La casa di Magenta
Con lei la vita era stata crudele. Oggi doveva salutare la sua casa. Quella che era stata dei suoi antenati.
Rivolse un ultimo sguardo alla carta da parati, lucida e chiara, ai quadri di velieri che sfidavano tempeste e di ballerine adorne di nastrini azzurri.
Sospirò. I quadri parlavano della loro famiglia. Di quella che avevano costruito e che ora poteva dirsi distrutta.
Chiamò a sé i ricordi che aleggiavano. Nel silenzio del suo cuore li sentiva come se l’abbracciassero. Erano i fieri normanni che scorrevano nel suo sangue, misteriosi druidi da linee di discendenza lontane, sapienti maniscalchi che avevano arricchito il ramo di suo marito, ora lontano, segnato troppo presto da un fato beffardo.
Dolce casa. «Veglia sull’amore al posto mio»
Sapeva che non sarebbe tornata. Ne aveva il presagio.
Non era un favola la sua.
Voltò le spalle, chiudendo la porta d’ingresso dietro di sé.
La casa la salutò con il suo silenzio, mentre lei di spalle lasciava il giardino senza guardarsi indietro. Era un addio.
E la casa mutò. Negli anni i balconi si scardinarono, le rampicanti presero a salire in una ragnatela lungo i muri, fino al tetto, a spegnere camini ormai senza fumo. Mesi e poi anni la videro decadere nella trascuratezza. Qualche volta divenne rifugio di sbandati, altre volte meta dell’esplorazione dei bambini che giocavano a fare gli eroi.
Poi un giorno… due ragazzi varcarono la sua soglia, timidamente, chiedendo il permesso.
Nessuno rispose.
Si guardarono in giro. Avevano un’aria sperduta e gli occhi al soffitto, ai lampadari anneriti, alla scala che saliva in un arco al secondo piano.
«Non siamo al sicuro», disse lui, mentre lei seguiva gli spazi che tenevano la memoria dei quadri, rubati negli anni. Non c’erano più ballerine, né velieri che sfidavano tempeste.
«Solo pochi istanti», confidò lei. «Ho bisogno di riposare». Il cuore le batteva feroce nel petto dopo la fuga che li vedeva assieme.
Uno spiffero di vento faceva da altalena ad un brandello di tenda.
«Mette i brividi». Lui si strofinò le braccia. Nell’ambiente vuoto ogni rumore era amplificato: il loro respiro, ogni cigolio, ogni squittio.
«Andiamo», la esortò invitandola con la mano. Non era il nascondiglio che cercavano.
Lei annuì ma in quel momento capirono di esser perduti. Chi li inseguiva li aveva raggiunti.
I passi procedettero veloci ,tanto che la porta fu aperta di colpo e le pistole puntate su di loro.
D’istinto si abbracciarono chiudendo gli occhi e pregando di raggiungere nell’altra vita l’amore che in questa gli era negato.
All’augurio di addio feroce che gli rivolsero contro, lei aprì gli occhi.
Si portò davanti all’uomo che amava per fargli scudo, guardando diritta e fiera il destino che accettava.
Lo amo.
Tra lei e i malvagi che gli avevano ormai vinti vide l’aria vibrare e definire un contorno fatuo. Una figura sottile sembrò delinearsi e intimarle il silenzio in un gesto. Lo sguardo poteva dirsi di un giovane vestito di un mantello che ne ricopriva il capo fino ai piedi. Un druido.
Si sentì protetta, come se una cascata di calore l’avvolgesse e la tenesse al sicuro.
«Viaaaaa!!!». Un grido riempì l’aria. «Viaaaaa!!!». L’aria si fece impietosa, come se le scale fossero lo sbocco di un canalone.
Dal buoi… passi. Pesanti. Passi.
Un grido di battaglia, la fece trasalire. Le sue orecchie saltarono tanto che portò le mani a tapparle, mentre un guerriero normanno in armatura foderava una spada in sua difesa.
Colpi di pistola furono sparati all’impazzata verso il guerriero che sembrava non rendersene conto mentre avanzava a colpire, lui sì ferendo e tranciando arti, mentre parlava in una lingua antica che lei non conosceva.
Lei si strinse al suo amore e lui a lei.
Non credevano ai loro occhi. Non capivano se essere spaventati, grati o inorriditi da ciò che si stava compiendo dinnanzi ai loro occhi.
«Andate», consigliò il druido. Parlò nella loro lingua come se fosse stata la sua. Il suo viso giovane. Gli occhi grigi comandavano.
Loro approvarono con il capo senza aggiungere richieste di spiegazioni.
Il guerriero li guardò, solido come un gigante, indicando la porta oltre gli uomini a terra. Li salutò con un cenno.
Ora erano liberi.
Con lei la vita era stata crudele. Oggi doveva salutare la sua casa. Quella che era stata dei suoi antenati.
Rivolse un ultimo sguardo alla carta da parati, lucida e chiara, ai quadri di velieri che sfidavano tempeste e di ballerine adorne di nastrini azzurri.
Sospirò. I quadri parlavano della loro famiglia. Di quella che avevano costruito e che ora poteva dirsi distrutta.
Chiamò a sé i ricordi che aleggiavano. Nel silenzio del suo cuore li sentiva come se l’abbracciassero. Erano i fieri normanni che scorrevano nel suo sangue, misteriosi druidi da linee di discendenza lontane, sapienti maniscalchi che avevano arricchito il ramo di suo marito, ora lontano, segnato troppo presto da un fato beffardo.
Dolce casa. «Veglia sull’amore al posto mio»
Sapeva che non sarebbe tornata. Ne aveva il presagio.
Non era un favola la sua.
Voltò le spalle, chiudendo la porta d’ingresso dietro di sé.
La casa la salutò con il suo silenzio, mentre lei di spalle lasciava il giardino senza guardarsi indietro. Era un addio.
E la casa mutò. Negli anni i balconi si scardinarono, le rampicanti presero a salire in una ragnatela lungo i muri, fino al tetto, a spegnere camini ormai senza fumo. Mesi e poi anni la videro decadere nella trascuratezza. Qualche volta divenne rifugio di sbandati, altre volte meta dell’esplorazione dei bambini che giocavano a fare gli eroi.
Poi un giorno… due ragazzi varcarono la sua soglia, timidamente, chiedendo il permesso.
Nessuno rispose.
Si guardarono in giro. Avevano un’aria sperduta e gli occhi al soffitto, ai lampadari anneriti, alla scala che saliva in un arco al secondo piano.
«Non siamo al sicuro», disse lui, mentre lei seguiva gli spazi che tenevano la memoria dei quadri, rubati negli anni. Non c’erano più ballerine, né velieri che sfidavano tempeste.
«Solo pochi istanti», confidò lei. «Ho bisogno di riposare». Il cuore le batteva feroce nel petto dopo la fuga che li vedeva assieme.
Uno spiffero di vento faceva da altalena ad un brandello di tenda.
«Mette i brividi». Lui si strofinò le braccia. Nell’ambiente vuoto ogni rumore era amplificato: il loro respiro, ogni cigolio, ogni squittio.
«Andiamo», la esortò invitandola con la mano. Non era il nascondiglio che cercavano.
Lei annuì ma in quel momento capirono di esser perduti. Chi li inseguiva li aveva raggiunti.
I passi procedettero veloci ,tanto che la porta fu aperta di colpo e le pistole puntate su di loro.
D’istinto si abbracciarono chiudendo gli occhi e pregando di raggiungere nell’altra vita l’amore che in questa gli era negato.
All’augurio di addio feroce che gli rivolsero contro, lei aprì gli occhi.
Si portò davanti all’uomo che amava per fargli scudo, guardando diritta e fiera il destino che accettava.
Lo amo.
Tra lei e i malvagi che gli avevano ormai vinti vide l’aria vibrare e definire un contorno fatuo. Una figura sottile sembrò delinearsi e intimarle il silenzio in un gesto. Lo sguardo poteva dirsi di un giovane vestito di un mantello che ne ricopriva il capo fino ai piedi. Un druido.
Si sentì protetta, come se una cascata di calore l’avvolgesse e la tenesse al sicuro.
«Viaaaaa!!!». Un grido riempì l’aria. «Viaaaaa!!!». L’aria si fece impietosa, come se le scale fossero lo sbocco di un canalone.
Dal buoi… passi. Pesanti. Passi.
Un grido di battaglia, la fece trasalire. Le sue orecchie saltarono tanto che portò le mani a tapparle, mentre un guerriero normanno in armatura foderava una spada in sua difesa.
Colpi di pistola furono sparati all’impazzata verso il guerriero che sembrava non rendersene conto mentre avanzava a colpire, lui sì ferendo e tranciando arti, mentre parlava in una lingua antica che lei non conosceva.
Lei si strinse al suo amore e lui a lei.
Non credevano ai loro occhi. Non capivano se essere spaventati, grati o inorriditi da ciò che si stava compiendo dinnanzi ai loro occhi.
«Andate», consigliò il druido. Parlò nella loro lingua come se fosse stata la sua. Il suo viso giovane. Gli occhi grigi comandavano.
Loro approvarono con il capo senza aggiungere richieste di spiegazioni.
Il guerriero li guardò, solido come un gigante, indicando la porta oltre gli uomini a terra. Li salutò con un cenno.
Ora erano liberi.
NdA: avevo semplicemente voglia di scrivere!