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Autore: Jordan Hemingway    19/04/2025    0 recensioni
“Sono qui,” confermò lei. “Non avevo altra scelta.”
“Tutti abbiamo una scelta.” La luce di una candela illuminò l’oscurità: una donna anziana, dagli occhi allungati e vestita con un costume di seta spesso – un kimono? – ricamato a motivi di uccelli si avvicinò a lei. “Alcuni però non vogliono compierla.”
Eleanor avrebbe voluto replicare ma dalla bocca le uscì solo un gorgoglio. Dopodiché si piegò, scossa dai rantoli della tosse: dalla sua gola uscivano i petali di un fiore di peonia. Nella penombra, i petali sembravano enormi gocce di sangue.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Petali di peonia


Parigi, 1889

Eleanor odiava la folla.
Aveva sempre detestato balli e feste ai quali i suoi genitori l’avevano costretta a partecipare da quando aveva fatto il suo debutto ufficiale in società: l’odore di decine di corpi imbellettati e profumati, il chiacchierio assordante che la musica non riusciva a coprire, la sensazione di non essere più padrona del proprio corpo ma solo una vacca messa all’asta a una fiera pubblica.
L’Esposizione Universale era tutto questo, ma molto più in grande.
I raggi del sole di mezzogiorno passavano attraverso le lastre di vetro che formavano il soffitto della Galleria delle Macchine: Eleanor si asciugò con discrezione un rivolo di sudore dalla fronte. Ad ogni modo, tutti lì dentro erano nella sua situazione: perfino la sua chaperon, la signora Highstone, che non girava mai senza una mantella in più per proteggersi dagli spifferi, si stava sistemando il colletto della camicia in modo che non fosse stretto come al solito. Inconsciamente, Eleanor si toccò la gola.
“Signorina Mill, dovremmo proprio rientrare. Non state ancora abbastanza bene, siete così pallida, e la vostra tosse non è migliorata.”
Purtroppo per lei, nonostante la folla e il caldo, Eleanor non aveva nessuna intenzione di rientrare.
“SI tratta solo di un’allergia. Ancora un giro, signora Highstone, la prego. Non abbiamo ancora visto lo stand di papà!”
“Lo avete visto già due volte ieri…” Ma il pregio maggiore della signora Highstone era quello di farsi convincere facilmente, soprattutto se si trattava di visitare esposizioni di macchinari tecnologici di cui Eleanor capiva a malapena il nome. A volte si domandava se la sua chaperon si fosse fatta assumere solo perché suo padre era uno dei più brillanti scienziati dell’Impero.
“Guardi lì, che strana invenzione!” Eleanor indicò uno stand con una serie di tubi da cui uscivano nuvole di vapore bianco che le avvolsero completamente.
“Ma che meraviglia!” La signora Highstone si illuminò e fece un passo avanti, mentre Eleanor soffocava un colpo di tosse. “Si tratta senza dubbio di…” E si lanciò in una spiegazione tecnica che suo padre avrebbe decisamente approvato, ma che permise a Eleanor di sgattaiolare nello spazio occupato da altre due donne in ammirazione e un uomo che palesemente non capiva nulla di quel che vedeva, per poi sparire in quella calca.
Un nuovo colpo di tosse, questa volta impossibile da reprimere. La ragazza si portò velocemente il fazzoletto alla bocca. Quando lo tolse per rimetterlo nella borsetta, dalla stoffa ricamata cadde a terra un petalo di peonia rosa scuro.
Doveva fare in fretta.
 
Il padiglione giapponese era stato preso d’assalto: pareva che tutti volessero avere un assaggio di Sol Levante. Fortunatamente, Eleanor non doveva passare per l’ingresso principale.
Si ritrovò a sgusciare attorno alla struttura, come un monello di strada, fino a quando non intravide una porta bassa e stretta, quasi invisibile. Bastò spingerla per entrare in una stanza buia, forse un corridoio o un’intercapedine. L’incessante fragore della folla di visitatori lì dentro era ovattato: Eleanor inspirò profondamente, godendosi quella calma. Le mancava l’aria, le mancava da mesi ormai. Il raschiare in gola stava diventando sempre più insistente.
“Sei venuta fin qui.” Una voce bassa e sottile, un accento straniero. Era arrivato il momento.
“Sono qui,” confermò lei. “Non avevo altra scelta.”
“Tutti abbiamo una scelta.” La luce di una candela illuminò l’oscurità: una donna anziana, dagli occhi allungati e vestita con un costume di seta spesso – un kimono? – ricamato a motivi di uccelli si avvicinò a lei. “Alcuni però non vogliono compierla.”
Eleanor avrebbe voluto replicare ma dalla bocca le uscì solo un gorgoglio. Dopodiché si piegò, scossa dai rantoli della tosse: dalla sua gola uscivano i petali di un fiore di peonia. Nella penombra, i petali sembravano enormi gocce di sangue.
Quando era cominciato?
Eleanor se lo era chiesto tante volte.
Forse era stato quando Kathleen Gants, la figlia del principale rivale in affari di suo padre, l’aveva sfidata a salire su quella maledetta quercia in una notte di fine primavera, quando era ormai chiaro a tutte le collegiali dell’ultimo anno che il capitolo della loro vita tra quelle mura stava per chiudersi per sempre. Per questo avevano sentito il bisogno di un’ultima notte, un ultimo ricordo.
“Hai paura, Ellie?” Si erano radunate tutte nel punto del parco più lontano dal dormitorio.
“Per te sono Eleanor. E mi sembra un’idea stupida e pericolosa.”
“Perché non ti sai divertire, Eleanor,” pronunciato da lei il suo nome sembrava diverso. “Lo sanno tutti che sei praticamente una vecchia signora.” Tutte le altre ragazze erano scoppiate a ridere.
Eleanor aveva raddrizzato le spalle e si era legata le trecce bionde sulla testa con un nastro. Poi si era sfilata la camicia da notte, restando in sottoveste e nient’altro davanti alla sua rivale per un momento, prima di girarsi verso il tronco della quercia e issarsi su, sorretta dalla rabbia e dall’ostinazione.
Non ricordava il momento esatto in cui il piede era scivolato su un ramo e lei era caduta.
Ricordava però l’istante nel quale Kathleen l’aveva presa al volo, cadendo con lei tra le prime foglie secche.
“Tu mi hai salvato,” aveva sussurrato incredula.
“Sei una spina nel fianco, ma sei sempre la mia Ellie.”
Oppure era stato al collegio, quando l’avevano condotta alla sua stanza. Era entrata e si era trovata davanti  Kathleen che la fissava con i suoi occhi nerissimi e un sorriso largo da un orecchio all’altro.
“Eleanor! Speravo ci avrebbero messo in stanza insieme, anche se a mamma e papà verrà un colpo.”
La Eleanor quattordicenne aveva fatto in tempo a posare a terra il suo baule prima di venire travolta da un turbine di ricci neri che l’aveva portata con sé in una visita di tutto l’edificio.
“Ci divertiremo un sacco qui dentro, Ellie, e non vedo l’ora di studiare assieme a te, lo sai che sono una capra in matematica.”
“Sei una capra solo perché ti stanchi subito di studiare.”
“Che ci posso fare se mi sembra tutto così noioso: numeri, numeri, numeri…  Non sono davvero figlia di mio padre,” aveva riso lei. “Tu invece hai preso il cervello del tuo, per questo non ti stanchi.” L’aveva presa a braccetto. “Mi sei mancata Ellie.”
“Anche tu a me.” Eleanor aveva sospirato, posandole la testa sulla spalla. “Non è giusto che non possiamo più essere amiche solo perché ora i nostri padri si odiano.”
“Già. Non capisco perché non siano rimasti in società assieme: non credo davvero che tuo padre sia un bastardo arrogante, come urla mio padre da mattina a sera.”
“E io non credo che il tuo sia un inetto bellimbusto, a differenza di quello che scrive mio padre nella sua corrispondenza.”
“Signorina Mill, devo credere che sbirci ancora nella corrispondenza degli adulti?” La prese in giro Kathleen. “Con quel tuo aspetto da angelo: ti hanno mandato in collegio per farti diventare una santerellina?”
“Con te credo sarà molto difficile la via della santità.”
Durante i primi due anni erano state inseparabili: una testa bionda e una bruna, intente a ridere per qualche loro scherzo segreto, tanto che alcune voci avevano iniziato a girare tra i corridoi e tra le ragazze che li abitavano. Le voci erano giunte alle orecchie dei genitori delle due ragazze: per qualche tempo si parlò di un trasferimento di Eleanor in Svizzera.
Poi al terzo anno Eleanor si era fatta cambiare di stanza e aveva smesso di parlare a Kathleen.
Le voci erano cessate.
Forse invece era stato alla fine dello scorso anno, quando Eleanor era stata obbligata a partecipare al ricevimento organizzato dai Gants in onore del fidanzamento della loro figlia Kathleen con il figlio di un noto avvocato di Londra.
Kathleen aveva danzato per quasi tutta la serata. Solo per pochi minuti, verso mezzanotte, Eleanor l’aveva vista passeggiare da sola nella serra, con le guance accaldate.
“Mi stavi seguendo?” Le aveva chiesto. In effetti Eleanor l’aveva notata staccarsi dal gruppo di matrone che si complimentavano con lei per l’anello.
“Nei tuoi sogni forse.” Cercò di darsi un tono. “Complimenti, a proposito.”
“Grazie. Siamo molto felici, Hugh è un tesoro.”
“Mi riferivo ai fiori.” Aveva indicato la distesa di mille toni di rosa che le circondava. “Sono bellissimi: non sembra nemmeno inverno qui dentro.”
Il viso di Kathleen si era aperto in un sorriso sincero. “Sono peonie, non sono meravigliose? Le faccio coltivare in questa serra per averle tutto l’anno.” Aveva avvicinato la guancia a una corolla rosa cupo, in tinta con il suo abito.
“Non sposarlo.” Eleanor non era certa di aver davvero pronunciato quelle parole, ma Kathleen aveva alzato lo sguardo su di lei e aveva riso.
“Perché mai, Ellie? A me sembra invece un’ottima idea.”
Sì, era stato proprio in quel momento che il cuore di Eleanor era diventato terriccio fertile, nel quale le peonie erano cresciute nutrendosi del suo sangue e soffocandola poco a poco.


“Posso estirpare la pianta dal tuo corpo.” La vecchia signora l’aveva guidata in una stanza piena di scatole e ferrovecchio, forse un ripostiglio creato durante la costruzione del Padiglione giapponese. Si erano sedute una di fronte all’altra su una spessa stuoia: Eleanor aveva provato a sedersi nel modo elegante dell’anziana ma dopo un paio di minuti aveva rinunciato. Davanti a loro c’era una scatola laccata di nero, talmente lucida che Eleanor poteva vederci il proprio riflesso.
“Non sarà indolore: le radici che hanno attecchito nel tuo cuore devono essere rimosse tutte, anche le più sottili. Solo allora la pianta cesserà di esistere. Dovrai bere un veleno… Non è mortale per noi umani, ma è letale per il fiore che cresce dentro di te.” La donna parlava lentamente, soppesando ogni sillaba. “Ti verranno le convulsioni, vorrai essere morta. Poi vomiterai tutto, radici comprese.”
“E sarò guarita?” Eleanor represse un nuovo attacco di tosse. Un petalo le si posò sulla lingua.
“Sì: la pianta non si nutrirà più del tuo corpo. Ovviamente dimenticherai tutto quello che le ha permesso di attecchire.”
La ragazza si irrigidì. “Che cosa significa?”
Sospirando, l’anziana giapponese la fissò. “Quel fiore ti sta soffocando lentamente per un motivo. Se sei arrivata fino a me immagino tu sappia che quello che ti tormenta è un male antico, nato nel momento stesso in cui il primo essere umano ha compreso che cosa è l’amore e cosa è la sofferenza per non essere ricambiati.”
Eleanor non rispose.
“Per salvarti puoi solo sbarazzarti della pianta prima che sia troppo tardi. Se non ti liberi delle memorie di chi ti sta spezzando il cuore, non potrai fare altro che appassire.”
“Dimenticare tutto…” Mormorò Eleanor. Una vita intera di ricordi, felici e infelici, estirpata come un campo di gramigna.
“Solo quello che riguarda quella persona.” La vecchia estrasse dalla scatola di lacca un’ampolla di terracotta, accuratamente sigillata. “Devi sbrigarti: a giudicare dalle tue condizioni, non ti rimane molto tempo.”
“Non c’è altro modo? Un modo che non preveda la rimozione dei ricordi?”
“No. Se l’altra persona non ti ricambia, è la fine.”


“Signorina Mill!” La sua chaperon le afferrò il braccio come se non volesse più lasciarla andare. “Credevo vi fosse successo qualcosa o che qualcuno vi avesse rapita, all’improvviso siete sparita e non riuscivo a trovarvi.” La donna era sull’orlo delle lacrime.
“Scusatemi, signora Highstone, mi era sembrato di vedere mio padre tra la folla ma quando poi mi sono resa conto che non era lui la calca per tornare da voi era troppa, dunque mi sono avviata verso questo chiosco per riposare un poco.”
“Non fatelo mai più, ve ne prego.”
Eleanor annuì: non ce ne sarebbe stato più bisogno. “Credo che questo riposo mi abbia fatto bene. Mi sento abbastanza in forze anche per la festa di questa sera.”
“La festa organizzata da vostro padre e dal signor Gants per festeggiare la nuova società? Avevate detto che non sareste andata… Siete certa di riuscire a farcela, nelle vostre condizioni?”
“Assolutamente.” La ragazza sorrise. “E vedere papà riallacciare i rapporti con il suo vecchio socio, dopo tanti anni di incomprensioni, sarà una vera medicina per me.” Si portò il fazzoletto alle labbra, tamponandole delicatamente.
“Allora dobbiamo correre a casa subito, dovete prepararvi, spero che il vestito azzurro sia già stato stirato…” Eleanor si fece trascinare via senza protestare, come una bambola senza volontà.
Il suo fazzoletto le cadde dalle mani ma non si fermò a raccoglierlo: dalla stoffa uscirono soffici petali rosa scuro.

La festa era al suo culmine. L’orchestra stava dando il meglio di sé e al centro dell’enorme salone affittato per l’occasione volteggiavano coppie di ballerini provenienti da ogni parte del mondo. Per un istante a Eleanor parve addirittura di vedere la vecchia giapponese di quel pomeriggio danzare un valzer con un attempato membro della delegazione francese. Scosse la testa e raddrizzò le spalle nella postura che le avevano inculcato dalla nascita e continuò a passeggiare per la sala.
A ogni respiro le sembrava che l’aria diminuisse: nonostante il suo corsetto fosse stato allargato in un modo quasi scandaloso le sembrava di essere stata avvolta in una gabbia di ferro sempre più stretta. La sua voce era al minimo: temeva che se avesse aperto di più la bocca o se avesse riso tutti avrebbero visto quella peonia maledetta che risaliva dalla sua gola.
Era vero, le rimaneva poco tempo. Doveva fare in fretta.
Finalmente la vide: Kathleen era al centro di un gruppo di donne e ragazze intente ad ammirare il suo anello nuziale. “So che la cerimonia è stata molto elegante.”
“Sono felice di sentirlo, signora Armaud: abbiamo optato per una cerimonia intima, solo i nostri parenti più stretti,” stava spiegando Kathleen con un sorriso.
Eleanor non aveva tempo da perdere in convenevoli. “Kathleen,” la salutò, prendendola sottobraccio come erano abituate a fare quando erano bambine, “mi manda tua madre, ha bisogno di te subito.”
E senza aspettare una replica la trascinò via.
“Immagino che mia madre abbia una buona ragione per mandarmi a chiamare così di colpo, considerando che cinque minuti fa era impegnata a tessere alleanze con i rappresentanti delle acciaierie francesi.”
“Immagini bene.” Eleanor si diresse verso il corridoio principale e verso una delle stanze che erano a disposizione degli ospiti per riposarsi durante la festa. Accertatasi che in quella specifica stanza non ci fossero altre persone, ci gettò dentro Kathleen e chiuse la porta dietro di sé.
“Sembra quasi un rapimento.” Kathleen non sembrava turbata.
“Com’è la vita da donna sposata?” Le chiese Eleanor per tutta risposta. Sentiva brividi di freddo in tutto il corpo.
“Assolutamente meravigliosa,” dichiarò Kathleen, ignara di quanto dolore causasse ogni sua parola. “Hugh è un vero tesoro, andiamo d’accordo su tutto, dalla divisione delle stanze a… Che ti succede, Ellie?”
Eleanor era piegata in due, scossa da un attacco di tosse: Kathleen le si inginocchiò accanto.
“Non ti ho… fatto ancora un regalo…” Rantolò Eleanor. “Quindi accetta… questo.” Un nuovo attacco di tosse e questa volta dalla bocca di Eleanor uscì un enorme fiore di peonia rosa, che volteggiò per un momento in aria prima di posarsi sul grembo di Kathleen.
“Che cosa…?” Kathleen afferrò il fiore, stupefatta. “Eleanor, come fai ad avere una pianta di peonie in gola?”
“Se tu puoi avere un marito…” Ormai non tentava nemmeno di reprimere gli attacchi. “Nonostante tutto quello che c’è stato tra noi… Allora io posso morire soffocata da una peonia che mi cresce nel corpo.”
“Ellie!” Eleanor si ritrovò stretta tra le braccia di Kathleen che la scrollava e abbracciava allo stesso tempo. “Che cosa hai fatto, testa dura che non sei altro!”
“Io non ho fatto proprio nulla!” Sentiva le lacrime scenderle sulle guance. “Sei tu che hai deciso di sposare quel…” Non riuscì a concludere la frase: con decisione, Kathleen le aveva preso il viso tra le mani e la stava baciando.
Kathleen la stava baciando.
Impiegò qualche istante a capire quello che stava succedendo e a ricambiare con trasporto. Se quello era il modo in cui doveva morire, era un modo meraviglioso.
Si staccarono per prendere fiato. Dalla bocca di Kathleen uscirono alcuni petali di peonia: “Sanno di dolce,” mormorò lei.
“Ma se… Perché…”
“So che ci eravamo promesse di restare zitelle e invecchiare assieme,” la anticipò Kathleen, “ma i miei genitori, a differenza di tuo padre, sono stati parecchio chiari sull’argomento matrimonio. Stavo impazzendo cercando un modo per schivare la cosa – lo sai che per un periodo ho pensato al convento? – fino a quando non ho incontrato Hugh a una festa.”
“Continuo a non capire.”
“Vedi, Hugh è nella nostra stessa condizione,” spiegò Kathleen. “E anche lui non sapeva come fare, fino a quando non ha incontrato me.” Kathleen la guardò trionfante. “Capisci, Ellie? A Hugh non importa nulla di me in quel senso, passa tutta la giornata – e le notti – assieme al suo segretario e non ha nessuna pretesa di governare la mia vita.”
“Significa che…”
“… Che potremo stare insieme, Ellie, e nessuno potrà dirci nulla!”
Eleanor sentì una fitta al cuore, talmente violenta che dovette appoggiarsi di nuovo a Kathleen. Dopo un’istante, il dolore era passato e anche il senso di soffocamento che da mesi la tormentava.
Si passò le dita sulla lingua, estraendo un ultimo petalo rosa scuro. “Aveva detto se fossi stata ricambiata…” mormorò sognante.
“Dovrai spiegarmi meglio questa storia delle peonie, ma prima direi che abbiamo qualcosa da recuperare.” Kathleen sogghignò. “Meglio accertarsi che quella porta sia davvero chiusa, che ne dici?”
Respirando a pieni polmoni, libera di farlo, Eleanor gettò la testa indietro e rise di cuore, felice come non era mai stata fino ad allora.


Storia scritta per l'evento "Secret Bunny" del gruppo FB "Prompts are the way" 

 
  
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