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Autore: LyannaAnomis    08/05/2025    0 recensioni
In un tempo remoto si ergeva il continente di Seatiale, dal Mare Assolato al Deserto Infinito.
Era un unico Regno una volta.
Dopo anni di lotte dalle sue ceneri si ergono cinque Regni, ognuno governato dal proprio Sovrano,
La regina Mariam ha un sogno: riportare Seatiale al suo antico splendore e riunire tutti i popoli sotto una sola bandiera.
Era un unico Regno una volta.
Genere: Avventura, Fantasy, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 1


Gli unici rumori che spezzavano il silenzio erano lo scoppiettio del fuoco nel camino, che illuminava debolmente la stanza altrimenti scura, il leve fruscio di una piuma che si muoveva sulla carta e il tintinnio prodotto dalle sottili catenelle d'argento tempestate di cristalli quando Yda li prese dal cofanetto.

Il rumore cristallino continuò anche quando la serva li ebbe finalmente presi nelle mani, ora chiuse a pugno, tanto forte stava tremando. Yda deglutì più volte, nel tentativo di calmarsi, ma ebbe quasi l'impressione che anche quel piccolo gesto producesse un forte rumore e quasi si portò una mano alla gola prima di ricordarsi che fosse occupata. Fece qualche passo da dova proveniva il rumore della carta e si sentì quasi mancare quando con un piede urtò qualcosa che non riuscì a vedere bene, nella penombra della stanza.

Il rumore fu a stento percettibile ma Selenna, dall'altra parte della stanza, si girò a lanciarle un'occhiataccia. Yda sentì gli occhi bruciare dalla vergogna, sapendo che si era evitata una ramanzina coi fiocchi, ma solo per ora. Quando sarebbero state sole Selenna l'avrebbe scuoiata.

La vecchia serva scosse il capo, i capelli ormai grigi stretti in una crocchia alta in modo impeccabile, in disapprovazione e con un lieve gesto della mano la invitò a sbrigarsi. Yda annuì e abbassò lo sguardo, sia in segno di vergogna che per scrutare il pavimento in cerca di eventuali ostacoli da evitare.

Distrattamente ma con improvviso piacere notò che il grande e soffice tappeto color crema con intrecci in argento che ricopriva il pavimento aveva qualche macchia a sporcare ciò che sarebbe dovuto essere immacolato. Neanche Selenna era così perfetta come le piaceva far credere o, più probabilmente l'età iniziava a farsi sentire. Anche da lei.

Yda sorrise lievemente e con passo più sicuro cercò di affrettarsi ad attraversare l'enorme stanza, in alcuni punti neanche il fuoco riusciva ad illuminare i candidi muri di pietra liscia e la ragazza lanciò uno sguardo intimorito alle zone d'ombra, avvertendo un tremito di freddo anche se la stanza era ben riscaldata.

Selenna la guardò stizzita, stringendo i piccoli occhi marroni e stringendo le labbra sottili con disappunto; il suo viso, già segnato dall'età, si riempì di nuove rughe.

Yda arrossì e la stessa ondata di terrore che l'aveva colta quando aveva aperto il piccolo cofanetto di legno chiaro intarsiato d'oro, la travolse di nuovo. Doveva sbrigarsi, se non voleva...

Doveva sbrigarsi.

Un nuovo rumore riempì il silenzio della stanza: quello del sottile pettine d'argento che passava tra lunghi capelli.

Yda allungò il passo, quasi inciampò nei suoi stessi piedi ma riprese subito l'equilibrio; strinse forte tra le dita la catenina con i cristalli fino a sentir male alla mano, come a darsi forza.

Arrivò a pochi passi dal grande tavolo di mogano che si trovava all'estremità della stanza e si fermò per una manciata di secondi a riprendere fiato. Poi si inginocchiò ai piedi della grande sedia, di mogano come il tavolo e riccamente lavorata con intagli, e offrì le mani a coppa dove i cristalli tintinnarono per l'ultima volta.

Il fruscio della carta si fermò e una bianca mano affusolata si avvicinò a quella della serva prendendole le catenelle in un gesto aggraziato, senza toccarle nemmeno un po' di pelle.

Nel vedere quella mano così elegante e curata vicino alla sua, Yda arrossì confrontandola con la propria, arrossata dallo strofinare i panni e pavimenti, rovinata dal duro lavoro quotidiano.

Si era sentita a disagio da quando aveva messo piede nella stanza, ma era la prima volta in cui si sentiva davvero inferiore. Abbassò la testa in quello che sperava sembrasse reverenza e non l'angoscia che provava, i capelli che le erano sfuggiti dalla crocchia stretta, come quella di Selenna, le ricaddero sugli occhi e quando vide quelle ciocche, la prova della sua inadeguatezza, si odiò.

Tenne la testa bassa e quindi solo dal suono poté capire che le catenelle erano passate in mano a Selenna, che le intrecciava, con la rapidità e sicurezza data dell'esperienza, al manto di fini e lucidi capelli neri; modellandoli in una complessa treccia alta.

Yda osò alzare gli occhi per un momento e vide quella cascata nera brillare grazie l'argento e i cristalli, rimase senza fiato e poi perplessa quando vide la mano di Selenna fermarsi. Fu un solo istante, ma la cosa era così strana, era la prima volta che assisteva ma sapeva che Selenna non esitava, che la guardò in viso in cerca di risposte. Ottenuta la sua attenzione, Selenna le sussurrò «il vestito», ma fu davvero uno sfiorarsi di labbra.

Yda annuì lievemente e si alzò con tutta la grazia che possedeva, che non era molta se ci pensava, e si diresse verso l'imponente letto che si trovava contro la parete nord della stanza. Yda giudicò che potevano dormire almeno sei persone lì, comodamente, e sentì una fitta di gelosia comparandolo con il proprio giaciglio. Il letto era ricoperto da una morbidissima coperta di pura lana color avorio intrecciata con fili d'argento e, anche senza osare toccarlo, sapeva che era il letto più comodo del reame. Dell'intero continente, forse.

Sul letto era stato disteso con cura uno degli abiti più belli che Yda avesse mai visto, di seta così leggera da sembrare impalpabile, bianco candido, sporcato sulla scollatura quadrata e sulle ampie maniche con intarsi in argento: ampi ghirigori che sembravano formare delle falci di luna.

Yda lo prese con mani tremanti, avendo il terrore di strapparlo o, che la Luna non voglia!, macchiarlo e andò verso il grande specchio con l'intelaiatura d'argento.

Rimase lì, ferma, con le dita umide di sudore che stringevano quella stoffa così delicata e fissò il pavimento, in attesa.

Qualche istante dopo dei piedi in delle delicate pantofole si fermarono davanti a lei e Yda si affrettò a porgere il vestito a Selenna, che lo prese con straordinaria delicatezza e iniziò ad aiutarla a vestirla.

Quando ebbero Yda si permise si guardarla direttamente per la prima volta da quando era entrata, forse da quando aveva memoria, perché non l'aveva mai vista così da vicino.

Tutto in lei risplendeva di grande bellezza, dai capelli perfettamente acconciati, ai grandi occhi marroni così scuri da sembrare neri, dalle labbra sottili atteggiate in un sorriso soddisfatto che le illuminava il volto.

Lei si portò le mani sui fianchi, le mani a malapena riuscivano ad uscire dalle larghe maniche, e fece un mezzo giro, rimirandosi allo specchio.

«Lavoro perfetto come al solito, Selenna» disse la Regina con un cenno di approvazione.

Yda sgranò gli occhi, sorpresa, vedendo l'anziana serva ridacchiare compiaciuta prima di fare un profondo inchino.

«Tu sei nuova» disse la Regina rivolgendosi a Yda. Non era una domanda.

«Sì, Vostra Altezza» sussurò con voce strozzata Yda inchinandosi, imbarazzata.

«Il tuo nome, fanciulla» sembrò un ordine, più che una domanda

«Yda, Vostra Altezza»

La Regina annuì lentamente, come se stesse soppesando attentamente il suo nome. Poi le sorrise, di un vero sorriso, che le illuminò gli occhi. Non le disse nient'altro, ma ad Yda bastò.

Quel sorriso le sarebbe bastato per il resto della vita.

Si sentì bussare alla porta, tre colpi secchi che precedettero una voce maschile, autoritaria.

«La Prima Dama della Regina, Lady Shenya Freyrdt» annunciò quella che doveva essere un guardia di turno alla porta.

La Regina si avvicinò lentamente alla finestra più vicina e scostò la pesante tenda, dando una lunga occhiata fuori. Per un attimo sembrò perdersi nei suoi pensieri e Yda temette che Lady Shenya si sarebbe offesa, considerato quanto la Regina la stava facendo aspettare.

«Avanti» disse la Regina infine, portandosi al centro della stanza e affrontando la porta con le braccia incrociate dietro la schiena.

La porta si aprì immediatamente e a grandi passi decisi entrò la Prima Dama della Regina.


 

La guardia davanti a lei rimase impassibile, con la mano destra appoggiata all'elsa della spada lunga che portava al fianco. Non una minaccia, ovviamente, ma solo il simbolo della sua vigilanza.

Stava solo svolgendo il suo compito, Shenya lo sapeva, ma trovava comunque snervante che una semplice guardia le impedisse di andare dove desiderava; combatté l'impulso di sbuffare e iniziare a battere un piede con impazienza, limitandosi a incrociare le braccia al petto e a mascherare il suo viso in un'espressione di perfetta calma. Ma non abbassò lo sguardo, continuando a fissare gli occhi azzurro pallido dell'uomo davanti a sé, nel tentativo di intimidirlo.

Ma la guardia non era, in fondo, una semplice guardia: sopra la livrea blu scuro, con in rilievo la luna bianca, portava lo stemma d'argento della falce di luna della casa reale.

Non era solo una guardia, era il capitano.

Shenya si spostò dalla spalla i lunghi capelli biondi, lasciandoli ricadere morbidamente sulla schiena, e guardò più attentamente l'uomo.

Il viso duro, squadrato, segnato dalle prime rughe era di una tonalità più scura di quello dei soliti soldati di guardia al castello, probabilmente abbronzata dal sole. I capelli tagliati corti erano castani, screziati di grigio sulle tempie, il naso aquilino e le labbra serrate le fecero venire in mente il nome di quell'uomo: Terwin Brach.

Shenya corrugò la fronte per un momento prima di nascondersi nuovamente in una apparente tranquillità. Cosa ci faceva il capitano delle guardie reali, che di solito si trovava in giro per tutta Orios a portare la Pace della Regina, appostato davanti alla camera da letto reale?

Madre Luna mi indicherà la strada, pensò Shenya. O almeno lo farà la Regina, aggiunse divertita.

Ma si sentiva nervosa ora, al cospetto dell'uomo. Non per l'uomo in sé, ma per le novità che avrebbe portato. Era stata lontana da Firstfall e dalla Regina troppo a lungo, doveva assolutamente parlare con Mariam e venire a conoscenza degli avvenimenti recenti.

Se solo la Regina si fosse degnata di aprirle la porta e farla entrare.

Con un lieve sospiro spostò lo sguardo da Brach, si era arresa alla realtà di non riuscire a fargli abbassare gli occhi e ora capiva il perché, alla porta a due battenti di noce scuro decorata in rilievo con spirali di ferro battuto.

Stava per iniziare a spazientirsi e chiedere a Brach di annunciarla nuovamente quando le arrivò la voce attutita della Regina.

«Avanti» disse Mariam, la voce a malapena udibile ma il tono di comando era chiaro.

Brach annuì, come se la Regina potesse vederlo, e si girò a spalancare la porta prima di fare un passo indietro e permettere a Shenya di passare. Non disse una sola parola.

Shenya mostrò la prima emozione da quando aveva incontrato l'uomo: sorrise dolcemente e piegò il capo nella sua direzione, in segno di rispetto. Se quell'uomo ha anche solo un poco di cervello, pensò, noterà il veleno dietro i miei gesti.

Lanciò un'ultima occhiata al capitano ma il viso dell'uomo era come pietra, senza emozioni.

Quando varcò la soglia, le pesanti porte si richiusero dietro di lei senza alcun rumore, i cardini ben oliati.

Shenya raccolse le vesti, la seta rossa che le scivolava tra le dita, e fece la riverenza più profonda che si adattava al suo rango.

«Mia Signora» disse con il capo chino, senza guardarla, in segno di sottomissione.

Ci fu un momento di silenzio, spezzato solo dal fruscio della seta, poi le dita della Regina le sfiorarono il mento, incitandola ad alzare la testa.

«La mia Prima Dama ha forse bisogno di queste formalità?» chiese la Regina, senza alcuna espressione anche se il tono di voce era caldo.

Shenya alzò gli occhi e il suo volto si aprì in un ampio sorriso quando incontrò gli occhi scuri di Mariam. Per la prima volta da quando aveva rimesso piede a Firstfall, si sentì finalmente a casa.

Schiuse le labbra per salutare sua cugina quando un altro fruscio, che questa volta non apparteneva alla Regina, le fece notare le altre persone nella stanza.

Riconobbe subito la vecchia Selenna, serva della Regina da quando Mariam era ancora una fanciulla, impeccabile dai capelli acconciati alla severa veste grigio scuro con su ricamata sul cuore la falce di luna bianca. Selenna teneva gli occhi bassi, ma quando avvertì lo sguardo di Shenya su di sé si inchinò in modo impeccabile.

L'altra serva invece era nuova o, almeno, Shenya non l'aveva mai vista: una giovinetta dai capelli di un castano chiaro, alcune ciocche le erano sfuggite dalla crocchia e le ricadevano sul viso, giudicò che almeno portava bene la veste, uguale a quella di Selenna. Comunque, nel complesso la considerò sciatta, inadatta a stare al servizio della Regina e la lentezza con cui si inchinò fece aumentare il suo disappunto.

Riportò gli occhi su Mariam e alzò leggermente un sopracciglio, in una muta richiesta. Il viso della Regina era ancora impassibile, ma Shenya notò subito il modo in cui la donna si morse leggermente l'angolo della bocca per impedirsi di sorridere.

«Siete dismesse» disse la Regina con uno svolazzo della mano, senza nemmeno guardarle, e le due serve raccolsero le loro gonne in un ultimo inchino prima di uscire.

Shenya aspettò tranquilla che le porte si richiudessero prima di lanciarsi in avanti e gettare le braccia al collo di Mariam e stringerla forte a sé.

La Regina rise forte di quella sua risata cristallina, ma ricambiò l'abbraccio, nascondendo il volto nell'incavo del collo di sua cugina, emettendo un piccolo sospiro di sollievo.

«Mi sei mancata» sussurrò Mariam stringendola per l'ultima volta, prima di lasciarla andare.

Shenya passò le mani dal collo alle spalle della donna, in una leggera carezza e le lasciò lì dandole una lenta occhiata nel tentativo di carpire quanti più dettagli possibili.

Almeno fisicamente, Mariam sembrava stare bene. Capelli e vestito erano impeccabili come sempre e sembrava avere un salutare colorito sulle guance che erano sempre troppo pallide.

Dovrebbe uscire di più, pensò distrattamente, ma sapeva che era impossibile.

La Regina doveva rimanere al Palazzo.

Mariam le prese una mano nella sua e la condusse alla panca ricoperta di velluto bianco vicino al camino, Shenya si mosse a disagio sulla panca, faceva troppo caldo lì dentro per i suoi gusti, ma sapeva quanto freddolosa Mariam poteva diventare.

«Raccontami tutto!» esortò la Regina girandosi verso di lei, senza lasciarle la mano.

Shenya sospirò esageratamente, triste, e disse: «Non mi chiedi nemmeno come sto? Davvero, Mariam, mi ferisci. Qui» E mise la mano libera sul cuore, in un gesto inutilmente teatrale.

Mariam ridacchiò divertita, coprendosi la bocca con il dorso della mano e scuotendo lievemente la testa.

«Sai cosa ti chiederei, se dovessi seguire i miei desideri»

«Vestito o marito?» sbuffò Shenya alzando gli occhi al cielo.

«Per prima cosa, non fare l'indisponente con la tua Regina. Secondo, entrambe le cose, davvero»

Shenya si morse la lingua, nel tentativo di reprimere una rispostaccia. Rifletté su cosa rispondere per prima e decise di andare con quella più innocua.

«Te l'ho già detto, per il vestito. Preferisco i colori accesi, mi donano di più»

«La casata regnante Whitmune per tradizione-»

«Oh, ma io sono una Freyrdt. O anche meglio, una Burg» rispose prontamente Shenya, prima di accorgersi dell'errore commesso.

Quando vide il sorrisetto di vittoria di Mariam realizzò l'errore commesso e sospirò tristemente, preparandosi mentalmente alla ramanzina che sarebbe certamente arrivata.

«Il lord tuo marito è una brava persona, Shenya, e-»

«So che Virtholm è un uomo buono, meraviglioso anche, ma conosci già la nostra situazione» disse di getto Shenya prima di rendersi conto del secondo errore commesso in quella breve conversazione e raggelò.

«È la secondo volta che mi interrompi, mia Dama, assicurati che non ci sia una terza» il tono di voce non era cambiato ma il sorriso che l'accompagnava era gelido. Nei suoi occhi si leggeva l'avvertimento non espresso.

Shenya deglutì e abbassò lo sguardo. Lei e Mariam avevano un solo anno di differenza che rendeva la Regina più grande di lei, ma erano cresciute insieme e insieme erano diventate donne, erano sempre state inseparabili ed era stato solo naturale che Shenya fosse diventata la Prima Dama della Regina quando Mariam si era seduta sul trono. Ma doveva sempre ricordarsi che prima di una cugina, prima di una sorella, Mariam era la sua Regina.

Anche se era difficile a volte.

«Mi perdoni, Vostra Altezza» mormorò Shenya e nel sorriso di Mariam ritornò il calore.

«Forza, fammi vedere questo tuo vestito. È nuovo vero? E la seta non mi sembra Oriosiana!» la Regina batté le mani e le fece segno di alzarsi.

Shenya prese la palese via d'uscita che le stava dando. Sapeva che non le avrebbe più chiesto di suo marito, per ora almeno, e che questa era una scusa silenziosa per aver usato il suo potere su di lei, Dopo essersi messa in piede, iniziò a girare su se stessa facendo alzare e ruotare la gonna con i suoi movimenti. La seta sembrava essere cangiante, rivelava a ogni movenza delle striature dorate che era difficile notare altrimenti. Sembrava fuoco liquido e la Regina rise deliziata, battendo nuovamente le mani, in incoraggiamento.

Sto ballando tra le fiamme, pensò Shenya con un sorriso prima di fermarsi senza fiato dando le spalle a Mariam, poi le ammiccò da sopra la spalle.

«Seta di Solis» disse semplicemente ritornando a sedere con un ultimo svolazzo del vestito.

«Solis! Cosa ci facevi lì?»

«Ho sentito voci di quanto fosse bello Re Calis e volevo vederlo con i miei occhi»

«Shenya! Ti mando in missione per conto della Corona e tu pensi agli uomini!» sgranò gli occhi scandalizzata, ma Shenya riusciva a sentire nella sua voce il tono divertito.

«L'ho comprata a Lapis quando sono passata per Deepsvale, essendo praticamente sul confine è facile trovare tessuti provenienti da Solis» ridacchiò Shenya, anche se per un attimo si chiese se non era andata troppo in là, scherzando in quel modo.

Ma Mariam non sembrò essersela presa, anzi.

«Quindi non sei sicura che il Re sia bellissimo come dicono?» disse stando al gioco.

«Purtroppo non ancora. Ma ho visto così tante cose! Non so da dove iniziare per raccontartele tutte!»

«Anche io ho cose da dirti, mia cara Dama» sussurrò Mariam e per un momento sembrò persa nei suoi pensieri, il sorriso però continuò a velarle le labbra.

«Quali cose?» chiese Shenya curiosa.

Nel Palazzo d"Argento non succedeva mai niente,vivevano tutti in un ciclo perpetuo che si svolgeva sempre allo stesso modo. Era alquanto noioso e per questo, quando Mariam le aveva chiesto di viaggiare per tutta Orios e oltre, aveva accettato prontamente. Tutto per evitare la monotonia.

E l'imbarazzo di vivere con suo marito.

«Prima tu. Racconta» all'improvviso il sorrise scomparve e davanti a sé Shenya non aveva più Mariam, la sorella, ma Mariam, la Regina.


 

Shenya raccontò. Tutto.

Prima di iniziare, Shenya aveva timidamente suggerito di andare a passeggiare nei giardini del Palazzo, così da prendere un po' d'aria e magari mangiare qualche pesca succosa raccolta direttamente dagli alberi da frutto che punteggiavano il parco.

Mariam, però, era stata irremovibile. Voleva parlare in camera e, dalla lunga occhiata che aveva mandato alla porta, sembrava quasi che volesse andare ad assicurarsi che fosse davvero chiusa. Alla fine era rimasta seduta ma Shenya aveva iniziato ad avere paura. Perché tanta segretezza?

Ma aveva iniziato a parlare, infine.

Il viaggio era andato bene, era stato solo molto stancante passare tante ore a cavallo quando non aveva più potuto viaggiare in carrozza. Vicino alla Capitale le strade erano ben tenute, ma avvicinandosi al confine con Lapis, diventavano sentieri di terra battuta e solo in alcuni tratti rimaneva il lastricato originale. Questo non significava che il popolo fosse in povertà o vivesse male! Assicurò Shenya quando gli occhi di Mariam si accesero in una scintilla di preoccupazione, solo che avrebbero dovuto provvedere al mantenimento delle strade, giù a sud. E poi era normale, continuò, con tutti quei mercanti che passavano continuamente da un lato all'altro del confine.

Mariam annuì ma, per quanto fosse sempre attenta a chiederle delle condizioni in cui viveva la sua gente, sembrava ansiosa che Shenya si sbrigasse ad andare avanti con la sua storia.

Certo, era interessata a come viveva il popolino, faceva domande che esprimevano il suo vivo interesse sulle condizioni in cui versava il regno, ma aveva quasi fretta di passare all'argomento successivo.

Il popolo, costituito dalla maggior parte di grandi proprietari terrieri e contadini, sembrava essere contento del modo in cui trascorreva la sua vita. I raccolti andavano bene, i bambini nascevano sani e forti. La gente sembrava a dir poco innamorata della sua Regina, così bella e buona, sempre attenta a portare pace e giustizia nelle loro terre.

Mariam annuiva, compiaciuta, contenta di come la povertà sembrava diminuire di giorno in giorno, grazie alla sempre maggiore richiesta di braccia nei campi.

«Il Tempio servirà solo per le cerimonie di corte e i matrimoni, di questo passo» scherzò Shenya giocando con una ciocca di capelli biondi, spostandoli dalle spalle a dietro la schiena, per poi portarli di nuovo avanti.

Era in ansia, per quanto provasse a nasconderlo, per quello che vedeva sul viso di Mariam. Regina o no, Mariam restava sua sorella e sapeva riconoscere quella luce nei suoi occhi, per quante maschere mettesse.

Aveva un'Idea. E quando aveva un'Idea, niente e nessuno sarebbe riuscita a dissuaderla.

Quando erano state bambine e poi ragazze aveva sempre avuto dell'Idee. Uno scherzo o un gioco, all'inizio; poi c'erano stati i primi cavalieri che avevano notato, da cui erano state notate, e niente l'aveva fermata dallo stare con loro, nemmeno le minacce di punizioni e e prediche sull'essere una futura regina.

Shenya era stata la compagna perfetta in questo, sempre d'accordo con lei in tutto, pronta a gettarsi a capofitto nei guai, soprattutto quando si trattava di uomini. Ma quelle erano state cose innocenti e anche nelle più gravi, Mariam non aveva avuto il potere di andare troppo in là.

Ma adesso che era Regina, nessuno poteva metterle un freno.

Non è niente, pensò Shenya, e poi Mariam non farebbe mai del male a nessuno.

Tranne che a se stessa.

Scosse la testa a quel pensiero, sentendosi improvvisamente seccare la gola. Mariam la guardò confusa e Shenya ripetè il gesto.

«Stavo ripensando al viaggio a cavallo. Stiamo decisamente troppo tempo a Palazzo, dovremmo uscire qualche volta per una cavalcata nei campi» disse Shenya.

«Sai che non posso» scosse piano la testa, sospirando tristemente però poi sussurrò, così piano che persino Shenya che si trovava vicina a lei faticò a sentirla: «Forse...»

«Cosa?» si illuminò Shenya, alla prospettiva che la Regina avesse cambiato idea.

I regnanti di Orios raramente uscivano dal Palazzo d'Argento e quando lo facevano era solo per ufficiare le cerimonie al Tempio della Luna, che si trovava a breve distanza dal Palazzo, o in caso di guerra conducevano le truppe sul campo per dare loro forza e speranza.

A causa di questo avevano sempre una carnagione cerea, esangue. Pallidi come la Luna, diceva il popolo. Malaticci, pensava Shenya, o almeno Mariam lo sembrava.

Tranne oggi; Shenya aveva già notato il lieve rosato sulle guance della Regina, ma ci fece nuovamente caso, persa in quei pensieri. Era come se fosse eccitata da qualcosa.

Ha un'Idea, rifletté nuovamente con un sospiro.

«Niente. Continua» la esortò la Regina.

Shenya continuò.

Parlò del viaggio verso il confine con Lapis, quando i campi si erano trasformati prima in basse colline e poi, in lontananza, nelle alte montagne della Dorsale Nordica, che dividevano Orios da Lapis, dal Fiume Violis fino alle invalicabili Montagne dell'Alba.

Ricordò con meraviglia quei monti così alti, le cime frastagliate che sembravano perdersi tra le nuvole, e la sorpresa mista a inquietudine di trovarsi più a sud di quanto fosse mai stata.

Anche se non viveva segregata nel Palazzo come Mariam, Shenya non aveva mai lasciato Orios e, fino ad allora, una parte di lei era sempre stata contenta così. Perché allontanarsi da casa sua, il più bel regno dell'antica Seatiale, per andare a visitare dei regni che erano sicuramente inferiori?

Eppure, quando la Regina le aveva ordinato di andare a portare al popolo la Parola della Regina e magari di visitare qualche altro regno, aveva sentito un brivido di eccitazione che lungo la strada era cresciuto. E la vista delle mastodontiche montagne della Dorsale le aveva acceso il sangue, facendole pensare a come avrebbe visto qualcosa di nuovo al di là di quell'ostacolo che sembrava insormontabile.

Eppure, nel cuore della Dorsale, c'era un passaggio scavato nella roccia. Nei Tempi Antichi, quando Seatiale aveva ancora un altro nome, gli Antenati avevano aperto un'incavatura nel fianco di una delle montagne della Dorsale, un lungo foro che arrivava fin dall'altra parte della montagna.

Il passaggio, all'interno, era stato liscio e levigato, screziato a volte da antiche rune di cui ormai nessuno conosceva il significato. Il freddo era stato intenso, Shenya si era stretta il pesante mantello bordato di pelliccia al petto, e l'aria era sembrata immobile, non c'era stato alcun suono al di là degli echi dei loro passi, come se il passaggio stesso fosse ancora congelato negli Antichi Tempi in cui era stato creato.

All'entrata e all'uscita del foro erano stati posti dei cancelli con a guardia dei soldati, in modo che nessuno potesse passare indisturbato. Mercanti e nobili non avevano problemi, le guardie agivano solo in caso qualche criminale avesse cercato di sfuggire alla giustizia del proprio Regno scappando in quello confinante. Per questo il popolino difficilmente poteva passare, a meno che non avessero degli affari certificati da svolgere. Ma difficilmente il popolo usava il Traforo dei Compagni, questo era il nome antico del passaggio, quando era più semplice e meglio controllato viaggiare lungo il Fiume Violis e attraccare in uno dei porti fluviali che permettevano l'accesso agli altri Regni.

«Hai attraversato il Traforo? Poteva essere pericoloso! Certamente viaggiare per il fiume sarebbe stato più appropriato» esclamò la Regina.

«Avevo un manipolo di guardie armate con me e poi avevo voglia di vederlo» Mariam sembrò sul punto di ribattere. «Ora, vuoi sentire di Lapis?» ribatté Shenya svelta.

Come previsto, Mariam annuì e un lampo si accese nei suoi occhi.

Cosa ti serve, si chiese Shenya schiudendo le labbra per incominciare a parlare, per cosa mi hai mandato lì?

All'inizio aveva creduto che fosse solo per controllare il popolo e far veder loro che alla Regina importava, cosa indubbiamente vera anche se non poteva andare di persona, ma ora Shenya era convinta che quello era solo secondario rispetto a ciò che desiderava davvero.

E ciò che voleva era sapere di Lapis.

Il Capitano delle guardie, pensò con un tremito di freddo, era stato improvvisamente richiamato a corte. Cosa ci faceva lì?

Tutto puntava a una sola cosa: una guerra.

La Regina Mariam di Orios voleva dichiarare guerra a Lapis. Questa era la sua Idea.

Shenya, che stava raccontando le bellezze di Lapis, delle sue alte montagne e delle sue miniere che aveva al posto dei campi coltivati di Orios, si fermò bruscamente; quasi finendo per mordersi la lingua.

La Regina inarcò un sopracciglio e le fece cenno di andare avanti. Shenya deglutì il nodo che le si era formato in gola e si sforzò di sorridere ma scoprì con orrore che non poteva, non ci riusciva.

Non solo Lapis, pensò terrorizzata, ha chiesto anche del Re di Solis.

Mariam annuì, come se avesse capito qualcosa, Oh ti prego no, che la Luna mi protegga, e si diresse verso la porta; aprendola il necessario per bisbigliare qualcosa alla guardia prima di ritornare a sedersi.

Shenya rimase congelata per un istante, senza riuscire a muoversi, pensando solamente: Non mi farà uccidere solo perché ho capito, sono la sua Dama, sono sangue del suo sangue, mi vuole bene.

Mariam si girò verso di lei e, quando la guardò in viso, sembrò immediatamente preoccupata.

«Shenya, ma tu stai tremando! E guarda come sei pallida! Ho mandato a prenderti dell'acqua, ora mi chiedo se forse non sia meglio una guaritrice» Mariam le riprese la mano, stringendogliela come a darle forza.

Acqua, pensò flebilmente Shenya e si sentì un'enorme sciocca. Ovviamente Mariam aveva solo voluto prenderle dell'acqua quando aveva notato che la cugina non poteva più parlare.

Mariam, la sua Regina, sua sorella, non era un mostro e non le avrebbe mai fatto del male.

Probabilmente anche la guerra era stata un'idea della sua immaginazione, che era stata sempre così vivida.

Era solamente stanca per il lungo viaggio, era tornata la notte precedente e aveva dormito solo qualche ora prima di andare a fare rapporto alla Regina. Dopo sarebbe andata a riposarsi un po' e sarebbe stata molto meglio. Un bicchiere d'acqua non avrebbe fatto male.

Riprovò a parlare, ma Mariam la bloccò subito: «Se non vuoi tornare in camera per sdraiarti un po'» Shenya scosse la testa «Allora aspetta l'acqua, ti darà un po' di forza. Vuoi forse anche qualcosa da mangiare?» Shenya scosse nuovamente la testa, faceva ancora un po' di fatica a parlare.

Il tempo sembrò passare a rilento, come se fosse immerso nella melassa. Ancora una volta il silenzio permeò la stanza, l'unico rumore lo scoppiettio del fuoco e i lievi respiri delle due donne. Mariam non smise mai per un momento di stringerle la mano e più tempo passava, più sciocca si sentiva Shenya nell'essere saltata a conclusioni affrettate.

Sorrise debolmente a Mariam, colma dell'affetto che provava per la sua Regina, che era buona e mai si era dimostrata violenta senza essere stata attaccata per prima.

Il fuoco creava delle ombre quasi minacciose sulle pareti e anche se prima si era sentita forte al pensiero di ballare tra le fiamme, ora si sentiva minacciata da quelle forme incorporee.

Il fuoco può renderti forte, pensò Shenya fissando la fiamma ardente, ma può anche distruggerti.

I tre colpi alla porta fecero sobbalzare le due donne, perse com'erano nei rispettivi pensieri. La prima a riprendersi fu Mariam che con un leggero «Avanti» permise alla serva di entrare.

La giovane ragazza che Shenya aveva visto prima avanzò piano verso di loro, portando tra le mani un grande vassoio di argento con sopra una brocca di acqua e due calici vuoti, anche essi di argento; i calici erano riccamente decorati con tutte le fasi della luna sul bordo.

Si fermò davanti alla Regina, inchinandosi meglio che poté, e lasciò che la regnante ispezionasse il contenuto del vassoio. A un suo cenno affermativo si girò a posare il vassoio sul piccolo tavolino basso davanti al camino, versò l'acqua della brocca nei due calici e porse il primo alla Regina.

Shenya sgranò i grandi occhi verdi, irritata. Tutti i servi, o almeno quelli che sapevano fare il loro lavoro, sapevano che in nessun caso si offriva il primo calice o il primo piatto alla sovrana, in quanto poteva essere avvelenato.

Prima che potesse rimproverarla, però, Mariam lo accettò, prendendolo tra le affusolate dita bianche con un cenno della testa. Non bevve, però, facendo segno di servire altra acqua per Shenya.

La fanciulla quasi inciampò nella fretta di riempire il secondo calice e quando lo passò a Shenya le fece cadere qualche goccia sulla mano.

Ridicolo, pensò Shenya, che le sia permesso di servire la Regina. Dovrò parlarne a Selenna.

Mariam sembrava divertita, però. Ordinò alla ragazza di uscire, anche se lo fece in tono dolce e non con l'asprezza che avrebbe usato Shenya e si mise a ridacchiare quando la porta fu chiusa.

Shenya bevve un sorso d'acqua, che era fredda e rinfrescante, ed esclamò: «Che a una tale idiota sia permesso l'accesso al Palazzo è assurdo»

«Yda è nuova, imparerà» commentò semplicemente Mariam facendo roteare il calice e guardando l'acqua mulinare, con un sorriso.

«Non voglio nemmeno sapere come conosci il suo nome. Per quanto ne so, potrebbe aver messo del veleno lì dentro»

«Hai bevuto lo stesso, pensando che ci sia del veleno? Non dire assurdità, è solo inesperta»

Shenya stava per concederle il punto quando notò una cosa e disse: «Eppure non hai bevuto neanche un sorso»

Mariam la guardò con un lampo di sfida negli occhi, poi bevve l'acqua tutta d'un fiato e capovolse il calice per farle vedere che era vuoto. Una goccia d'acqua cadde dal bordo del calice e finì sul vestito di seta candida, scurendo un puntino sulla stoffa. Nessuna delle due ci fece caso.

«Hai aspettato di vedere che io non agonizzassi» ma era una scusa debole e Mariam lo sapeva.

Entrambe scoppiarono in una risata allegra e ogni tensione che Shenya aveva avuto si sciolse come neve al sole. Era veramente stata una stupida.

«Vedo che ti senti meglio, hai anche ripreso quel bel colore che ti ha tinto durante il viaggio» commentò Mariam asciugandosi gli occhi.

Shenya annuì, quasi senza fiato, e rivelò: «Per un attimo mi hai spaventata, mentre ti raccontavo il mio viaggio»

«Spaventata! E cosa mai potrò aver detto?»

«Sembravi così interessata agli altri regni, piuttosto che al nostro popolo... E poi perché Brach è qui?»

Mariam cambiò nuovamente. Il suo viso perse completamente l'allegria di qualche attimo prima e diventò neutrale, completamente privo di qualsiasi espressione.

«E tu, cosa hai pensato?» chiese Mariam, fredda come il ghiaccio, gli occhi che la fissavano alla ricerca del minimo indizio.

Shenya si agitò sulla panca, improvvisamente quella paura che l'aveva immobilizzata prima l'afferrò di nuovo, stringendole il petto in una morsa e togliendole il respiro.

«Alla g...» non riusciva a dirlo ad alta voce, lo rendeva reale «Ad una guerra, Vostra Altezza»

Mariam rilassò le spalle e sorrise leggermente.

«Se non l'hai capito nemmeno tu, allora...» sussurrò così piano che Shenya dovette sforzarsi per sentirla.

Oh, pensò Shenya, allora sto di nuovo capendo male. E allargò le labbra in un sorriso tremolante.

«È una sciocchezza, vero? Pensare che tu...»

«No» Mariam scosse la testa lievemente «Non sto dicendo questo»

Il suo volto ridiventò inespressivo, si alzò in piedi e raccolse le mani dietro la schiena; ogni suo muscolo si tese nel tentativo di sembrare rilassata, divenne una statua.

«No» ripeté «Non metto in dubbio che ci sarà una guerra».

 


 

La stanza era immersa nel silenzio.

Shenya era piuttosto sicura di aver smesso di respirare per un tratto di tempo abbastanza lungo da farle venire una leggera vertigine. Il volto di Mariam appariva sfocato ai suoi occhi e, con un moto di sorpresa, scoprì che aveva gli occhi pieni di lacrime.

La Regina non parlava, rimaneva seduta davanti a lei, con le mani raccolte in grembo; la sua espressione neutra non lasciava trasparire nessuna emozione.

Come se pianificare una guerra fosse una cosa di poco conto.

Deve essere un brutto scherzo, pensò con un improvviso scoppio d'ira, e si passò una mano tremante sugli occhi nel tentativo maldestro di asciugare le gocce di pianto che le erano sfuggite al controllo rigandole le guance.

Prese un respiro tremolante e spostò lo sguardo verso una delle grandi finestre coperte dalle pesanti tende di velluto grigio perla, i raggi del sole che facevano fatica a passare rendendo tutta la stanza cupa e immersa nelle ombre che solo il fuoco scoppiettante del camino riusciva a combattere.

Abbiamo parlato tutto il tempo immerse nell'oscurità, rifletté Shenya, molto pertinente riguardo l'argomento.

Se tutto questo non è uno scherzo di pessimo gusto, ovviamente.

Sentì un lieve sospiro e poi il fruscio della seta quando Mariam si alzò lentamente e si diresse con passi leggeri verso la finestra, scostando delicatamente la tenda e legandola con la sua cordicella a un lato.

Per un momento assurdo i suoi occhi incrociarono i piedi di Mariam e si fissarono sulle pantofole che ancora portava, sotto il pregiato vestito di seta Oriosiana che indossava. A Mariam non erano mai piaciute i sandali rialzati portati tipicamente dalle sovrane e dalle nobildonne di Orios, quindi tardava il più possibile di mettersele. Una volta, avevano scherzato, si sarebbe scordata completamente di indossarle e si sarebbe presentata a corte in pantofole.

Avevano riso di gusto al pensiero, un tempo, quando tutto sembrava più semplice.

Quando era ancora stata Mariam e non una Regina assetata di guerra.

Quel pensiero le fece serrare i denti e le mani che aveva raccolto sul grembo le si serrarono in pugni.

Non era uno scherzo, per quanto una parte di lei si aggrappasse a quella speranza.

Perché non c'era un sorrisetto divertito a curvare le labbra di Mariam.

Perché non era una cosa su cui scherzare e la Regina lo sapeva bene.

Distolse lo sguardo da terra e batté le palpebre più volte nel tentativo di scacciare le lacrime che rimanevano, aveva pianto abbastanza. Ora era il tempo di esigere delle risposte.

Quando Mariam si risedette, Shenya notò come volesse finalmente iniziare a parlare. Ma la conosceva troppo bene da non sapere che se avesse avuto la prima parola, avrebbe finito per convincerla di qualsiasi cosa. Così, raddrizzando le spalle come se dovesse affrontare dei Lord e delle Lady a cui avrebbe dovuto dare brutte notizie, la bloccò sul nascere quando la vide aprire bocca.

«Di cosa stai parlando? Quale guerra?» disse con la sua voce di Prima Dama, che mai avrebbe pensato di usare sulla sua Regina.

Si mantenne forte anche quando Mariam alzò un sopracciglio, palesemente ironica. Se c'era stato un momento in cui doveva essere forte, anche a rischio di oltraggio, era quello.

Passò solo qualche secondo, forse meno, ma continuò a tenere la testa alta e a fissare negli occhi Mariam. Le vide passare l'ombra della sorpresa nelle iridi scure e accolse con gioia quella piccola vittoria.

«Era un solo Regno, una volta. Voglio che ritorni così»

Per un attimo fu sicura di aver capito male. Certamente non poteva aver detto quello che Shenya aveva capito, era troppo assurdo.

Erano ormai passati secoli da quando era finita la Grande Guerra e quella che una volta era stata l'antica e gloriosa Seatiale si era divisa in quattro grandi regni. Tutti conoscevano la storia, la si studiava sin da piccoli e molti collezionavano gli antichi manufatti provenienti da quel epoca.

Shenya non era mai stata una grande appassionata di storia, sapeva solo l'essenziale dai libri e i racconti delle bambinaie che l'avevano cresciuta.

Quello che sapeva: Seatiale era un antico Regno, che comprendeva tutte le terre che andavano dal Mare Assolato a nord fino al Deserto Infinito, il confine più meridionale di quella che oggi era Solis.

Era un regno potente, governato una dinastia di Re provenienti dall'Era Primordiale e da cui, si diceva, provenivano tutte le famiglie dei quattro Regnanti.

Ora, però, il vecchio nome era quasi dimenticato ed era stato diviso in quattro nuovi Regni:

Orios, tra il Mare Assolato e la Dorsale Nordica, popolo di contadini e allevatori di bestiame. Orios, con la sua capitale Firstfall, la grande città d'argento, nella quale si trovava il più grande tempio della Madre Luna.

Lapis, separata da Orios dalla Dorsale ma unite dal Traforo dei Compagni, circondata ad est dalle Montagne dell'Alba, a ovest dal Fiume Violis e a sud dal Fiume Indaris, che la separava da Solis. Doveva la sua ricchezza dalle montagne su cui sorgeva anche la loro prima città, Deepsvale, costruita in solida pietra grigia e slanciata verso l'alto, quasi a toccare il cielo. La pietra era così fondamentale per loro da iniziare ad adorarla. È così che iniziarono ad innalzarsi i primi santuari dedicati alla Pietra Fondatrice.

Terraria, che andava dal Mare Assolato al Fiume Indaris, il regno in assoluto più grande tra i quattro, sprofondato nei fitti boschi. Un popolo di abili taglialegna con cui riuscivano a costruire qualunque cosa, come ad esempio Bleakwall, una città immersa tra gli alberi e fatta quasi completamente in legno. Venerano la Terra, da cui proviene la vita.

E infine: Solis. Stretto tra il Fiume Indaris e il Deserto Infinito è il regno più piccolo ma da cui provengono i migliori guerrieri, uomini temprati dal caldo sole del deserto che si mormora non abbiano paura di nulla. La loro capitale, Scorchdenn, si trova sulla riva del Fiume, dove si concentra la maggior parte della popolazione. Il loro Dio è il Padre Sole, padre benevolo e crudele allo stessi tempo.

Shenya pensò tutto questo e per un istante immaginò la potenza incrollabile che avrebbero potuto essere unificati, senza tutte le leggi diverse che li separavano, i dazi, i trattati ingiusti contro i quali lottavano. Assaporò l'idea di un unico regnante, che nella sua testa era Mariam, era sempre Mariam per lei, che governava benevolmente tutti i regni da un unico trono.

Poi le arrivò un pensiero, fulmineo: anche Seatiale è caduta, infine.

E ancora: i regni cadono molto più velocemente di quanto ci voglia per crearli.

Sbatté le palpebre un paio di volte, in fretta. La stanza sembrò contorcerci davanti ai suoi occhi per un istante e avvertì l'improvviso impeto di vomitare, si portò il dorso della mano davanti alle labbra e inghiottì la bile che le stava salendo dalla gola. Il sapore la fece stare quasi male per davvero e dovette ignorare l'istinto di darsi uno schiaffo in faccia per riprendersi.

Quello era il suo momento di essere forte e lo sarebbe stata.

Quando riuscì a controllarsi diede un rapido sguardo alla stanza, tutto era come prima che cadesse nei propri pensieri, come fosse logico. Dopotutto non potevano essere passati che qualche secondo, un minuto al massimo.

Mariam era ancora seduta accanto a lei, composta, con le mani raccolte in grembo e le labbra leggermente incurvate in un sorriso condiscendente. Shenya quasi si arrabbiò nuovamente per questo, poi notò quella che sembrava preoccupazione nei suoi occhi, nelle mani serrate e come fosse tesa la linea della bocca.

Prese un respiro profondo, poi un altro e, quando il cuore sembrò smettere di battere all'impazzata, prese una mano di Mariam nelle sue. Le sue pupille dilatate furono l'unico segno di sorpresa che Mariam lasciò trapelare.

«Cosa intendi, esattamente?» mormorò guardandola da sotto le ciglia, dolcemente.

«Devo cominciare dall'inizio, è una lunga storia» disse piano Mariam.

«Una storia che conosco, che tutti conoscono. Lo so che tu la sai meglio di me! -esclamò quando vide Mariam arricciare le labbra- Ma non ho tempo e voglia per una lezione»

Mariam sospirò, ma annuì con le labbra strette in disappunto e iniziò:

«Eravamo un solo Regno una volta. Eravamo potenti e gloriosi, competevamo con gli altri Regni invece che tra di noi. Fin ora siamo stati fortunati, ma se qualcuno decidesse di attaccarci saremmo indifesi. Un pugno è meglio di dita mozze»

Shenya rifletté per qualche secondo prima di lasciare uscire un verso triste dalla sua bocca.

«Quindi vuoi scatenare una guerra per impedire un'altra ipotetica guerra? Ti rendi conto di quanto sia assurdo?» concluse infine.

«Non è solo quello, pensa a quello che potremmo fare uniti. Cose che non possiamo perché siamo troppo occupati a combatterci tra di noi. Sotto un solo ordine potremmo essere grandiosi!» Mariam si stava infervorando, come ogni volta che doveva spiegare la sua Idea.

Il problema era, questa volta ciò che diceva non aveva il minimo senso.

«È questo che vuoi, allora? Vuoi governare su tutti i regni? Essere una sola Regina suprema?» le parole lasciarono la sua bocca come se fossero acido e la stessero consumando.

Ma se lei si stava nuovamente arrabbiando, Mariam era infuriata. Strappò le proprie mani dalla presa di Shenya e si alzò in piedi di scatto, gli occhi fiammeggianti che minacciavano di incenerirla.

«Questo è quello che pensi di me? Se mi stessi ad ascoltare ti avrei spiegato che voglio un Concilio dei Sovrani, dove tutti e quattro parliamo e decidiamo insieme, parlando come uno al popolo!» esclamò Mariam, quasi urlando.

Quando se ne rese conto trasalì e lanciò uno sguardo verso la porta, dove il capitano era ancora di guardia dall'altro lato.

«Parli di popolo, ma non pensi a quelli che moriranno? Se pensi dii andare avanti ci sarà...»

«Lo so che ci sarà una guerra!» la interruppe Mariam, seccata.

«Fammi finire! Quelli che moriranno in battaglia, non sono anche loro il tuo popolo? Non devi proteggere anche loro?»

A quello, Mariam sembrò spegnersi. Chinò la testa e la treccia le scivolò su una spalla, il tintinnio dei cristalli intrecciati fuori luogo nella stanza immersa nella tensione. Si sedette nuovamente, stringendo nei pugni la stoffa del vestito, talmente forte che Shenya ebbe paura lo avrebbe strappato.

«Sacrifici devono essere fatti, per il bene superiore» sussurrò Mariam, così piano che Shenya fece fatica a sentirla.

Shenya le prese una mano, districandola delicatamente dal vestito e iniziando ad accarezzarla dolcemente.

«Sei la donna più intelligente che conosca, rifletti. Non sarà guerra solo con gli altri regni, ma anche tra di noi. Non penserai che tutta Orios vorrà questa unione?» le disse piano, cercando di farla ragionare.

Mariam le posò la testa sulla spalla con un sospiro e Shenya le passò un braccio intorno alle spalle, stringendola a se. Avvertiva il bisogno di lei di riflettere ed avere un po' di conforto e lasciò che li avesse.

Shenya non si illuse per un solo momento, sapeva che quando Mariam aveva un'Idea, molto raramente si lasciava convincere a non fare una cosa. Sperò ardentemente che fosse una di quelle volte in cui decideva di lasciar perdere, ma era una cosa troppo grossa perché succedesse.

Strinse la presa sulla sua spalla, stringendola più forte a se e affondando il viso nei suoi capelli, inspirando l'odore di pesca che la contraddistingueva. Questa volta lo fece per se stessa.

«Ho intenzione di convocare il Concilio Illuminato» disse infine Mariam senza cambiare posizione.

Shenya annuì con un debole cenno del capo, sentendo il proprio cuore spezzarsi. Il dolore che provò in quel momento, come se stesse per perdere una parte di se stessa, l'aveva provato una volta sola. E aveva giurato di non mettersi più in condizione di provarlo ancora.

A volte la vita era una vera bastarda.

«Ho bisogno di te» disse ancora Mariam con voce sottile.

Shenya rimase ancora un momento immobile, tenendo tra le braccia sua sorella, la sue unica Regina, e poi decise.

Decise di lasciarla andare.

«Non accetterò delle azioni che porteranno a una guerra» affermò con voce più ferma di quanto si aspettasse.

Lentamente si sciolsero dal loro abbraccio. Shenya raccolse il proprio abito e si alzò procedendo a passo lento verso la porta. Ogni passo era come una stilettata al cuore, ma doveva essere forte.

Mariam non la fermò, ma non si era aspettata che lo facesse.

Arrivata alla porta si fermò per un secondo, ma non si girò a guardarla.

Aprì la porta e fu fuori.

   
 
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