presa la briga di fargli notare che presto sarebbe rimasto
senza magliette e biancheria, se avesse continuato così.
“Gabriella?”
si girò alla sua voce, con aria scocciata. Era in piedi, appoggiato allo
stipite del bagno, con un’aria strana in volto che la fece preoccupare: “Sì?”
“Ventidue
settembre.”
Gabriella
si accigliò: “Che… che cosa succede il ventidue settembre?”
Troy le si
avvicinò: “Ti ricordi cosa ti ho detto quando ho iniziato a giocare per i
Lakers, all’inizio della stagione?”
Lei
deglutì: “Che quando il campionato sarebbe stato vinto noi… noi avremmo fissato
la data del nostro matrimonio.”
Il suo
fidanzato annuì: “Ventidue settembre.”
Con la
testa che le girava, Gabriella cercò di rimanere in piedi: “Il campionato è già
finito?”
Troy fece
altri tre passi verso di lei: “Con tre partite d’anticipo.”
“E chi…
chi ha vinto?”
La
raggiunse, sorridendo trionfante: “Noi. Sia il campionato, sia l’ultima
partita.”
“Ah.” solo
in quel momento si accorse che, puntualmente, si era arresa. Senza neanche
accorgersene, troppo presa dall’emozione. “Sei uno stronzo.” esalò.
Vide una
scintilla di divertimento, la stessa che lo accompagnava da quando aveva sedici
anni, brillare nei suoi occhi: “E perché?”
“Perché mi
hai fregata. Hai giocato sporco e mi hai fatto sapere chi ha vinto anche se
sapevi benissimo che io non lo volevo.”
Lui
ghignò: “Me l’hai chiesto tu.”
Gabriella
boccheggiò arrabbiata, cercando delle parole pungenti con cui rispondere, ma
prima di poter fare qualsiasi cosa, un paio di labbra morbide si posarono sulle
sue, annullandole qualunque pensiero di rabbia.
Suo
malgrado, si ritrovò ad abbandonarsi completamente a quel bacio, realizzando
solo che presto si sarebbe sposata con il proprietario di quella bocca maliziosa,
di quelle mani forti, di quegli occhi incantevoli, di quegli addominali che
tanto la rendevano gelosa delle sue fan.
Oh, beh.
Se per tutto quello doveva solo lasciarlo vincere qualche volta… poteva anche
starci.
Fine
Miracolo,
ho finito anche questa fic!! Era ferma da mesi, lo so, ma non sapevo come
andare avanti. Poi oggi, in dieci minuti, ho fatto tutto. Spero che soddisfi la
vostra sete mentre aspettate tutti gli altri miei lavori così lenti ;)
Grazie
per aspettarmi sempre, e un altro Buon
compleanno alla mia amore Elly Malfoy ^^
Hypnotic Poison