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Autore: stardust94    08/05/2025    1 recensioni
Un mondo sull'orlo del collasso...
Un tiranno che brama il potere assoluto.
Una sacerdotessa investita di un destino gravoso...
Un guardiano, la cui fede è incrollabile.
Quando il tuo mondo è in pericolo, cosa sei disposto a fare per salvarlo?
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Albabianca

(POV Hope)

 

Le strade del villaggio sono piene di colori. L'Astro Prismatico riflette i suoi toni pastello mattutini, rendendo tutto più bello. Albabianca è molto più viva del santuario. Qui ci sono risate, voci che si mescolano, profumi di pane caldo e spezie. A Seyra non piacerebbe sapere che sono qui, ma non mi importa. Lei è sempre così severa!

Mi stringo la mantellina e mi nascondo tra la folla. Ci sono bancarelle dappertutto. Una vende mele rosse che sembrano gioielli. Mi avvicino, ma il venditore mi guarda storto. “Compra o vai via, piccola,” dice. Arrossisco e mi allontano, fingendo di non aver toccato niente.

Cammino ancora, guardandomi intorno. I bambini corrono scalzi, le persone chiacchierano. Mi fermo quando vedo un ragazzino seduto su una cassa di legno. Ha i capelli lunghi e azzurri e occhi verdi brillanti. È concentrato su un piccolo arco che sta sistemando. Mi avvicino, incuriosita.

“Perché mi guardi?” chiede senza nemmeno alzare lo sguardo.

“Stavo solo... guardando l'arco. È tuo?” domando, mettendo le mani dietro la schiena.

“No, è di mio padre. Io mi annoiavo mentre lui parlava con gli altri.”

Annuisco e osservo le frecce che tiene. Alcune sono intrecciate con rami e foglie. “Perché alcune sono così?” chiedo.

“Servono per cacciare nella foresta. Se hanno il profumo delle bacche, gli animali non si spaventano,” spiega, come se fosse una cosa normale.

Non mi piace l’idea di ferire gli animali, ma non dico nulla. Stringo le mani sul mantello e mi siedo vicino a lui. “Mostrami come si usa l’arco,” chiedo piano.

Lui sorride, prende l’arco e tira una freccia verso una parete di legno. Colpisce proprio al centro di una macchia. Sbatto le mani, divertita. “Fantastico! Fallo di nuovo!”


Il ragazzino dai lunghi capelli azzurri mi guarda con un sopracciglio alzato, stringendo il suo arco. Sono seduta accanto a lui, con le gambe incrociate, osservando ogni suo movimento. Ha l’aria di essere calmo, ma io vedo come i suoi occhi verdi continuano a controllare ciò che lo circonda. Mi sembra che abbia sempre un piano… o almeno finge di averlo.

“Tu non sei di qui, vero?” gli chiedo, curiosa.

Lui si volta appena, continuando a sistemare le sue frecce. “Potrei chiedere lo stesso di te,” risponde con un mezzo sorriso. “Non sembri proprio una contadina.”

Trattengo un sorriso. “E tu non sembri proprio un cacciatore.”

Ride piano, un suono breve e sincero. È strano, perché non sembra un tipo che ride spesso. “Beh, forse hai ragione,” dice, lasciando la freccia sul suo grembo. “Io e mio padre viaggiamo molto. Però mi piace Albabianca. È tranquillo.”

“Tranquillo?” ripeto, quasi incredula. Per me, Albabianca è un posto pieno di vita e colori, il mio piccolo mondo segreto lontano dalle regole del santuario. “Non capisci niente, qui c’è tutta l’avventura di cui hai bisogno.”

Lui alza le spalle, come a dire che non è d’accordo, ma non vuole litigare. Non importa. Io non mi lascio scoraggiare. Mi alzo di scatto e prendo una delle sue frecce intrecciate.

“Mostrami ancora come si usa l’arco!” esclamo.

Lui scrolla la testa con un sorriso divertito, ma prende l’arco e si alza. Mi indica un punto lontano, una parete di legno con alcuni segni d’impatto. “Guarda e impara,” dice.


Fa un mezzo sorriso, fiducioso, e punta l’arco verso una cassa un po’ lontana. Tira indietro la corda, con una concentrazione che mi sembra quella di un vero cavaliere. Io trattengo il fiato.

“Preparati, principessa,” dice, con un tono un po’ teatrale.

Scocca la freccia, ma qualcosa va storto. La traiettoria non è per niente dritta, e invece di colpire il bersaglio, la freccia centra in pieno una grossa giara di creta appoggiata su un bancone vicino. Un rumore sordo risuona, seguito da un “CRASH!”. La giara si spacca in mille pezzi, spargendo grani di farro ovunque.

Io porto le mani alla bocca per non ridere, mentre lui resta immobile, con l’arco ancora in mano e gli occhi spalancati.

“Oh no…” mormora, abbassando lentamente l’arco.

Dal fondo della bancarella emerge un uomo robusto, con un grembiule sporco di farina e le braccia incrociate. Non sembra per niente contento.

“Chi è stato?” tuona, guardandoci con un’espressione severa.

Io indico il ragazzo senza pensarci, mentre lui mi fissa scioccato. “Tu dovevi essere una principessa!” mi sussurra indignato.

“E tu un arciere bravo,” ribatto ridacchiando, mentre cerco di nascondermi dietro un barile.

“Ragazzi, fermi lì!” ci urla dietro l’uomo, ma noi siamo già scattati a correre, ridendo e inciampando per le strade del mercato.


Il ragazzino si passa una mano tra i lunghi capelli azzurri, facendo spallucce dopo il disastro combinato con la giara di creta. Si sistema l’arco sulla spalla e mi guarda con un mezzo sorriso, come se fosse orgoglioso della confusione che ha causato.

“Mi chiamo Takeshi. Takeshi Felgrand,” dice all’improvviso, tendendomi una mano.

Lo guardo esitante, ma alla fine gli stringo la mano. “Io… io sono Hope,” rispondo, evitando di aggiungere altro. Non voglio che sappia chi sono davvero. Per ora, voglio restare solo una bambina che esplora Albabianca, lontana dal Santuario e da Seyra.

Takeshi mi osserva per un momento, forse aspettandosi che dica di più, ma non lo faccio. Alla fine alza le spalle e fa un gesto con la testa verso la foresta. “Beh, Hope, Posso mostrarti un paio di cose che ho imparato come cacciatore.”

Sorrido, nonostante tutto. “Va bene, ma solo se ti prometti di non rompere qualcos’altro,” gli dico ridacchiando.


 

Passammo il resto del pomeriggio nella foresta vicino al Santuario della Luce. Takeshi mi mostrò tante cose che aveva imparato da suo padre: come riconoscere le bacche buone da quelle velenose, seguire le tracce degli animali e capire da che parte soffiasse il vento. Mi piaceva stare con lui. Era poco più grande di me, ma non mi trattava come una bambina.

“Dovremmo tornare al santuario. Si sta facendo buio,” disse all’improvviso, guardando il cielo che cominciava a tingersi di colori freddi sotto l’astro prismatico. “Papà avrà finito di parlare con gli altri grandi.”

Io ero un po’ più distante, chinata a sfiorare con due dita un fiore bianco. Alzai lo sguardo verso di lui, stringendo le ginocchia al petto. Takeshi si avvicinò e mi porse la mano, ma un fischio stridulo lo fece irrigidire.

Dai cespugli emerse una creatura enorme, simile a un insetto gigante. Era alto quasi tre metri, con un corpo blu intenso e un lungo corno sulla testa. I suoi occhi rosso sangue ci fissavano con una cattiveria che mi fece gelare il sangue.

Takeshi mi afferrò la mano e si mise davanti a me, puntando il suo arco verso il mostro. “N-non preoccuparti! Ti proteggerò io!” disse, ma la sua voce tremava.

Scoccò una freccia, ma rimbalzò sulla corazza dura dell’insetto senza nemmeno scalfirla. La creatura si alzò sulle zampe posteriori, mostrando quelle anteriori, che sembravano lame affilate.

L’unica cosa che vidi fu uno spruzzo di sangue quando una delle lame colpì Takeshi alla spalla. Lui gridò di dolore e si accasciò, stringendosi la ferita.

“Takeshi!” urlai, correndo verso di lui. Lacrime mi rigavano il viso mentre cercavo di aiutarlo.

“Scappa… scappa!” gridò, ma io non volevo lasciarlo. Non potevo.

Takeshi si alzò barcollando e scagliò altre frecce contro il mostro, ma non servivano a nulla. Io ero pietrificata dalla paura, incapace di muovermi. Poi vidi una caverna poco distante. Anche Takeshi la notò e annuì debolmente.

“Adesso!” urlò, facendo incastrare le zampe del mostro in un tronco. Mi prese per mano e corremmo verso la grotta.

Entrammo appena in tempo. La fenditura era troppo stretta perché il mostro potesse seguirci. Dopo qualche tentativo, la creatura si allontanò, lasciandosi dietro uno stridio inquietante.

Takeshi si appoggiò al muro, tossendo. Mi inginocchiai accanto a lui e mi sfilai il grembiule per tamponare il sangue che colava dalla sua spalla. “Non ti preoccupare, andrà tutto bene,” dissi, ma la mia voce tremava.

Dal fondo della grotta, una luce pulsante attirò la mia attenzione. Sembrava viva, come se stesse chiamando qualcuno. Takeshi provò ad alzarsi, ma non ci riuscì. Era pallido e tremava.

“Sto morendo?” mormorò, con un filo di voce.

“No! Non morirai!” gridai, stringendogli la mano. Poi, senza nemmeno rendermene conto, cominciai a cantare.

La luce sembrò rispondere alla mia voce, pulsando al ritmo della melodia. Takeshi chiuse gli occhi e si addormentò, ma io sentii una voce profonda risuonare nella grotta.

“Sei stata tu? Tu mi stai chiamando?” chiese la voce.

Deglutii, singhiozzando. “Chi sei?” sussurrai.

“Non avere paura. Io sono qui,” rispose con dolcezza.

Guardai Takeshi, che si agitava per il dolore. Non potevo lasciarlo così. Dovevo fare qualcosa.


Mi sciolsi i capelli e legai il nastro al polso di Takeshi prima di avviarmi, un passo dopo l’altro, verso il fondo della grotta. La luce misteriosa, che sembrava pulsare in lontananza, mi guidava anche se tutto intorno era quasi buio.

Camminai per un tempo che mi parve infinito, finché le pareti della caverna si aprirono in un vasto spazio sotterraneo che mi lasciò senza fiato. I miei occhi si allargarono nello stupore mentre osservavo i cristalli colorati che ricoprivano le pareti, riflettendo mille sfumature di luce. Al centro della sala, quattro cristalli più piccoli racchiudevano un cristallo più grande, che sembrava essere la fonte di quella luminosità magica.

Deglutii, cercando di farmi coraggio. Un passo, poi un altro. Quando fui abbastanza vicina, allungai la mano tremante verso il cristallo centrale. Non appena le mie dita lo sfiorarono, la sua superficie cominciò a frantumarsi lentamente, rivelando qualcosa… o qualcuno.

Tra il fumo che si diradava, scorsi una figura inginocchiata. Era un ragazzo, con gli occhi chiusi e completamente nudo. La luce dei cristalli creava riflessi arcobaleno sul pavimento intorno a lui. Lentamente, sollevò la testa e aprì gli occhi viola, incrociando i miei.

Sorpresa, indietreggiai leggermente, ma lui si avvicinò e mi asciugò una lacrima con il pollice, un gesto così gentile che mi lasciò senza parole. Si passò una mano tra i capelli neri, quasi sfumati al blu notte, guardandosi intorno con un’espressione confusa.

“Dove siamo?” mi chiese, con una voce profonda ma rassicurante.

Feci per rispondere, ma un grido straziante mi fece trasalire. Il suono di un ronzio, sempre più forte, fece tremare le pareti della grotta. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata.

Mi girai per correre verso Takeshi, ma prima che potessi muovermi, una creatura enorme emerse dal terreno. Era uno scarabeo gigante, con mascelle affilate che mi fecero gelare il sangue. Gridai, ma mi ritrovai improvvisamente tra le braccia del ragazzo.

Con un movimento fluido, il suo braccio si trasformò in una sorta di artiglio ricoperto di una sostanza cristallina viola-nera. Con un colpo deciso, tranciò in due la creatura. Il sangue nero dello scarabeo schizzò ovunque, e io chiusi gli occhi, sopraffatta dall’odore metallico e dalla scena.

Quando atterrò al sicuro, il ragazzo mi posò delicatamente a terra. Un altro scarabeo emerse dal suolo, aprendo le ali con un ronzio minaccioso. Il ragazzo si voltò verso di me e allungò il braccio trasformato, quasi a proteggermi.

“Vai. Qui ci penso io,” disse con voce ferma, ordinandomi di allontanarmi.

Annuii rapidamente e corsi via, stringendo le mani sulla veste bianca. “Grazie!” urlai alle sue spalle, prima di sparire nei corridoi della grotta.


Correvo per i corridoi della caverna, il cuore in gola e le lacrime agli occhi. Continuavo a sperare che a Takeshi non fosse successo nulla di terribile. Quando finalmente lo vidi, rannicchiato contro una parete, il sollievo fu subito sostituito dal terrore. Con il suo arco spezzato, cercava disperatamente di tenere alla larga una creatura mostruosa.

“L-lascialo stare!” urlai, raccogliendo un sasso da terra e lanciandolo verso la testa dello scarabeo gigante.

L’essere scosse il capo, puntando i suoi occhi rossi su di me. Indietreggiai, deglutendo a fatica. Takeshi approfittò di quel momento e affondò la parte scheggiata del suo arco nell’occhio della creatura, rimanendo appeso dall’altro lato.

“Take! Attento!” gridai, mentre lui si dava lo slancio per atterrare sul pavimento, sbattendo il sedere.

L’insetto continuava a dimenarsi, il dolore dell’arco incastrato nella pupilla sanguinante lo rendeva ancora più feroce. Takeshi tossì, tenendosi il fianco, ma mi sorrise cercando di sembrare forte.

“Tu sei pazza…” sussurrò, con un filo di voce.

“Mai quanto te!” risposi, sbuffando, prima di lasciarmi scappare una breve risata.

“Almeno se moriamo… siamo insieme,” dicemmo in coro, stringendoci forte in un abbraccio e chiudendo gli occhi, certi di essere ormai spacciati.


“Come osi prendertela con mio figlio?!”
 

La voce tuonò nella caverna, e un uomo dai capelli corti azzurri fece irruzione come una saetta. Con un pugno devastante, spedì il cervo volante contro una parete, per poi colpirlo ripetutamente con una grossa katana. I fendenti erano talmente potenti da far vibrare l’aria intorno a noi. Il sangue nero della creatura schizzò sul suo kimono, mentre lo scarabeo si contorceva in spasmi prima di diventare polvere nera.

“P… papà…” riuscì a sussurrare Takeshi, mentre l’uomo si avvicinava a noi.

Ronan Felgrand sospirò leggermente, ma ci fece un sorriso rassicurante. “Ne riparliamo fuori di qui. La principessa deve tornare al santuario.”

Improvvisamente, delle forti scosse fecero tremare la caverna. Ronan ci afferrò e si mise a correre verso l’uscita. Dietro di noi, le prime rocce cominciavano a franare.

Allungai la mano verso il buio, pensando al ragazzo misterioso rimasto indietro per combattere contro gli insetti. “A-aspetta! Aspetti, signore!” gridai, ma Ronan non si fermò.

Con un ultimo disperato scatto, riuscì a portarci fuori prima che la grotta crollasse completamente. Rimasi lì, impotente, con il cuore pesante e gli occhi fissi sull’ingresso ormai sepolto.


 


L'Angolo della Stella di Polvere

Ciao a tutti voi che state leggendo! Questo piccolo angolo di chiacchiere è per dirvi un enorme GRAZIE. Sì, proprio a te che hai deciso di dedicare un po' del tuo tempo alla mia storia.

Ci tengo a dirvi che questa è la seconda stesura. Ho ripreso in mano tutto quanto e l'ho riscritto con l'obiettivo di offrirvi un'esperienza di lettura ancora più coinvolgente e, spero, migliore. Quindi, grazie doppio per essere qui, magari di nuovo!

Un ringraziamento speciale va a chiunque abbia aggiunto la mia storia alle sue liste di lettura preferite, seguite o ricordate. Sapere che la mia storia ha un posto speciale per qualcuno di voi mi riempie di gioia e mi spinge a dare il meglio.

E un ringraziamento ancora più speciale va ai miei carissimi amici, Diaspro, mia grande amica, e Dragun, il mio draghetto del cuore! Grazie di cuore per avermi concesso i vostri magnifici personaggi. Sono sicura che con la loro presenza unica aggiungeranno un tocco di colore davvero speciale a questa storia.

Di solito, troverete un nuovo capitolo ogni sabato. Però, visto che ho avuto degli impegni, ho voluto regalarvi questo capitolo in anticipo. Spero vi faccia piacere!

Ora non mi resta che augurarvi una buona lettura e un buon divertimento tra le pagine della mia storia. Spero davvero che vi piaccia e... vi aspetto sabato prossimo per continuare insieme questo viaggio! A presto!


 

  
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