e le risposte educate si trasformano in feroci silenzi.
Hai spento l’affetto con la cura chirurgica
di chi sa esattamente dove recidere per non dover sanguinare.
Ma io non ho lo stesso talento:
mi lascio dietro brandelli di me,
anche solo nel pensarti lontano.
Da allora non sei più tornato,
nemmeno con un pensiero distratto.
Ed io, ostinata come un fiore d'inverno,
continuo a cercarti nei giorni inadatti,
in un prato intriso di ricordi
che anelavano a diventare futuro
e che invece sono precipitati nell'abisso del nulla.
Ho creduto di essere per te
ciò che la mia anima implorava da tempo:
una dolce certezza nel caos
che ci urla in testa e ci abita il cuore.
Ora so che ti ho disegnato a colori
su una tela che è sempre stata in bianco e nero;
dipingevo il tuo corpo di illusioni
e ti vestivo dei miei desideri,
mentre tu intessevi in silenzio pragmatico
gli incubi del mio inferno personale.
Eppure spiegami perché mi manchi
come mancano i miraggi a chi muore di sete,
con una brama che si fa colpa quando realizza
che quest'amore è stato solo un lungo monologo.
Avrei potuto essere dimora:
un letto per le tue paure, un tetto per i tuoi dubbi.
Però tu hai scelto l’esilio,
perché il mio calore ti ha bruciato
più del ghiaccio che hai nel petto.
Bussasti con dita incerte a una porta
che non hai mai avuto reale intenzione di aprire
e adesso ti ho lasciato andare via,
ma senza il coraggio di girare la chiave nella toppa.
Rivedo l'eco, che risuona innamorata in questa casa spoglia,
di una voce che non tornerà a chiamarla
e convivo con questa dolorosa consapevolezza
di non saper odiare ciò che il mio cuore reclama a gran voce.
Ma il tuo cuore, che fugge da se stesso,
è mica capace di riconoscere e ascoltare un vero battito?