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Autore: Ema_puffetta    15/03/2025    0 recensioni
Fabrizio ha 37 anni, ha una personalità molto complessa e complicata. La sua infanzia e la sua adolescenza non sono state facile, ecosì ha dciso di chiudersi in camera con le sue chitarre le uniche che lo hanno sempre capito. All'età di venti anni ha iniziato la sua carriera musicale, diventando famoso in tutta Italia. Dopo il suo ultimo concrto a Milano decide di prendersi una pausa da tutto e si trasferisce a New York. Dopo cinque anni lontano da tutto,Fabrizio sente di nuvo l'esigenza di tornare a suonare ma qualcosa lo blocca. Non si fida più di nessuno, neanche dell sua attuale ragazza. Un giorno decide di fare un biglietto per la sua milano e tornare di nuovo a casa. Ma proprio la sua Milano gli farà incontrare una ragazza che non riuscirà più a togliersi dalla testa. La vita cambia di colpo...di nuovo!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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New York una città di contrasto proprio come me. Ricchezza assoluta, dolore nascosto. Sorrisi finiti, sguardi persi. Anch’io sono un contrasto vivente: un uomo di successo ma tormentato. Un’anima distrutta che cerca riparo nella musica, lontano da sguardi di mille teste, che ti osservano, ma non ti conoscono. Giudicano ma non sanno, vedono ma non percepiscono. Sguardi persi che mi attraversano come se fossi trasparente, per poi fare centro sul bersaglio. Il mio mondo interiore però gli rimane sconosciuto. Giudicano con una facilità disarmante, come se le parole fossero prive di peso e di forma. Le lanciano addosso con una violenza inaudita, non capendo che la lingua non ha le ossa ma le rompe la maggior parte delle volte. Le parole feriscono lasciandosi dietro scie di sangue, dove il rosso vivo ha il sapore delle lacrime nascoste. La notte un misterioso silenzio ovattato che avvolge tutta la città, poche luci, qualche macchina che passa di rado. Un’atmosfera surreale e opposta a quella del giorno se vogliamo; caotica; frastornata e abbagliante.
Fuori è notte, ma dentro di me è giorno. Il silenzio esterno è interrotto dal mio caos interiore, un tornado di pensieri che mi impedisce di dormire. Mille ricordi danzano nella mia testa, fino a farmi salire un mal di testa lancinante. Sento che sto sul punto di esplodere come se fossi un vulcano: una lava di rabbia che si espande e distrugge qualsiasi cosa che ho intorno. Le parole sono un’arma a doppio taglio, ma per fortuna ho imparato a non farmi intimidire da esse. Non mi fanno paura, ho subito molto peggio. Vorrei dirlo con la musica, vorrei poter tornare a gridare la verità in faccia alle persone, ma non in modo cattivo. semplicemente con la mia voce e la mia musica, non riesco più a farlo. Il rumore dentro di me è assordante, ricordi, pensieri, paure, li porto sempre dietro come un alettone. Ma non mi fermo, vado avanti. Navigare nel passato è come restare immobile, intrappolato in un labirinto senza via d’uscita. La vita va vissuta nonostante tutto e io devo tornare a riprendermi la mia. New York una città che non dorme mai, anche in questo mi assomiglia. Le luci illuminano le strade, i pochi locali ancora aperti mi fanno compagnia in questa notte tetra.
Mentre cammino incontro una prostituta che sta seduta su una panchina. Il suo volto è segnato dalla solitudine, dalla fatica ma soprattutto dalla vita. Mi chiedo come sia arrivata a fare questo, cosa l’ha condotta a fare questo stile di vita. Capisco anche di essere uno dei pochi a chiederselo, c’è tanta indifferenza e menefreghismo intorno a noi…nessuno si chiede il perché di questa scelta, ma tutti si fermano a guardarla male e con disprezzo. Un rifiuto umano, una prostituta senza dignità questo vedono, e io mi sento estraneo rispetto a questi esseri umani. Vedo una ragazza ancora giovane, il non avere nulla, mi chiedo come gli altri fanno a non domandarselo. Vedo la durezza della vita, il destino beffardo e mi chiedo come la gente fa a schifarla, io vedo solo una ragazza che forse ha bisogno di aiuto, non vedo altro.
Sono un’anima persa, senza un punto di riferimento e un posto dove andare. Ma so che devo andare avanti, devo trovare un senso a tutto, devo farlo ancora una volta, devo dare valore al mio dolore, al mio vissuto altrimenti sarà stato tutto vano viverlo. Mi torna in mente un ricordo. Ero giovane, pieno di sogni e speranze, volevo cambiare la società con la mia musica, volevo raccontare la mia storia con la mia voce, ma poi la vita mi ha messo davanti a delle sfide, dei traumi e delle perdite. Mi sono chiuso in me stesso, ho costruito un muro intorno al mio cuore. Ho capito ad un certo punto che la società non sarebbe cambiata e che non ho questi superpoteri e neanche la musica può farci nulla. Le persone non cambiano, si adeguano per piacere al prossimo, non cambiano!
Mentre il sole inizia a sorgere e io mi dirigo verso casa, una nuova consapevolezza si fa strada. Devo smetterla di fuggire al passato, devo affrontare i miei demoni una volta e per tutte. Devo accettare il mio dolore solo così diventerò davvero libero. Il cellulare inizia a squillare e io già sento la mia rabbia fuoriuscire. Non ho voglia di sentire nessuno, è il mio giorno libero e non riesco a capire il perché non mi lasciano stare.
«Pronto!»
Il mio tono di voce è abbastanza infastidito.
«Ciao Fabrizio, scusami che ti disturbo, lo so che è il tuo giorno libero, ma riusciresti a coprirmi un turno stamattina? Kevin si è messo in malattia e io non so proprio come fare»
L’ultima voce che volevo sentire adesso era proprio questa: il mio coordinatore.
«Se non sai proprio come fare…va bene»
Faccio un respiro profondo cercando di mantenere la calma.
«Grazie, mi hai salvato, menomale che ci sei tu»
«Ci vediamo tra poco»
Interrompo la conversazione e metto fine a quella sua sviolinata. Ho accettato di andare, solo esclusivamente per un motivo, se stavo a casa sarebbe stato peggio, ho bisogno di distrarmi. Forse lavorare mi aiuta a liberare la testa. Un altro ricordo si fa spazio dentro di me.
Ero alle superiori, avevo più o meno 16/17 anni. I bulli della scuola mi aspettavano davanti la porta della classe come ogni mattina. Non volevo entrare, avevo paura ma so che sarebbe stato inutile. Mi avrebbero comunque trovato e picchiato più forte.
«Eccolo qui il pazzo, ragazzi ma quanto fa schifo stamattina con questa felpa?»
«Povero sfigato, fa schifo come la musica che suona?»
Le loro risate volteggiano nella mia testa come una ballerina di danza classica che fa le piroette. Le parole mi facevano male quanto gli schiaffi. Pugni nello stomaco, e calci come caramelle, uno tira l’altro.
Mi rimetto in piedi, fortunatamente illeso. Le costole doloranti, il labbro sanguinante e gli occhi gonfi.
Ciò che non uccide, fortifica “dicevano”.
 Apro la porta della mia camera, e l’unica amica che avevo era la chitarra.
Buttavo tutta la mia rabbia li, è stata sempre la mia medicina. Ma adesso tutto è cambiato, anche questo. Non riesco più a fare l’unica cosa che mi fa stare realmente bene ed è la cosa che mi uccide di più. Apro la porta dello spogliatoio e mi cambio più svogliatamente del solito.
«Ciao Fabrizio, cosa ci fai qui? Tu non eri libero?»
«Se sono qui evidentemente no»
Il mio tono di voce è acido, ma non è colpa mia se non sopporto le persone stupide.
«Scommetto che manca qualcuno»
La voce di Elisabeth è acuta e già questo mi infastidisce parecchio.
«Purtroppo si. Altrimenti io non ero neanche qui»
Capitan ovvio penso e involontariamente alzo gli occhi al cielo. È una cosa che non mi piace fare, lo trovo scortese ma anche la mia pazienza ha un limite, ma la cosa che mi preoccupa di più e che sono appena entrato.
«Scommetto che è Kevin che manca vero? Ultimamente sono più le volte che manca e non quelle che lavora»
Fa un sorrisetto compiaciuto.
«Avrà le sue ragioni per assentarsi»
 
Non ho voglia di fare conversazione, né tanto meno fare gossip sui colleghi non mi piace.
 Il gossip l’ho sempre evitato; Per un secondo la mia testa torna allo stadio San Siro di Milano.
Ci avevano inviato una band molto famosa per fare una collaborazione e decidemmo di accettare. Dietro quelle quinte però, ne ho sentite davvero di tutti i colori. Persone che appena giravi l’angolo, iniziavano a pugnalarti alle spalle.
Persone false; prima di diventare famoso, vivevo in provincia, dove io ero lo sfigato del paese. Quando sono diventato famoso avevo già il muro alzato: e avevo ragione. Il mondo della musica purtroppo non è un bel ambiente, le persone fanno schifo, e appena hanno la possibilità di schiacciarti lo fanno. A loro interessa che vendi, porti persone ai concerti e per loro va tutto bene. Ma non hanno mai visto l’altra faccia della medaglia; dove basta un attimo per rimanere intrappolati.
Ufficialmente sono sotto ancora etichetta discografica, anche se da un po’ di anni ho deciso di cambiare professione. E questo forse mi sta aiutando parecchio. O forse no, devo ancora capirlo. Elisabeth mi fa un sorriso smagliate, come se qualcuno le avesse appena regalato un diamante, e con passo sostenuto si dirige nel corridoio del suo reparto. Faccio un respiro di sollievo per essere uscito da quella conversazione inutile a mio avviso, e faccio la stessa cosa sua.
«Fabrizio caro, mi avevano detto che oggi era libero»
La voce delicata e gentile di Rosy mi fa tornare al presente.
«Effettivamente dovevo esserlo, ma sfortunatamente un collega si è ammalato ed eccomi qui»
«Almeno siamo in buone mani»
Quelle parole mi arrivano dritte allo stomaco. Non è possibile che qualcuno si fida di me. Neanche la mia attuale ragazza, se così la posso chiamare si fida realmente di me.
«Hai un’aria stanca, è sicuro che sta bene? Mi scusi se mi permetto ha un volto provato»
Rosy abbassa lo sguardo sulla flebo che le sto cambiando. Alzo lo sguardo e i suoi occhi scuri come la pece, si mischiano con il mio nocciola. Nonostante è lei quella in un letto di ospedale, chiede a me come sto quando in realtà dovrei farlo io. Per un attimo mi sento uno schifo per non averlo fatto prima. Nonostante tutto io sono ancora in piedi, e devo restarci in qualche modo se voglio continuare ad aiutare queste povere persone.
«Puoi tranquillamente darmi del tu, io sono esattamente come te, siamo tutti uguali.»
Cerco di distrarla un attimo, dato che le sto per fare l’ennesima siringa della giornata.
«Sto bene grazie per avermelo chiesto. È solo un po’ di stanchezza dovuta al lavoro, turni un po’ difficili ma tutto sommato stiamo ancora in piedi»
 Mento spudoratamente. Per fortuna che sono molto bravo a recitare. È da quando ero piccolo che lo faccio. A casa soprattutto, ma anche fuori. Poi ho rinforzato la tecnica quando mi invitavano in televisione: li dovevi fare tutto ciò che ti dicevano, altrimenti partiva la censura e non ti avrebbe più chiamato nessuno. Questo comportava niente più pubblicità al disco, ma anche macchiare l’immagine dell’etichetta discografica. Uno dei tanti motivi per cui avevo bisogno di prendermi una pausa. Dovevo stare lontano dai riflettori, anche se in realtà non ci sono mai stato seriamente.
«Spero sia solo per quello, fin quando sono qui, vorrei continuare a farmi curare da te. Sei sempre così gentile e disponibile con tutti, soprattutto con me che quando sto male sono fastidiosa lo ammetto, e non ti ho mai sentito lamentarti per questo, mi hai sempre aiutata»
«Male che va divento io il paziente e mi curi tu, e credimi io come paziente sono un disastro, perché tutto sono fuorché paziente»
Rosy inizia a ridere a crepapelle, tanto che la sua risata si espande per tutta la stanza. La guardo con un pizzico di ammirazione, io non riesco a ridere così da non so più quanto tempo ormai. Avrò anche dimenticato il suono della mia risata. Ma sono felice che almeno riesco a strappare un sorriso a chi ne ha realmente bisogno.
«Non ci credo che non hai pazienza, altrimenti non potevi fare questo mestiere»
Cerca di riprendere fiato. Si mette una mano sulla pancia, come se avesse dolore, forse è stato lo sforzo che ha fatto per ridere.
«Sono un pessimo paziente invece, ma spero che almeno sono un bravo infermiere. Io ci provo ad esserlo poi questo dovete dirmelo voi»
Il mio tono di voce è molto meno acido di prima, e la mia rabbia sembra essersi calmata almeno per il momento.
«Se non eri bravo di certo non mi facevo toccare. Sei molto delicato e soprattutto la cosa più importante, e che quando mi fai le siringhe non sento dolore. Non ho paura degli aghi però mi mettono un po’ d’ansia»
«Posso capirti. Anche io da piccolo avevo paura degli aghi ma poi mi è passata e per fortuna, altrimenti non avrei mai potuto fare questo mestiere»
Sorride di nuovo, e con lei anche i suoi occhi. Mi piacciono i dettagli, magari cose che non nota nessuno, o cose a cui non fanno caso. Ma sono proprio quelli a fare la differenza. A volte si ride è vero, ma lo si fa con le labbra e con la voce, ma raramente lo si fa davvero.
«Hai una bella voce lo sai? Dovresti fare il cantante»
Ecco un’altra cosa che mi piace da quando sono andato via da Milano: Nessuno sa chi sono realmente. Per loro sono un ragazzo che ha studiato e che è diventato infermiere, un comune mortale. Mentre a Milano dovevo nascondermi anche per andare a fare la spesa. Amo New York proprio per questo. Qui sono un perfetto sconosciuto.
«Grazie me lo dicono in molti. Ma non ho mai avuto un bel rapporto con la mia voce, a me non piace ad essere sincero. Preferisco fare l’infermiere piuttosto che il cantante»
Mento spudoratamente di nuovo. Da una parte è vero, non ho un buon rapporto con la mia voce, troppo bassa e profonda, devo sforzarmi per parlare altrimenti non mi sente nessuno. Mi piace più scrivere testi e fare musica che cantare, ma devo ammettere che mi divertiva farlo.
«Per oggi qui ho finito, Spero che stanotte riuscirai a dormire, ti ho fatto un anti dolorifico. Mi raccomando non mollare mai, e tieniti stretto il tu sorriso»
«Quello non me lo toglierà mai nessuno non ti preoccupare, dovresti sorridere anche tu però. Non ti h mai visto farlo in un mese che sono qui»
Mi dispiace ma continuerai a non vederlo. Non so neanche se sono ancora in grado di sorridere. Alzo leggermente il labbro superiore, e le stringo affettuosamente la spalla prima di andare via. Lei si che è una guerriera, io invece devo ancora capire chi sono realmente. Con passo svelto mi dirigo dal prossimo paziente. Lavorare sicuramente mi ha fatto bene, ma adesso non vedo l’ora di finire il turno, quindi prima finisco le visite e prima torno a casa, salvo emergenze naturalmente. La macchina infernale che tutti comunemente chiamano cellulare mi avvisa che mi è arrivato un messaggio. Io e la tecnologia non siamo mai andati d’accordo. Vedo i miei colleghi navigare su internet, Facebook, Instagram, selfi e storie continuamente, mentre io se rispondo ai messaggi già è un miracolo. Non amo mettermi in mostra, nonostante in Italia mi conoscono tutti, sono sempre una persona riservata. Non amo mostrare la mia vita privata su un social, lo dice la parola stessa è privata. Ho imparato a distinguere il personaggio pubblico da quello che sono realmente. Io i social li uso solo per scopi lavorativi, magari per pubblicizzare un disco, o quando escono le date del tour, degli eventi, ma non mi sono mai sognato di pubblicare una mia foto privata. Meno mi si vede sui social è meglio è.
 
Da: Violet
Tesoro dato che hai il giorno libero e io ho quasi finito di lavorare, che ne dici se mi passi a prendere e andiamo a pranzo fuori? Ho voglia di stare un po’ con te stasera.
Faccio un respiro profondo prima di rispondere. Conosco Violet, anche se sono solo qualche mese che ci frequentiamo o stiamo insieme, non ho ancora ben capito la cosa ad essere sincero, e se gli dico che mi sono dimenticato di avvisarla che mi è saltato il giorno libero sicuramente si arrabbia, e io non lo ma minima voglia di litigare.
A Violet:
Buongiorno, si potrebbe fare l’unico problema e che cinque minuti fa mi ha chiamato il coordinatore e sto andando a coprire un turno, un mio collega si è messo in malattia e non sapevano come fare. Possiamo spostare l’uscita a cena? Grazie
Digito velocemente quelle parole, e tra una visita e l’altra aspetto una sua risposta.
  
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