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Autore: Namida    14/04/2025    1 recensioni
Eloisa e Marta, studentesse di architettura, trovano lo scheletro di una ragazza in un armadio durante un rilievo.
Sarà proprio Eloisa, insieme al suo amico poliziotto, ad uno scostante antropologo forense e al suo fascinoso tirocinante a tentare di risolvere il caso e dare giustizia alla ragazza assassinata, mentre nel contempo ognuno di loro dovrà destreggiarsi fra relazioni interpersonali più o meno complicate.
Genere: Introspettivo, Noir, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 16 - CHI MERITA DAVVERO L'INFERNO?
 

Quando Eloisa aveva informato Victor di come avrebbe passato quel venerdì sera di metà dicembre, non si sarebbe mai aspettata di ricevere la risposta che lui le comunicò a metà fra l'incredulo e il divertito.

Era il giorno della recita di Natale dei bambini a cui sua madre faceva da catechista e, per farle un piacere, le aveva promesso che avrebbe presenziato anche lei a quello strazio che si sarebbe tenuto nella piccola chiesetta all'interno del seminario. Si era ormai rassegnata a passare da sola quella serata, resistendo alla tentazione di cavarsi gli occhi e strapparsi le orecchie, invece Victor le aveva rivelato –non senza un'immensa sorpresa mista a sollievo– che di quel gruppo di catechismo faceva parte anche la figlia di un suo ex compagno di scuola a cui lui era solito fare da baby sitter. Proprio per questo motivo anche lui era stato invitato –obbligato– dalla bambina ad assistere allo spettacolo; quell'incredibile casualità aveva fatto scoppiare entrambi a ridere, sollevati per il fatto che avrebbero quindi avuto la possibilità di essere ognuno una spalla su cui piangere per l'altro, in quell'ora e mezza che sarebbe pesata come una notte intera.

Un certo timore, tuttavia, si fece strada nella ragazza: a sua madre, seppur impegnata a dirigere i bambini, non sarebbe di certo sfuggita la sua vicinanza con Victor; questo significava che, con tutta probabilità, dopo lo spettacolo non avrebbe fatto che tempestarla di domande. Le voleva un bene immenso, ma sapeva quanto potesse essere invadente certe volte. Scosse la testa, cercando di non pensarci; avrebbe trovato il modo di eludere la sua curiosità.

Eloisa arrivò in chiesa insieme alla madre, circa mezz'ora prima dell'inizio della recita; ovviamente non c'era ancora nessuno, a parte i bambini e don Arturo. Dal momento che si trovava lì, si vide quasi obbligata ad aiutarli a preparare gli ultimi dettagli prima del grande debutto.

- Allora, come procedono le indagini? - mentre curavano insieme l'allestimento davanti all'altare, don Arturo rivolse ad Eloisa un sorriso di sbieco a metà fra l'intenerito e il canzonatorio.

- Non sto indagando... - bofonchiò abbassando lo sguardo in un modo che rese assolutamente palese la sua menzogna. La lieve risata dell'uomo che seguì le sue parole non durò che un paio di secondi; recuperata la serietà, tornò ad ammonirla come l'ultima volta che avevano affrontato l'argomento.

- È pericoloso immischiarsi in questo genere di cose, Eloisa. Te lo avevo già detto.

- Lo so, - sospirò - Ma siamo così vicini... Spero proprio che stasera ci sarà una svolta decisiva.

Quella sera stessa, Sergio si sarebbe presentato alla cena pre-natalizia dell'Ordine di San Michele Arcangelo per interrogare informalmente Ettore Bandini. Eloisa fremeva dalla voglia di sapere cosa sarebbe emerso dal colloquio, anche se era certa che ancora una volta non avrebbe saputo niente da lui e avrebbe quindi dovuto attendere che Victor recuperasse le informazioni dal dottor Ferraguti. Sempre da lui aveva saputo, infatti, che non c'era corrispondenza fra il DNA di Adorni e quello trovato sui vestiti di Chiara; se da una parte nella sua mente aveva già previsto che non potesse essere Adorni il colpevole, dall'altra tuttavia non era davvero sicura nemmeno che quel materiale genetico appartenesse a Bandini. Il suo intuito non le dava pace, anche in quello stesso momento sembrava che qualcosa in lei si stesse agitando per cercare di comunicarle che, di nuovo, c'era qualcosa che stava sfuggendo a tutti. Qualcuno che non stavano considerando.

Don Arturo non rispose, si limitò a guardarla con apprensione per poi tornare a ricontrollare il lavoro che avevano appena portato a termine.

Solo quando il suo sguardo si posò distrattamente sull'orologio appeso a una parete del transetto Eloisa si rese conto che ormai mancavano pochi minuti all'inizio dello spettacolo; era talmente assorta nei propri pensieri da non essersi accorta che nel frattempo la navata centrale si era riempita.

Dopo essersi congedata dal prete e da sua madre, che sarebbe dovuta restare nei pressi del "palcoscenico" –ovvero la zona antistante l'altare–, Eloisa cercò Victor con lo sguardo fra la folla inaspettatamente nutrita. Una volta scorto in lontananza il suo viso, si affrettò nella sua direzione cercando di non dare troppo nell'occhio.

- Pronto allo strazio? - domandò, dopo averlo salutato con un sorriso caloroso ed essersi seduta accanto a lui.

- Sì, se ci sei tu. - stringendole con discrezione la mano, le restituì un sorriso che le fece dimenticare all'istante dove si trovava e perché.

Per tutto il tempo Eloisa non riuscì a concentrarsi su una sola scenetta, nemmeno una singola canzone; in parte perché Victor continuava a farla ridere sparando una battuta dietro l'altra sull'indiscutibile capolavoro al quale stavano assistendo –senza alcuna cattiveria, beninteso–, in parte perché le ultime informazioni ricevute dal ragazzo e da Barbara in merito all'omicidio non smettevano di frullarle in testa. Chiara aveva incontrato una persona la mattina prevista per la partenza e quella persona, presumibilmente vestita in abiti formali, l'aveva uccisa. Sempre se Adorni aveva detto la verità, naturalmente. Quella persona poteva essere Ettore Bandini? C'era la possibilità, ma allo stesso tempo Eloisa si poneva il medesimo quesito che si era posta riguardo Adorni: per quale motivo avrebbe dovuto indossare un abito formale per quell'incontro? Era abbastanza certa che qualunque adolescente all'inizio degli anni Novanta, in una mattina d'estate, avrebbe indossato assai più probabilmente jeans e t-shirt, al limite una camicia, e sicuramente non in fresco lana nero.

E poi c'erano quei micro frammenti di legno di pioppo e faggio. Perché due legni diversi? Forse uno dei due proveniva dall'oggetto in cui era stata rinchiusa e l'altro dal pavimento sul quale poggiava il tappeto? Il faggio è in effetti un materiale utilizzato per la realizzazione dei parquet, anche se non il più comune.

Presa com'era da questi pensieri, quasi non si rese conto della fine dello spettacolo. Dopo aver ritrovato sua madre le comunicò che "per caso" aveva incontrato un "amico" e che quindi sarebbe rimasta fuori con lui. La donna, che con il suo occhio di falco da lontano aveva notato l'affinità tra sua figlia e un ragazzo sconosciuto ma dall'aria gentile, naturalmente si mostrò incuriosita e la reticenza di Eloisa a fornirle informazioni non fece che stuzzicare ulteriormente il suo interesse. Alla fine, dopo aver compreso che non avrebbe ottenuto nulla, le rivolse un sorriso malizioso nell'augurarle buona serata, per poi allontanarsi con i bambini e tornare insieme a loro nella sala adibita a camerino per l'occasione.

Solo Eloisa e Victor erano rimasti nella piccola chiesa, in quel momento avvolta da un silenzio quasi spettrale a confronto con il chiasso gioioso e stonato che fino a poco prima l'aveva invasa. Eloisa si guardò intorno, affascinata da quell'ambiente illuminato solo dalle candele votive che costeggiavano la navata centrale.

- Non sono una fan della religione né di niente che sia ad essa collegato, - la sua voce bassa riecheggiava fra le mura mentre percorreva lentamente la navata sfiorando con la punta delle dita i banchi lignei - Però le chiese hanno qualcosa di davvero speciale, non trovi?

- Devo ammettere che l'atmosfera è interessante... - Victor la seguì prima solo con lo sguardo, poi le si avvicinò fino ad affiancarla, proprio al di sotto della cupola. Lo sguardo della ragazza era rivolto verso l'affresco sopra di loro, quando avvertì una morbida e lieve pressione a metà del collo. Un brivido la scosse interamente, poi un secondo bacio approdò più vicino alla clavicola e nel contempo le forti braccia di Victor l'avevano circondata in una stretta salda ma dolce.

– Victor...! – tentò di riprenderlo, imbarazzata dal fatto di scambiarsi simili effusioni in quel contesto, ma dovette ammettere a se stessa che non aveva la forza né la lucidità mentale di resistergli.

Il ragazzo alzò il viso per incontrare il suo sguardo divenuto languido; il sorriso che gli increspò le labbra la sconvolse dall'interno.

– Dimmi... – mormorò a un paio di centimetri soltanto dal suo viso, consapevole e divertito dall'effetto che stava avendo su di lei. Non udendo una risposta, posò finalmente le labbra sulle sue in un contatto lieve, che via via si intensificò sempre di più, tanto che Eloisa si aggrappò al suo collo con bramosi crescente mentre lui la spingeva contro l'altare.

– Aspetta – ritentò, staccandosi da lui in un improvviso momento di razionalità – Non sarà una cosa un po' troppo blasfema?

– Tu nemmeno sei credente! – rise, per poi tornare a baciarla sul collo, assaggiando avidamente la sua pelle. Un sospiro sfuggì dalla bocca socchiusa della ragazza, mentre si chiedeva se sarebbero andati all'inferno per questo. Proprio mentre iniziava a stringerlo più forte a sé e a pensare che in quel momento non gliene importava niente dell'inferno, Victor si fermò all'improvviso e si staccò bruscamente da lei.

– Che c'è? - domandò disorientata.

– Joey... – iniziò, lo sguardo perso e incredulo ai piedi dell'altare – Questo tappeto...

– Che ha? Se stai pensando che sia di valore ti sbagli, anche io avevo-

– No – scosse la testa – È assolutamente identico a quello che è stato trovato insieme a Chiara!

-

La cena pre-natalizia dell'Ordine di San Michele Arcangelo.

L'evento annuale cui partecipavano tutti i membri dell'Ordine e che, solitamente, si teneva in una magnifica villa neoclassica immersa in un vasto giardino all'inglese perfettamente curato.

In quel contesto l'Ispettore capo Palumbo si sentiva inevitabilmente fuori posto, sebbene per calarsi nell'ambiente si fosse impegnato, per una volta, a vestirsi elegante; diversamente dal dottor Ferraguti, che sembrava vivere ogni momento della sua vita in giacca, camicia e pantaloni formali. Niente cravatta, però: la sensazione di avere qualcosa intorno al collo gli faceva mancare il respiro.

- Stai bene vestito da adulto. - l'osservazione canzonatoria di Dario fu accompagnata da un sorrisetto solo abbozzato, mentre rivolgeva uno sguardo fugace al suo partner.

- Non tutti gli adulti vanno in completo persino a fare la spesa. - replicò restituendogli una smorfia risentita e divertita allo stesso tempo. - Piuttosto, occupiamoci del motivo per cui siamo qui.

Dario annuì, senza perdere quell'accenno di sorriso mentre cercava con lo sguardo il volto del sospettato.

- Direi di chiedere a qualcuno; c'è decisamente troppa gente, qui.

Sergio, allora, iniziò a fare domande finché un signore di mezza età dall'aspetto distinto e l'aria sorpresa non seppe indicargli precisamente il tavolo a cui avrebbero trovato la persona che stavano cercando.

- Signor Ettore Bandini? - domandò, rivolgendosi a un uomo dalla stempiatura incipiente che gli rivolse uno sguardo diffidente e accigliato.

- Sì?

- Ispettore capo Palumbo, lui è il dottor Ferraguti, antropologo forense. Dovremmo farle qualche domanda.

- Adesso? - il fastidio nella sua voce si acuì - E per quale motivo, scusi?

- Ci segua, per favore. - tagliò corto Sergio - Non la stiamo arrestando, abbiamo solo bisogno di scambiare due parole con lei. Ci metteremo poco, glielo assicuro.

L'uomo, seppur visibilmente confuso e stizzito, si levò dalla sedia e li seguì in un'area decisamente meno affollata della villa, all'interno di una stanza deserta.

- Allora, - esordì Bandini, già spazientito - Che cosa volete da me?

Sia Sergio che Dario lo stavano fissando impassibili e concentrati, nella speranza di cogliere qualche segno di nervosismo, ma tutto ciò che quella persona comunicava era il mero fastidio di aver dovuto interrompere la sua cena di gala.

– Che tipo di rapporto aveva con Chiara Fornari? - domandò Sergio a bruciapelo.

– Chi? – Bandini inarcò un sopracciglio con aria confusa.

– La ragazza uccisa ventidue anni fa e ritrovata di recente all'interno di una villa di proprietà dell'Ordine di San Michele Arcangelo. - specificò il dottore, freddo - Sappiamo che frequentavate lo stesso gruppo post-cresima.

– Ah... Certo, ora me la ricordo. – il sorriso che gli piegò le labbra non aveva nulla di divertito – Sembrava una principessa delle favole... Fin troppo buona e ingenua per essere vera.

L'ultima frase gli uscì accompagnata da una smorfia velata di disprezzo.

– Lei non le piaceva molto, vero? - la deduzione di Sergio, sebbene pronunciata con il suo caratteristico tono tranquillo, fu accompagnata da uno sguardo penetrante.

– Non eravamo amici, se è questo che intende.

– Ha incontrato Chiara Fornari la mattina del 15 luglio 1991? - Dario non aveva voglia di perdere tempo e lanciò quella domanda forse in maniera troppo precipitosa.

– Si parla di più di vent'anni fa! – sbottò – Comunque perché avrei dovuto? Vi ho appena detto che io e lei non eravamo amici. Frequentavamo solo lo stesso gruppo post-cresima.

Dalle labbra dell'ispettore capo sfuggì un flebile sospiro; in effetti era altamente improbabile che ricordasse qualcosa del genere e, se anche fosse stato così, perché avrebbe dovuto ammetterlo se ciò avrebbe potuto metterlo nei guai con la giustizia?

– Signor Bandini, non ci girerò intorno: sappiamo che suo zio Arnaldo approfittava dei ritiri che organizzava per i ragazzini del catechismo e del post-cresima per abusare di loro e che Chiara lo aveva scoperto.

Sergio era partito in quarta nonostante non avesse affatto la certezza che quelle voci fossero vere; aveva pensato, tuttavia, che quella questione si incastrasse fin troppo bene nel caso dell'omicidio di Chiara perché non ci fosse almeno un fondamento di verità, per questo motivo decise di parlare in quel modo a Bandini nel tentativo di metterlo con le spalle al muro e farlo confessare più velocemente.

– E questo cosa ha a che fare con me?

Sia Sergio che Ferraguti rimasero sorpresi dal fatto che non avesse nemmeno provato a negarlo e avesse, anzi, parlato con un tono neutro. Si scambiarono uno sguardo sottilmente interrogativo, poi l'Ispettore capo prese di nuovo la parola.

– La vostra famiglia gode di un certo prestigio. Se si fosse venuto a sapere delle malefatte di suo zio, tutti quanti ne avreste risentito.

– Siete completamente fuori strada. - Bandini scosse la testa, le braccia conserte e una smorfia sprezzante a piegargli le labbra.

– Allora perché ha litigato con Chiara a proposito di questa faccenda? Vorrebbe farci credere che non la preoccupava il fatto che che lei potesse rivelare quanto aveva scoperto? – fu il dottore, questa volta, a interrogarlo.

– È vero, abbiamo litigato – ammise – Ma solo perché non potevo credere che quello che mi stava raccontando fosse vero. Le ho detto che non era possibile, l'ho accusata di inventarsi le cose e di avere le allucinazioni. Non ero preoccupato che ne parlasse con qualcuno perché sapevo che, in ogni caso, nessuno avrebbe mai creduto a una calunnia simile e sono rimasto convinto dell'integrità di mio zio. Finché...

S'interruppe, d'un tratto, abbassando lo sguardo di lato. Aveva un'aria colpevole, ma il suo stato d'animo non sembrava avere a che fare strettamente con Chiara.

– Finché...? – incalzò Ferraguti, trafiggendolo con uno sguardo penetrante.

– ...Finché non è stato il fratellino del mio migliore amico a rimanerne vittima.

Calò un breve silenzio nella stanza, che servì a far depositare quanto appena detto da Bandini nella mente di Sergio e Dario.

– Quando l'ho saputo – continuò, aggrottando la fronte con risentimento – Non ho più potuto fare finta di niente. Mi sono sentito così tanto in colpa per non aver dato retta a Chiara... Ma ormai era troppo tardi.

Gli occhi di Sergio si addolcirono senza che se ne accorgesse; di sicuro per quell'uomo non doveva essere stato facile convivere con il rimorso di non essere riuscito ad evitare che un bambino, per di più di sua conoscenza, subisse un abuso, pur avendone avuto l'occasione.

- Volevo denunciarlo, quel pezzo di merda, testimoniare contro di lui - il suo sguardo rammaricato era lucido di lacrime rabbiose e cariche di sensi di colpa - Ma mio padre me lo impedì. Poi, fortunatamente, pochi anni dopo mio zio ha fatto una brutta fine e se non altro non ha più potuto fare del male a nessuno.

La fredda quiete che aveva avvolto ancora una volta la stanza venne infranta dall'Ispettore capo, che non poteva comunque smettere di considerare Ettore Bandini un sospettato.

- Quindi quello è stato l'unico litigio che abbia mai avuto con Chiara? Non l'ha più vista da allora?

L'uomo annuì, inespressivo; subito dopo, però, un guizzo animò il suo sguardo che puntò immediatamente in direzione degli altri due. Sembrava aver ricordato tutt'a un tratto qualcosa di molto importante.

– Comunque mio zio non era l'unico schifoso, in quell'ambiente.

– Cosa sta cercando di dirci? - gli occhi di Dario si assottigliarono lievemente mentre pronunciava quelle parole quasi in un sibilo.

– Se fossi in voi, farei una chiacchierata con l'uomo che gestiva il gruppo post-cresima. Ai tempi era un seminarista, ma adesso a quanto ne so è il parroco di una piccola frazione poco al di fuori del centro città. Si chiama Arturo Rambaldi.

 

  
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