Un sasso per un ricordo
Tiro il freno a mano, giro la chiave e tolgo il piede dalla frizione. Scendo dalla macchina, chiudo la portiera e mi guardo intorno. Un’antica corte, ristrutturata, e’ adorna di aiuole di tulipani, gialli e rossi. Ieri, ha piovuto e la stradina che mi conduce alla casa della mia amica è un po’ infangata. Mi avvicino ad una porta di legno verde, scolorita dal sole e mi appresto a suonare il campanello di ottone. Prima, però, aggiusto i capelli e spiano le pieghe della gonna di pizzo bianco che ho indosso. La porta si apre, senza che io abbia palesato il mio arrivo.
“Chiara, ti aspettavo!” Esclama Miranda radiosa. Porta un paio di pantaloni sportivi neri, leggeri ed una camicetta a mezze maniche turchese. Mi sorride, scostando veloce una ciocca dei suoi lunghi capelli neri dal viso chiaro e rotondo. La recente gravidanza le ha donato una pelle ancora più bella, di quanto già non fosse. Capita spesso che scambino me e Miranda per sorelle.
“Scusa il ritardo. Come sapevi che ero davanti alla porta?” Mi porto una mano al petto e sorrido con educazione.
“Non saprei. Ti ho sentita, forse, ho riconosciuto il rumore della tua macchina.” Mi fa cenno di entrare, muovendo verso di sé le dita delle mani, mentre si incammina lentamente, nel suo appartamento. Capisco dal modo silenzioso in cui si muove e parla che la bambina sta dormendo.
È la prima volta che vedo la piccola Ginevra. Sua madre, la mia amica Miranda, mi ha invitato a casa sua, poco dopo il lieto evento. Il motivo per cui sono in ritardo è proprio perché non riuscivo a scegliere un regalo, che ritenessi adeguato, per Ginevra. Alla fine, ho optato per un abitino di tulle, con disegni floreali. Dopotutto è una figlia della primavera, Pasqua e’ alle porte, come pure la stagione più calda. E poi, sua madre è un’appassionata di romanzi fantastici. Il regalo si rivela azzeccato, Mira mi ringrazia tanto e mi dice che le metterà il vestitino, alla prossima bella occasione.
Io e Miranda siamo amiche dai tempi delle scuole medie. Ricordo ancora come successe: quel giorno indossavo una gonna estremamente sottile e, quando misi il pesante zaino, in spalla, la sollevo’. Percorsi il cortile della scuola con le mutandine in bella mostra. Non capivo cosa avessero le ragazzine da borbottare ed i ragazzi da ridere. Ce n’erano persino alcuni che mi facevano l’occhiolino. Ad un certo punto, mi sento tirare la gonna da dietro e, sentendola ricadere lungo le gambe, comprendo cosa fosse successo. Divento paonazza e mi giro per ringraziare la mia salvatrice: Miranda. Da allora, siamo inseparabili.
“Te lo ricordi?” Le chiedo concitata, sussurrando e cercando di trattenere le risate, per non svegliare la bambina.
“Come no?! Indossavi dei mutandoni ascellari a coste!” Mi punzecchia vivace, sottovoce. Ho sempre adorato la sua ironia. Io e Miranda riparliamo, spesso, di quella volta. E’ una specie di rituale, tra di noi.
“Mira e’ stupenda. L’ha dipinta Dio.” Affermo sognante, osservando la neonata.
Gli angoli della bocca della mia migliore amica si estendono lentamente verso l’alto.
“Riccardo?” Spero di non essere indiscreta a domandare del marito, ma, ormai, ho detto.
“E’ ancora a lavoro.” Asserisce, un po’ scoraggiata.
Decido di cambiare argomento:- Come avete scelto il nome?-
“Il sasso l’ha scelto!”
“Come, scusa?” Protendo il busto verso di lei, incerta se aver capito bene. Pongo tutta la mia attenzione nell’ascoltare quanto segue.
Miranda allunga una mano, fin sopra il tavolino da te’ di vetro e ciliegio, che abbiamo davanti e ne trae un oggetto piccolo, tondeggiante e grigiastro. Lo tiene tra l’indice ed il pollice e me lo mostra sorridente.
E’ un sasso, con disegnato sopra uno scudo ed una spada. La tinta usata sembrerebbe essere uno smalto argentato.
“Carino. L’hai fatto tu?” So che Mira ama disegnare, proprio come me.
Per tutta risposta, lei gira il sasso.
Sul retro c’è una scritta, fatta con il pennarello indelebile.
“Claire… è una firma?” Leggo confusa.
“E’ un sasso per un ricordo. Una certa Claire li dipinge e li fa trovare dappertutto, nel paese. Si dice che, quando ne raccogli uno, è un segno del destino. Ti ricorderai di qualcosa di molto importante che avevi dimenticato.” Spiega estatica.
“E come avrebbe fatto questo sasso a scegliere il nome di tua figlia?” Azzardo scettica ed un po’ contrariata. Non ho mai creduto a questo genere di cose.
Miranda ridacchia, mi conosce bene. “Quando l’ho raccolto, ho rammentato che, a scuola, la mia storia preferita era quella di Lancillotto e Ginevra!”
“In effetti, il disegno è uno scudo con una spada. Decisamente dal sapore medievale.” Mi tocco le labbra col dito indice piegato, intanto, osservo meglio il curioso oggetto. Devo ammettere che un po’ mi incanta.
La neonata inizia a gemere e Mira rimette a posto la pietra dei ricordi.
“Tra poco si sveglierà. Direi che questo è il momento più opportuno per prendere un te’. Prima che sia troppo tardi.” Aggiunge in tono comico.
“Grazie, ma non disturbarti. Pensa alla bambina.”
“Non sento ragioni. Ho appena acquistato un infuso di camomilla e lavanda che devi assolutamente provare!”
Mi mancavano le nostre tisane insieme, penso, ma, lo tengo per me, per non rovinare l’atmosfera gioiosa di questa giornata.
Seguo Miranda attraverso un piccolo corridoio, appena dipinto di color salvia e prendo posto ad una poltroncina grigia della cucina.
“Buonasera, Merlino.” Saluto calorosa il coniglio beige, che arriccia il nasino e drizza le orecchie.
Mira riempie d’acqua la teiera d’acciaio e la pone sul fornello acceso. Prende una scatolina lilla dalla credenza di noce e me la mostra. In quell’esatto momento, sentiamo un pianto sommesso venire dal salottino.
“Vai, qui ci penso io.” Le sorrido.
Il giorno dopo, decido di fare una passeggiata, nei dintorni di casa mia. Indosso un maglioncino di cotone, color verde muschio, dai bottoni tartaruga ed un paio di pantaloni da ginnastica grigi. Ho legato i miei lunghi capelli castano scuro in una coda bassa, sulla nuca. Cammino spedita, supero la galleria antica, percorrendo il bordo della strada, lungo i vecchi muretti a secco, ricoperti di edera e muschio. Mi fermo davanti all’altare della Madonna, faccio, come sempre, il segno della Croce. Osservo il volto di porcellana della biblica Madre, sereno ed eternamente giovane, incorniciato dal velo ceruleo. Decido di sedermi ad una panchina del giardino pubblico, poco distante, per riposare un attimo e godermi il tiepido sole della primavera.
Mi guardo attorno, sbadiglio. La calma di questo pomeriggio domenicale ed il bel verde della Franciacorta mi sono entrati negli occhi e nell’anima. Ad un certo punto, noto qualcosa di insolito: un sasso rotondo sembra avere qualcosa di simile ad una scritta nera. Sulle prime, rimango seduta. Poi, infilo la mano nel mio borsello di tela, da camminata e ne traggo i miei occhiali rotondi, dalla montatura dorata. Li indosso e guardo meglio. Sembra proprio trattarsi di una di quelle pietre della memoria.
In giro non c’è nessuno. Solo io e il sasso. “Che male potrà mai farmi.” Mi convinco.
Faccio qualche passo e lo raccolgo. Torno a sedere sulla panca. E’ firmato dalla misteriosa Claire. Curioso come abbia scelto di modificare un oggetto simile, così legato alla Natura, così immutabile. Come alcuni ricordi, destinati a rimanere anche quando i loro proprietari hanno cessato il proprio cammino su questa Terra.
Lo volto e i miei occhi si fissano su un pulcino, per metà ancora nell’uovo. Sembra osservare una Luna e delle piccole stelle blu, stilizzate, sopra la sua testa. Sono catturata dalla poetica semplicità di quell’immagine. Mi sembra quasi di commuovermi. Perché mi sento così? D’un tratto, e’ la mia voce interiore a rispondermi e lo fa con parole che credevo di aver dimenticato:- Luna, Luna, vieni da me!-
E’ la me bambina che parla. Ho tre anni e sono con mia madre che vigila affinché non mi sporga troppo dal balcone di casa della nonna, ad Ariano Irpino. E’ ora di andare a dormire, ma io, perennemente nottambula, ho deciso di invitare la Luna a giocare con noi.
“Non può sentirti, chiamala più forte!” Esclama la mamma.
Inizio a gridare con quanto fiato ho in gola. Intorno a noi, per chilometri, solo uliveti, vigneti e campi coltivati.
Mi volto delusa:- Non viene!- Muovo i pugnetti, stizzita.
“Allora chiamala forte, forte, col cuore.” Suggerisce mamma con voce dolce.
“Chiamala mentre dormi.” Aggiunge, speranzosa.
“Voglio guardarla un altro po’.” Dico io, finalmente calma.
Avevo già visto la Luna, ma, quella volta, l’ho vista per davvero.
Ritorno al presente ed alla me stessa che sono ora. Ho gli occhi lucidi. Mi tolgo gli occhiali e non mi sembra più di vedere sfuocato.
In fondo basta poco per vivere bene: dei bei ricordi.
Così come, allora, mi bastava solo una buona madre ed una finestra, davanti all’infinita immensità della Vita.
Guardavamo l’Universo ed il suo Occhio d’argento ricambiava lo sguardo.
Stringo forte, nel pugno della mano, il sasso. Rimango così per alcuni minuti. Infine, lo infilo in tasca e mi incammino verso casa. Fa sempre troppo presto a venire la sera. Eppure non c’è nulla di più poetico di un tramonto e di più incantato del lucore lunare.