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Autore: SSJD    22/04/2025    2 recensioni
Era il pomeriggio del 13 novembre 1831 quando un giovane voltò le spalle al circo De Morgue, che per più di due anni lo aveva mantenuto, oltre che insegnato l’arte di volteggiare sul trapezio.
Con sé non aveva altro che una sacca contenente il meccanismo di un vecchio orologio a pendolo, unico ricordo della casa in cui era nato e cresciuto. L’unico pezzo rimasto, ancora misteriosamente funzionante, dopo l’incendio che aveva distrutto la sua fattoria e sterminato la sua famiglia.
Il giovane intraprese un viaggio in lotta con se stesso e inseguito dal padrone del circo che lo rivoleva con sè.
Questo testo partecipa al contest: "Uno schizzo di trama, II ed. indetto da elli2998 e inky_clouds sul forum di EFP”
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Un ragazzo, due strade
 
 
 
Era il pomeriggio del 13 novembre 1831 quando Nu voltò le spalle al circo De Morgue, che per più di due anni lo aveva mantenuto, oltre che insegnato l’arte di volteggiare sul trapezio.
Con sé non aveva altro che una sacca contenente il meccanismo di un vecchio orologio a pendolo, unico ricordo della casa in cui era nato e cresciuto. L’unico pezzo rimasto, ancora misteriosamente funzionante, dopo l’incendio che aveva distrutto la sua fattoria e sterminato la sua famiglia.
Camminava sul ciglio di una strada polverosa e desolata ripensando a ciò che al circo aveva dovuto lasciare; lo sfarzo, il volteggiare sul trapezio, l’adrenalina di trovarsi a quindici metri di altezza senza alcuna protezione.
Tutte cose che lo facevano sentire vivo e libero.
E poi c’erano gli altri artisti. Personaggi che, come lui, venivano da strani mondi surreali e che erano stati assunti al circo perché considerati fenomeni da baraccone, ma che in realtà nascondevano oscuri segreti. Nu li aveva sempre trovati affascinanti e l’alone di mistero che aleggiava attorno allo spettacolo lo faceva sentire a suo agio.
Di fatto si sentiva come a casa.
Sarebbe rimasto volentieri, ma, purtroppo, la pesante e fastidiosa presenza di Hubert aveva impedito di potersi trattenere oltre.
Hubert aveva da sempre avuto paura di tutto: dell’altezza, del buio, del fuoco, dei serpenti e di mille altre cose che Nu, invece, trovava adorabili.
Non poteva più vivere con quel peso. Le paure continue di Hubert lo stavano schiacciando e sentiva che la sua libertà veniva inesorabilmente repressa.
De Morgue gli aveva promesso denaro e successo per convincerlo a rimanere, ma c’erano due questioni che Nu poteva risolvere solo andandosene.
La prima era che Hubert si era innamorato di Maria, una delle ballerine, e Nu sapeva di dover fare di tutto per allontanarlo da lei, prima che la giovane mostrasse a Hubert chi fosse veramente.
Ma il vero motivo per cui Nu si era incamminato verso quello che sembrava essere l’ignoto era la ricerca di un luogo o per meglio dire il luogo più adatto per compiere quella che per lui era diventata ormai una missione: liberarsi di Hubert.
Il giovane camminava immerso nei suoi pensieri quando a un tratto sentì Hubert reclamare:
“Nu, torniamo indietro? Sono giorni che vaghiamo senza meta, sai almeno dove stiamo andando?”
“No e no”, fu la secca risposta a entrambe le domande.
Erano giorni che si spostava, mangiando ciò che gli capitava. I paesaggi erano mutati, da lande a colline alberate, da paludi a foreste di pini secolari, ma sembrava che nessun posto andasse bene per portare a termine il suo proposito.
Hubert sapeva che la convivenza con Nu non sarebbe durata ancora a lungo. Cercava compromessi, ma finiva sempre per cedere. In realtà, non riusciva più a sopportare tutto ciò che in Nu era sbagliato.
E in Nu, tutto era sbagliato.
Un'assenza totale di sentimenti, un’indifferenza glaciale davanti al dolore altrui.
Nu non era umano.
Un essere umano non poteva vivere così.
Hubert era cresciuto con delle regole semplici, chiare, concise: si nasce, si cresce, si lavora per guadagnarsi da vivere e poi si muore. Questa era la natura, il ciclo della vita.
Ma non per Nu.
I soldi erano una stupida frivolezza di cui si poteva tranquillamente fare a meno, ma era il concetto di morte che gli sfuggiva completamente.
A cinque anni, un pentolone di zuppa bollente non era bastato a distruggere il suo fragile corpo. A quindici, nemmeno il morso di un serpente velenoso aveva fatto ciò che tutti si aspettavano.
Era sopravvissuto anche all’incendio che aveva divorato la loro fattoria. Il fuoco aveva consumato tutto tranne Hubert, Nu, l’orologio a pendolo… e il buio.
Già, il buio. Il vero incubo di Hubert. Non era paura del buio in sé. Era terrore del buio con Nu. Perché con lui, il buio prendeva forma: strisciava sotto le coperte, sussurrava tra le pareti, apriva occhi innaturali dagli angoli della stanza.
Respirava.
L’infanzia di Hubert era stata un inferno, e la giovinezza non era stata più clemente.
Nu era la sua parte oscura.
Lo era fin dalla nascita.
Era l’ombra sotto al letto, l’incubo ricorrente da cui non ci si sveglia davvero mai.
Perché fosse toccato proprio a lui, Hubert non lo aveva mai capito.
Ma sapeva una cosa: senza Nu, sarebbe morto da tempo.
Perché Hubert era solo un bambino normale e fragile come tutti gli altri mentre Nu, invece, era qualcosa d’altro. Un demone, forse. Una creatura che si rigenerava a scapito della vita degli altri.
Per anni quell’oscura salvezza gli era servita. Ma dentro Nu c’era qualcosa di velenoso, qualcosa che Hubert non avrebbe mai potuto cambiare.
Con il tempo, la volontà di Nu aveva cominciato a schiacciarlo. Hubert si ritirava sempre più in un angolo della propria mente soffocando lentamente.
Nu era un cancro.
Una macchia nera in espansione, un buco nero fatto di neuroni e oscurità venuto da chissà dove.
Hubert fu costretto a seguirlo in quel viaggio, al confine tra il mondo reale e quello da cui Nu proveniva, pur sapendo che sarebbe stato l’ultimo, ma non gli importava. Voleva solo che la sua sofferenza finisse, possibilmente assieme a quella di Nu.
 
***
 
Una sera, sul fuoco scoppiettante acceso in un bosco di querce, una lepre cuoceva lentamente. Hubert guardava le fiamme e rifletteva su quanto stesse effettivamente in pace quando Nu non c’era. Si era chiesto molto spesso dove sparisse, a volte per giorni interi, senza dire niente a nessuno.
Stava per afferrare lo spiedo per assaporare la sua preda quando, alle sue spalle, sentì il rumore di un ramo spezzato. Afferrò un coltello e si voltò di scatto.
“Chi va là?”, chiese ad alta voce.
Dal buio si fece avanti un uomo grande e grosso, con una folta barba nera.
“Scusatemi, non volevo spaventarvi. Sono Mourut. Vi ricordate di me? Lavoravo anche io al circo. Qualche settimana fa ha chiuso i battenti e io sono diventato un cercatore d’oro. Ho bisogno di un posto per accamparmi fino a domattina. Ho visto il fuoco. Potrei passare la notte qui?”, disse cordialmente.
Hubert ci pensò per qualche istante. Mourut non era uno dei suoi preferiti del circo. Lo impressionava il fatto che avesse peli ovunque, su tutto il corpo, compreso il viso. Una specie di orso delle caverne dotato di una forza sovrumana. Per non sembrare scortese, Hubert decise comunque di invitarlo a dividere la lepre con lui.
Dopo la cena, i due si addormentarono, ma, non appena il fuoco si spense e la luna piena iniziò a trasformare la foresta di querce in un intreccio di ombre, Mourut si destò. Vide il giovane dormire pacificamente e il suo istinto lo spinse ad approfittare della sua debolezza fisica.
Gli si avvicinò in silenzio, si levò i pantaloni e si sdraiò sopra di lui con l’intento di abusare del suo corpo. Hubert si svegliò di soprassalto, spaventato a morte per ciò che gli stava per succedere. Raccolse tutto il fiato che aveva in corpo e gridò:
“Nu, aiuto!”.
 
Per sfortuna di Mourut, Nu arrivò.
Prese una delle pietre che facevano da contorno al fuoco ormai spento e la scagliò sulla testa dell’uomo, che cadde di lato svenuto, liberando il giovane dal suo peso.
Quando il giorno seguente riprese conoscenza, si ritrovò appeso al ramo di un albero, a testa in giù, a pochi centimetri dal suolo.
Si guardò intorno e vide la figura di un giovane intento a scaldare la lama di un coltello sul fuoco.
“N-Nu? Siete voi?”, riuscì a balbettare.
Il ragazzo gli si avvicinò.
Si chinò e gli chiese:
“Perché?”
“È stato De Morgue…”
“De Morgue?”
“Mi ha mandato lui, vuole che t-torniate da… da lui. Sono venuto a prendervi. Il circo non è più nulla, senza di voi. De Morgue è disposto a pa-pagarvi…”, si sforzò a dire l’uomo scimmia.
“Non mi interessano i soldi, De Morgue non può fare niente per farci tornare. Ma mi sembra che volevate qualcosa di più che riportarci al circo. Ha chiesto De Morgue di fare del male a Hubert?”.
L’uomo fece un sorriso beffardo e rispose:
“No, lo volevo io”.
Nu si alzò.
Non si era mai sentito tanto arrabbiato in vita sua. Solo lui poteva permettersi di fare del male a Hubert, non gli altri.
Strinse forte il manico del pugnale nella sua mano, pensando a cosa fare della sua preda.
“Lasciatemi andare, vi prego”, lo supplicò Mourut.
Nu si voltò e gli disse:
“No. Anche io ho qualche voglia da soddisfare…”
 
Le due ore successive furono l’inferno per l’uomo scimmia.
Nu non risparmiò nessun dettaglio e si prese tutto il tempo che riteneva opportuno per far sì che Mourut soffrisse il più possibile.
Gridò finché ebbe fiato in gola.
Pianse e si disperò.
Come previsto da Nu, l’uomo chiese più volte di essere finito, ma non ci fu nessuna pietà per lui.
Quella che era stata una delle migliori attrazioni del circo smise di respirare pochi istanti dopo che Nu, con un morso deciso, gli ebbe reciso l’arteria femorale.
Erano le 13.00 del 13 febbraio, 1832.
Ciò che non terminò con la morte, fu il pasto di Nu che, come promesso, lo portò a compimento con estrema calma.
Quando del corpo di Mourut non rimasero altro che ossa, il giovane si mise soddisfatto a ripulire con calma il suo coltello. Sentì arrivare Hubert che, piagnucolando come sempre, chiese:
“Nu, cosa hai fatto?”.
“Mi chiedi aiuto e poi ti lamenti?”, gli rispose Nu stizzito.
“Possiamo andare via da questo posto? Mi viene da vomitare…”.
“Non vorrai vomitare tutto questo!”, lo rimproverò prima di concludere: “Comunque, andiamocene. De Morgue e altri del circo ci seguono, dobbiamo trovare il modo di seminarli”.
 
Con in spalla la sacca con il meccanismo dell’orologio a pendolo, il ragazzo riprese il cammino.
Il paesaggio mutava lentamente. I campi lasciavano spazio a boschi fitti e i villaggi si facevano rari. Il giovane camminò per giorni, seguendo un sentiero tracciato più dalla volontà di Nu che da una direzione concreta. Hubert parlava sempre meno, tanto che non si lamentò nemmeno quando Nu decise di infilarsi in un fitto bosco privo di qualsiasi sentiero, seguendo l’istinto o piuttosto l’incoscienza di pensare che quella decisione li avrebbe portati in qualche posto interessante.
Arrivarono dopo ore a una cascata che confluiva le sue acque in un torrente che strisciava lento verso valle.
“Sono stanco, Nu”, disse Hubert non appena si furono accampati sul bordo del torrente.
“Riposa. Vedrai che domani starai meglio”.
Hubert si assopì e per giorni rimase in quello stato di torpore che Nu chiamava “quiescenza”.
Durante questo periodo il ragazzo si procurò il cibo pescando e cacciando. Vivere nella natura, per Nu, era il paradiso, ma sapeva che quei momenti di pace sarebbero finiti presto.
Una mattina stava pescando, quando sentì una voce alle sue spalle:
“Avete fatto un lungo viaggio, Nu. Siete solo? Non c’è Hubert con voi?”, disse Elien, il mago del circo De Morgue, con voce secca e controllata.
“No, sta riposando. Siete venuto anche voi per convincermi a tornare al circo? Ci ha già provato Mourut, vi avverto che non ha fatto una bella fine”, disse continuando a pescare pacifico.
“Immagino abbia tentato di sfogare i suoi istinti… animali… Ma io sarei più interessato all’oggetto che tenete sempre con voi… non dovrebbe stare in questo mondo”, rispose il mago catturando finalmente l’attenzione di Nu, il quale chiese interessatissimo:
“Intendete il meccanismo dell’orologio?”.
Il mago annuì.
“Sì. È un portale, sapete? Un legame tra il vostro mondo e questo. I suoi ingranaggi non misurano il tempo, ma lo spazio tra le due realtà”, spiegò.
“E?”, chiese a quel punto il ragazzo, invitandolo a continuare.
“Posso aprirlo e farvi tornare nel vostro mondo. Lascereste Hubert a De Morgue e voi potreste vivere tranquillo senza di loro. So cosa vuol dire essere da soli in questa realtà…”, disse Elien mantenendosi calmo.
Nu corrugò la fronte in uno sguardo serio.
“Come lo sapete?”
Il mago si avvicinò e spiegò pacatamente:
“Vedete, le persone come me, voi, molti dei dipendenti del circo, vengono da un mondo che possiamo dire… parallelo. Nello stesso momento in cui Hubert è nato, il portale che lega il vostro mondo al suo si è aperto e ne siete uscito voi. Hubert sa da dove venite?”, chiese a Nu che sembrava particolarmente interessato.
“Sì e non vuole averne nulla a che fare. È per questo che non possiamo più vivere assieme. Devo separarmi da lui, per sempre… Voi da dove venite, invece?”, chiese alla fine.
“Oh, io provengo da molto lontano, sia nel tempo che nello spazio. Quando sono nato, gli orologi a pendolo nemmeno esistevano. La mia dimora è questo semplice pendaglio in legno”, disse mostrando a Nu la collanina che portava al collo.
“Sono nato e cresciuto con il potere di fare magie e realizzare desideri”, spiegò.
“In cambio di?”, chiese ironicamente Nu, avendo già una mezza idea di quale fosse la risposta.
“Oboli, piccole cose preziose, oggetti personali, per lo più”, disse Elien.
Nu alzò un angolo della bocca in un sorriso beffardo. Conosceva il potere del mago e sapeva il perché avesse avuto una vita così lunga. Non erano piccoli oboli che chiedeva in cambio della realizzazione dei desideri.
“Oh, certo, piccole cose preziose. Avete preso voi l’anima di Maria in cambio di un bel paio di gambe?”, chiese Nu sfacciatamente.
Elien si stizzì. Ridusse lo sguardo a due piccole fessure e replicò:
“Proprio voi venite a parlarmi di anime? Maria mi ha donato la sua in cambio delle gambe. Voi quante persone avete ucciso per mantenervi in vita? A me il circo ha dato una casa, una famiglia. Perché non volete lo stesso per voi?”, chiese infine.
A quelle parole Nu lo squadrò con fare minaccioso.
“Volete rinchiudermi, signore? Un’anima in più per la vostra collezione?”
“No. Non sareste prigioniero, ma tornereste a casa”, disse il mago, cercando di mantenersi calmo.
“Questo è il mio mondo, ma voglio sapere come aprire il portale”, fu la risposta seria di Nu.
“Naturalmente c’è bisogno di una magia”, spiegò l’uomo.
“Voglio che mi insegniate a farla, vi pago con la promessa di non uccidervi”, lo informò Nu.
L’uomo si ritrasse e iniziò a sudare freddo. Sapeva che Nu non stava mentendo.
“Va bene, ve la mostrerò. Prendete il meccanismo dell’orologio”, disse infine.
Nu estrasse il prezioso oggetto dalla sua sacca e lo mise sull’erba, davanti al mago.
“Avanti”, gli ordinò.
Elien fece un cenno con la mano e pronunciò una sorta di formula magica. L’aria intorno all’orologio cambiò. I rumori si attutirono e un bagliore sottile si accese tra gli ingranaggi. Il meccanismo cominciò a battere i rintocchi delle 13.
“Così si apre il varco”, disse.
Nu rimase immobile.
Qualcosa in quella luce lo attraeva dannatamente, ma aveva intrapreso quel viaggio con una specifica missione e quel varco, quell’opportunità che Elien gli stava offrendo era solo una distrazione.
Innervosito afferrò la mano del mago e lo trascinò nel cono di luce creato dal portale. L’uomo scomparve all’interno dell’orologio come risucchiato da una forza invisibile.
Al tredicesimo rintocco del meccanismo, la luce si spense e un rumore sinistro di ingranaggi segnalò la chiusura del portale.
Nu raccolse l'oggetto e lo rispose nella sacca da spalla, poi si risedette sulla riva del torrente a pescare e ad aspettare tutto contento il ritorno di Hubert.
“Bentornato!”, lo accolse entusiasta Nu.
“Sei di buon umore. Mi sono perso qualcosa?”, chiese l'altro con fare sospettoso.
“È venuto Elien, il mago del circo. Mi ha insegnato un po’ di trucchetti magici, poi è sparito”, spiegò Nu allegro.
“L’hai ucciso?”, chiese l’altro rassegnato.
“No, perché avrei dovuto? Vuoi provare a esprimere un desiderio? Puoi chiedere tutto quello che vuoi!”, rispose Nu eccitato per il nuovo potere che sentiva di aver acquisito intrappolando il mago nel portale.
“Sai benissimo cosa desidero, tornare al circo!”, sbottò l’altro.
“Perché? È andato distrutto da un incendio. E questa volta io non c’entro”.
Nu non ne voleva proprio sapere di tornare da De Morgue. O meglio, non voleva tornarci con Hubert.
Il ragazzo era terrorizzato da tutto ciò che Nu invece adorava di quell’ambiente.
“Voglio rivedere Maria!”, gli sputò in faccia a quel punto.
Nu si fece pensieroso, sapeva della pericolosità della ragazza. Nel suo mondo, le sirene si nutrivano del sangue di giovani uomini; attratti dal loro canto e dalla loro bellezza si lasciavano catturare e trascinare nei fondali marini.
Nu rifletté a lungo sul da farsi, poi pensò che avrebbe realizzato l’ultimo desiderio di Hubert.
“Va bene, vieni, ripartiamo. Vedrai che la prossima persona che De Morgue manderà per convincerci a tornare sarà Maria”.
 
***
 
Fu così che Hubert e Nu si rimisero in viaggio, di nuovo verso un’imprecisata meta. Camminarono lungo una strada, che tagliava in due l’orizzonte di un deserto arido come la morte. Miglia e miglia senza incontrare nessuno. Dormivano sul ciglio della strada, avvolti dai consueti rumori di quella terra selvaggia, ma mai nessun animale osò avvicinarsi abbastanza, né per essere catturato, né tantomeno per attaccarli. Hubert sapeva il perché del loro comportamento. I lupi, per esempio, avevano fame, ma non abbastanza per superare la paura di avvicinarsi a Nu.
Quando l’acqua iniziò a scarseggiare, i due superarono una collina e videro finalmente in lontananza quello che sembrava essere un piccolo villaggio.
Giunti nei pressi dell’agglomerato, si resero conto che si trattava solo di un piccolissimo centro, costituito da due file di costruzioni in legno, una di fronte all’altra. C’era un emporio, un saloon e un’armeria, qualche abitazione.
Mentre Hubert era contento di essere arrivato in un posto apparentemente civilizzato, Nu aveva solo sete. Trovarono un abbeveratoio per cavalli, poco distante dal saloon, dove il ragazzo riempì un secchio e ne bevve il contenuto tutto d’un fiato. Stava per fare un secondo giro quando, alle spalle, riconobbe una voce conosciuta.  
Era Maria.
Si voltò di scatto e quando la vide pensò che fosse oggettivamente bellissima.
Indossava un abito verde smeraldo con un’ampia scollatura che risaltava il seno. I boccoli rossi le cadevano sulle spalle nude.
“Hubert! Che bello rivederti!”, esclamò felice la ragazza.
Nu fece un mezzo sorriso, constatando che i poteri di Elien erano veramente passati a lui.
“Ok, Hubi, sparisco per un po’. Divertiti e… chiamami, quando avrai bisogno”.
Hubert nemmeno lo ascoltò.
Quella ragazza lo faceva impazzire e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di stare con lei.
“Maria! Ma… ma cosa ci fai qui?”, chiese il ragazzo ancora incredulo, raggiungendola sotto il portico del saloon.
“Beh, il circo… non c’è più. Io avevo bisogno di un lavoro. Qui cercavano una ballerina…”, raccontò, abbassando lo sguardo imbarazzata.
“È bello, no? Fai un lavoro che ti piace!”, esclamò Hubert vedendola rattristarsi.
“Sì, all’inizio… ma ora il proprietario del saloon mi ha detto che devo iniziare a prendermi maggiormente cura dei clienti…”, mormorò triste.
“Cosa? Ma non può obbligarti!”, esclamò il ragazzo indignato.
“Ma, forse, se vedesse che ho un fidanzato… non mi costringerebbe a farlo…”, spiegò la ragazza.
Hubert si intristì e intenerì allo stesso momento.
Le prese il viso tra le mani e, con tutta la dolcezza del mondo, la baciò.
Lei lo lasciò fare ma poi, dopo qualche istante, si staccò da lui e gli disse sottovoce nell’orecchio:
“Verresti con me?”
“Dove?”, chiese lui incuriosito.
Maria lo accompagnò nella stanza che le era stata assegnata, al primo piano sopra al saloon.
Chiuse la porta a chiave e si posizionò alle spalle del ragazzo, abbracciandolo.
Lo aiutò a spogliarsi e poi si tolse l'abito, abbandonandolo accartocciato ai suoi piedi, sul pavimento della piccola stanza.
Maria e Hubert fecero l’amore, entrambi per la prima volta. Pochi minuti di assoluto piacere al termine dei quali i due giovani, sudati e soddisfatti, rimasero sdraiati uno a fianco all’altra guardando sognanti il soffitto e tenendosi per mano.
“Torneresti con me al circo, Maria? De Morgue mi sta cercando, vuole farmi tornare per riaprire il circo”, chiese a un tratto, voltandosi verso di lei.
“Temo non sarà possibile, De Morgue rivuole Nu, non te. Tu devi stare con me, per sempre…”, disse Maria con un tono che a Hubert sembrò quasi cattivo.
“Che inten…”
Maria si voltò nel letto. Il suo sorriso dolce sopraffatto da un ghigno perfido e prima che il ragazzo potesse ribellarsi, lo afferrò per il collo con una forza sorprendente, cercando di strozzarlo. Gli occhi di Maria si erano fatti neri come la pece, profondi e vuoti. Dalle sue unghie spuntavano artigli sottili e lucenti come aghi. Hubert tossì, cercando aria, la vista offuscata.
“N-Nu!”, riuscì a balbettare.
Nu prese possesso della mente di Hubert immediatamente.
Afferrò Maria per i capelli e la tirò all’indietro, con una forza tale da staccarla all’istante dal proprio corpo.
Maria ringhiò, le pupille ormai ridotte a fessure marine. Si lanciò su Nu con uno scatto da predatrice. I due si scontrarono con violenza, fendenti e colpi che avrebbero ucciso chiunque, ma non loro due.
Poi Nu ebbe la meglio. La immobilizzò a terra, il ginocchio sul petto, una lama puntata alla gola. Maria sputò sangue ma rise.
“Avanti. Uccidimi. De Morgue manderà qualcun altro! Non avrai pace, mai!”
A quel punto tornò Hubert che, sicuro di sé come non mai, disse:
“Non lo fare, Nu. Ti prego. Farò tutto quello che vuoi. Tutto. Ma non ucciderla”.
Nu rimase qualche istante in silenzio, poi chiese:
“Tutto?”
Hubert annuì. Una lacrima scese misteriosamente da una sola parte del volto.
“Allora va bene, ma lei verrà con te. Non voglio che tu stia solo, nell’altro mondo. Sono sicuro che si prenderà cura di te e non cercherà più di farti del male. In cambio potrà riavere la sua anima, quella che tempo fa scambiò per queste graziosissime gambe”, disse alzandosi e liberando Maria dal suo peso.
“Riavrò la mia anima?”, chiese la ragazza scioccata. “A chi la chiederai indietro?”, domandò infine rivestendosi.
“Non preoccuparti di questo. Prenditi cura di Hubert, altrimenti ti uccido”.
Nu estrasse dalla sacca il meccanismo dell’orologio e lo posò sul pavimento. Pronunciò le parole della formula. L’aria tremò, un sussurro irreale attraversò la stanza. L’ingranaggio iniziò a battere tredici rintocchi. Prima del tredicesimo, Nu disse a Hubert:
“Segui la luce. Non sarai mai più al buio con me”.
Il ragazzo scomparve dalla mente di Nu lasciando un vuoto che lui definì ‘fastidioso’. Maria seguì Hubert nella luce emessa dal portale prima che lo stesso si richiudesse con un click secco.
Nu raccolse l’orologio, lo pulì e lo ripose nella sacca.
“Ci toccherà tornare da De Morgue”, disse ad alta voce, come se stesse parlando ancora con Hubert.
“Ti devo un’anima, giusto?”.
Si rivestì e si rimise in viaggio lasciando dietro di sé solo il silenzio e il sibilo ancora sospeso di un tempo che si era appena piegato.
Un paio di settimane dopo, trovò la carovana di ciò che era rimasto del circo accampata in una sorta di oasi del deserto.
“Il figliol prodigo”, disse De Morgue quando lo vide.
Nu buttò la sacca col meccanismo dell’orologio sul tavolo che lo divideva dal padrone del circo.
De Morgue si alzò lentamente, le mani incrociate dietro la schiena, il sorriso di chi pensa di aver vinto.
"Cos'è questo? Un regalo? Una riconciliazione, Nu?"
Nu non rispose. Si limitò a fissarlo, occhi come fessure d’acciaio, e poi aprì lentamente la sacca.
"No, è un debito", disse.
"Ah. Hubert, immagino…”
"Maria", lo corresse Nu, estraendo il suo coltello. "Ha riavuto l’anima e qualcuno dovrà pagarla", concluse.
Quando De Morgue vide la lama nelle mani di Nu, smise di sorridere.
"Pensavo che fossimo oltre questi gesti primitivi", sibilò De Morgue.
"Lo pensavi tu".
Con un balzo fulmineo, Nu fu su di lui. La lotta fu breve. De Morgue cercò di reagire, ma la lama gli trafisse il cuore che venne estratto dal petto e divorato da Nu, in pochi istanti.
Quando il ragazzo concluse il suo pasto, prese la sua sacca e si mise in cammino, questa volta in cerca di un futuro.
Dietro di lui, nell’aria del deserto, il silenzio si richiuse su un nome portato dal vento: Kia.


 
FINE
 
NA: Questa storia è la seconda puntata di una sorta di trilogia nata tanto tempo fa con l'ultimo episodio: Freaky Carnival. Poi è saltato fuori un altro contest ed è uscito il primo episodio della trilogia: Scaretale. Questa storia è il passaggio fra le due. Partecipa al contest con un pacchetto che prevedeva come sottogenere 'on the road'. Spero sia piaciuta a tutti, a quelli che non hanno mai letto le altre due, ma anche a coloro che aspettavano di sapere chi fosse veramente Nu.
Grazie per la lettura e per qualsiasi commento.
Alla prox!
SSJD





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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