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Autore: Hastatus    27/09/2009    1 recensioni
Essere leali è difficile. Fare il doppio gioco, ancor di più. Figurarsi l'animo di chi per anni ha dovuto farlo triplo. (Aspetto recensioni!)
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sedeva nella penombra del suo studio, gli occhi socchiusi in quella che poteva sembrare apparentemente un’espressione sonnolenta

Sedeva nella penombra del suo studio, gli occhi socchiusi in quella che poteva sembrare apparentemente un’espressione sonnolenta. La neve turbinava all’esterno del castello, ma da lì dove si trovava non era possibile vederla, non essendovi finestre. Osservava, forse pigramente, una sinuosa ampolla di cristallo, che non avrebbe assolutamente potuto risplendere nel buio della stanza, ma che invece emanava un lieve bagliore argenteo che proveniva dalla sostanza perlacea che conteneva. Avvicinò il viso al cristallo, e la sostanza prese a turbinare, mostrando un volto, un antico, ben noto volto. E ricordò.

 

Spinner’s End non era un bel luogo ove vivere. Periferia di una malsana zona industriale, era la dimora di qualche occasionale ubriaco e soprattutto dei ratti, di cui brulicava il liquame che inquinava il fiume, ormai verde, e la zona che attorniava la ciminiera. Un luogo squallido, perfetto per chi non deve farsi notare.

Vivevano lì, emarginati sia nel mondo non magico, sia in quello magico. Beh,vivere’ era una parola davvero grossa. Forse sarebbe stato più corretto ‘sopravvivere’. Quella non era vita, era solo una sosta nel mondo, senza nulla che la rendesse degna di essere goduta.

Così, per evitare quei pensieri e le furiose discussioni che coinvolgevano i genitori, Severus spesso si allontanava da solo dal paese, benché avesse poco più di dieci anni. Percorreva il ponte che attraversava il fiume e si inoltrava per qualche centinaio di metri in un sudicio sentiero che si apriva in quello che una volta era un florido boschetto, ma che ora era solo un residuo di alberi neri e secchi. Ma a lui non importava, non badava nemmeno a ciò che aveva intorno, perché sapeva che di lì a poco sarebbe giunto al parco del paese vicino. Si divertiva soprattutto a provare l’altalena: aveva scoperto di essere in grado di compiere acrobazie davvero spettacolari, che gli altri, pochi bambini che vedeva giocare nello stesso parco non erano in grado di fare.

Raggiunse le siepi che delimitavano il parco, e le oltrepassò, impaziente. Ma giunto al di là di esse scoprì con fastidio che la sua altalena era già occupata. Si fermò, e vide che era occupata da una bambina che doveva avere più o meno la sua stessa età, e notò che era davvero una bella bambina, col volto incorniciato da quella folta capigliatura rossa e la sua figura snella. La contemplò per qualche istante, e poi ebbe il desiderio di parlarle.

Tuttavia, qualcosa lo bloccò. Non avrebbe saputo spiegare che cosa, ma era come se si sentisse inadeguato e imbarazzato. Lei era vestita graziosamente, con una bella gonna blu al ginocchio e un maglione rosso; lui, osservò, aveva una giacca troppo grande e macchiata, e dei pantaloni corti e bucati. La osservò ancora per un momento, e tornò su i suoi passi.

 

Tutto era tornato vivido nella sua mente. Scosse il capo, come per scacciarlo, come se fosse solo una fastidiosa mosca. Si voltò e si alzò, e prese a camminare lentamente attraverso la stanza. La libreria – l’ampia, sterminata libreria che possedeva – l’unico, lieve conforto che avesse mai avuto, si trovava di fronte a lui. Esitò, e poi estrasse con mano sapiente uno stralcio di pergamena dal cuore di un anonimo e polveroso tomo. Osservò le due righe scrittevi, e la sua attenzione venne focalizzata dalle morbide curve tracciate dalla fine calligrafia. Si voltò ancora, verso l’ampolla, già immaginando che il suo contenuto avesse ripreso a turbinare, mostrando ciò che già conosceva.

 

Correva a perdifiato lungo lo scosceso crinale della collina, al buio, sferzato dal vento e madido di sudore. Giunse alla vetta, e poi un lampo di luce; la sorpresa e lo spavento lo fecero cadere a terra assieme alla sua bacchetta.

 

“Non mi uccida!”

 

Ma Silente non ne aveva l’intenzione. Allora rivelò ciò che aveva fatto, mentre il rimorso gli contaminava la gola come un veleno, ma si costrinse a farlo fino in fondo. Mentre parlava, si sentiva annichilito dal disprezzo che emanava la figura del suo interlocutore, ma sapeva di meritarselo tutto.

“Allora li nasconda tutti. La metta…li metta al sicuro, la prego”

 

E tu cosa mi darai in cambio, Severus?”

 

In un istante, la sua mente fu percossa da un lampo di indignazione. Come poteva pretendere qualcosa in cambio? Non si rendeva conto della gravità della situazione? Era forse il momento di speculare, di fare il proprio tornaconto?

Ma poi si rese conto che non aveva scelta, e che doveva essere sincero. Quindi rispose con sincerità.

 

“Qualunque cosa”

 

“Voglio semplicemente te in cambio, Severus. Voglio il tuo lato umano, non quello razionale. Voglio il tuo cuore. Sai qual è la posta in gioco, e sai anche qual è la parte giusta dalla quale stare”

 

Non parlava più con disgusto, ma percepì lo stesso la crudezza delle parole che pronunciava, e comprenderle fu come essere stato pugnalato al petto. Per un attimo, vi fu solo il sibilare del vento a riempire l’aria. Poi parlò.

 

Cosa devo fare?”

 

Questa volta non fu sufficiente scuotere il capo per dimenticare. Non sarebbe stato sufficiente nulla. La morsa che gli stringeva la gabbia toracica rafforzò la sua presa, e così fecero le sue mani sul bordo della libreria, mentre il suo capo si abbassava, teso e contratto. Il contenuto della fiala vorticò ancora, e dal fondo di essa emerse un nuovo volto, affilato e pallido, gli occhi freddi ma colore del sangue, la bocca sottile aperta in un ghigno mostruoso. Si dissolse in fretta, e al suo posto comparve una lapide, una pietra tombale sopra la quale aveva più volte visto neve, fiori o foglie secche…

 

Stava percorrendo il sentiero che si apriva tra due file di lapidi. La chiesa lì di fianco era silenziosa, ma dal paese provenivano voci in festa. Le sterpaglie e le foglie cadute gli rendevano difficoltoso proseguire in silenzio, ma per fortuna nessuno poteva vederlo arrancare lì in mezzo. Si guardava intorno furiosamente, i capelli scompigliati e la fronte sudata, leggendo in fretta i nomi scolpiti nel marmo.

D’improvviso lesse quello che non aveva mai sperato di leggere, e cadde in ginocchio di fronte a quella tomba. Lo strazio era tale da lasciargli gli occhi asciutti. Lesse il nome nella tomba di fianco a quella, e un impeto d’odio gli attraversò i nervi, come un impulso elettrico. Cominciò a piovere, ma non si mosse né si riparò: non gl’importava, non se ne curava nemmeno. Cos’era la pioggia, cos’erano il freddo e il vento, di fronte a ciò che era successo?

 

Passi echeggiarono da fuori. In fretta, afferrò l’ampolla e l’infilò nella tasca interna del mantello; appena in tempo, poiché poi si udirono dei brevi e forti colpi alla porta. La aprì con un colpo di bacchetta.

 

Che ci fai qui?”

 

Piton osservò Alecto Carrow, ma il suo volto era ora totalmente inespressivo.

 

“Non dicevate di aver bisogno di Veritaserum? Lo sto cercando per voi”

 

“Non serve più. È bastata una buona dose di Cruciatus per far confessare quel marmocchio”

“Non sprecatele così”, rispose Piton mollemente, “tenetele per quando sarà catturato Potter”. Ma non sempre gli occhi sono lo specchio dell’anima.

 

 

 

 

 

 

  
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