16 marzo
«Ehi, coglione! C'è una corrente da ottomila volt che passa in quei fili!» gridò Alex al ragazzo.
«Però a soli centoventi Ampère, lo so, è lo standard per le recinzioni anti-uomo» rispose quello, senza voltarsi.
«Come lo sai?»
«Arrivo da un posto dove questo tipo di informazioni possono salvarti la vita.»
Saliva e scendeva per portare sulla cima della piramide sacchi di spazzatura presi dai cassonetti vuoti, lanciandoli oltre la barriera.
«Se mi dai una mano puoi scavalcare con me, ci sono molte risorse utili là dentro.»
«Sei molto generoso con la roba degli altri.»
Il tizio poteva avere sui venticinque, abbronzato come un attore di Hollywood, taglio alla moda, capi tecnici costosi e l'aria insolente del maschio bianco e ricco che ti vuole insegnare a stare al mondo.
«Vuoi restare qui fuori? Fra tre giorni lotteranno per le ultime scatolette di cibo per cani. Lì dentro ci sono centinaia di container pieni delle stesse cose dei supermercati, prima che andasse tutto a rotoli.»
«E tu sai come distinguere un container di giocattoli da uno di farina?»
«Scusa ma ti ho fatto qualcosa di male?»
«Scommetto che sei uno studente. Dove abiti? In collina, è così?»
Il ragazzo non rispose e lanciò un piccolo zaino oltre la recinzione.
«Ora io scavalco. Tu fai quello che vuoi, tesoro. Ma se non hai una persona cui tieni molto qui fuori, non ti conviene venire con me.»
Ce l'aveva una persona così? No, né lì né altrove. Lo osservò spiccare un balzo che lo portò oltre la barriera, sfiorando il limite superiore per poi cadere sui sacchi.
«Sicura che non vuoi venire?» le chiese rialzandosi.
Per tutta risposta, Alex tolse i fermi del cassonetto più in alto e lo spinse giù, distruggendo la piramide.
«Bella mossa. Ora come entri?»
Lei si avvicinò alla porta di servizio e con il badge aziendale sbloccò i tornelli.
«Potevi dirmelo che lavoravi qui.»
«Potevi chiedermelo, invece di farmi la predica.»
Alex si incamminò. Non aveva voglia di condividere ciò che sapeva con quell'arrogante figlio di papà. Lei sapeva distinguere un container di cibo da uno di fertilizzante, un dry shipping da un reefer, sapeva leggere i marchi di spedizione e trovare le bollette di carico. Conoscenze cruciali per trovare quello che serviva nei quasi tre milioni di metri quadrati dell'Interporto.
«Io mi chiamo Pablo, comunque» disse il ragazzo, seguendola sui suoi scarponcini costosi.
Perché certa gente se la cavava sempre? Lei non era nemmeno riuscita a finire il periodo di prova, i colleghi ancora storpiavano il suo nome quando le chiedevano cose che avrebbero dovuto sapere dal corso di formazione. E loro lo stipendio fisso l'avevano avuto dopo tre mesi.
«Tu come ti chiami? Meglio saperlo se vogliamo collaborare, no?»
«Vattene!» gli gridò lei, con le lacrime agli occhi. «Non ti voglio tra i piedi!»
Il ragazzo si fermò paralizzato mentre Alex proseguiva, testa bassa e mani sprofondate nelle tasche, sotto un cielo che si riempiva di nuvole color catrame. Aveva molto lavoro da fare: i gruppi elettrogeni avrebbero finito il carburante prima o poi.
Attraversò il piazzale dei carichi pesanti, fra gli autosnodati abbandonati fuori dagli stalli regolamentari. I giorni normali poteva dimenticarseli e, considerando quanta poca felicità le avessero regalato, non era sicura fosse un male. Girare attorno a quei bestioni permetteva di arrivare alla palazzina degli uffici senza farsi notare.
Era sicura che tutti i dipendenti avessero avuto la sua stessa idea, ma molti avevano una famiglia cui badare, e quelli delle ditte esterne non avevano badge. Gli amministrativi non sarebbero stati capaci di aprirsi una scatoletta di tonno, figuriamoci un container. I magazzinieri come lei invece sapevano dove trovare le cose. Alex li divideva in tre categorie: gli "aperti", gli "indifferenti" e gli "ostili". E poi c'era Max.
Gli aperti non le facevano pesare di essere nera né donna o giovane. Gli ostili non perdevano l'occasione per battute sessiste e volgari. Gli indifferenti stavano nel mezzo, anche se voltare la testa dall'altra parte non era certo un merito.
Max era fuori da ogni categoria. Era il suo tutor, anche se pretendeva di farsi chiamare capo. Non si limitava alle battute: allungava le mani e le aveva fatto capire che al termine del periodo di prova, il suo parere positivo non sarebbe stato gratis. Per questo quando Alex lo vide all'ingresso degli uffici pensò di abbandonare il centro. Ma dove sarebbe andata?
L'uomo si pavoneggiava in una uniforme da addetto alla sicurezza che non era nemmeno sua. Ne aveva trovata una della misura adatta al suo corpo tarchiato, anche se le braccia robuste sembravano sul punto di stracciare le maniche. Una mano tozza stringeva la fondina con una pistola; l'altra si agitava mentre dava ordini a Bao e Trai, due giovani vietnamiti degli "aperti".
«Ecco il nostro cioccolatino» le disse Max. «Ti aspettavo.»
Il sorriso laido dell'uomo le ricordava il gatto dei cartoni quando si prepara a mangiare il canarino.
«Come sapevi che sarei arrivata?»
«Ho visto il passaggio del tuo badge. Dopo che sei entrata ho bloccato tutti i tornelli.»
Alex rimase a bocca aperta.
«I due cinesi erano già dentro» continuò Max come se le avesse letto nel pensiero.
«Sono vietnamiti.»
«Quello che è. Possono tornarci utili per movimentare le merci.»
Aveva senso, uno sapeva guidare i montacarichi e l'altro poteva aprire ogni genere di container. Il plurale la inquietava: possono tornarci utili. Utili a chi?
«Qual è il piano?» chiese lei.
Max si guardò attorno.
«Sia chiaro che sono il capo perché sono l'unico in grado di gestire i sistemi di sicurezza. Senza quelli, qui sarebbe pieno di gente che saccheggia tutto.»
«È solo questione di tempo. I gruppi elettrogeni non sono eterni.»
Uno stormo di corvi apparve nel cielo scuro. Compatto come un'onda nera, scese in picchiata verso il gruppo. Bao e Trai si abbassarono, coprendosi la testa.
«Andiamo in mensa» suggerì Max. «Mettiamo qualcosa nello stomaco e parliamone.»
Aria tesa, ronzio dei frigoriferi in sottofondo, tremolanti luci al neon riflesse sui tavoli metallici: di fronte a caffè e biscotti Max espose il piano.
«Le recinzioni non reggeranno per molto. A noi basta che lo facciano per qualche giorno, intanto ci organizziamo.»
«Ci organizziamo?»
«Facciamo un censimento delle risorse e le mettiamo al sicuro nei container vuoti. Sono come casseforti se non sai come aprirli, e quando la gente arriverà cercando cibo o medicinali, saremo gli unici ad avere la chiave.»
Alex distolse lo sguardo. L'idea di dover dipendere da quell'uomo la faceva rabbrividire. Il modo in cui aveva cercato di metterle le mani addosso tornava ora con prepotenza. Strinse i pugni sotto il tavolo.
«Non penserai di vendere la roba? Cosa chiederai in cambio? Soldi?»
«Nel mondo che ci aspetta non serviranno. Ma posso avere potere.»
«Potere?»
«Rifletti, Alex. Sta andando tutto a rotoli ma non si vedono polizia o soldati in giro. Non ti chiedi perché?»
Un'esplosione lontana fece sussultare Bao e Trai. Oltre la finestra un cielo scuro minacciava pioggia, ne era caduta di più nell'ultima settimana che nei due anni precedenti.
«Sono tornati in famiglia, come tutti, o si sono dati ai saccheggi.»
«Alcuni. Ma altri stanno ricostituendo delle basi lontano dalle città. Serviranno mesi o anni. Cosa credi che succederà nel frattempo qui?»
«Anarchia, il Far-West. Oppure si formerà un nuovo ordine.»
«Brava la mia negretta» disse Max allungando una mano per scompigliarle i capelli.
A lei venne voglia di sparargli, ma la pistola ce l'aveva lui.
«Allora cominci a ragionare. Io sarò quel nuovo ordine.»
Era una follia, quel coglione si credeva Mad Max. Però le conveniva abbozzare.
«Non siamo un po' pochi per farlo?»
«Serviranno alleati. Ogni cosa a suo tempo.»
«Dobbiamo spegnere una parte dei gruppi elettrogeni» disse lei per fingersi interessata. «È inutile raffreddare tonnellate di frutta. Meglio usare il carburante per le difese e i medicinali.»
«Brava, così mi piaci.»
«E possiamo recuperare carburante dai camion nei piazzali.»
«Benissimo. Ora: i due cinesi creano una muraglia con i container vuoti attorno al magazzino merci deperibili, mentre io vado a spegnere i generatori.»
«Una muraglia?»
«Tipo i mattoncini Lego, è un sistema che usano anche i militari per gli avamposti temporanei. Se le cose si mettono male ci rifugiamo lì. Tu invece fai un censimento delle cose da trasferire. Chiaro?»
«Per me sì, loro credo che non abbiano capito.»
«Gli spiego mentre andiamo, tanto mi serve il loro aiuto.»
«Posso aiutarti io.»
«No!» Max scattò in piedi. «Se cominciamo a discutere gli ordini non andiamo lontano. Fai quello che t'ho detto. E voi due con me.»
Un'ora più tardi il lavoro di Alex procedeva spedito. Aveva recuperato il lettore a radiofrequenza nel suo armadietto e con le due pistole a nastro ai fianchi marchiava i container: rosso per gli inutili, nero con un + per cibo e gas, una x per indumenti.
Un tuono la fece rabbrividire. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine dei corvi, come un presagio di morte. Il piano di Max era folle ma lavorare le impediva di uscire di senno.
Aveva già marchiato oltre cinquanta container quando uno scoppio la paralizzò: forte e vicino. Non era il temporale, veniva dall'interno dell'Interporto.
Attraversò il piazzale fino al magazzino Merci deperibili, dove il lavoro di Bao e Trai sembrava abbandonato in fretta. Entrò cauta: alla luce debole delle emergenze si sentiva solo il ronzio dei compressori. Un frigorifero a pozzetto era rimasto socchiuso, ed emetteva un fascio di luce spettrale. Alex si avvicinò in punta di piedi.
Aveva sempre pensato che Max fosse un pasticcione, ma quando vide il contenuto del congelatore capì che era molto peggio: le pareti erano coperte di sangue e sul fondo c'erano i corpi di Bao e Trai, il petto squarciato. Un rumore di passi la spinse a cercare riparo. Si acquattò dietro un transpallet e strinse lo Yoruba. Aveva già ucciso con quel pugnale, a quindici anni e per motivi meno validi.
Il cuore le martellava quando i passi si fermarono vicino. Si bilanciò sui talloni, pronta a scattare. Un viso familiare si sporse oltre il carrello, con un tono di sufficienza che da solo avrebbe giustificato una pugnalata alla gola.
«Ecco dov'eri finita.»
In quel momento le luci di emergenza si spensero, lasciando il magazzino nel buio totale.