“Amore non è amore che muta
quando scopre i mutamenti
od a separarsi in cima quando
altri si separano.
Oh no, è un faro irremovibile
che mira la tempesta e mai ne viene scosso...”
“Ragione e Sentimento”
Capitolo 6
La Chiave Del Mio Cuore
“Avevo fiducia in te, diamine!”.
L’urlo secco di Vittoria non mi piacque
affatto. Senza contare il fatto che decine di passanti di Piazza Venezia si erano
voltati verso di noi.
“Vittoria, calma, ti va un gelato?” proposi,
sorridendo con falsa grazia verso una signora che ci guardava scandalizzate per cercare di rimediare.
“Te lo ficcherei in testa un gelato! Mamma
ha licenziato Hazel!” continuò a sbraitare, guardandomi infuriata. “Per colpa
tua!” aggiunse, come se non si fosse capito, e per accentuare ancora di più la
cosa mi puntò l’indice contro.
“La colpa è tua che non ti sei portata il
cellulare dietro! Mi avresti potuto avvertire…” risposi stizzita.
“E che avevo, la sfera di cristallo per
sapere che mi avresti mandato l’sms quella mattina?”.
“E che credi, che ce l’avevo io per sapere
che non ce l'avevi dietro?”.
Ci guardammo, continuando a fronteggiarci,
finchè lei non sbuffò, incrociando le braccia. “Uffa. Non ne posso più di
questa sfiga” sbottò.
“Smettila di essere melodrammatica,
signorina” la rimproverai.
“La fai facile tu…”.
La guardai male. Non mi piaceva quando
faceva la Drama Queen, per dirla con
le parole di mamma. “Vittoria, cosa devo dirti? Ho sbagliato, lo so ma non ho
avuto scelta! Tu al mio posto cosa avresti fatto?” chiesi spavalda, incrociando
le braccia.
Lei esitò, poi non rispose. “Ora vado a
casa” disse, rabbuiata e ancora un po’ arrabbiata.
“Aspetta che ti accompagno con lo scooter…”
mi offrii, ma lei scosse il capo.
“No, ho voglia di camminare e starmene da
sola, a casa devo studiare tedesco quindi è meglio se sbollisco strada facendo”
mi zittì, lanciandomi un’occhiata con un po’ di rancore e dandomi le spalle,
senza salutare.
Mi sentii un’emerita idiota, anche perché
non mi aveva più detto il motivo per cui voleva che la contattassi. Salii sul
mio scooter e girai a vuoto per chissà quanto tempo, prima di decidermi a
tornare a casa.
Una volta in giardino, stavo per entrare in
casa quando vidi con la coda dell’occhio Cristian che stendeva alcuni suoi
vestiti dall’altra parte del prato, concentrato al massimo. Al solo vederlo il
mio stomaco si contrasse e sentii caldo.
Calmati,
calmati, respira e vedi che andrà tutto bene…
Ma poteva andarmi bene per quella sera,
sospirai, visto che l’indomani mi sarebbe toccato passare una serata con lui. E
dato che entrambi non conoscevamo nessuno degli invitati a parte mia mamma, era
ovvio che avremmo passato del tempo insieme. Il solo pensiero mi fece contrarre
dolorosamente qualcosa dentro di me, e mi dissi che anche se avevo capito di
essere interessata a lui da sole ventiquattr’ore, la cosa si faceva sempre più
pesante. Volevo sfogarmi, dirlo a qualcuno…
In un battibaleno, mi ritrovai in casa,
intenta nel cercare disperatamente uno dei cordless. Stavano sempre tra i
piedi, diamine, e quando me ne serviva uno ecco che si smaterializzavano come
sotto accordo.
“Al diavolo!” sbottai, e mi affrettai a
prendere il cellulare e a comporre il numero di Titti.
“Pronto?”.
“Ciao Titti, senti, ti dispiace se vengo da
te? Devo parlarti assolutamente…” rivelai.
Il suo tono si fece subito diverso,
disponibile. “Ma certo, solo che dovrei uscire un secondo per comprare qualcosa
per cena, sono stata a lavoro fino a poco fa” disse.
“Me la vedo io, ti vanno bene le focacce con
prosciutto e mozzarella e coca cola?” proposi in fretta.
“Va bene, perfetto” annuì. “Grazie”.
“E di che. Allora ci vediamo da te tra un
po’”.
Salii velocemente in camera, mi pettinai e
aggiustai il trucco, presi la borsa e scesi giù.
“Dove vai, piccola?” chiese mio padre,
seduto dietro al pianoforte.
“Vado un secondo da Titti, ceno da lei”
risposi. “Ci vediamo stasera, ok?”.
“Va bene, ma non fare troppo tardi…” mi ammonì.
“Certo”. Gli diedi un rapido bacio sulla
guancia e feci per uscire dalla porta del retro quando lui mi richiamò.
“Sabri?”.
Allargai gli occhi, sorpresa. “Papà, mi hai chiamato
per nome!” esclamai incredula, visto che succedeva circa tre volte l’anno,
compleanno e Natale esclusi.
Lui annuì, guardandomi in un modo così serio
che sembrava mi stesse leggendo dentro. “Rispondi ad una domanda”.
“Dimmi…”.
“Dì la verità, qualcuno mi ha sostituito
come uomo della tua vita” sussurrò, con una nota di certezza inconfondibile
nella voce.
Sembrava mesto, triste, con uno sguardo più
anziano che mai. Per una volta sembrava dimostrare sul serio i suoi 52 anni.
Mi bloccai e mi sentii la pelle d’oca al
suono di quella domanda, anzi, affermazione.
“Papà, io…” tentai flebilmente, ma a questo
punto lui sorrise in modo strano e sospirò.
“Non c’è bisogno che ti sforzi di
rispondere, ho capito tutto. Divertiti con Titti” mi salutò, e abbassò lo
sguardo verso la tastiera del pianoforte, iniziando a suonare una melodia lenta
e triste.
Dal canto mio gli diedi le spalle, corsi
verso lo scooter e iniziai a sentire una strana rabbia dentro di me.
Quel Cristian non mi poteva fare questi
scherzi, privarmi delle mie abitudini, stravolgermi la vita! Mi sembrava quasi
di aver tradito sul serio mio padre, ad essere onesti.
Non mi sentivo più libera, era come se fossi
schiava di un sentimento, schiava di lui. E la cosa, ragionandoci a freddo,
così, su due piedi, non mi dispiaceva affatto.
Sto
impazzendo…
Subito mi affrettai a prendere dei pezzi di
focaccia in rosticceria, e deviai verso casa di Titti.
“Entra. Mi dici cosa ti è successo? Ti vedo
sconvolta” mi accolse quando mi aprì la porta.
“E’ così” ammisi. Poggiai le focacce sulla
tavola e presi posto su una delle sedie che la circondavano.
“Mi stai facendo preoccupare, cosa…?”.
Mi squadrava con i suoi bellissimi occhi in
un modo apprensivo, e prima che potessi evitarlo mi venne da piangere come la
sera prima.
“Titti, io…”. Presi un grosso respiro. “Io
mi sono innamorata di Cristian”.
Titti spalancò gli occhi e corse ad
abbracciarmi in un modo caloroso.
“Ti prego, non dirmi “Te l’avevo detto”,
non lo sopporterei perché mai come ora
mi sento una totale imbecille” la supplicai, continuando a piangere e
bagnandole la felpa nera e viola che indossava.
“No, no, come potrei. Ma dovresti essere
contenta, perché...?”.
“Perché è un casino, più lo vedo e più lo
desidero ma mi rendo conto che è impossibile, lui è grande, abita nella mia
dependance, e di certo non darà peso ad una come me, che ritiene essere piccola!” singhiozzai, sentendo
l’esasperazione salire alle stelle.
“Ma non dire così… Secondo me hai molte
speranze” mi rassicurò Titti.
“Non capisci? In un certo senso non vorrei
avere alcuna speranza per non incasinarmi, stare con lui sarebbe così… Strano…
Ma maledettamente magnifico” aggiunsi. Ormai la mia pazzia era ufficiale! Mi
contraddicevo da sola come se non sapessi nemmeno io cosa volevo dire, e in un
certo senso era vero. Come spiegare il turbine di emozioni ce provavo quando lo
vedevo e quando pensavo a lui? Non c’erano aggettivi. Tutti erano troppo banali
o riduttivi.
“Sabri, devi solo chiarirti le idee, e sai
che io ci sono sempre, ma… Forse è meglio ragionarci a stomaco pieno, non
credi?” disse lei, sorridendomi in un modo incoraggiante e accennando le
focacce.
Mio malgrado restituii il sorriso e annuii,
dicendomi che solo Titti sapeva come trattarmi in simili momenti.
La sera dopo così mi accinsi a prepararmi
per la serata di beneficenza a cui avrebbe partecipato anche Titti sotto invito
della signora. La cosa mi rassicurava, perché in caso di complicazioni ci
sarebbe sempre stata la mia migliore amica a tirarmi su.
Indossai dei jeans, una maglia con lo scollo
a V blu, degli stivaletti con il tacco non molto alto e una collana che mi
aveva regalato papà qualche mese prima. Scesi di sotto quando vidi mamma
parlare animatamente al telefono con chissà chi, un po’ seccata.
“E va bene, Marta” la sentii cedere alla
fine, scocciata. “Ma ti prego di avvisarmi in futuro visto che deve venire anche
mia figlia e un amico di famiglia. Ok, ciao, a dopo”.
“Che succede?” chiesi subito, con lo
stomaco ancora un po’ sottosopra per il
modo in cui era stato definito Cristian. Amico
di famiglia, sigh.
“Mi verrà a prendere il figlio di Marta,
l’ha mandato a prendere anche altre tre signore. Voleva essere carina…” spiegò.
“Quindi mi sa che dovrai andare da sola con Cristian, ora glielo vado a dire”
aggiunse.
Uscì, e per fortuna non potè udire il mio
gemito. In macchina da sola con lui, bene.
Per cui dieci minuti dopo me lo ritrovai
davanti, raggiante, con indosso una camicia azzurra, dei pantaloni neri e una
giacca sportiva. “Vieni in garage, prediamo la macchina” mi invitò, e così
facendo due minuti dopo eravamo in giro per la città, con me che facevo da
guida.
“Nel caso ci annoiamo ce ne andiamo prima e
andiamo a farci un giro, che dici?” sussurrò quando parcheggiò fuori la
villetta, da cui si intravedevano alcune donne anziane.
“Oh, ok” sussurrai flebilmente, sentendomi
un’ idiota nata. Quella si che era una bella prospettiva.
Mentre camminavamo poggiò un braccio sulla
mia spalla, prima di ritirarlo all’improvviso, con soggezione. Mi voltai e
decisi di sorridergli, così lui fece lo stesso, passandosi una mano tra i
capelli come faceva sempre quando era un po’ imbarazzato, ormai l’avevo capito.
Fummo accolti con gentilezza, e subito mi
affrettai a raggiungere Titti, che ne stava seduta in un angolo mogia mogia.
“Tutto bene?” chiesi.
“Ciao, Titti” la salutò Cristian.
“Ciao. Niente, è… Marco” disse sottovoce.
“Appena è venuto mi ha chiesto di versargli da bere e poi mi ha presentato la
sua ragazza, una certa Verena”. Il suo tono era infastidito, e mi voltai per
vedere la famigerata coppia. “E’ fidanzato?” chiesi poi.
“Ovvio. Lei ovviamente è straricca e
strabella”. Titti sembrava davvero sconfortata e infastidita da tutta quella
storia. “Sul serio, non capisco perché sta facendo tutte queste sceneggiate
dopo che ha saputo che lavoro da lui”.
“Forse gli interessi e gli hai complicato le
cose visto che voleva mollare una bionda milionaria per te” disse Cristian,
indicando Verena, una tipa bionda con un abitino nero succinto e un make up di
cui solo il mascara di sicuro costava almeno più di 50 €.
Titti scosse il capo. “Lo ignorerò e basta,
fine della questione”.
Stavo per ribattere quando la signora Marta
si alzò dalla sua sedia di vimini, su cui stava parlando con alcune sue
coetanee, e si alzò, chiedendo di essere ascoltata. Così facemmo silenzio.
“Allora, innanzitutto volevo ringraziarvi
per avere contribuito ad aiutare gli sfollati a causa del terremoto. E poi
volevo dirvi che la serata sta per iniziare sul serio, tra qualche minuto inizieremo
i giochi della serata!” annunciò, sorridendo, e squadrandola bene mi domandai
se il suo viso non fosse stato corretto da qualche lifting.
Ci invitò ad alzarci ed ubbidimmo. “Speriamo
non sia nulla di imbarazzante” borbottò Cristian al mio orecchio, e quel
semplice gesto mi fece sentire la pelle d’oca lungo la schiena.
“In tal caso anticipiamo la nostra fuga?”
dissi, sorridendo con aria complice, segno del fatto che il mio buonsenso fosse
davvero andato a farsi friggere.
“Ci puoi giurare” annuì, mentre ci
ammassavamo tutti in un punto. Si parò dietro di me e sentii la sua mano
intrecciarsi alla mia. Dopo un attimo di esitazione la strinsi, e sentii il suo
respiro vicino al mio collo mentre la confusione si diradava e la signora Marta
iniziava a spiegare il meccanismo.
“Allora, dovete dividervi, da una parte le
donne e da una parte gli uomini. Ognuno estrarrà un numero da questo cesto” e
qui indicò due urne alle sue spalle, “E farà coppia con la persona dell’altro
sesso che avrà lo stesso numero. Una volta stabilite le coppie, visto che siamo
in coppie, metà si sfiderà in qualche gioco e metà in un’altra. E alla fine
vincerà la coppia che avrà vinto più sfide… Ah, dimenticavo di dire: a fine
serata ci dovrà essere un piccolo bacio tra i componenti di ogni coppia, che
però potranno scambiarsi alla fine e cedere il bacio a chi ritengono più
giusto” terminò con un sorriso.
Mi raggelai udendo quell’ultima
affermazione, e per fortuna non presi lo stesso numero di Cristian, che aveva
il sei. Presi il nove, e restai sorpresa nel vedere che il mio partner sarebbe
stato Marco. E Cristian capitò con Verena.
Bene,
bene, ne approfitterò per chiarire due cosette con questo modello
apparentemente senza cervello!
“Ma tu sei l’amica di Clementine?” mi chiese Marco avvicinandosi, quando vide che avevo
il suo stesso numero attaccato sul maglioncino.
“Si, sono Sabrina”.
“Piacere, Marco”.
“E comunque la mia amica si chiama Titti,
non Clementine. Credo che solo il prete che l’ha battezzata l’abbia chiamata
così da quando è nata” ribattei.
Lui mi guardò, levando un sopracciglio. “Mia
madre la chiama così”.
“Allora sono solo due persone su sei
miliardi di abitanti che ci sono al mondo, non fa differenza. O forse per te
non conta visto che è una serva?” chiesi.
Stava iniziando la prima gara, che
consisteva nel giocare al gioco della memoria con delle carte appese a un
tabellone che però contenevano dei nomi di varie materie, e chi riusciva ad
indovinare due carte con la stessa materia doveva rispondere ad una domanda
circa quella stessa disciplina. C’erano già dodici coppie, nessuno avrebbe
notato la nostra assenza.
“Che vuoi dire?” domandò, guardandomi come
se l’avessi offeso a morte.
“Dico che secondo me dovresti chiederle
scusa, non è colpa sua se ha bisogno di lavorare per mantenersi, è la persona
migliore del mondo! E’ orfana da quando era piccolissima e tutto quello che ha
ce l’ha perché se l’è sudato, non perché hanno dei genitori come me e te molto
benestanti!” dissi infervorata.
Marco mi guardò perplesso, prima di pararsi
una mano davanti. “Senti, moralista, io non ho fatto nulla, intesi?”.
Risi. Una risata vuota, di ghiaccio. “Ma si,
certo. L’hai solo obbligata a servirti un drink quando sai che è qui in veste
d’ospite e non di inserviente e da quando hai saputo quale lavoro svolge in
casa tua la tratti con indifferenza. E’ colpa sua se non eri al corrente di ciò
che faceva?” continuai. Quel tipo mi stizzava al massimo.
Esitò, prima di sbuffare. “E’ che la tua
amichetta mi ha dato l’impressione di una ragazza distinta, carina, ci siamo
parlati qualche volta e credevo che me l’avrebbe detta una cosa simile”.
“Ma qual è il problema? Non puoi parlare con
le persone se non sono ricche come te?”.
Restò un po’ zitto prima di sospirare. “E’
una cosa mia che non sono tenuto a dirti. Grazie per la strigliata, mi
comporterò al meglio con Titti, ok?” sbottò.
“Buon per te” gli risposi.
“Ora se ti dispiace vorrei andarmene da
questa serata insulsa” si congedò, e se ne andò, senza nemmeno avvertire la
madre. Almeno, non avendo più il partner, avrei avuto la scusa per non giocare.
Presi posto su una delle sedie, dopo che mia
mamma mi ebbe domandato cosa ci facessi da sola, mentre parlava con un gruppo
di signore, non partecipando ai giochi anch’ella, finchè non venne quella
Verena a disturbarmi, prima dell’inizio del secondo gioco.
“Scusami, tu che avevi lo stesso numero del
mio ragazzo Marco, mi sapresti dire dove…?”.
“Non lo so, è il tuo ragazzo, non il mio, e
non ho la facoltà di leggere nel pensiero purtroppo” ribattei, acida.
Il mio
ragazzo Marco, sentitela! Che marchi a fare il tuo territorio? Non ho certo
intenzione di rubartelo…
Lei mi guardò, offesa, e se ne andò,
lasciando la festa a sua volta.
“Ehi, hai fatto scappare la mia partner?” mi
domandò Cristian, ridendo.
“Scusami, se ci tenevi a lei te la faccio
ritornare”.
“Ma che, mi hai fatto un favore…” ribattè.
“Che dici, evadiamo visto che siamo senza nessuno?” propose, gioioso.
Annuii rapidamente, così salutammo mamma e
Titti per poi andarcene, con ancora i due numeri attaccati alle maglie.
“Aspetta”.
Eravamo nel retro del giardino quando si
sentì una musica dolce provenire dalla festa.
“Cosa devo aspettare?” chiesi.
Lui sorrise, passandosi una mano tra i
capelli. “Ti va di ballare un po’ con me?” propose, avvicinandosi e prendendomi
per la vita.
“Qui?” chiesi, cercando di non andare in
fibrillazione, indicando quel po’ di parte di prato che ci circondava.
“Si, qui” ribadì.
“Ok…” acconsentii, così alzai le braccia e
le attorcigliai dietro al suo collo. Sentirlo così vicino a me, le sue braccia
stringermi, il suo sorriso ipnotico, il respiro fresco, mi faceva letteralmente
andare in tilt, tanto che non mi preoccupai nemmeno di riconoscere il titolo
della canzone. Poi all’ improvviso mi voltai.
“Che c’è?” chiese lui, allarmato.
“No, niente, mi sentivo osservata, sarà
stata solo un’impressione” minimizzai, e continuai a godermi quel lento. Non mi
ero mai lasciata andare totalmente con lui, e solo in quel momento capii il
perché: stargli così vicino mi faceva sentire estraniata dal mondo, felice…
Provavo un qualcosa di unico che al confronto del semplice vivere mi sembrava
decisamente dieci e mille volte meglio.
Ma, come tutte le cose belle, la canzone terminò. “Andiamo, che
dici?” domandò.
“Si…”.
Salimmo in auto, e sentivo un’atmosfera
strana, diversa: sembravamo complici, più uniti rispetto al solito.
“Ti va se ti porto in un posto diverso?”
domandò, facendo un sorriso malandrino.
“Se sorridi così mi spaventi… Devo fidarmi?”
risposi, pur sempre sorridendo.
“Se
ti fidi di me, devi”.
“Mi fido di te…”.
Si girò e mi sorrise, come se gli avessi
detto chissà che cosa. “Allora perfetto”.
Mi continuai a domandare dove fossimo
diretti finchè non fermò l’auto e mi fece segno di seguirlo, davanti un
cancello.
“Ma questa è una villa! Privata” aggiunsi,
vedendo dei nomi scritti vicino il citofono.
“Lo so”. Cacciò un mazzo di chiavi e aprì il
cancello.
“Certo che la tua è una mania! Ti diverti a
collezionare le chiavi delle case altrui! Prima la mia dependance, poi questa
villa…” elencai, stupita.
“Preferirei avere la chiave del tuo silenzio
a volte. Ma anche quella del tuo cuore” aggiunse, abbassando lo sguardo verso
di me e guardandomi intensamente.
“Oh. S-Sul serio?”. Dire che balbettavo e mi
sentivo imbarazzata era ben poco.
Ma lui- e lo odiai per questo- si limitò ad
annuire e ad aprire il cancello, facendomi entrare. Mi aveva appena detto che
voleva la chiave del mio cuore e mi lasciava così, senza aggiungere altro, come
se mi avesse chiesto le previsioni dell’indomani!
“Questa è la villa di una coppia di amici
che sono in viaggio di nozze, e tre
volte a settimana vengo qui a curargli le piante, tutto qui. Tornano domenica”
spiegò. “Vieni” aggiunse, e mi fece segno di seguirlo fino ad una piccola scala
che si trovava su un albero.
“Ma cos’è…?” chiesi.
“Una casa sull’albero che hanno costruito
per i loro futuri bambini, no?” disse, invitandomi a salire.
“Figo, la volevo sempre una quando ero
piccola…” ammisi, così lo raggiunsi, finchè non ci trovammo seduti nella
piccola casetta, vedendo tutta la villa con tanto di giardino dall’alto.
“Ci salgo sempre qui, e volevo farlo anche
con te” rivelò, voltandosi verso di me e guardandomi con intensità.
Mi passai una mano tra i capelli, troppo
ubriaca di attenzioni ricevute tutte in una volta. “Come mai?” chiesi con finto
tono casuale.
“Semplicemente perché mi piace stare con te,
e sto cercando di fartelo capire in tutti i modi. Ci sto riuscendo?”.
Esitai, colta all’improvviso da quelle
meravigliose parole. “Dipende… A volte mi fai capire che ti spiace stare con me
come semplice amica, altre mi sembri più equivoco, come con la frase della
chiave del mio cuore… Cosa devo pensare, Cristian?”.
Il mio tono era ormai supplichevole, avevo
lasciato ogni cautela, m’importava solo di mettermi l’anima in pace nel caso di
una risposta negativa…
“Devi pensare che mi sorprendi sempre di
più, che adoro il tuo modo di fare e che l’ultimo mese è stato magnifico grazie
a te, Sabrina. Io… Non sono bravo in queste cose… Mi nascondo sempre dietro
qualche battuta, e poi sembro ritirarla, ma solo perché… Oh, al diavolo! La
vorrei sul serio la chiave del tuo cuore, credimi, averti solo per me, poter
sapere che se sorridi è grazie a me, ma… Dimmelo se ho rovinato tutto con
questa mia dichiarazione ” disse subito, improvvisamente impaurito.
M’immobilizzai, sentendo il respiro
mancarmi. “Oh, ecco, lo sapevo, scusami, so che…”. Mi guardava spaventato, con
gli occhi impauriti, finchè non mi aprii in un sorriso e gli accarezzai il
viso.
“Ma sei scemo? Non hai rovinato un bel
nulla, forse solo la situazione cardiaca del mio piccolo cuoricino, ma
figurati! Io speravo che mi dicessi queste parole” ammisi.
Cristian trattenne il fiato, prima di
sorridermi e avvicinarsi di più a me. “Non sai che sollievo” mormorò, e vidi
staccarsi il sei attaccato al petto, girarlo e attaccarlo sotto forma di nove,
facendo si che fosse identico al mio.
“Scusa, ma mi sento un po’ codardo e ho
bisogno di una scusa per… Insomma, quelli con lo stesso numero dovevano…
Ricordi?”. Era proprio imbarazzato, e solo in quel momento mi ricordai le
parole della signora Marta circa il bacio di fine serata tra quelli che avevano
lo stesso numero.
“Cristian! Non permetterti di usare una
simile scusa!” lo rimproverai, e ridemmo. Da quel che sapevo, anche mio padre
aveva usato una scusa del genere per cercare di baciare mia madre la prima
volta, dicendole che le avrebbe dato il caffè che desiderava solo se l’avesse
pagato con un bacio.
Mi appoggiai contro di lui, e lo sentii
accarezzarmi i capelli. Alzai lo sguardo e lo vidi guardarmi fisso con i suoi
magnifici occhi color miele.
“Sei ancora più bella al chiarore della
luna” sussurrò, chinandosi su di me.
“Lo sei anche tu. E…” presi la chiave del
motorino dalla tasca, sicura di averne una copia a casa, e gliela diedi. “Ecco
la chiave del mio cuore”.
Ci sorridemmo, finchè lui non si calò ancora
di più su di me e le sue labbra non
sfiorarono le mie. Erano calde, meglio di come immaginavo, e le sentii
schiudersi con dolcezza. Feci lo stesso, passandogli una mano tra i capelli e accarezzandoli
con voluttà, mentre lui mi cinse la vita con le mani, facendo aderire i nostri
corpi.
Quel bacio divenne magicamente passionale, e
ci staccammo solo qualche secondo, per sorriderci e riprendere un po’ di fiato,
mentre lui riponeva la chiave in tasca e riprese ad abbracciarmi, mentre io lo
ribaciavo, questa volta con più sicurezza, conscia del fatto che potevo essere
testimone del fatto che almeno una volta nella vita la fortuna e l’amore
avevano trovato la mia strada e avevano permesso che le incrociassi.
continua...
Qualche Anticipazione:
*°*°*°*°*°*
“Gab, smettila, non è…”.
“Guarda che so tutto”.
*°*°*°*°*°*
Alla fine non ce la feci più, e il mio urlo
riecheggiò per tutta la stanza, per tutta la dependance, forse per tutta la
villa.
milly’s space:
salve ragazze! purtroppo non mi funziona la
tastiera del pc e ora sto scrivendo con quella su schermo… per cui scusate se
non rispondo alle vostre recensioni. vi ringrazio per i dolci commenti che mi
lasciate cap dopo cap e spero che questo vi sia piaciuto! dal prossimo però si
cambierà atmosfera, eheh!
spero che mostrandovi altre foto mi farò
perdonare ^^ :
Andrea da giovane: http://2.bp.blogspot.com/_FxaAe6kUPN8/SShXpiVh5XI/AAAAAAAAB2s/GZosrmCyPfs/s400/Antonio+Maggio+2.jpg
http://lh3.ggpht.com/_ZZ-CqtHjAnk/SIyiDw9fz6I/AAAAAAABKUw/IqqFyaiFWx8/Jessica%2BSzohr%2Bgossip.jpg
Marco: http://snarkerati.com/movie-news/files/2009/06/cam-gigandet.jpg
http://images2.fanpop.com/images/photos/5500000/Cam-Gigandet-james-5516118-416-556.jpg
nel prossimo cap vi mostrerò deb e qualche
altro veterano!
a sabato,
la vostra milly92.