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Autore: Carlos Olivera    25/09/2009    2 recensioni
Cosa può spingere un uomo a rinnegare tutto ciò che ha sempre creduto, abbandonare i precetti che hanno governato la sua esistenza e rendersi partecipe di crimini innominabili?
Dolore, rabbia, frustrazione, odio, invidia. Tutto ciò può condurre all'abisso del male, e una volta che vi si è entrati la caduta è inesorabile.
Anno 1124
Due giovani assassini vengono incaricati dal loro maestro ormai morente di compiere un'ultima missione per le affollate strade di Baghdad, un paradiso di cultura e di conoscenza su cui alberga però un'ombra minacciosa. Nessuno sarà risparmiato, e l'unica cosa che attende loro, come molti altri, è il dolore, il dolore in tutte le sue più crudeli e terribili forme.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fra le sue tante passioni Samir ne nutriva una in particolare per i testi classici, e nel suo studio, una delle stanze più lussuose e lussureggianti del palazzo facente parte del complesso dei suoi alloggi al secondo piano, conservava una grande collezione di opere messa insieme in anni e anni di lunghe ricerche, da Omero a Seneca, da Apollodoro a Giulio Cesare, da Ovidio a Ippocrate.

  Il contenuto di alcuni di quei testi avrebbe potuto procurargli non poche grane con le somme autorità religiose, ma lui stava abbastanza in alto da potersi sentire relativamente al sicuro, e se poi qualcosa non andava per il verso giusto si poteva sempre nascondere il materiale più pericoloso nel vano segreto delle cantine.

  «Il tempo massimo per portare a termine questo lavoro è di cinque giorni.» disse Samir sedendosi alla sua scrivania «È chiaro che Hasan-i Sabbah vuole che questo incarico sia portato a termine prima della sua dipartita.»

  «Da dove dobbiamo cominciare?» domandò Altair mentre, per la persona raffinata che in realtà era, assaporava un po’ dell’ottimo tè che una servitrice gli aveva offerto

  «Jahal è una persona estremamente prudente.» disse Mira «Sono già due anni che gravito attorno a lui spacciandomi per una sua servitrice.

  Non resta mai da solo, ed è seguito in ogni suo spostamento da un esercito di guardie pesantemente armate, questo ovviamente senza tenere conto della sua grande e indiscutibile abilità come spadaccino.»

  «Tu una servitrice!?» replicò ironicamente Kahled «Mi risulta difficile crederlo.»

  «Cancella quel sorrisetto, o lo faccio io con un pugno.»

  «Non cominciate voi due.» disse il fratello maggiore «Deve pur avere un punto debole. Non può essere guardato a vista ventiquattro ore al giorno.»

  «No di certo. Se è per questo, ho già trovato il momento giusto in cui colpire.

  Dovete sapere che Jahal soffre di una particolare malattia allo stomaco che lo costringe a prendere una tisana a base di erbe e aromi ogni sei ore.»

  «Sarebbe facile avvelenarla.» disse Kahled

  «Non così facile. Prima che gli venga servita una delle sue guardie che soffre dello stesso male la beve sempre per primo.»

  «Lo immaginavo. E poi, siamo Assassini. Un metodo codardo come il veleno non fa parte del nostro modo di agire.»

  «Infatti. Comunque, dovendo prenderla ogni sei ore, Jahal la beve anche alle tre del mattino. Lui proibisce ai soldati di entrare nei suoi alloggi durante la notte, e solo la servitrice che porta la medicina ha il permesso di andare a svegliarlo.

  Tale incarico di solito spetta sempre alla medesima persona, ma non sarebbe un problema sostituirmi a lei. Le guardie mi conoscono, e non sospettano di me. Mi lascerebbero passare senza discussioni.»

  «Ora sappiamo come occuparci di Jahal.» disse Altair «Ma come facciamo per il tesoro?»

  «A tal proposito, Rafiq, tu cosa sai di questa Parola di Allah?»

  «Non molto. Gira voce che si tratti di un tesoro dal valore inestimabile, dotato di incredibili poteri, ma nessuno sa con precisione di cosa si tratti o che forma abbia.»

  «Tu Mira, puoi dirci qualcosa?» chiese Kahled

  «Purtroppo no. In questi anni mi sono avvicinata molto a lui. Credo che mi consideri una delle sue favorite, ma ogni volta che cercavo di scivolare sull’argomento lui si faceva evasivo.

  Di certo c’è solo che non è qualcosa che porta addosso, come un pendente o un anello, e non si trova neppure nelle sue stanze. Ho controllato attentamente più e più volte, ma non ho trovato né segni sospetti né qualche traccia di nascondigli segreti.»

  «Allora è come cercare un ago in un pagliaio.» disse Altair

  «Forse no. C’è un posto in cui potrebbe trovarsi.»

  «E dove?»

  «Nel museo. Si trova in un’ala isolata del palazzo, dall’altra parte del cortile orientale, in una piccola costruzione al termine di un corridoio di mura lungo una trentina di metri. Nessuno può entrarci a parte lo stesso Jahal e l’unico ingresso è sorvegliato giorno e notte, perciò non sono stata mai in grado di dare un’occhiata, ma se è difeso così bene deve esserci per forza qualcosa di grande valore lì dentro, a parte i soliti reperti storici di cui questa città è ovviamente piena.»

  «La cosa sembra sensata, ma bisogna esserne sicuri. Se l’ipotesi dovesse rivelarsi errata, avremmo perso la nostra unica occasione per mettere le mani sul tesoro.»

  «È per questo che io mi sono attivato.» disse Samir «E ho già pronti due informatori. Te ne occuperai tu, Altair.»

  «Di chi stiamo parlando?»

  «Il primo è una guardia del palazzo. Ogni giorno passa le sue ore libere in una birreria clandestina a nord della città. Diventa molto loquace con qualche bicchiere in più, ma non ucciderlo. Bisogna evitare di sollevare sospetti.»

  «E l’altro?»

  «Un vecchio insegnante della madrasa di Al Narsuf. Ha catalogato molti dei reperti storici conservati nel museo, e potrebbe avere ottime informazioni. Lui invece sarebbe meglio metterlo a tacere, visto che ha la tendenza a vendersi per molto poco.»

  «Sarà fatto. Mi occuperò di entrambi oggi stesso.»

  «Molto bene.»

  «Aspettate.» disse Mira «C’è un’altra cosa di cui dobbiamo tenere conto.»

  «E sarebbe?» domandò Kahled

  «Jahal ha una guardia del corpo, e posso assicurarvi che liberarcene non sarà facile.»

  «Come si chiama?»

  «Non lo so.»

  «Non lo sai!?»

  «Se proprio vuoi saperlo, non conosco neppure il suo volto. E non solo io, nessuno nella cerchia di Jahal lo ha mai visto. Lo chiamano l’Ombra, e non è un caso. Non riesco a capire come faccia, ma riesce a difendere il suo signore senza mai farsi vedere. Ad oggi molti spiantati e ribelli che hanno tentato di uccidere il califfo sono stati eliminati per mano sua.»

  «Potrebbe essere un nostro fratello.» ipotizzò Altair «Un Assassino che ha deciso di tradire.»

  «L’ho pensato anche io all’inizio, ma ho capito presto che non può essere così. Usa una tecnica diversa dalla nostra, molto più letale e pericolosa. Inoltre…»

  «Inoltre?»

  «Mi è capitato di assistere ad una delle sue azioni per difendere Jahal, e quando la situazione si è acquietata sono riuscita a recuperare una delle armi che usa abitualmente».

  Mira mise la mano in una manica della veste e ne prese fuori una curiosa stella di metallo con quattro affilatissime punte con un buco al centro.

  «Mai visto niente del genere.» disse Kahled

  «Funziona come i nostri pugnali, ma è estremamente più precisa, e può lanciarne una vera selva in rapida successione.»

  «Rafiq, tu ne sai qualcosa?»

  «Mi dispiace ragazzo, è una novità anche per me.»

  «Ho sentito parlare di quest’arma quando ero nel mio paese. Viene usata dalle spie di un’isola ad oriente.»

  «Quindi questa Ombra» disse Altair «Viene dalle tue stesse terre.»

  «È molto probabile, e se è così bisognerà fare molta attenzione. La fama di questi invisibili assassini dell’oscurità è tale da averli trasformati in una leggenda. Sono solo pochi anni che esistono, ma già tutti li temono.»

  «A tempo debito ci occuperemo anche di questo.» rispose Samir facendosi di colpo molto più serio e accigliato «Tuttavia, prima di preoccuparci seriamente dell’uccisione di Jahal e del recupero del tesoro, c’è qualcos’altro su cui è necessario rivolgere la nostra attenzione.»

  «Che è successo?» domandò Kahled non senza preoccupazione

  «Mentre eravate in viaggio per arrivare a Baghdad è arrivato un altro messaggio da parte di Hasan-i Sabbah.

  Fratelli miei… siamo stati traditi.»

  «Che cosa!?» esclamò Mira «Qualcuno ci ha traditi?»

  «Si chiama Risham, e fino a poco tempo fa era una delle mie migliori spie, ma improvvisamente, due settimane fa, è passato dalla parte di Jahal, e ha cominciato a svelare alcuni dei segreti che circondano il nostro ordine.»

  «Maledetto.» disse Altair stringendo il bicchiere fino a frantumarlo «Fra tutti i peccati di cui si può macchiare un Assassino, il tradimento è di sicuro il più deprecabile.»

  «Fortunatamente per noi era poco più che un novizio, pertanto non è a conoscenza di cose come la mia identità o la locazione di questa dimora, ma con le sue rivelazioni potrebbe minare seriamente la nostra rete d’informazione qui a Baghdad.

  Deve essere fermato prima che provochi altri problemi. Ho inviato un messaggio ad Hasan-i Sabbah per spiegargli la situazione, e lui ha già autorizzato la missione.»

  «Dove si trova ora questo Risham?» domandò Kahled

  «Nella prigione di Nargun, a ovest. Un luogo praticamente inespugnabile, ma stando ai miei contatti pare abbiano in mente di spostarlo proprio stanotte.»

  «Per quale motivo?»

  «Molto probabilmente sanno che tenteremo di metterlo a tacere. Lo imbarcheranno al molo vicino al suk al Marsak, e se riescono a farlo uscire dalla città lo avremo perso per sempre. Bisogna agire subito, e ve ne occuperete voi due.»

  «Noi!?» esclamarono insieme Mira e Kahled

  «Sarà sicuramente scortato, e vi saranno soldati anche a bordo della barca. Meglio essere almeno in due, per darsi vicendevolmente le spalle, anche se conoscendovi credo non sarà niente di ingestibile.»

  «Perché mai dovrei fare da balia a questo ragazzino!?»

  «Guarda che questo dovrei dirlo io!»

  «Smettetela! Tutti e due! Lo farete perché questo è un ordine del vostro diretto superiore qui presente, mi sono spiegato?»

  «Sì, d’accordo.» risposero mestamente i due

  «Perfetto. Altair, tu mettiti subito al lavoro per trovare le informazioni. Quanto a voi due, riposatevi. Entrerete in azione dopo il tramonto».

 

Altair, da impeccabile Assassino qual’era, portò a termine il suo incarico in sole tre ore, facendo ritorno alla dimora sul fare del tramonto, giusto in tempo sedere con suo fratello e prendere parte alla cena rituale che precedeva l’inizio di una missione.

  Il codice d’onore degli Hasisiyyun prevedeva che subito prima di intraprendere un omicidio gli Assassini consumassero una cena di un certo prestigio, più sostanziosa rispetto a quella che toccava solitamente loro; era una sorta di ultimo piacere, un modo per affrontare una eventuale morte senza rimpianti, e con la consapevolezza di aver goduto almeno una volta le gioie che la vita poteva offrire.

  Grazie alla gentile donazione di Samir quella cena risultò particolarmente abbondante e variegata: pesce di fiume, carne di pecora cotta alla brace, riso a volontà insaporito con spezie raffinate, pane arabo, frutta fresca, datteri secchi e noci; essendo alquanto scettico sulla natura degli dèi e deprecando la maggior parte delle tradizioni islamiche, nonché lo stesso codice di vita che regolava la vita dei musulmani Altair non disdegnava neanche i piaceri del vino, mentre Kahled, che condivideva solo la linea di pensiero su legge e morale, preferiva tenersene comunque lontano, sia perché bere non gli piaceva sia perché, come aveva già sperimentato una volta, non reggeva per niente l’alcol.

  Mira mangiava da sola, in un’altra stanza del palazzo, dal momento che il codice comportamentale dei Nizariti vietava ad un uomo e una donna non imparentati tra di loro di sedere allo stesso tavolo.

  Tra i due fratelli regnava il silenzio, un silenzio enigmatico e diverso da quello che precedeva solitamente una missione; era come se entrambi stessero deliberatamente evitando di parlare per non correre il rischio di dire cose spiacevoli, o per non far nascere una conversazione che nessuno sapeva dove sarebbe sfociata.

  D’un tratto però la ragazza che avevano salvato quella mattina portò loro dell’altro vino, e il ringraziamento che rivolse con molto rispetto e innocenza fu la molla che fece scattare il discorso.

  «Se non fossimo intervenuti» disse Kahled «Quella povera ragazza sarebbe sicuramente morta.»

  «Forse, ma questo non toglie che il tuo gesto avrebbe potuto costarti caro, e compromettere seriamente la nostra missione. Ho sentito i discorsi della gente, oggi, mentre camminavo per la città, e già si parla di noi. Se quelle voci dovessero giungere all’orecchio del califfo, ci troveremmo a dover affrontare problemi estremamente seri.»

  «Ma cosa dovevo fare? Lasciarla lì in mezzo alla strada e restare a guardare mentre la uccidevano?»

  «Non critico il fine, Kahled, ma i mezzi.

  Te l’ho già detto, non puoi risolvere sempre tutto a spada tratta. Certe situazioni richiedono giudizio, coscienza e lucidità. Semmai un giorno dovessi diventare maestro degli Assassini dovrai affrontare decisioni difficili, in cui la strategia e la capacità di analisi risulteranno decisive.

  In quanto Maestro sei responsabile della sorte di tutti i membri dell’ordine, e se dovessi sbagliare qualcosa saranno altri a pagare per i tuoi errori.»

  «Io… io non ci avevo mai pensato.»

  «Se sarai Maestro avrai nelle tue mani tutta la confraternita. Chiederai ai tuoi discepoli di combattere, di rischiare la vita, e a volte anche di morire, e dovrai essere forte nello spirito per poter sopportare un simile peso.»

  «Hai ragione, fratello. Fino ad ora ho sempre pensato che bastasse essere un bravo guerriero per poter essere un Assassino, ma ora mi rendo conto che la mano non è niente se non vi sono un cuore e una mente forti che la guidano.»

  «Questo si chiama parlare.»

  «Tuttavia» disse Kahled mentre guardava il pezzo di pane che aveva in mano «Non riesco ad accettare quello che ho visto, e anche dopo aver sentito queste tue parole credo che trovandomi lì avrei agito allo stesso modo.»

  «Purtroppo, questo fa parte della tua natura.» rispose Altair sorseggiando un po’ di vino «Il tuo senso di giustizia è ammirevole, dopotutto.»

  «Perché, fratello? Perché dio permette che una donna sia picchiata e uccisa solo per aver cercato di riscattare la sua libertà? Perché permette che uomini massacrino altri uomini nel suo nome?»

  «Non incolpare dio per la stupidità degli uomini. Lui non ha nessuna colpa.»

  «Credevo che non avessi fede negli dèi, fratello.»

  «Non ho fede in ciò che gli uomini dicono di essi. Se tutto ciò che ci viene detto sul loro conto fosse vero, gli dèi favorirebbero cose come crociate, guerre sante, discriminazione, odio interculturale, rifiuto del diverso, e onestamente, di un dio del genere, io non saprei che farmene.»

  «Fratello…»

  «La divinità è qualcosa di superiore, di trascendente. Sono stati gli uomini ad asservire il suo messaggio ai loro egoistici desideri, e questo è il peggiore sbaglio che la nostra specie abbia mai fatto.

  Il solo modo per porre fine a questo scempio è squarciare il velo dell’ignoranza, mostrando all’umanità la verità per quello che è, senza interpretazioni o bugie. Ed è anche per questo che dobbiamo lottare noi Assassini.»

  «Le tue parole sono cariche di saggezza, fratello.

  Sono d’accordo con te. Una volta che gli uomini avranno visto la verità come l’abbiamo vista noi i mali del mondo saranno finalmente superati, e avrà inizio per noi tutti un’epoca nuova, di pace e giustizia.

  E voglio essere partecipe di un così grande disegno. Lo voglio con tutto me stesso».

  Dopo poco Samir si presentò nella stanza.

  «È ora».

 

Dopo una certa ora della notte Baghdad veniva avvolta da un silenzio surreale, e le uniche luci ad illuminarla erano quelle delle lanterne portate a mano dalle pattuglie armate che giravano per le strade per garantire la tranquillità e prevenire atti di furto.

  Silenziose e discrete, due ombre percorrevano velocemente i tetti della città vecchia, arrivando infine nei pressi del molo a sud del vecchio suk Al Marsak, proprio sulla sommità dell’ultimo edificio, un grande palazzo signorile che dava direttamente sull’argine.

  Lungo il corso del fiume si potevano scorgere in lontananza molte barche di pescatori uscite per le battute notturne, ma la maggior parte di esse erano all’angola sui pontili.

  «Ecco, il posto è questo.» disse Kahled guardandosi attorno

  «Se l’informazione era corretta, dovrebbero arrivare da un momento all’altro».

  E infatti, dieci minuti dopo, da un vicolo laterale comparvero dodici soldati regolari che scortavano un Assassino legato per i polsi e con il volto solo parzialmente nascosto dal suo copricapo.

  I soldati che lo sorvegliavano aspettarono a lungo prima di imboccare la strada larga e acciottolata che costeggiava il molo, sicuramente per accertarsi che non vi fossero occhi e coltelli indesiderati ad attendere il loro arrivo.

  «Deve essere lui.» disse Mira

  «Quelli hanno l’aria di essere professionisti. Meglio agire con discrezione.»

  «Che cosa!? Dov’è finita la tuo grandioso approccio di “chi attacca per primo attacca due volte”!?»

  «Mai pensato in questi termini.»

  «Sì, come no.»

  «Ora basta discutere, pensiamo all’incarico. In Rafiq vuole sapere perché ha tradito, perciò dobbiamo occuparci anzitutto dei soldati, per poter parlare con lui in tutta calma.»

  «Non sarà facile.»

  «Credo di avere un’idea. Se vuoi ascoltarmi.»

  «Sono tutta orecchi. Sentiamo».

  Kahled spiegò velocemente il suo piano, e subito Mira storse il naso disgustata.

  «Non ci pensare neanche! Posso fingermi una odalisca obbediente, ma questo no!»

  «Samir mi ha assegnato il comando della missione, quindi a cuccia e ubbidire.» replicò Kahled con un tono di sarcasmo e uno sguardo di chi non ammette repliche

  «Questa me la paghi, garantito.»

  «Forse, ma intanto limitati ad ubbidire».

  Di nuovo Mira mostrò palesemente il proprio risentimento, ma poi fu costretta a trangugiare il boccone amaro e saltò su di un tetto attiguo mentre Kahled sorrideva divertito.

  Poco dopo una barca in legno di una certa dimensione, atta a trasportare agilmente un equipaggio di venti o più uomini, si accostò al pontile principale, e un marinaio fece cenno ai soldati di venire avanti sollevando due volte la lanterna che teneva in mano.

  Quelli fecero per ubbidire, ma d’un tratto la loro attenzione fu attirata da uno strano rumore, come un fischio a intermittenza; era un codice, un codice segreto in uso presso la guardia cittadina di Baghdad che veniva usato dai messaggeri che recavano dispaccio di grande importanza ma che, per una ragione o per l’altra, non potevano esporsi.

  «Che sarà successo?» domandò il capo della pattuglia, riconoscibile dall’elmo a punta e dalla cresta formata da quattro strisce di cuoio nero «Tu, vai a vedere cosa vogliono.»

  «Sissignore».

  Il soldato incaricato del compito lasciò il gruppo e si diresse verso la stradina da cui era sopraggiunto il fischio, scomparendo nell’oscurità, ma dopo più di due minuti di lui non si vedeva traccia.

  «Ma che accidenti sta combinando quell’idiota!?» mugugnò l’ufficiale battendo nervosamente il piede sul legno «Andate a dargli una sveltita».

  Altri due uomini, questa volta armi alla mano, entrarono nella stradina, e fatti pochi metri si imbatterono nel cadavere del loro compagno, riverso sul torace con la gola trafitta; quello che lo aveva trovato fece per avvertire il suo compagno, che a causa del buio non aveva visto niente, ma un’ombra minacciosa comparve dal nulla in mezzo tra i due e tappatagli la bocca lo uccise piantandogli la lama nella schiena; il superstite fu raggiunto subito dopo aver tentato la fuga, ma l’assassino questa volta non riuscì a tacitarlo in tempo per evitargli di lanciare un urlo di terrore, urlo che fu sentito dai soldati in attesa, e contemporaneamente la lanterna tenuta dal marinaio si spense cadendo nel fiume.

  «Ma cosa…» esclamò il solito ufficiale «Formazione difensiva!».

  Lui e gli altri sguainarono le spade e formarono un muro attorno al prigioniero per poi prendere a camminare a passo piuttosto spedito verso la barca, facendo sempre molta attenzione al minimo movimento che avveniva tutto intorno a loro; regnava un silenzio spaventoso, e si aveva la sensazione che tutto potesse accadere.

  All’improvviso, un pugnale schizzò fuori da una scanalatura piuttosto pronunciata tra le assi del pontile, trafiggendo al mento uno dei soldati e lasciandolo a terra morto.

  «Che diavolo…».

  Altri tre pugnali seguirono in rapida successione, uccidendo un altro uomo e ferendone due in modo invalidante, uno alla mano e uno ai testicoli.

  «Dannazione, muovetevi!».

  I cinque superstiti, abbandonato ogni schema prestabilito, cominciarono a correre pieni di terrore, e quando Kahled si palesò sul pontile quattro di essi restarono per tenergli testa, anche se, terrorizzati com’erano, dovettero essere costretti a farlo sotto minaccia di esecuzione dal loro comandante che, unico rimasto, si diresse velocissimo alla barca tenendo la spada in una mano e la collottola del prigioniero nell’altra.

  Sguainati insieme spada e pugnale Kahled si occupò dei soldati, spaventati a tal punto che le loro movenze erano altamente prevedibili; mentre il giovane Assassino teneva loro agilmente testa l’ufficiale raggiungeva finalmente la barca, gettandovi letteralmente dentro il prigioniero, ma una volta a bordo si accorse, con suo grande sconcerto, che tutti i marinai in grado di manovrarla erano immobili.

  Infuriato e fuori di sé si mise portò sul parapetto dalla parte opposta dell’imbarcazione e si girò verso Kahled, che sbarazzatosi degli ultimi ostacoli lo osservava stando a distanza.

  «Fatti avanti, bastardo! Sono qui che ti aspetto!».

  Di colpo però l’uomo sentì uno strano rumore alle proprie spalle, ma non fece neanche in tempo a girarsi che una lama lo trafisse alla schiena per poi trascinarlo in acqua prima che avesse il tempo di urlare.

  Risham, che si era messo in ginocchio per tentare di rialzarsi, osservò attonito la sua ultima linea difensiva scomparire tra i flutti, e quando tornò a concentrarsi sul pontile vide Kahled saltargli addosso con la lama nascosta già sguainata.

  Buttatolo a terra, lo trafisse allo stomaco, un colpo non gravissimo ma che lasciava poche speranza di vita a lungo termine; nello stesso momento Mira, fradicia e coperta del fango su cui aveva camminato passando sotto il pontile, salì a bordo a sua volta, inginocchiandosi assieme al compagno davanti al corpo di Risham, al quale venne tolto il copricapo per permettergli di respirare meglio.

  I suoi occhi erano strani: sembrava esservi a malapena un barlume di vita, e più passavano i secondi più questa scintilla, invece che spegnersi, pareva acquistare vigore, come se la morte, invece che spegnerla, le avesse anzi permesso di tornare a bruciare.

  «La tua fuga è finita.» disse Kahled sorreggendogli la testa

  «Mi… mi dispiace. Mi dispiace… per ciò che ho fatto.»

  «Perché?» domandò Mira «Perché ci hai traditi

  «Io… io non volevo farlo. Lo giuro. Ma poi, ho incontrato lui… credevo che mentisse. Che fosse un esaltato.»

  «Di che stai parlando?» chiese Kahled «Chi hai incontrato?»

  «Lui… non è un uomo. Ciò che fa… ciò che riesce a fare… non è umano.»

  «Stai parlando di Jahal? O forse di quel tipo che chiamano l’Ombra?»

  «Lui… può vedere tutto. Può sapere tutto… il suo sguardo… ti penetra nelle carni… e ti mette a nudo. E poi… poi usa ciò che ha visto per dominarti.

  Tutti i tuoi ricordi… tutte le tue paure… tutte le tue emozioni… rivoltate contro di te… e usate per dominarti. Non si può sfuggire al suo controllo.

  Ho cercato di oppormi, di combattere… ma ho fallito. E quello era solo un assaggio… il suo potere… è ancora più grande… e ancora più spaventoso. Io… l’ho veduto».

  Kahled e Mira avevano già ascoltato altre confessioni in punto di morte da parte delle loro vittime; molte di loro chiedevano scusa, altre difendevano il proprio operato, altre ancora cercavano biecamente di giustificarsi, e sulle prime entrambi pensarono che anche Risham stesse infondo facendo la stessa cosa; tuttavia, man mano che ascoltavano le sue ultime parole, il suo sguardo non smetteva di colpirli: non sembrava esservi né falsità né ipocrisia nelle sue parole, e le lacrime che stavano cominciando a solcargli le guance parevano sincere.

  «Fratello… stai dicendo sul serio!?»

  «Non… non guardatelo mai. Non guardate quel suo oggetto diabolico… basta uno sguardo… e siete suoi. E a quel punto… solo la morte potrà liberarvi. Proprio… come sta succedendo… con me.

  Ero cosciente di ciò che facevo… sapevo di stare tradendo i miei fratelli… ma non potevo oppormi. Ve lo giuro, ci ho provato… ma non potevo. Era come… essere incatenato.

  Ma ora, grazie a voi… finalmente… sono libero».

  Risham tossì violentemente, e la sua carnagione cominciò a farsi molto pallida, segno che non gli restava molto da vivere.

  Quali che fossero i crimini e le colpe delle loro vittime gli Assassini avevano l’obbligo morale di ridurre al minimo la loro agonia e di rispettarne il corpo dopo la morte, quindi Kahled, recuperato il sangue freddo si preparò a vibrare il colpo di grazia.

  «Grazie…» disse sorridendo Risham

  «La pace sia con te, fratello».

  Un solo colpo, alla gola, come accadeva sempre, e la vita del traditore fu spezzata definitivamente; Mira, che aveva preso a sorreggergli la testa, la lasciò cadere dolcemente sul legno della barca, e Kahled gli chiuse delicatamente gli occhi, intingendo la piuma nel sangue che sgorgava dalla ferita sul collo, a testimonianza indiscutibile che l’incarico era stato portato a termine.

  I due assassini si guardarono, senza sapere cosa pensare, ma non potevano sapere che nello stesso momento qualcun’altro stava guardando loro, appostato silenziosamente sul minareto di una moschea poco distante.

  Vestiva interamente di nero, un’uniforme non tanto diversa da quella degli assassini, sormontata da gambali e da un paio di guanti e provvista di un bavero che copriva buona parte del suo volto lasciando però scoperti i capelli, di un nero spento, tendente quasi al grigio, benché i suoi lineamenti testimoniassero che si trattava di una persona piuttosto giovane; dietro la schiena una spada, e assicurate alla cintura una selva di stellette di metallo, oltre ad un certo numero di pugnali lunghi e stretti provvisti di un anello all’estremità.

  Il suo equilibrio aveva del prodigioso, tanto da riuscire a mantenersi in piedi sulla sommità acuminata del minareto, dritto come una statua e a braccia conserte.

  I capelli e la fascia legata attorno alla fronte ondeggiavano al vento come le onde del mare, e dal suo sguardo traspariva tutta la sicurezza e l’autocontrollo di uno spirito abituato a fendere e sfidare le leggi di natura e la natura stessa piuttosto che a sottomettervisi, in un modo non dissimile agli Hasisiyyun.

  Rivolta un’ultima occhiata a Kahled e Mira, che ancora seguitavano ad osservare il corpo senza vita del loro vecchio compagno con la testa piena di domande, scomparve magicamente nel nulla inghiottito dal buio.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi nuovamente!^_^

Questo capitolo si è fatto un po’ desiderare, ma dovendo occuparmi sia di questa fan fiction, sia dell’imminente ripresa dei corsi, sia del romanzo che sto faticosamente cercando di scrivere (è appena cominciato e ci sto lavorando da due mesi, fate un po’ voi) il tempo non mi basta mai.

Da lunedì poi andrà anche peggio, visto che praticamente tutti i giorni uscirò di casa alle sette per tornare alle sette (tranne un paio di giorni in cui tornerò alle sei), ma cercherò comunque di proseguire, anche perché ormai questa fiction mi ha preso troppo.

Ringrazio i miei recensori, Elika, Saphira e Sux Fans.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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