Anno 762, dicembre.
Il cielo era di un azzurro limpido, interrotto solo da qualche nuvola leggera che si muoveva pigramente, sospinta da un vento fresco e gentile. Il suono del cinguettio degli uccelli si mescolava al fruscio delle foglie, creando una melodia familiare che risvegliava ricordi sopiti. L'aria, fredda ma vivace, portava con sé profumi di terra umida, piante e l'inconfondibile fragranza di fiori invernali resistenti al gelo. Bulma inspirò profondamente, chiudendo per un istante gli occhi. Quell'aria... quanto le era mancata.
Il sole, timido ma presente, accarezzava la pelle con il suo calore tenue. Non sapeva esattamente dove si trovassero, ma poco importava. Era di nuovo sulla Terra, e questo bastava a riempirle il cuore di una gioia quasi dolorosa. Le sue dita sfioravano l'erba umida sotto i suoi stivaletti, come a voler confermare che fosse tutto reale. L'incubo era finito. Erano tutti salvi. O quasi.
Quanto tempo era passato? L’orologio biologico sembrava impazzito, un jet lag cosmico che le aveva stravolto ogni senso del tempo. Su Namecc non c'erano né giorno né notte, solo quella luce costante che aveva reso tutto ancora più surreale. Ma ora, con il sole che tramontava lentamente all’orizzonte, ogni cosa tornava al suo posto.
Dopo l'ultimo desiderio espresso al Drago Porunga, si erano ritrovati tutti insieme sulla Terra. Anche Vegeta. L'anziano saggio aveva spiegato che il desiderio includeva tutti coloro che erano morti su Namecc, senza distinzioni. I Namecciani non erano affatto felici di vederlo vivo. Il ricordo di un intero villaggio spazzato via dalla sua crudeltà era ancora vivido nei loro cuori. Eppure, Bulma non riusciva a odiarlo. Non del tutto.
In fondo, grazie a un suo suggerimento, ora c'era la possibilità di rivedere Goku e Crillin. Lei e Gohan si sentivano quasi in debito. Era strano pensare che proprio lui, il principe dei Saiyan, avesse contribuito in qualche modo alla loro speranza.
“Perché non vieni anche tu?” chiese Bulma con un tono disinvolto, cercando di mascherare il nervosismo dietro un sorriso. “Dopotutto, non hai soldi per pagarti un alloggio, vero? Ci sarà da mangiare per tutti! Scommetto che sei un mangione come Goku, giusto? Ma tieni pure le mani lontane da me, anche se sono irresistibile, mi raccomando!” concluse con un occhiolino malizioso.
Vegeta la fissò, le braccia incrociate sul petto, il volto impassibile. Ma un leggero rossore tradiva il suo imbarazzo.
“C-che donna volgare!” mormorò, distogliendo lo sguardo, visibilmente a disagio. Le sue guance si tinsero di un rossore appena percettibile, un dettaglio che Bulma non mancò di notare con un sorrisetto divertito.
“Ok, allora chiamo mio padre e viene a prenderci,” disse infine, tirando fuori il suo dispositivo di comunicazione, lasciando Vegeta solo con i suoi pensieri. Pensieri che, per quanto lui cercasse di soffocare, continuavano a girare intorno a una domanda che lo tormentava: cosa significava davvero quella nuova vita sulla Terra?
Dopo la lunga attesa, salirono quindi sull’aereo e Bulma iniziò a scrutare nuovamente Vegeta. Lo vide ancora una volta isolato da tutti, con le braccia incrociate al petto e quell’espressione contratta e severa, come se fosse costantemente in guardia contro un nemico invisibile. I suoi occhi, due abissi neri, riflettevano un mondo che Bulma non poteva comprendere appieno.
Si soffermò sui lineamenti del suo viso, scoprendo dettagli che non aveva mai notato prima. Le sopracciglia folte incorniciavano uno sguardo tagliente e penetrante, mentre gli occhi, simili a due diamanti neri, brillavano di una luce intensa e magnetica. C’era qualcosa di ipnotico in quell’oscurità, una profondità che sembrava voler raccontare storie taciute. Piccole cicatrici, impercettibili ma presenti, segnavano la pelle come ricordi silenziosi di battaglie passate.
Quando aveva parlato dell’idea di trasferire gli spiriti di Crillin e Goku sulla Terra, i loro sguardi si erano incrociati. In quel momento, Bulma si era sentita catturata, incapace di distogliere gli occhi. Aveva dimenticato il terrore provato quando lo aveva visto per la prima volta in televisione, accanto a Nappa, un’immagine incisa nella sua memoria come un incubo vivido. Aveva dimenticato la paura vissuta su Namecc, quando Vegeta avanzava verso di loro come un predatore implacabile. Aveva dimenticato Yamcha, i suoi amici, la Terra stessa. C’erano solo lei e quelle iridi magnetiche.
Tirò un lungo sospiro, continuando ad osservare quel guerriero alieno. Era bello e maledettamente dannato. La leggera ombra di una barba appena accennata definiva la linea netta della mandibola, mentre il naso sottile e le labbra affusolate, appena colorate di un rosa tenue, completavano quel volto perfetto. I capelli neri, dello stesso colore delle sue iridi, sfidavano le leggi della gravità con una forma quasi bizzarra, una caratteristica che Bulma attribuì al suo retaggio Saiyan.
Vegeta non era particolarmente alto, ma il suo fisico possente compensava ampiamente. Le spalle larghe e i muscoli scolpiti, visibili attraverso la tuta da combattimento aderente, parlavano di anni di addestramento spietato. Il foro sull’armatura all’altezza dell’addome lasciava intravedere addominali perfettamente definiti, testimoni di una disciplina ferrea. Ogni dettaglio della sua figura emanava forza e orgoglio, ma anche un’inquietudine palpabile, come se il suo stesso corpo fosse una prigione.
Bulma arrossì improvvisamente, distogliendo lo sguardo. Si rese conto di quanto la sua mente stesse vagando in territori inaspettati. Stava davvero fantasticando su quel crudele essere? Forse era proprio quella nota di oscurità a renderlo irresistibile. Si chiese cosa stesse pensando Vegeta in quel momento. Era sempre così imperscrutabile. Forse il suo atteggiamento rigido era solo una maschera, un modo per proteggersi dal mondo.
Eppure, lo aveva visto uccidere senza esitazione un essere verde pallido, dall’aspetto angelico ma dall’animo malvagio. Un ricordo che le provocava ancora un brivido lungo la schiena. Aveva sperato che quell’alieno li salvasse da Vegeta, ma alla fine lui si era rivelato il minore dei mali. Aveva malmenato Gohan, un bambino di appena cinque anni. Eppure, non li aveva uccisi quando ne aveva avuto l’occasione.
Forse, pensò Bulma, in fondo non era del tutto malvagio. Cresciuto nella guerra, immerso nell’odio e nella violenza, Vegeta era il prodotto di un’esistenza senza pace. Era sopravvissuto a un mondo crudele, e i suoi occhi neri sembravano custodire tutte le ombre del suo passato. Ombre che forse nessuna battaglia avrebbe mai potuto dissipare.
Il volo continuò, e Bulma si perse nei racconti di Gohan sui mostri di Freezer e sulle battaglie su Namecc. Pensò a Vegeta, al ragazzo che aveva affrontato tutto questo da solo, senza una casa o una famiglia a cui tornare. E quando la Capsule Corporation apparve all’orizzonte, il cuore di Bulma si riempì di sollievo. Finalmente a casa.
Scese velocemente dall’aereo, facendo strada ai suoi nuovi ospiti. Ma, anche mentre camminava verso la sicurezza delle mura familiari, una parte di lei continuava a interrogarsi sul misterioso Principe dei Saiyan.
“Questa è casa mia. Che ne pensate? Un luogo abbastanza accogliente, eh?” Sorrise e fece segno con le mani di seguirla. Li fece accomodare nel cortile interno, dove un vialetto in pietra bianca conduceva a un ampio spazio pavimentato con lastre di marmo lucido, circondato da aiuole rigogliose piene di fiori dai colori vivaci. Sua madre era già pronta ad accogliere tutti con bevande fresche e pietanze di ogni genere in enormi quantità, come una perfetta padrona di casa. Era sicura che tutti sarebbero stati contenti di stare lì per un po', forse in fondo anche Vegeta.
Si affrettò a entrare in casa per trovare una sistemazione comoda per tutti i suoi ospiti. L’abitazione era davvero imponente: una grande cupola centrale color avorio, incorniciata da pannelli di vetro riflettenti che catturavano la luce del sole, al centro di un immenso giardino esterno curato nei minimi dettagli. Intorno all’edificio principale, altre piccole cupole disposte in cerchio erano collegate tra loro e al nucleo centrale tramite eleganti corridoi a vetrate che offrivano una vista mozzafiato sul verde circostante.
L'edificio principale era composto da tre piani e un seminterrato. L’ingresso si apriva su una reception moderna con pavimenti in marmo nero e pareti adornate da quadri astratti. I corridoi, ampi e luminosi, conducevano agli edifici secondari. In uno di questi c’era una piscina coperta dalle piastrelle turchesi, illuminata da luci soffuse e dotata di grandi vetrate che si affacciavano sul giardino. Accanto, una palestra compatta ma ben attrezzata.
L’atrio centrale ospitava un gigantesco giardino coperto, una vera e propria oasi interna con alberi esotici, una piccola cascata artificiale e un sistema di regolazione climatica progettato dal Dr. Brief. Qui, cani, gatti, piccoli dinosauri erbivori e altri animali convivevano pacificamente. Un corridoio secondario conduceva alla Capsule Room, una stanza futuristica con scaffali metallici ordinati, pieni di capsule di ogni tipo prodotte dalla Capsule Corporation per uso personale.
Al livello 01 si trovava una sala espositiva dall’arredamento minimalista e la Sala del Computer Centrale, accessibile solo con una tessera d'accesso rossa. Poco distante, la security room, con una piccola cella di sicurezza annessa. Una scala e un ascensore portavano al vastissimo seminterrato, dove si estendevano i laboratori di ricerca e l’officina del Dr. Brief e di sua figlia. I laboratori, pieni di macchinari avanzati e banchi da lavoro ordinati, si estendevano per tutto il perimetro della casa. Da un lato, una grande porta automatica con una rampa si apriva sul giardino esterno, facilitando il trasporto di materiali ingombranti.
Il livello 02 comprendeva un ampio ingresso che si affacciava su un gigantesco salone open space, con soffitti alti, ampie vetrate panoramiche e una sala da pranzo decorata con eleganza. Sul lato ovest si trovava una cucina moderna, con elettrodomestici all’avanguardia, un grande tavolo per dieci persone usato quotidianamente, una piccola TV, una comoda poltrona e un divanetto per momenti più informali. Accanto, un bagno spazioso e una lavanderia ben organizzata.
Superata la cucina, un lungo corridoio divideva la casa in due ali distinte. Nella zona Est si trovavano una decina di camere per gli ospiti e la lussuosa camera dei coniugi Brief. Nella zona Ovest, invece, c’erano tre camere da letto, tra cui quella di Bulma. Queste tre stanze condividevano un ampio terrazzo arredato con sdraio per godersi la brezza serale, piccoli tavoli e sedie eleganti in ferro battuto.
Infine, al livello 03 svettavano la Torre Est e la Torre Ovest, due strutture cilindriche con finestre panoramiche che offrivano una vista a 360 gradi sulla proprietà e oltre. Ogni dettaglio della casa rifletteva l'ingegno e l'eleganza della famiglia Brief, un perfetto connubio di tecnologia avanzata e comfort raffinato.
Raggiunse la sua camera, un ampio spazio luminoso con pareti di un azzurro tenue che riflettevano la luce naturale filtrata dalle grandi finestre panoramiche. L’arredamento era moderno ma accogliente: una scrivania ingombra di progetti e dispositivi elettronici, un armadio minimalista e un letto grande coperto da lenzuola candide e morbide coperte. Senza perdere tempo, si tolse i vestiti impolverati e si concesse una doccia veloce. L’acqua calda scivolava sulla pelle, lavando via la stanchezza accumulata. Dopo essersi asciugata, indossò abiti freschi e comodi: un paio di shorts e una maglietta leggera.
Scese di corsa le scale, attratta dall’odore invitante del cibo che proveniva dal giardino. Aveva una fame da lupi, e non riusciva a ricordare quante ore fossero passate dall’ultimo pasto. Una volta raggiunti gli ospiti, si servì rapidamente e iniziò a mangiare con gusto, sentendo l’energia tornare a poco a poco.
Mentre assaporava il cibo, si avvicinò a suo padre e al capo Moori, ora leader dei saggi namecciani. Voleva capire le necessità del loro popolo. Fortunatamente, i namecciani non avevano richieste particolari: bastava loro acqua fresca e sedie per riposare. Erano un popolo semplice, molto diverso dagli umani. Il Dr. Brief suggerì di sistemarli nei piccoli edifici esterni, una soluzione che sembrava perfetta visto che erano solo una settantina. Bulma acconsentì senza esitazioni: era un’ottima idea.
Ora rimaneva solo da occuparsi di Vegeta. Lo cercò con lo sguardo e lo trovò facilmente: era seduto sotto un albero, un mucchio di cibo davanti a sé. Sorrise nel vederlo mangiare con così tanto entusiasmo. Era proprio un mangione, esattamente come Goku. Aveva già imparato che l’appetito insaziabile era una delle caratteristiche tipiche dei Saiyan. Si avvicinò a lui in punta di piedi, ma il principe dei Saiyan percepì subito la sua presenza. Non solo grazie alla capacità di rilevare le auree, ma anche per il suo olfatto straordinariamente sviluppato, che identificava facilmente l’inconfondibile profumo di Bulma, distinto da migliaia di altri odori.
“Cosa vuoi?” borbottò Vegeta con la bocca piena, senza degnarla di uno sguardo.
“Non ti ha mai detto nessuno che non si parla con la bocca piena? Sei proprio maleducato, sai?” rispose lei d’istinto, pentendosene subito. Ma, dopotutto, non voleva mostrarsi debole. Essere diretta faceva parte del suo carattere.
“E tu, donna, parli troppo. Lasciami in pace,” replicò lui, continuando a divorare il cibo. Bulma, però, ignorò la richiesta e si piazzò di fronte a lui. Questa volta Vegeta fu costretto a guardarla. I suoi occhi si soffermarono sulle gambe lunghe e slanciate, salendo lentamente fino al viso. Arrossì lievemente. ‘Perché diavolo è così poco vestita?’ pensò, distogliendo rapidamente lo sguardo.
“Tanto per cominciare, il mio nome è Bulma, razza di troglodita spaziale,” sbottò lei. Poi, con un sospiro profondo per placare l’irritazione, continuò: “Aspetterò finché non avrai finito. Immagino tu preferisca stare lontano dai namecciani, quindi ho pensato di assegnarti una zona separata della casa. Ti darò una stanza tutta per te, con bagno privato. Poi andrò a comprarti qualche cosa, biancheria e altre necessità.”
Vegeta rispose solo con un secco “Tsk.”
“Va bene, ho capito. Sei di poche parole, diffidente e non conosci la gratitudine.”
Quella ragazza lo lasciava perplesso. Pochi osavano parlargli in modo così diretto e senza timore. Perché mai questa fastidiosa terrestre si interessava a lui? E perché si prendeva la briga di occuparsi delle sue necessità? La fissò, sbattendo le palpebre, confuso.
“Sei un principe, no? Non vuoi essere trattato come tale?” lo provocò lei, sorridendo con malizia. Vegeta arrossì di nuovo, impercettibilmente, e ribatté con tono duro:
“Donna, cosa c’è da sorridere? Smettila! Sei fastidiosa. Se pensi che tutte queste carinerie mi faranno cambiare idea su questo insignificante pianeta, ti sbaglia di grosso. Sarete i primi a sparire appena Kakarot tornerà dal mondo dei morti.”
“Oh no, sua maestà, non è certo questo il mio intento,” rispose Bulma sarcastica, inchinandosi teatralmente. “Per ora dovrai restare qui come tutti noi, e non mi piace essere una cattiva padrona di casa. Ti voglio solo rendere la permanenza più confortevole.” Disse queste parole con un tono dolce e accattivante, battendo le ciglia con disinvoltura.
Vegeta si alzò, ancora infastidito, ma la seguì mentre lei gli mostrava le varie stanze della casa. Scese con lei nei laboratori sotterranei, ascoltando distrattamente le spiegazioni su invenzioni e ricerche scientifiche. Scoprì così che Bulma non era solo una ragazza capricciosa, ma una scienziata brillante. Giunti all’ala ovest, lei gli mostrò la sua camera, proprio accanto alla sua. Un bagno privato, un letto confortevole e tutte le comodità di cui avrebbe potuto avere bisogno.
“Qualcuno si occuperà delle pulizie, quindi non preoccuparti,” concluse Bulma con un sorriso gentile. Poi lo salutò, promettendo di tornare presto con alcune cose utili.
Vegeta rimase lì, in piedi, riflettendo. Forse, pensò, questa situazione poteva offrire qualche vantaggio. Bulma, nel frattempo, sapeva di aver trovato un modo per affrontarlo. Era intelligente e aveva già capito come gestire il suo carattere. Solo Vegeta non aveva ancora compreso che la sua avversaria più temibile non era un guerriero, ma proprio lei.