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Autore: fiorediloto40    24/04/2025    1 recensioni
Determinata a non lasciar cadere nel vuoto la questione, la prima cosa che fece quando tornò a casa dal lavoro fu dirigersi verso lo scrittoio, prendere un foglio di carta e una busta che teneva riposti in un cassetto da innumerevoli anni, e sedersi con la penna in mano, pronta a fare qualcosa che le ricordava tempi passati e che non avrebbe mai creduto di poter fare di nuovo. Chi scriveva ancora lettere?!
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Questo testo partecipa al contest Uno schizzo di trama, II ed. indetto da elli2998 e inky_clouds sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pacchetto Ematite
 
Ruolo del protagonista: X
Caratteristica del protagonista: è paranoico e non esce mai di casa
Genere: epistolare e psicologico
 

Ines, atto quarto
 
 
- Mi scusi... signore! Signor postinoooo! -.
 
Quando si rese conto di stare attirando l’attenzione di tutte le persone presenti all’infuori dell’unica che volesse, Ines fermò il movimento agitato del suo braccio, riportandolo rapidamente alla sua naturale posizione; sbuffando, guardò distrattamente la busta nella sua mano, la stessa che avrebbe voluto consegnare all’uomo distratto che aveva raccolto le lettere, non rendendosi conto che qualcuna fosse andata persa.   
 
O meglio... una, una sola, e che, nel tempo necessario affinché la vista trasmettesse efficacemente il messaggio al cervello, catturò la sua attenzione come una calamita. 
 
Ad attirare la sua curiosità non fu solo la grammatura della carta, che riconobbe immediatamente come una produzione artigianale di una piccola cartiera del centro storico, ma soprattutto la calligrafia. Una scrittura bella, elegante, distinta, di quelle che spesso si vedevano sugli inviti stampati per occasioni importanti, meeting internazionali, cerimonie; anche se questa era opera di una mano... una mano sapiente e meticolosa, minuziosa e attenta ai dettagli.
 
Quando un refolo di vento le accarezzò il collo provocandole un brivido poco piacevole, tornò alla realtà, spostando lo sguardo sulla piazza e rendendosi conto sia del fatto che, di lì a poco, un bel temporale avrebbe mitigato il carico cinereo sopra la sua testa, che dell’ora, almeno a giudicare dai rintocchi delle campane della chiesa. Ne aveva una sola a disposizione per il pranzo, e la stava perdendo stupidamente. Si diresse spedita verso casa per consumare il suo pasto più in fretta del solito, ma non prima di aver fatto scivolare la busta nella borsa, e dimenticandosene per il resto della giornata, o almeno fino a tarda sera, quando, dopo essersi appisolata sul divano davanti alla televisione, quella busta le tornò alla mente, facendola sussultare.
 
Sbadigliò dolcemente, stirandosi con grazia nella coperta di lana... ho fatto bene a rimetterla al suo posto, così domani... non terminò il pensiero, non quando rivide nella sua memoria il gesto con il quale aveva lasciato cadere la lettera nella sua borsa, e che le fece sgranare gli occhi.
 
“Non è possibile”, sussurrò tra sé alzandosi con cautela e avvicinandosi ancor più cautamente alla borsa appoggiata su una poltrona, e quando vide spuntare dalla fodera un piccolo angolo di carta debolmente illuminato dalla luce soffusa della lampada del salotto, portò una mano alla bocca, incredula.
 
- Ho rubato la posta di qualcuno! - disse battendo una mano sulla fronte.
 
Chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo nel tentativo di calmarsi, e quando le sembrò che il suo battito si fosse regolarizzato, cercò di riflettere con calma.
 
- Bene... anzi no, male, malissimo! Ma a tutto c’è un rimedio... domani, prima di andare al lavoro, imbucherò la lettera laddove il postino dovrebbe... deve!... ritirarla - strinse gli occhi inveendo mentalmente contro il postino indolente e disattento, e quando se ne rese conto, portò le mani al volto facendole scivolare lentamente.
 
“Sto impazzendo” disse tra sé con un filo di voce “forse è meglio che vada a letto a riposare”.
 
E così fece, solo che, al posto della tranquillità sperata, il sonno agitato di Ines si popolò di immagini suggestive, soprattutto di fogli scritti fittamente che danzavano davanti ai suoi occhi mostrando caratteri finemente disegnati.
 
Per la seconda volta quella sera si svegliò all’improvviso, e quando si rese conto del perché, scostò nervosamente le coperte per alzarsi e andare a prendere la dannata lettera, rigirandola tra le mani per diversi minuti, indecisa sul da farsi.
 
“Ora la rimetto al suo posto e.… non ce la faccio!” ammise frustrata, e quando alzò gli occhi al cielo in un gesto di esasperazione, comprese che quell’ossessione ormai impiantata nel suo cervello non sarebbe andata via da sola; sospirando, passò con delicatezza un dito sotto il bordo gommato della busta, sentendolo cedere facilmente, e sfilandone subito dopo il contenuto. Una carta spessa, leggermente ruvida e di color paglierino. Un perfetto lavoro artigianale.
 
Con la massima cura spiegò il foglio, preparandosi a leggerne il contenuto.
 
Mia adorata Elizabeth,
spero che questa lettera ti arrivi il prima possibile, perché non ce la faccio più e tu sei l’unica che possa dare un po' di sollievo al mio mal di vivere.
 
Era una lettera d’amore? Ines si accigliò.
 
Niente, niente di ciò che avevamo pensato potesse lenire le mie pene sta sortendo i suoi effetti. Né le dolci colline che, di rado, mi azzardo a esplorare, né questo clima che mi scalda le ossa addolcendo la mia vecchiaia... faccio sempre più fatica ad uscire di casa, la sola idea di incontrare qualcuno che non cammini a quattro zampe mi terrorizza, e la conseguenza di ciò è di trascorrere il mio tempo tra queste quattro mura che tu conosci benissimo. Bellissime, eleganti, e soffocanti. 
 
Tuttavia... come ben sai... qui c’è “lui”.
 
Non ce la faccio più ed è per questa ragione che ho deciso. Devo farlo. Devo ucciderlo. Devo fare in modo che sparisca per sempre e che di lui non resti alcuna traccia, che il suo nome si perda nell’oblio che merita e dal quale non sarebbe mai dovuto uscire, dimenticato da tutto e da tutti. 
 
Solo tu puoi capirmi Elizabeth... solo tu sai quanto mi costi e quanto mi sia necessario. Devo ucciderlo per tornare a vivere.
 
Con immenso affetto
Lee
 
Ines sgranò gli occhi, sentendo la carta tremare leggermente tra le mani.
 
“Un omicidio” sussurrò “qualcuno sta progettando un omicidio”.
 
Dopo diversi minuti trascorsi a fissare la lettera senza guardarla, finalmente sembrò svegliarsi, e dopo aver girato la busta, mormorò il nome del suo legittimo proprietario.
 
“Lee Allen”.
 
****
 
Una lama di luce lunare oltrepassò lo spiraglio della finestra, colpendo la sua mano e illuminando il filo del coltello di bagliori vermiglio.
 
Aspirando l’ultimo tiro dalla sigaretta che teneva tra le dita, osservava la donna agonizzare mentre la residua fiammella di vita abbandonava il suo corpo con un flebile respiro. Inerme, sembrava chiedere perché? ma la voce non sarebbe mai più uscita dalla sua bocca, né avrebbe avuto senso che lo facesse, perché non c’era una risposta; non c’era mai stata né mai ci sarebbe. Non c’è ragione nel piacere, esiste o non esiste, e quando esiste bisogna avere il coraggio di perseguirlo, costi quel che costi.
 
Sorrise. Quella donna non sarebbe mai stata più bella di come era in quel momento, mentre la paura abbandonava i suoi occhi velandoli di un’ultima, ormai quieta, rassegnazione.
 
Commossa dalla bellezza di quegli attimi, la figura in penombra inclinò il capo per seguire l’ultimo sguardo nelle iridi azzurre, catturando il momento del trapasso e sentendo un brivido percorrerla da capo a piedi, provocando una scossa sulla sua pelle delicata ed una, ancor più potente, nel suo cuore nero. 
 
Sospirò e una lacrima sfuggì da uno dei suoi occhi, rotolando sul viso per fermarsi sul bordo delle labbra tremanti per l’emozione; quello non era un volgare omicidio, era arte. Un tale piacere poteva appartenere solo all’arte, e se ogni pedina del suo piano si fosse mossa come aveva ideato, quel piacere sarebbe diventato un capolavoro.
 
****
 
- Dimmi che stai scherzando... -.
 
- Mi stai ascoltando o fai solo finta?! - Ines quasi urlò nel microfono del telefono.
 
- Ines, ragiona... - il ragazzo alzò gli occhi al cielo prima di riportarli nel mare di scartoffie che affollavano la sua scrivania - secondo te, uno che ha intenzioni omicide indica sulla busta nome, cognome e indirizzo?! -.
 
A quelle parole Ines rispose tacendo, riflettendo sul fatto che forse, forse, ciò che le stava dicendo il suo amico non fosse poi così improbabile. In effetti, nessuno con serie intenzioni di commettere un crimine lascerebbe tutte quelle informazioni.
 
- Pensi che possa essere uno scherzo? - domandò cautamente.
 
- Uno scherzo così come uno sfogo - le fece notare Giorgio - non ti è mai capitato di sfogarti con qualcuno e dire cose che non hanno senso? -.
 
- D’accordo, potrebbe essere come dici tu - ammise Ines con prudenza - ma promettimi che, quantomeno, indagherai su questa persona per escludere che sia pericolosa -.
 
- Come vuoi - Giorgio sospirò rassegnato.
 
E quando, dopo qualche ora, il suo amico poliziotto le fece sapere che quel nominativo corrispondeva ad un signore inglese trasferitosi in Italia da qualche mese, e che non vi fossero segnalazioni di nessun tipo a suo carico, Ines prese una decisione.
 
Determinata a non lasciar cadere nel vuoto la questione, la prima cosa che fece quando tornò a casa dal lavoro fu dirigersi verso lo scrittoio, prendere un foglio di carta e una busta che teneva riposti in un cassetto da innumerevoli anni, e sedersi con la penna in mano, pronta a fare qualcosa che le ricordava tempi passati e che non avrebbe mai creduto di poter fare di nuovo. Chi scriveva ancora lettere?!
 
Gentilissimo Lee,
mi perdoni se mi permetto di scriverle, ma ho trovato per caso, e per sbaglio, la lettera che ha inviato ad Elizabeth qualche giorno fa. Non è mia intenzione intromettermi nella vita altrui, ma ciò che ha scritto mi ha colpita molto, e ho sentito il bisogno di mettermi in contatto con lei.
 
Probabilmente il suo è stato solo uno sfogo, un momento di fragilità, e sono certa che le sue intenzioni non siano cattive. Ed è proprio per questa ragione che, per quello che può valere, le chiedo di rivolgersi a qualcuno che possa aiutarla, qualcuno che possa accompagnarla in questo momento di scoramento e riportarla alla serenità.
 
Se posso esserle d’aiuto in qualche modo, ne sarò felice.
 
I.
 
Decise di firmare solo con la sua iniziale, e furono solo le iniziali che scrisse sulla busta, indicando come indirizzo la casella postale che solitamente utilizzava per lavoro. Le sembrava la cosa più giusta da fare; Lee aveva indicato il suo recapito, lei non se la sentiva ma gli avrebbe dato la possibilità di contattarla, se avesse voluto. La prudenza non era mai troppa, soprattutto quando le premesse erano così traballanti... ciò che Giorgio le aveva riferito era vero, su questo non aveva dubbi, ma non avrebbe rischiato stupidamente.
 
Quando, il giorno successivo, imbucò la lettera nella cassetta, sentì per la prima volta il peso di quello che stava facendo, meravigliandosi della sua audacia; aveva senso tutto questo? Aveva senso intromettersi in una vicenda che, almeno a prima vista, non aveva capo né coda? No, assolutamente, ma era più forte di lei, anche se non avrebbe saputo spiegarne la ragione. Tuttavia, qualche giorno dopo la sua sorpresa fu ancora più grande, trovando all’interno della casella postale una elegante busta di carta lavorata artigianalmente, vergata con un carattere fine e distinto.
 
Ines girò e rigirò la busta tra le mani, sicura su chi fosse il mittente, e dopo diversi minuti di indecisione la fece scivolare nella borsa, decisa a leggerla solo nel momento in cui fosse stata nell’intimità della sua piccola casa, comoda e al riparo da occhi indiscreti. 
 
Inutile dire che la sua giornata lavorativa fu un disastro totale, e quando, con diciassette rintocchi che furono musica per le sue orecchie, l’orologio dell’ufficio decretò l’agognata fine di quella infruttuosa giornata, prese al volo giacca e borsa per fiondarsi fuori dall’ufficio.
 
Finalmente a casa, entrò impaziente rimanendo per diversi minuti con la schiena appoggiata alla porta, avvertendo i suoi battiti accelerati rimbombare contro il legno caldo; prese la lettera per portarla al petto e stringerla, sentendola accartocciarsi leggermente sotto alle sue dita tremanti e leggermente umide.
 
“Che diavolo sto facendo?! Neanche fosse una lettera d’amore!”.
 
Si fece vento con le mani e, dopo aver preso un bel respiro, passò il dito sotto il bordo della busta estraendone il tanto atteso contenuto.
 
Gentile I.,
credo che lei sappia meglio di me che ciò che ha fatto è scorretto, probabilmente ha addirittura commesso un crimine, tuttavia...
 
Ines trattenne il respiro.
 
Tuttavia credo di essere l’ultimo a poter dire qualcosa, dato che i miei stessi propositi, come avrà ben capito, non sono tra i più nobili...
La sua è la lettera di una persona buona, ligia al dovere e con una piacevole inclinazione all’empatia, ma sfortunatamente è stata mandata a qualcuno che non conosce nessuno dei tre sentimenti succitati. Non sono buono, del dovere mi importa poco o nulla, e la mia empatia deve essere venuta alla luce qualche minuto dopo di me ed essere rimasta orfana.
 
Vada avanti con la sua vita. E la prego di ignorare la mia.
 
Lee
 
Ines portò lo sguardo di fronte a sé, sgranando gli occhi. Lo sconosciuto Lee non aveva affatto gradito il suo interessamento e questo, sebbene fosse prevedibile, la lasciava con una punta di amaro in bocca. Forse, ma solo forse, in un angolo recondito del suo cervello aveva immaginato che quell’uomo potesse apprezzare il suo aiuto, d’altronde, per una persona sola come traspariva dalle sue parole, l’interessamento di un’estranea avrebbe potuto alleggerire la sua amarezza... ma non era stato così.
 
Inoltre, il tono delle sue parole sembrava ribadire con fermezza le sue intenzioni, dunque, non sarebbe arretrato di un passo. E se prima poteva pensare, o illudersi, che si trattasse di un acceso sfogo di qualcuno molto depresso, ora aveva la certezza che dietro ci fosse qualcosa di più.
 
Il giorno successivo si recò personalmente in commissariato, ma anche stavolta la risposta di Giorgio fu la stessa.
 
- Ines... so che sei spaventata, ma ti ripeto quello che ti ho già detto - Giorgio sospirò - Allen è un uomo tranquillo, non ha mai dato alcun problema né ne ha avuti - vide Ines roteare gli occhi - per quello che ne sappiamo potrebbe essere semplicemente un equivoco, magari sta attraversando un periodo poco felice ed è particolarmente depresso... -.
 
- Ma la risposta che mi ha dato... -.
 
- Potrebbe essersi stizzito per la tua invadenza, non ci hai pensato? -.
 
Ines alzò le spalle.
 
- Ascoltami... va’ a casa e per favore - sottolineò le ultime due parole - non pensare più a questa storia e torna alla tua vita -.
 
****
 
A dispetto di ciò che le aveva consigliato Giorgio, però, Ines non tornò alla sua quotidianità, e nell’esatto momento in cui fu di nuovo da sola, dopo aver percorso correndo i due chilometri che separavano casa sua dal commissariato e ignorato i clacson di chi reclamava un po' di sacrosanta attenzione, prese carta e penna e cominciò a scrivere come se la sua vita dipendesse da questo.
 
Stavolta le sue parole uscirono dal cuore, quasi fossero dirette ad un amico con cui aveva condiviso molto e che, pur non vedendo da tempo, non aveva mai dimenticato. Ines arrivò quasi a supplicare quello che ormai non considerava più uno sconosciuto, bensì un’anima ferita, uno spirito spezzato, qualcuno da salvare. Imbucò la lettera dopo averla stretta al petto, come se quel gesto potesse scongiurare le cattive intenzioni dell’uomo che ormai occupava la maggior parte dei suoi pensieri, tuttavia, sebbene Ines avesse sperato che le sue parole potessero toccare quel cuore difficile, la risposta del destinatario, qualche giorno più tardi, la colpì duramente. 
 
Non cambierò idea.
Venerdì sera, piazza Santo Spirito 23.
 
Lee.
 
Uno schiaffo le avrebbe fatto meno male.
 
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Stavolta Giorgio non liquidò la faccenda come uno dei tanti episodi di gente desiderosa di attirare l’attenzione ad ogni costo.
 
Le sue mani volavano sulla tastiera del computer smorzando l’attesa inquieta con il suono ripetitivo delle dita sui tasti, mentre né lui né Ines osavano respirare per paura di distrarsi. 
 
- Non so che diavolo abbia intenzione di fare - Giorgio scosse il capo - ma all’indirizzo che ha indicato, per quella data, è prevista la presentazione di un libro -.
 
- Pensi che potrebbe fare del male a qualcuno approfittando della folla? - domandò Ines guardandolo con agitazione.
 
- Non penso niente e.… penso tutto -.
 
- Dobbiamo andare! -.
 
- No no, non dobbiamo, semmai devo andare -.
 
- Non resterò a guardare, non quando sono l’unica a sapere che intenzioni abbia! -.
 
****
 
L’ora stabilita per la presentazione era passata già da un po' quando Ines e Giorgio arrivarono, trafelati, al centro congressi.
 
- Dannato traffico! - Giorgio non poté trattenersi, mentre Ines sembrava non prestare attenzione a nulla, concentrata sul suo obiettivo.
 
- Di qua! - indicò la direzione seguendo le indicazioni della locandina all’ingresso.
 
La sala era gremita di giornalisti e di curiosi, un po' troppi per essere una semplice presentazione, tuttavia, quando gli occhi di Ines si posarono sul cartellino al centro del tavolo principale, a dispetto del fatto che segnasse un posto momentaneamente vuoto, sentì il sangue fermarsi.
 
Lee Allen.
 
- È lui... è l’assassino! - disse puntando un dito e rivolgendosi a Giorgio, che passò nervosamente una mano tra i suoi riccioli ribelli imprecando sottovoce. 
 
Avrebbe voluto muoversi discretamente, osservare quella situazione per capire se davvero si trattasse di un pericolo o fossero solo le fantasie di un paranoico, tuttavia l’avventatezza di Ines stava mandando tutto all’aria.
 
- Che diavolo stai facendo?! - Giorgio sibilò tirando giù il suo braccio, mentre la platea li guardava accigliata - Piantala! -.
 
- Ma è lui Giò... è Allen... è l’assassino! - la sua agitazione non le permetteva di ragionare correttamente, con il risultato che la sua voce risuonò ancora più forte.
 
Giorgio alzò gli occhi al cielo. Ines era fuori controllo e non si rendeva conto di cosa stesse facendo... avrebbe potuto prendersi una denuncia, oltre al fatto di sembrare una squilibrata.
 
Tuttavia, dopo un primo e comprensibile momento di smarrimento, la reazione che arrivò dai presenti spiazzò entrambi, lasciandoli perplessi, quasi basiti.
 
Le risate dell’uditorio cominciarono sommesse, risuonando più forti via via che le mani smettevano di celare il divertimento, fino a contagiare tutti con un effetto domino che portò l’attenzione generale sul soggetto che aveva scatenato tanta ilarità.
 
Ines guardò Giorgio accigliandosi, venendo ricambiata alla stessa maniera, e concentrata su quello scambio, non notò l’arrivo di qualcuno alle sue spalle... qualcuno che, andando a sedersi nel posto a lui riservato, smorzò il divertimento nella sala riportando il decoro consono al momento, e attirando anche l’attenzione dei due intrusi che avevano portato tanto scompiglio.
 
- Ancora?! Sai che odio l’odore malsano del fumo - il nuovo arrivato arricciò il naso, e sebbene parlasse sommessamente alla donna che gli stava accanto rimproverandole il suo odore, ciò che disse arrivò alle orecchie di tutti, facendoli sorridere.
 
- Non essere bacchettone Lee - la donna, che dal cartellino sul tavolo rispondeva al nome di Elizabeth, allargò un sorriso da lupo - sai che è il mio vizio e la mia perdizione... non riesco proprio a farne a meno -. 
 
Nel frattempo, Ines perse quasi una mascella quando vide Lee Allen in carne e ossa. Aveva immaginato un uomo attempato, di mezz’età, non vecchio ma abbastanza maturo da sentire il peso degli anni, e invece...
 
Quell’uomo sembrava avere a malapena cinquant’anni; occhi azzurri, capelli lievemente brizzolati, lineamenti delicati, fisico slanciato... era dannatamente attraente e la sua presenza schiva e riservata non faceva altro che amplificare tutte le sue qualità visibili. Ben visibili.
 
Ines sentì il suo volto avvampare, e non solo per la pessima figura che aveva appena fatto; lo sguardo obliquo dell’uomo su di sé era pesante, quasi riuscisse a leggere nei suoi occhi, ma soprattutto era intenso, facendola rimpicciolire per la vergogna e il turbamento. 
 
- Bene... riprendiamo da dove siamo stati interrotti... - come se avesse ascoltato una preghiera silenziosa, la donna che rispondeva al nome di Elizabeth riprese la parola, attirando l’attenzione generale e facendo presto dimenticare alla stampa l’imbarazzante siparietto di poco prima, nonché lo scarso gradimento dell’odore del tabacco del signor Allen.
 
E mentre quella donna parlava, Ines non poté impedire a se stessa di sentirsi stupida. Tanto, tanto stupida. 
 
- Come ho avuto modo di dirvi poco fa, abbiamo deciso di pubblicare il nuovo libro con il vero nome e il vero volto del suo autore - la donna continuò, facendo annuire più di un giornalista - il signor Allen ha finalmente deciso di uccidere il suo alter ego per mostrarsi al mondo con il suo vero volto... -.
 
Senza essere vista, Ines batté il palmo della mano sulla fronte. No, non era stupida, era proprio un’idiota con la maiuscola; aveva scambiato per un intrigo a sfondo noir quello che era, niente più, niente meno, che lo sfogo di uno scrittore che, ad un certo punto della sua carriera, aveva deciso di uccidere il suo alter ego per esporsi e pubblicare le sue opere con la sua vera identità.
 
Con la coda tra le gambe lasciò la sala convegni, ringraziando il cielo di avere un amico come Giorgio, che aveva il buongusto e la sensibilità di tacere, anche se... forse avrebbe preferito che la prendesse in giro, perché l’avrebbe aiutata a sentirsi meno stupida.
 
E quando, qualche giorno più tardi, trovò nella casella postale una lettera della quale riconobbe subito il mittente, un sorriso rassegnato adornò le sue labbra sottili.
 
Grazie.
Lee
 
Si accigliò, non comprendendone il senso, ma accettando saggiamente la fine della sua fallimentare carriera da investigatrice; e dopo aver preso un bel sospiro liberatorio, ripose le possibili domande in un cassetto remoto della sua memoria, buttando la chiave in un confortevole buco nero per tornare alla sua confortevole quotidianità.
 
****
 
Un sottile rivolo di sangue partiva dalla base del collo, attraversando la clavicola ed il braccio per morire sull’indice della mano sinistra, dal quale piccole e costanti gocce rosso vivo abbandonavano il corpo sempre più debole per morire sul tappeto scuro della stanza da letto fiocamente illuminata.
 
Appoggiato con indolenza al davanzale della finestra, un uomo aspirava lentamente dal bocchino d’argento della sigaretta che teneva morbidamente tra le dita, appagando i suoi sensi con lo spettacolo del trapasso... debolmente ancorata alla realtà solo da gemiti ormai impercettibili, la vita abbandonava quel corpo sempre più stanco, permettendo allo spettatore, nonché artefice, di godere di quel miracolo al contrario. 
 
E mentre guardava le palpebre della donna farsi via via più pesanti, non poté evitare alla sua mente di compiacersi per il modo impeccabile in cui si era comportato, ripercorrendo rapidamente le tappe che lo avevano portato fin lì. Quasi fosse uno spettacolo teatrale, il suo capolavoro...
 
Atto numero uno: accettare la sua natura. Non era stato facile ammettere che il suo godimento passasse dalla sofferenza ultima degli altri, ma, una volta assimilato il concetto, provò qualcosa di simile alla realizzazione. Atto secondo: pensare a come poter agire indisturbato, e ciò passava dal doversi esporre, dal fingere di odiare il fumo di quelle sigarette che amava lasciare sulla scena del crimine come segno del suo passaggio, e dal mettere il naso fuori casa, sebbene odiasse farlo. Atto terzo: trovare qualcuno che lo aiutasse, che fosse il suo lasciapassare inconsapevole per la libertà.
 
Atto quarto: Ines.
 
Aveva trovato la ragazza perfetta, dopo averla spiata per un po' di tempo ne aveva compreso la natura generosa, quell’indole speciale di chi è convinto di poter aiutare il prossimo, e, non da ultimo, sembrava avere una curiosità fuori dal comune; per lui era stato un gioco da ragazzi lasciar scivolare la lettera qualche secondo prima che lei passasse e farle credere di averla trovata casualmente, ed era stato altrettanto facile indurla al loro scambio epistolare. Quello scambio con cui le aveva fatto credere di poterlo salvare, di doverlo salvare.
 
Sorrise. Ines era stata perfetta nell’eseguire ciò che lui aveva architettato, non avrebbe potuto chiedere di più... dopo averlo accusato davanti a tutti di essere un assassino ed esserne uscita goffamente, chi mai avrebbe potuto anche solo sospettare di lui?
 
Finalmente era libero, libero di poter dare sfogo alla sua natura senza paura di nulla, celandosi dietro alla maschera ineccepibile dello scrittore schivo che aveva avuto il coraggio di rivelarsi al mondo intero... 
 
Dopo aver dato un’ultima occhiata alla donna agonizzante sul letto, si alzò per prendere dalla tasca della giacca un foglio di carta, lo appoggiò sulla scrivania di legno e con la sua inconfondibile grafia vergò l’unica cosa che gli venne dal cuore.
 
Grazie.
Lee
 
No. Ines non sarebbe mai stata una vittima. Sarebbe stato il suo ringraziamento per aver recitato la sua parte alla perfezione.
   
 
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