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Autore: Dragana    27/09/2009    10 recensioni
La storia di quando, frugando nel guardaroba della zia, Nessie credette aver trovato un paio di scarpe e invece ciò che trovò furono un paio di ricordi. D'amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emmett Cullen, Renesmee Cullen, Rosalie Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CONVERSE ALL STAR

È cosa risaputa il fatto che qualunque ragazza, appena arriva alla statura giusta, per quanti indumenti e accessori possa avere ne cercherà altri nell’armadio della mamma. Io ero molto più fortunata: mano a mano che la mia statura cresceva ho potuto attingere a quello di zia Alice (che mi ha dato una vaga idea su come concepire il concetto di infinito), poi a quello di mamma (un semplice prolungamento dell’infinito di zia Alice, ma in una taglia più grande) e di Esme, ed ora che risultava chiaro il fatto che avessi ereditato da papà i geni dell’altezza mi si aprivano anche i cancelli del paradiso della preferita tra i miei parenti. Scoprii con sommo giubilo, dopo aver dovuto abbandonare con rimpianto il piedino da fata di Alice, che il mio numero di scarpe era lo stesso di zia Rosalie, la quale mi permetteva con gioia di fare incetta selvaggia di calzature probabilmente più costose di me.
Quando trovai le All Star stavo cercando qualcosa di carino in previsione di una futura uscita con Jacob. Qualcosa di carino per lui, intendo. Qualcosa che potesse piacere ad uno che, quando mi ero presentata con un paio di Manolo Blahnik vintage celesti, ornate da perle e tempestate di frammenti di cristallo austriaco, una meraviglia che avrebbe fatto diventare verde d’invidia la fata madrina e le sue stupide scarpette, mi aveva chiesto se pensassi che fosse carnevale.
Così fui davvero fiera di aver scovato quel paio di All Star stravissute, in tela ocra e suola di gomma marrone, che sarebbero state benissimo sotto i jeans. Ma con mio grande stupore, invece di concedermi immediatamente il suo beneplacito zia mi guardò con una punta di apprensione.
-Ma… vuoi proprio quelle, Nessie? Sono tutte sporche, non vedi?-
Era vero, ma non m’importava molto. Glielo dissi.
-È lo stesso zia, vanno bene così… se proprio vuoi te le metto in lavatrice!-
Sembrò che l’idea la inorridisse.
-Scegli qualcos’altro, Renesmee. Qualunque cosa va bene, lo sai. Ma queste… guardale, sono troppo vecchie e brutte!-
Io rimasi basita, perché la zia non mi aveva mai negato niente. Niente. Spesso papà e mamma la sgridavano per questa sua abitudine di concedermi tutto ciò che volevo, e lei continuava imperterrita a non negarmi niente. Il mio sguardo spiazzato, in verità dovuto più alla sorpresa che all’effettivo desiderio di avere proprio quelle scarpe, dovette sconvolgerla più di quanto sarebbe lecito aspettarsi da una normale parente: Rose era palesemente in preda ad astratti furori. Alla fine si risolse a farmi sedere accanto a lei, con le scarpe in mano, e spiegarmi per filo e per segno il motivo della sua reticenza. L’ascoltai felice: adoro le storie di famiglia.

-Queste scarpe me le regalò tuo padre… doveva essere il millenovecentotrentaquattro. Io ero diventata vampiro da circa un anno e, dopo essermi vendicata dei miei assassini, stavo cominciando ad affrontare la mia nuova vita. Avevo moltissime difficoltà ad accettare ciò che ero diventata, andavo in crisi per cose davvero stupide: il colore viola dei miei occhi che non avrei più rivisto, il profumo dei miei piatti preferiti che invece di deliziarmi mi disgustava, l’impossibilità di farmi una bella dormita… scoppiavo in singhiozzi che non avevano lacrime ed era ancora peggio. Edward capiva i miei stati d’animo e mi stava sempre vicino; fu eccezionale, abbiamo imparato insieme a guidare la Ford, suonavamo il piano a quattro mani, pensa che Esme e Carlisle cominciarono ad accarezzare il sogno che noi due ci fidanzassimo… non fare quella faccia, tra me e tuo padre non c’è mai stato nulla, sempre se può considerarsi nulla l’amore che due fratelli provano l’uno per l’altro. Insomma, un giorno tornò a casa con due paia uguali di All Star della Converse, uno per me e uno per lui; a me non piacevano, ma Edward mi convinse che erano perfette per andare a caccia e così per farlo contento cominciai ad indossarle.
Nel frattempo andammo a vivere sugli Appalachi, e venne la primavera del millenovecentotrentacinque. Ed io ero assolutamente insopportabile.
Odiavo la primavera, la odiavo con tutta me stessa. Mentre la natura si risvegliava alla vita io in quella stagione celebravo l’anniversario della mia morte come essere umano; continuavo a borbottare che aprile è il mese più crudele e rispondevo malissimo a chiunque mi rivolgesse la parola. Carlisle mi sopportava con santa pazienza, Edward faceva di tutto per distrarmi, Esme cercava di consolarmi, io mi arrabbiavo ancora di più e rispondevo peggio, poi mi pentivo, andavo a chiederle scusa e lei mi perdonava ogni volta.
Insomma, per farla breve un giorno decisi di uscire a caccia nonostante fossi quasi sazia solo per non stare dentro casa, perché mi sentivo particolarmente depressa ed irritabile. Mi infilai le All Star ed uscii. Non prestavo particolare attenzione alla destinazione né alle prede, tanto è vero che ad un certo punto mi ritrovai sopravvento rispetto ad un orso che si girò verso di me ringhiando, con il muso sporco di sangue. Ed io mi accorsi che aveva aggredito un uomo.-

-Era lo zio Emmett, vero? È il giorno in cui hai incontrato lo zio!-
Lei annuì sorridendo, accarezzando distrattamente le scarpe che teneva in mano.

-Naturalmente mi avventai sull’orso uccidendolo, poi mi avvicinai all’uomo per tentare di prestargli soccorso. E mi resi conto immediatamente di due cose: che non sarebbe sopravvissuto, e che non potevo lasciarlo morire. C’era qualcosa in lui, nel suo viso abbronzato reso livido dalla perdita di sangue, che mi attrasse a prima vista. Mi faceva venire in mente il futuro, le promesse della vita, i figli della mia migliore amica... non doveva morire, non così, non in primavera. Fu difficile anche solo avvicinarmi a lui. Aveva perso molto sangue, e l’odore del suo sangue… smisi di respirare di colpo, ero stordita. Non so come sono riuscita a resistere. Mai avevo sentito, e mai più l’ho sentito, qualcosa di così meraviglioso.
Comunque. Capii che non potevo trasformarlo io. Non ci sarei riuscita, non dopo avere sentito quel profumo. Così gli dissi di resistere, non credo che mi potesse udire ma glielo dissi lo stesso, lo presi tra le braccia e cominciai a correre il più velocemente possibile, per portarlo da Carlisle.
Quel viaggio è stato un supplizio. Se ci ripenso mi sembra di aver corso per giorni, con queste stupide All Star ai piedi ed Emmett tra le braccia. A tratti pensavo che non ce l’avrei mai fatta e allora tanto valeva fermarsi e dargli una morte rapida, non sarei stata di nuovo assassina perché era al di là di ogni possibilità di guarigione, avrei interrotto la sua agonia ed avrei assaggiato quel sangue così delizioso. Ma poi abbassavo lo sguardo sul suo viso e mi costringevo a correre ancora un po’, un po’più veloce, sperando che resistesse.
Resistette.
A Carlisle bastò un’occhiata per confermarmi quello che già sapevo. Scosse la testa sconsolato dicendo che non c’era più niente da fare, ribattei che una cosa c’era ed era per questo che l’avevo portato da lui. Mi guardò, allibito.
Capisci? Proprio io, che ritenevo di essere un mostro, che non accettavo la perdita della mia umanità, che in definitiva erano due anni che rompevo le scatole a tutti con i miei problemi, ora gli chiedevo di prendere questo giovane e fare a lui quello che tante volte nei momenti di rabbia gli rimproveravo di avere fatto a me. Mi fece notare che forse era il caso di lasciare che morisse, com’era suo destino. Gli risposi di no, no e ancora no. Non lui. Non so perché, dissi, ma non lui.
Fu a quel punto che tuo padre mi si avvicinò e mi appoggiò le mani sulle spalle, sai, come fa sempre quando vuole essere protettivo.
-Fallo Carlisle-, gli disse, -Perché se non lo farai tu proverà a farlo lei, quasi certamente non ci riuscirà e non lo perdonerebbe mai né a te né a se stessa.-
Anche Esme si strinse a me, a quel punto.
-Ascoltali, Carlisle. Viene sempre qualcosa di buono dall’amore, alla fine.-
Lui ci guardò tutti e tre. La sua famiglia, compatta e schierata, tutti lì a chiedergli la stessa cosa. Ogni attimo mi sembrò un secolo. Poi, proprio quando stavo per sbottare, arrabbiarmi, costringerlo a sbrigarsi prima che quel ragazzo esalasse il suo ultimo respiro, Carlisle si girò di scatto, si avvicinò ad Emmet e lo morse. –E spero davvero che ne venga fuori qualcosa di buono, Rosalie-, mi disse.
Io rimasi a vegliarlo per tutto il tempo. Non mi staccai da lui neanche per un attimo; non volevo pensare a nulla, non volevo chiedermi come l’avrebbe presa, quanto si sarebbe arrabbiato, quanto avrebbe sofferto per la sua nuova condizione. Gli sarei stata accanto, come altri erano stati accanto a me. È stato in quei momenti che ho cominciato il cammino per fare pace con me stessa, per cominciare ad accettare ciò che ero diventata… ho capito tutto questo per merito di Emmett.
Dopo quelli che mi sono sembrati mille anni ha aperto gli occhi. Sapevo come stava vedendo il mondo, vedevo quanto ne era stupito… Mi guardò con gli occhi spalancati da capo a piedi, ed in quel momento mi resi conto che ero proprio una sciocca, lui mi stava guardando per la prima volta ed io ero ancora spettinata, vestita da caccia e con addosso un orrendo paio di scarpe. E sai Emmett cosa fece? Si mise seduto senza mai staccarmi gli occhi di dosso, mi fissò assorto e chiese: –Dove devi portarmi? All’inferno o in paradiso?-.

-Un angelo con le scarpe da basket!- risi io. Zio Emmett aveva sempre detto che la prima volta che aveva visto Rosalie l’aveva scambiata per un angelo, ed io me l’ero sempre immaginata scalza e vestita di bianco, con una finestra alle spalle che la inondasse di luce. La realtà era molto più prosaica, ma in un certo qual modo molto più romantica: è solo per condurre all’inferno che bisogna incutere timore, e un angelo scarmigliato non può che promettere il paradiso.
- È per questo che non puoi darmi le scarpe, vero zia? Sono un ricordo troppo prezioso…-
Credo che furono le parole “non puoi darmi le scarpe” a farla continuare a raccontare. Era dilaniata tra il desiderio di accontentarmi e la sacralità dei ricordi che quelle calzature sdrucite si portavano dietro. Avrei potuto tranquillizzarla, ma non lo feci perché volevo sentire ancora quella storia d’amore.

-Come sai tutto andò bene, Emmett prese la sua morte con una calma che mi sembrò incredibile e così assolutamente rassicurante. Mi innamorai di lui perché al suo fianco la vita non poteva che andare bene, tutto s’incasellava perfettamente e riacquistava senso; nelle sue mani potevo abbandonare il mio cuore sanguinante per farmelo curare, stretta tra le sue braccia come tra le mura di una fortezza inespugnabile. Non avevo bisogno dei tormenti di tuo padre, avevo già i miei; avevo bisogno di qualcuno che mi mostrasse la strada quando mi perdevo nel labirinto, e da bravo cacciatore Emmett era abilissimo a trovare le strade. Un giorno, uno come tanti, decidemmo di andare a caccia e lui mi disse di aver trovato un buon posto.
Come sempre misi le mie All Star, pensando tra me e me che dovevo proprio cambiarle, che qualunque altra calzatura sarebbe stata più carina, ma in fondo dovevamo solo cacciare, avrei pensato alle scarpe un’altra volta.
Emmett mi portò in un luogo che non avevo mai visto. Aveva scovato una casa diroccata, e dietro alla casa c’era un minuscolo giardino pieno di rose bianche rampicanti che crescevano selvatiche abbarbicandosi ai muri della casa ed al pozzo che c’era in mezzo al cortile. In cielo la luna era piena ed io non avevo mai visto niente di così bello. Lui fece un gesto con la mano che abbracciò tutto il giardino, fiero come se l’avesse creato lui, e mi accompagnò ai bordi del pozzo. –Allora? Ti ricordi di quando mi hai detto che Rosalie significa “rosa bianca”? Che te ne pare?- Sapessi che posto splendido era, e quanto mi sono commossa! L’ho abbracciato con foga e baciato a lungo, e non fare quel sorrisetto che se tuo padre scopre che ti racconto queste cose si arrabbia perché dice che sei troppo piccola. Insomma, fatto sta che ad un certo punto se n’è uscito dicendomi : –Lo sai che una volta mi hanno predetto che avrei avuto una donna bionda?-
-Ah sì? E chi te lo ha predetto?- risposi io.
-La cuoca di mia zia. Prediceva il futuro assaggiando una goccia del tuo sangue.-
-Meno male che si è dimenticata di predirti la tua morte!- risi. Lui si fece serio.
-Non si è dimenticata. Lei me l’aveva detto, ma poi io sono morto lo stesso. Comunque diceva che la donna bionda l’avrei sposata.-
D’improvviso mi sorrise, con quel suo sorrisone da bambino e le fossette sulle guance. -Mi sposeresti, Rosalie?-
Io rischiai di soffocare, e probabilmente non lo feci solo perché, beh, un vampiro non può soffocare. E non mi venne in mente niente di più romantico di un –Ah, beh, se te l’ha predetto la cuoca di tua zia come faccio a dirti di no?-
-Mi prendi in giro o è un sì?- sputò fuori lui, in stato di evidente apprensione.
Gli risposi di sì, sì e mille volte sì. Gli ho risposto di sì ogni volta che me l’ha chiesto, da quel giorno in poi, e gli risponderò di sì ogni volta che me lo chiederà.-

-E alla fine te le sei tolte le All Star, suppongo!-
Zia Rosalie sorrise, ancora sulle nuvole. –Certo che me le sono tolte. Abbiamo fatto l’amore tra le rose, un sacco di volte, poi… Nessie!- s’interruppe appena il suo sguardo intercettò il mio sorriso a sessantaquattro denti. - Lo sai che non devi farmi dire queste cose, che poi tuo padre si arrabbia e siamo sempre io e il tuo cane ad andarci di mezzo!-
“Il mio cane” era Jacob, Rose lo chiamava così ed ormai ci avevo fatto l’abitudine. Anche perché lui si riferiva a lei chiamandola “tua zia psicopatica” e quindi avevo deciso dentro di me che i due erano pari.
-E quindi quello è stato il vostro primo matrimonio?- le chiesi. Lei annuì.
-Sì. Ci siamo sposati in quel giardino, tra quelle rose, accanto al pozzo. E quella è stata la nostra prima casa, è stato il dono di nozze di Carlisle ed io ed Esme la rimettemmo a nuovo.-
-Quella di cui spaccavate continuamente i mobili?- domandai con il tono più innocente possibile.
Lei rimase a bocca aperta. –Nessie, sei… sei… Povero Edward, se fosse umano sarebbe già morto d’infarto! Era quella, ragazzina terribile. Dovrei avere delle foto in giro, te le mostrerò; adesso da lì passa un’autostrada. Che tristezza.-
-Guarda il lato positivo: lì passerà anche un autostrada, ma voi siete ancora qui a spaccare mobili!-
Zia Rose rise, poi parve prendere una decisione. Allungò verso di me la mano con le scarpe, e fu come vederla con in mano un pezzo di cuore che mi donava perché neanche quello poteva negarmi.
-Tieni, Nessie. Mettitele se le vuoi, però stai attenta a non distruggerle!-
Non mi sono mai sentita un sacerdote azteco. Avevano ragione mamma e papà, zia Rosalie mi viziava troppo; bisognava assolutamente fermarla.
-Non pensarci neanche, zia. Quelle le tieni come l’oro, perché la prossima volta che vi sposate io te le voglio vedere ai piedi, siamo intesi?- Restai lì finchè non mi disse di sì, sì, mille volte sì.











Ciao a tutti!
Allora, a me le All Star non piacciono. Però mi piaceva l'idea di far vivere alla sempre-fashon Rosalie due momenti importantissimi della sua vita vestita un po' come capita, le All Star sono in giro dagli anni '20 e da brava appassionata di scarpe non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione. Anche le Manolo Blahnik celesti esistono e sono bellissime, ma piacciono solo alle donne e ai feticisti; la reazione di Jacob è la stessa di un mio amico al quale le ho mostrate (purtroppo per me solo in fotografia...sigh...).
L'etimologia del nome "Rosalie" è della Stephenie e quali siano state le sue fonti non lo so. A me risulta che il nome significhi "corona di rose" o addirittura "scudo glorioso", ma se la Meyer dice "rosa bianca" chi sono io per contraddirla? La cuoca della zia di Emmett è una mia invenzione. Forse anche la zia di Emmett, perchè per non so quale ragione mi sono fissata col fatto che Emmett fosse orfano e vivesse con i suoi zii e non so più se l'ho letto in giro o se me lo sono immaginato io.
Il rapporto stretto che immagino tra Rosalie e Renesmee è dovuto al fatto che, con buona pace di tutti coloro che detestano la mia bionda prediletta, mi sembra reso piuttosto evidente già dal libro e non vedo ragioni particolari per farlo andare diversamente.
Ne appofitto per salutare e ringraziare i miei lettori/recensori, cosa che scrivendo one-shot non ho mai occasione di fare: mi fate felice, mi emozionate e mi fate ingrassare perchè io quando mi emoziono mangio schifezze per calmarmi. Quindi, per le prime due cose, GRAZIE MILLE!
   
 
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