Andava tutto bene.
Certamente, sotto un ampio spettro di punti di vista, era
assolutamente vero. Mentre passeggiava per Londra, celato sotto un maglione e
un paio di pantaloni blu assolutamente anonimi, pensava che aveva
il cuore più leggero di quanto non avesse mai provato in vita sua – prima
dell’anno di vita, ovviamente. Eppure – come sa bene chi si trova a provare una
subitanea felicità – la gran gioia che riempie i nostri animi è spesso minata
da subdole, latenti fitte di dolore, ed erano proprio quelle a donargli quell’aspetto trasandato e quell’espressione
assorta mentre passeggiava in quel viale alberato, pieno di secche foglie
turbinanti per quel vento d’inizio autunno.
Pensò che sebbene il tempo fosse ventoso e il cielo a
tratti plumbeo, almeno non c’era traccia di foschia. Tempo addietro ormai aveva
fatto l’abitudine a camminare attraverso la nebbia in tutte le strade che
percorreva; ma ora era scomparsa. Un sorriso molto lieve gli increspò le
labbra. Ed ecco un’altra fitta al cuore.
Osservò i lati del viale. Rosse panchine di legno
verniciato si trovavano lungo di essi, a intervalli regolari. Per un momento
contemplò la possibilità di sedersi per un po’, ma cambiò subito idea:
camminare gli schiariva la mente. Oltrepassò una fontana che gettava i suoi
zampilli in un laghetto verde costellato di ninfee. La osservò distrattamente,
poi proseguì verso il l’ampio parco erboso che si
apriva al termine del viale.
Solo una pecca in quel mare di quieta pace, solo una pecca
frastagliava la piatta e calma distesa che era il suo animo. Era solo. Era solo come quella imponente e
antica quercia al centro del parco, pensò. Poi osservò che la quercia aveva una
presenza possente, e se non altro si attirava sguardi ammirati dai passanti.
Era più solo della quercia. Una nuova fitta lo percorse, nata dal petto.
Diciassette anni gli erano scivolati fra le dita come un
nastro di raso, imbevuto di ansie, responsabilità e confusione. Ora che la
causa di tutta quella sofferenza era stata eliminata, si era aspettato di
vivere finalmente una vita qualunque, tranquilla e un po’ noiosa. Non aveva
considerato però che anche tutte le altre persone che amava tendevano verso lo
stesso scopo, e finalmente l’avevano raggiunto. Era contento per chi avesse
trovato la meritata felicità, ma lui, Harry, aveva
finito con l’essere isolato e, pensò, forse dimenticato. Si sentiva come un
relitto di un’epoca ormai passata, destinato a corrodersi e scomparire.
Sapeva però che prima o poi avrebbe dovuto reagire. Non
poteva permettersi di lasciarsi soggiogare dalla malinconia e dai ricordi, così
giovane. Osservò lo squallore, e la contemporanea, triste bellezza del
paesaggio autunnale che aveva attorno a lui. Non c’era nessuno. Si bloccò per
un istante, soprapensiero,
poi girò su se stesso e scomparve.
*
Diagon Alley era nuovamente cambiata.
Due anni prima quella contorta via era pervasa da una costante caligine e
completamente deserta. Ora era tornata allegra e movimentata. Harry camminava, senza una metà precisa, con l’unica
speranza di trovare qualcuno che conoscesse e scambiare due chiacchiere, se non
altro per udire una voce nota. In realtà, già il vociare entusiasta che udiva
nella via era sufficiente a riscaldargli il cuore.
Si osservava intorno, sorridendo suo malgrado. I Tre Manici
di Scopa era tornato tale e quale, e Rosmerta
doveva servire più clienti che mai.
L’imponente, candido edificio della banca Gringott si ergeva al termine
della via. Harry ricordò per un momento un potente
ruggito e un dolore diffuso, come di scottatura. Si accorse di dover sbattere
le palpebre più in fretta, perché gli occhi cominciavano a pizzicargli.
Ron e Hermione. Ecco, ormai era impossibile
provare a pensare ad altro. Dopo la caduta di Voldemort,
i loro rapporti erano rimasti quelli di sempre, erano sempre insieme e nulla
pareva esistere che potesse separarli. Un trio perfetto. Poi, doveva
aspettarselo, le carriere personali e nuovi e più
urgenti impegni si erano fatti sentire, ma ancora una volta avevano giurato di
non perdersi, di rimanere coesi. E così i contatti si erano fatti via via più radi, finché, più di sei
mesi prima, li aveva sentiti l’ultima volta: due, brevi lettere con gli auguri
di buona Pasqua.
“Senza contare che
non ho mai detto…”, cominciò a pensare, ma non ne ebbe il tempo. Dalla
folla era emersa una persona, una persona che Harry
conosceva. Il ragazzo rimase fermo e osservò passare e, addirittura, dirigersi dritta verso di lui Andromeda Black, che teneva per mano un bambino biondo che non poteva
avere più di tre anni. Con un sussulto, Harry si rese
conto di essere il padrino di Teddy
Lupin.
“Harry, santo Cielo, da
quanto…?”
Andromeda sfrecciò verso Harry, e lo baciò
su entrambe le guancie. Il ragazzo ricordò che il
loro primo incontro non era stato così affettuoso, l’aveva scambiata per la sua
somigliantissima e infinitamente più malvagia sorella, ma dopo le perdite che
aveva subìto non trovava affatto strano un così
potente, e pur gradito, slancio di affetto. Teddy lo guardava con un gran sorriso.
“Non sai quanto mi fa piacere rivederti”, disse Harry con il cuore.
“Dove stai andando? Noi stiamo passeggiando…Teddy ha bisogno di compagnia”
Il bambino rise di gusto, e i suoi capelli divennero
improvvisamente corti e rossi. Andromeda lo guardò
con affetto.
“In realtà passeggiavo anche io”, confessò Harry, sorridendo al piccolo. “Non andavo in nessun posto
particolare”
“Come vanno i tuoi esami?”
Harry dovette riflettere per capire a cosa alludeva Andromeda.
“Oh, sì, gli esami. Be’, ho dato
Travestimento e Mimetizzazione la settimana scorsa, e ora sono libero fino al
prossimo mese”
“Sarai un ottimo Auror”, rispose Andromeda con dolcezza. “Anche se, grazie a te, non avranno
molto lavoro ultimamente…”
Risero entrambi. Poi la donna riprese:
“Ti vedo sciupato, Harry. C’è qualcosa che non va”
Non era una domanda ma un’affermazione, ed Harry sapeva che Andromeda aveva
colpito nel segno. Annuì cercando di imbastire un’aria di sufficienza
abbastanza credibile, e però avrebbe scommesso tutto l’oro che possedeva di non
avercela fatta.
“Non era difficile da capire, Harry. Te ne vai per Diagon Alley, da solo, con quell’espressione
smorta e in abiti Babbani…”
Harry ridacchiò silenziosamente tra sé, sperando di dimostrarsi
distaccato dall’immagine che Andromeda gli aveva
dato, la quale rispecchiava in modo essenzialmente perfetto la realtà.
“Non voglio importi nulla”, continuò lei, guardandolo
dritto negli occhi, “ E non posso. Però ti assicuro che io e Teddy saremmo veramente molto
felici se venissi a pranzo da noi”
Sorrise ancora. Harry avrebbe
voluto declinare l’offerta, dire che non voleva essere di disturbo, che non era
necessario. Ma dopo aver osservato l’espressione così comprensiva della donna,
non se la sentì.
Mangiò squisitamente, e Andromeda
insisté affinché si trattenesse da loro. Harry, in
gran segreto, fu davvero felice per quell’invito.
Passò gran parte del pomeriggio a giocare con Teddy, divertendosi forse più lui del bambino. Una
volta che si fu addormentato dopo l’ennesimo giro a cavallo di scopa con il suo
padrino (nel corso del quale aveva cambiato forma del naso quattro volte per
l’eccitazione), Harry raggiunse Andromeda
in cucina, e crollò su una sedia del tavolo da pranzo.
“E’ davvero instancabile”, sbuffò divertito. “Mi ha
distrutto”
Andromeda, che affettava le carote a colpi di bacchetta, rise con trasporto.
Poi tornò seria e, titubando, andò dritta al nocciolo della questione che
voleva sollevare.
“Harry, come mai ti ho trovato
ridotto in quello stato?”
Il ragazzo non rispose. Sapeva che Andromeda
era una donna di buon cuore, ed era certo che volesse solo farlo confidare e
aiutarlo, ma le parole gli s’impigliarono in gola.
“Tu ti stai isolando”
Harry si riscosse come da un torpore improvviso. Ma come era
possibile che avesse…?
“Harry, ho visto mia figlia nello
stesso stato, tre anni fa. Si vede lontano dieci miglia che ti senti solo, e
che non lo ammetti per orgoglio”
“No, io…”
“E’ vero, e tu lo sai. Scommetto che non ti esponi perché
hai paura di minare la felicità altrui, di diventare una specie di parassita”
Harry aveva gli occhi sbarrati dalla sorpresa. O Andromeda era una Legilimens di prim’ordine,
oppure il suo livello di empatia era astronomico.
“Non importa”, continuò lei, “Non voglio obbligarti a
parlarne. Ma tu questa notte la passi qui, nel salotto”
“No, Andromeda, figurati, io non…”
“Niente ma”, disse lei ridendo. “Vorresti tornare nella
casa che era di mio cugino? Quelle mura lugubri e scricchiolanti? Scordatelo, Harry. Però vorrei che vedessi queste”
Agitò la bacchetta, e da un cassetto della credenza volò
sul tavolo un fascio di pergamene fermato con un nastro.
“Aprile, guarda pure”
Harry rimosse il nastro con mani tremanti, e afferrò una di
quelle che aveva capito essere lettere. Sfilò il foglio dalla busta, e notò che
la data era di quello stesso giorno.
“E’ arrivata mentre tu e Teddy volavate nel campo qui fuori. Sanno che siamo
soli, e ci tempestano di lettere e biglietti, quando non vengono personalmente”
A Harry si contorsero le viscere
quando lesse il nome del mittente. Cominciò a leggere.
Cara Andromeda,
il mio saluto più
affettuoso, e tante, tante grazie per le
tue lettere!
Qui in casa, alla
Tana, finalmente si comincia a respirare quella serenità che da tanto mancava. Finalmente
quel dannato orologio ha spostato le lancette da ‘pericolo mortale’,
anche se ci è tornato per un momento l’altro ieri quando Arthur
è inciampato ed
è quasi annegato nel trogolo dei maiali.
Mi chiedi come
stiamo qui. Ron lavora da George
al negozio di scherzi, e noto che effettivamente i loro affari vanno a gonfie
vele. Peccato che entrambi abbiano perso il loro ultimo anno a Hogwarts…ma hanno egregiamente recuperato. Ginny è patita di Quidditch,
pensa di iscriversi alle selezioni per entrare in non ricordo nemmeno quale
squadra…spero solo che eviti i lividi e gli incidenti durante le partite.
Bill mi manda le sue
notizie dal cottage, e Charlie ha deciso di prendersi
un po’ di ferie e stare qui a casa per qualche giorno. Benedetto ragazzo,
mangia più di tutti gli altri messi assieme!
Hermione ci manda lettere
regolarmente, e viene spesso a trovarci. Quella ragazza farà una gran carriera
al Ministero, purché non commetta gli stessi errori di Percy. Ma non lo penso, è così matura che saprà
certo agire per il meglio.
Ma Harry! Harry è scomparso. Ron dice che sarebbe inutile cercare di contattarlo, ed Hermione è dello stesso parere. Dicono che secondo loro si
sente una specie di reietto, e che teme di rovinare la nostra felicità con la
sua presenza. Dicono anche che andarlo a cercare sarebbe solo un duro colpo per
il suo orgoglio. Quel ragazzo è già stato per troppo tempo solo, vorrei
unicamente che potesse vivere sereno anche lui…qui alla Tana starebbe
benissimo. Mi preoccupa davvero non avere sue notizie.
Un abbraccio,
Molly Weasley.
Fu come se fosse stato colpito al cranio da una mazza
chiodata. Provò una sensazione di stordimento che gli impedì di parlare per
qualche minuto, e infatti il silenzio fu interrotto da
Andromeda.
“Questa è quella più recente, ma se vuoi…”, e indicò il
malloppo di pergamena, “…Puoi leggere anche le altre. Le ho raccolte tutte, me
ne manda una alla settimana da due anni. E negli ultimi mesi le conclude tutte
allo stesso modo. Oh, lo stesso vale per Ronald, puoi
leggere anche le sue, e quelle di Arthur e di Bill e di tutti”
Harry si sentì punto sul vivo. “Non voglio gravare a nessuno”,
borbottò.
“Il punto è che non graveresti affatto,
ragazzo mio. Non vedono l’ora di vederti e abbracciarti!”
“Non è così semplice, Andromeda. E se…”
“Harry, il tempo di fare l’eroe è
finito. Ora devi semplicemente vivere, hai già dato tanto. Sii un po’ egoista”,
qui sorrise, “Fai quel che vorresti fare. Non ti giudicheranno né un parassita
né un peso, stanne certo: sono soli quanto te. Vi sentite tutti, come dire, un
po’…contaminati. Ma ora…ora siete persone qualunque! Certamente, delle magnifiche persone, ma
dovete anche pensare a voi stessi, e tu più di tutti, caro”
Harry pensò che Andromeda era diversa da Molly Weasley; era molto più incisiva e schietta, e trasmetteva
un’intimità e una complicità diverse da quelle materne della madre di Ron…poi capì che il tutto era riassumibile nell’unica
parola amicizia.
“Ma Andromeda, non posso
presentarmi da loro così, come un vagabondo, e per giunta dopo tanto tempo…e
perché loro non mi hanno cercato?”, chiese, ferito.
“Lo dice Molly al termine della
sua lettera. Temono di recarti un dispiacere, perché conoscono il tuo carattere
orgoglioso. E avrebbero avuto ragione”
Il ragazzo rimuginava. Osservò la lettera di Molly, e gli ricordò un’altra lettera che aveva trovato sul
pavimento di una camera da letto in una vecchia casa piena di polvere, lettera
che aveva portato alle lacrime una persona che mai avrebbe pensato potesse
versarne. D’improvviso, il suo stomaco ebbe un guizzo, come un
quello di un pesce che balzi dal pelo dell’acqua.
“Non ho nessun indirizzo con me”
“In sei mesi non sono cambiati, in realtà. Be’, ecco questo…”. Batté un sonoro colpo di bacchetta su una
striscia di pergamena, e comparve un indirizzo.
“Chi…?”
Andromeda sorrise misteriosa. “Non voglio dirtelo. Sei libero
di non andare, ma vorrei che per te fosse una sorpresa”
Continuò a fissarlo con affetto. Il ragazzo prese dalle sue
mani il foglietto e lo mise con cura in tasca, dopo averlo letto con
attenzione. La donna lo osservò ancora, poi gli diede due rapidi baci sulle
guance.
“Ti saluterò Teddy
quando si sveglierà. E ricorda…vieni qui quando
diavolo ti pare!”
Harry le assicurò che l’avrebbe fatto, girò su sé stesso e
vorticò nella più completa oscurità.
*
Cadde carponi e sbatté la le
ginocchia contro il selciato. Alzandosi si rassettò i pantaloni e il maglione,
e si osservò intorno. Era nel centro di quello che doveva essere un ameno
paesino di campagna, ma l’erba secca e le foglie crepitanti sotto i suoi passi
fecero provare nuovamente a Harry quel misto di
nostalgia e malinconia che colpiva diritto al cuore. Doveva essere una di
quelle case, lì vicino:
S’incamminò lungo la strada asfaltata sferzata dal vento, e
cominciò a sentire freddo. Incassò il collo dentro al maglione, come una
tartaruga, e si protesse in avanti per leggere il numero civico dell’abitazione
che aveva raggiunto, scoprendo che era proprio quello.
Ed ecco, ora non sapeva cosa fare. Doveva suonare a quel
campanello? Andromeda gli aveva suggerito di farlo. E
se invece se ne fosse andato semplicemente…?
Decise di non pensare ulteriormente e, come da molto tempo
non agiva, lasciò che fosse l’istinto a guidarlo; la sua mano intirizzita suonò
al campanello, e lui si strinse ancor più nel suo maglione blu. Si stava
facendo sera.
Una delle tende della finestra si mosse, ed Harry fece appena in tempo a scorgere il brillio di un paio
di occhiali prima che la porta d’ingresso si spalancasse, rivelando l’immagine
di un uomo molto più alto di lui, che non conosceva. Aveva circa cinquant’anni ed un po’ stempiato, aveva i capelli
brizzolati, portava un paio di occhiali squadrati e aveva un’espressione
piuttosto seria in volto. Harry si sentì
immediatamente imbarazzato: si era aspettato qualcuno che lo conoscesse, un
amico di vecchia data, e invece si ritrovava di fronte un uomo dal cipiglio
severo. Gli parve di rimpicciolirsi.
“Entra”, disse l’uomo. “Hai freddo e hai bisogno di un tè
caldo”
Fu una delle sensazioni più surreali che mai avesse
provato, sorseggiare una tazza di tè fumante con un uomo sconosciuto che
inizialmente pareva ostile, ma che si rivelava in realtà sempre più premuroso di minuto in minuto. Mentre Harry beveva, si sedette nella poltrona di fronte a quella del
ragazzo, osservandolo con interesse.
“Lei mi conosce?”, esordì Harry.
“Sì, ti conosco bene, Harry. Permettimi di darti del tu”
“Non c’è problema. La ringrazio per
l’ospitalità…”
“Non ce n’è bisogno, figurati. Anzi, mi scuso per averci
messo tanto tempo a preparare il tè…ma non sono in grado di eseguire magie”
“Oh”, fece Harry.
L’uomo si alzò, e prese ad attraversare la stanza con
calma. Era un bel salotto, il pavimento di moquette verde e
mobili in legno scuro. Si fermò di fronte a una credenza, e si chinò a
osservare delle fotografie.
“Non ho intenzione di dirti chi sono”, disse con un sorrisetto in volto. “Almeno non ora”. guardò
l’orologio. “Aspettiamo che arrivi mia moglie, dovrebbe essere qui fra poco”.
“D’accordo” mormorò il ragazzo, teso. L’uomo ora ispirava fiducia, ma Harry non osava
parlare più del necessario. Sicuramente era una buona persona.
“Ad ogni modo, sapevo che saresti arrivato”, continuò. “Andromeda mi ha avvertito appena sei
partito…”; il suo sguardo indugiò sopra una grossa moneta d’oro posata
sulla credenza, ma Harry non vi fece caso.
Il campanello suonò ancora. “Oh, eccola”, disse l’uomo,
andando ad aprire la porta.
“Ciao Robert”
Nella stanza entrò una bella donna, non alta, ma dal viso
gentile e i tratti delicati. I suoi lunghi capelli scuri le incorniciavano
morbidamente il volto. In mano aveva due grosse buste che passò al marito,
mentre il suo sguardo si posava su Harry e la sua
bocca si stendeva in un sorriso. Harry sorrise di
rimando, ma i suoi muscoli facciali parevano intorpiditi. Poi, la donna fece un
cenno verso l’esterno dell’uscio aperto, e una nuova persona entrò nella sala.
Harry fu percorso da capo a piedi da un brivido che nulla aveva
a che fare con il freddo, e fu certo che lo stesso provò chi aveva visto.
Entrambi avevano stampata sul volto un’espressione attonita che non significava
assenza di sensazioni, ma sovraffollarsi di esse. Per
un istante la soggezione, la timidezza e la tensione che aveva provato
trovandosi di fronte al signor Granger
scomparvero, mentre si alzava dalla poltrona come in una visione onirica ed Hermione muoveva i primi, incerti passi verso di lui. Poi, Harry si rese
conto che non aveva la più remota idea di cosa fare. Un momento più tardi, si
rese conto che Hermione era almeno un milione di
volte più adulta di lui.
La ragazza parve dimenticare in un momento i sei mesi di
silenzio, sorrise con gli occhi pieni di lacrime e abbracciò semplicemente Harry, senza dargli il tempo di respirare.
“Sei un idiota totale!”, disse, la voce soffocata per metà
dal maglione di Harry e per metà da un enorme groppo
in gola. Harry non riusciva semplicemente a parlare,
ma rispose all’abbraccio con quanta intensità poteva, piantando il naso
nella clavicola della ragazza.
Harry non alzò lo sguardo, ma se l’avesse fatto avrebbe notato i
signori Granger
sgattaiolare furtivamente in cucina, lasciandoli soli. Quando Hermione decise di staccarsi, Harry
non si sentiva più le costole, ma non gl’importava un accidente. Notò che la
spalla della ragazza era umida, e s’affrettò a passarsi il dorso della mano
sotto gli occhiali.
Non parlarono, ma si guardarono negli occhi. Poi Hermione gli prese la mano, e lo condusse delicatamente
verso l’uscio.
*
Due file di villette si stagliavano ai lati della strada
asfaltata, e dietro esse si apriva la campagna. Harry ed Hermione camminarono
affiancati alla volta un sentiero che partiva perpendicolarmente dalla strada,
e lo seguirono, attraverso le colline secche e ventose. La lunga giacca di Hermione turbinava così come le foglie dei platani. Harry si disse che doveva cominciare a parlare.
Voleva scusarsi incondizionatamente ma, quando aprì la
bocca, non uscì alcun suono. La richiuse, frustrato.
“Accetto le scuse”, disse la ragazza seriamente. Harry ebbe per la seconda volta in quella giornata
l’impressione di avere di fronte un’ abile Legilimens.
“Harry”, fece,
con quel tono un po’ saccente e un po’ preoccupato che tanto mancava al
ragazzo, “Sei scomparso nel nulla per sei mesi. Io ho continuato a scriverti, così come Ron, per un pezzo. Ma poi ho dovuto, anzi, ho voluto
smettere”
Harry capiva e si vergognava di nascosto.
“Ho smesso perché ho capito le tue
motivazioni. Ma, come vedi, non c’è
nessun idillio familiare che tu possa in qualche modo infrangere; e anche se vi
fosse stato, non l’avresti comunque minato. Harry, io ti voglio bene!”
Il ragazzo credé per un istante che qualcuno gli avesse
infilato la testa in una pentola d’acqua bollente.
“Quello che non hai voluto capire, Harry, è che per fare la mia felicità, per arrivare a quell’idillio che tanto temi di rovinare, sei necessario
anche tu! Non saresti un estraneo a
questa felicità – bensì compartecipe. È chiaro?”
Si fermò, i capelli e la giacca agitati dal vento,
osservando Harry con affetto. Il ragazzo si ficcò le
mani in tasca, e capì che lei aveva ragione. Tuttavia, in qualche angolo remoto
dalle parti del suo sterno, avvertiva un lieve bruciore di vergogna, e questo
gli impedì di esprimersi come avrebbe voluto. Quindi, annuì tenendo gli occhi
bassi. Non cercò altre interpretazioni per la frase dell’amica, né osservò il
brillio delle sue iridi mentre lo guardava.
“Sii egoista quanto basta”, disse, ed Harry
ebbe l’impressione di avere già sentito qualcosa di simile. “Pensa un almeno un
po’ a te stesso…Anzi, puoi stare certo che pensando a te stesso faresti la
felicità altrui!”
Ripresero a camminare, mentre l’atmosfera imbruniva per il
calar della sera e la temperatura pian piano scendeva. Harry
si strinse più forte nel maglione blu. Hermione lo
vide, e gli cinse le spalle con un braccio, cedendogli un poco di quel calore
umano che tanto aveva voluto rifiutare.
“Stupido”, gli disse sorridendo, e ritornarono i loro
passi, verso la strada che lentamente si oscurava.
*
Harry fu ospite dai Granger.
Avrebbe voluto ringraziarli all’infinito, ma appena aprì bocca per farlo la
madre di Hermione lo bloccò con fare falsamente
burbero, dicendogli che non amava i ringraziamenti. Lo invitò poi a fare come
se fosse a casa sua. La cena fu ottima e tranquilla, ed Harry
provò un coinvolgimento familiare che nemmeno dai Weasley
aveva mai provato: una sorta di pace interiore che lo quietò completamente.
Dormì nella camera degli ospiti, piccola e confortevole,
accanto a quella di Hermione. Il signor Granger fu tanto gentile da
prestargli uno dei suoi pigiami per la notte. Stava appena uscendo dal bagno
infilandosi gli occhiali, quando Hermione fece
capolino dalla sua camera, in vestaglia.
“Vado a letto, Harry. A domani…buonanotte”
Si avvicinò, e lo baciò sfiorandogli le labbra.
*
Erano le dieci e mezzo di sera, ed Harry
saliva le scale in legno color nocciola che portavano al piano superiore. Gli
piaceva quel colore. Proseguiva molto lentamente, per essere meno rumoroso
possibile ed evitare di far scricchiolare le assicelle del parquet. Aveva la
testa piacevolmente offuscata dalla stanchezza, e gli passarono in mente vari
istanti che aveva vissuto durante il giorno: una torta che arrivava fluttuando
sul tavolo, uno stupido ma divertente cappellino viola a punta e un bel
mucchietto di carta regalo stracciata. Ridacchiò fra sé, ma si fermò subito per
evitare la confusione.
Arrivò in cima alla rampa di scale, svoltò alla sinistra
del corridoio, e arrivò in una stanza tappezzata di verde chiaro.
‘Quel dannato
colore…compare ovunque’, pensò, mentre posava la
bimba addormentata sul suo piccolo letto. Le sue iridi erano uguali alle sue,
ma per il resto era assolutamente più simile a sua madre.
‘E per fortuna’.
La baciò piano sulla fronte, e uscì dalla stanza,
socchiudendo la porta. Tornò al piano inferiore, e si diresse in camera sua,
mentre il gatto scivolava fra i suoi piedi facendo le fusa. Harry
poté ridacchiare sommessamente.
Il suo letto blu oltremare era il pezzo d’arredamento che
preferiva in casa. Lo rimirò con soddisfazione, poi si levò le calze e s’infilò
sotto le coperte. Dal bagno giunse il suono dello sciacquone, e poi quello
dell’acqua che sgorgava dal lavandino. Per svariati minuti si udì il fruscio di
uno spazzolino da denti al lavoro. Harry ridacchiò
ancora.
Hermione entrò nella stanza, anche lei si levò le calze, e si mise
a letto.
“Buonanotte”, disse, e baciò Harry
con leggerezza.
Erano passati diciannove anni, ne avevano trentotto, ma Harry pensò che quel bacio era sempre
uguale. Si addormentò con un sorriso.
Fine