AVVISO: Tutti i personaggi di questa storia
sono maggiorenni. I fatti e i personaggi non sono esistiti o esistenti. I
personaggi, i luoghi ecc … appartengono ai rispettivi ideatori e detentori di
Copyright. Questa storia non ha alcun fine di lucro. Qualsiasi nome o
riferimento a fatti o persone esistenti o realmente esistiti è puramente
casuale.
NOTA DELL’AUTRICE:
Ringrazio come sempre Annaly, bravissima beta, cara
amica, e confidente comprensiva. Senza di lei, le mie storie sarebbero deliri.
Sogno Veneziano
È
tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire
tutti.
William
Shakespeare
Era
un giovedì, ancora me lo ricordo.
Sembra
passata una vita e forse è così, sicuramente siamo saliti ancora un po’ più in
alto, nella scala dell’esistenza, siamo cresciuti un altro po’ e abbiamo
trovato un altro pezzo di quella parte così cristallina di anima, che spesso
dubitiamo di avere ma che, nel momento giusto, ci fa vedere la sua luce.
Sto
divagando, lo so, ma i ricordi non sempre sono coerenti. Ho in mano una foto, è
vecchia: lo vedo dai vestiti che indossiamo; dai visi più giovani, e mi sento
invasa da un’emozione agrodolce, un misto di nostalgia e felicità.
Nostalgia,
perché la spensieratezza dell’adolescenza non tornerà …Felicità,
perché quel gruppo di persone è ancora qui, unito da un’amicizia che ha saputo
valicare gli anni e che non è stata incrinata dalle scelte di vita, così
diverse per ognuno di noi …
Io e
te ci stiamo guardando, ignorando il fotografo improvvisato: riconoscono la tua
espressione di quando mi rimproveravi
una marachella, non sei mai riuscito a sgridarmi davvero; gli amici credevano
fossimo innamorati, in troppi davano per scontato che fossimo una coppia.
Chissà,
magari c’è stato un qualche momento in cui ci siamo amati, nel senso romantico
del termine … non saprei e sinceramente, se anche fosse, non cambierebbe nulla.
Noi
siamo anime complementari, ma non siamo la metà della stessa mela: lo sappiamo
e ne siamo contenti, perché rappresentiamo, l’uno per l’altra, la mano tesa in
caso di bisogno; il punto fermo tra mille variabili … non c’è imbarazzo tra di
noi e sappiamo che ogni risposta sarà data con sincerità, anche quando farà
soffrire.
E proprio
per questo, quel giovedì, tu ti confidasti. Come fosse l’ennesima infatuazione
iniziasti con leggerezza, il tono di voce sembrava lo stesso con cui avevamo
ordinato da bere, ma qualcosa richiamò la mia attenzione:i tuoi occhi erano
fissi sul tavolo di legno del “nostro” pub, nella “tua” città. Continuavi a
giocherellare col bicchiere finché non te lo tolsi di mano e tu, finalmente,
alzasti gli occhi per incontrare i miei … com’era smarrito quello sguardo!
- E
così ti sei innamorato anche tu. Lo sapevo che avresti trovato una persona
diversa dalle altre.- Fu l’unica cosa che ti dissi, sorridendo.
Ricordo
ancora che ti vidi arrossire, cosa che credevo impossibile tra noi … ma c’era
qualcosa che non andava.
-
Ehi … ti ricordi di me? - ti dissi, mentre ti tenevo ancora una mano, usando la
frase che, come un rito, ci ha sempre aiutato ad iniziare i discorsi più
ostici; rammentandoci da quanto tempo ci conosciamo e che ci possiamo fidare
ciecamente l’uno dell’altra.
- A
che ora devi tornare a casa? - mi hai chiesto.
-
Non ho orari, tanto domani è venerdì! - risposi, sottintendendo che non mi
importava se il giorno dopo, in ufficio, sarei morta di sonno e se il rientro
tramite passaporta mi avrebbe tolto anche le ultime
energie.
Tu
ordinasti delle patatine fritte e dell’altra birra ed io ebbi la conferma che
sarebbe stata una lunga chiacchierata.
Le calli di Venezia
erano gremite di gente, il carnevale era nel suo apice e l’euforia sembrava
spandersi nell’aria come un incantesimo. Un uomo con un mantello nero, che lo
ricopriva interamente, ed una bellissima maschera rifinita con piume viola
iridescenti, stava camminando velocemente per i vicoli meno affollati.
Improvvisamente si
bloccò: i suoi occhi vagarono sulle persone che lo circondavano, fermandosi poi
su una in particolare. Colui che aveva così violentemente attirato la sua
attenzione, stava barcollando leggermente, con una bacchetta in mano. Harry
sospirò … sebbene avesse abbandonato il
mondo magico per insegnare letteratura Inglese in Italia, percepiva
immediatamente la magia nell’aria.
Tutti gli anni era la
stessa storia. Qualche mago, soprattutto se straniero, finiva sempre con
l’esagerare nel consumo del prelibato vino italiano, e si trovava a lanciare
qualche incantesimo. Vide che l’uomo sembrava sul punto di lanciarne un altro… se gli Aurors che si
aggiravano tra i babbani, lo avessero scoperto, si sarebbe procurato un mare di
fastidi.
Da bravo Grifondoro,
decise di intervenire. Si avvicinò all’uomo e gli appoggio una mano sulla
spalla per richiamarne l’attenzione. Questi si girò e Harry rimase sorpreso nel
trovarsi di fronte due occhi che sembravano tizzoni ardenti e una pelle color
dell’ebano. Il costume da nobile veneziano era completamente bianco, così come
la maschera che portava ed il cappello, e tutto questo candore esaltava il
contrasto con la pelle scura e quegli occhi ardenti. La mente di Harry
sobbalzò: ecco di fronte a lui l’Otello di Shakespeare.
Il Moro lo guardò,
prima di barcollare nuovamente e appoggiarsi a lui, ; a quel punto Harry si
riprese e iniziò a chiedersi cosa fare. L’uomo era accasciato su di lui, gli
occhi socchiusi … sospirò nuovamente, prima di mettergli un braccio attorno
alla vita e trascinarlo verso il suo appartamento, che, fortunatamente, distava
pochi metri.
Arrancando tra le
strette vie, fin troppo affollate, iniziò a chiedersi che cosa gli fosse
saltato in mente. Si stava portando in casa un perfetto sconosciuto, ubriaco e
pure mago! Viveva nel mondo babbano da molti anni e temeva di essere un po’
arrugginito, nel caso avesse dovuto usare nuovamente la magia, senza contare
che da quando aveva sconfitto Voldemort, gli procurava un senso di malessere.
Un tempo amava la magia, ma salvando il Mondo Magico, aveva sporcato ciò che
credeva puro … un prezzo alto da pagare.
Mentre apriva la
porta di casa, imprecò contro Shakespeare, la sua dannata passione per il
drammaturgo inglese e la sua romantica ma pericolosa propensione a fidarsi
degli altri. Silente avrebbe sghignazzato, i suoi amici si sarebbero infuriati,
Hermione … beh, lei avrebbe capito.
Adagiò l’uomo sul
divano, che si addormentò in pochi minuti. Avrebbe potuto procurarsi qualche
pozione, ma preferì evitare: in fondo aveva deciso di dare un taglio con la sua
vita da mago e così sarebbe stato: anche con un Otello, ubriaco o meno,
sdraiato sul divano. Anzi, fece in modo di fare sparire anche la sua bacchetta.
Si tolse il mantello
e la maschera, che aveva utilizzato per attraversare la città vitalizzata dal
carnevale ed iniziò a preparare qualcosa da mangiare … conosceva fin troppo
bene l’ esigenza di mangiare qualcosa dopo una sbronza: lo stomaco necessitava
di farinacei, per riprendersi più rapidamente. Valutò il da farsi e decise che
un paio di pizze congelate, sarebbero andate più che bene … non aveva certo
intenzione di allestire un banchetto.
Mentre il profumo
delle pizze di spandeva nell’aria, avvertì i primi boati dei fuochi
d’artificio. Entrò in salotto e aprì la finestra e, come tutte le volte, restò
incantato: i fuochi illuminavano la città, donandole una miriade di nuove
sfumature cromatiche che la faceva sembrare ancora più bella. I riverberi dei
canali sembravano avere vita propria, come se fossero stati i passi di una
danza di fate. L’animo romantico del ragazzo era così completamente assorbito
da quello spettacolo al quale non si sarebbe mai abituato, che non si accorse
del suo ospite vestito di bianco, in piedi dietro di lui.
Avvertì un braccio
avvolgersi attorno alla sua vita ed un corpo solido, appoggiarsi alla sua
schiena, arrossì e sussultò nel medesimo istante, mentre un brivido gli corse
sottopelle.
- Cosa stai facendo?
Lasciami andare! - disse, con voce
troppo bassa.
- Harry. - Sussurrò
roco, l’uomo.
- Mi … mi conosci? -
chiese titubante.
- Oh, sì … ti
guardavo mentre eri davanti al Signore Oscuro e lo sfidavi … ho temuto per
te, mentre ci restituivi la libertà. –
A Harry si bloccò il
respiro, mentre quei terribili ricordi si affacciarono, ancora vivi, nella sua
mente.
- Avrei voluto
poterti conoscere meglio … ma non era possibile … e allora ti osservavo… - la voce roca dello sconosciuto continuava a
regalargli brividi sottopelle.
- Ora basta! Se credi
di poter entrare nella mia vita, distruggere la pace che mi sono costruito,
solo per cercare in me l’Eroe che non esiste
te lo puoi scordare! Non ho più intenzione di subire … -
- NO - lo interruppe
il Moro - No – ripeté, più dolcemente.
Ti sempre osservato:
adoravo il tuo modo un po’ goffo di muoverti, i tuoi occhi che non hanno mai
smesso di essere innocenti; eri quel soffio di gentilezza e ingenuità a cui
anelavo. Poi te ne sei andato, per vivere qui. Ho passato anni a cercarti, a
tentare di scoprire dove ti fossi nascosto, non sapevo come trovarti, tra tutti
quei visi mascherati. -
- Mi stavi cercando?
-
- Harry, non hai
ancora imparato che non esiste il caso? Tu mi hai trovato perché “io” ti stavo
cercando. Quando ho riconosciuto il tuo modo di camminare ho lanciato un
incantesimo. -
- Pensavo lo avessi
fatto perché eri ubriaco . -
- Anche. Il vino mi
ha dato coraggio, ma temo di aver esagerato. -
- Chi sei? -
- Non me lo chiedere
- sussurrò il Moro, poggiando le labbra sulla nuca dell’altro, continuando a
tenerselo stretto, durante tutto il discorso.
Harry tremò, non
aveva un animo propenso alle avventure di una notte, ma c’era qualcosa in
quella situazione che risvegliava i suoi istinti, probabilmente perché l’idea
di qualcuno che lo aveva osservato per anni, che lo aveva cercato tra le
maschere di Venezia, che ora lo stringeva tra le braccia, mentre i colori dei
fuochi d’artificio aumentavano l’intensità di quel momento, sembrava più la
trama di un bellissimo romanzo, che la sua vita.
Si chiese se, per una
sera, poteva fingere di essere il protagonista di qualche romanza antica e non
il mago incapace di affrontare il suo passato, che aveva deciso di vivere da
babbano.
Chiuse gli occhi e
appoggiò il capo alla spalla dell’altro.
- Harry. -
- Non dire nulla. Non
so cosa mi stia succedendo. - Mormorò il grifone.
Una mano scura come
la notte, scostò ulteriormente la tenda che copriva, ai due, parte del
panorama. Insieme videro la Luna risplendere nella sua completezza, talmente
grande da poter ipnotizzare le anime di chi la fissava troppo.
La voce roca dal Moro
si fece nuovamente udire:
- E’ tutta colpa
della Luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti. -
- Otello - rispose
Harry, certo che l’altro sapesse anche del suo nuovo lavoro.
Mani ferme e gentili,
lo fecero girare e si trovò di nuovo a fissare quegli occhi di brace,
contornati dalla maschera bianca; si sentì risucchiato da quel nero e non
riuscì a fare nulla di più, che rispondere al bacio che labbra sconosciute,
stavano posando sulle sue.
Poi tutto si
trasformò: la sensazione eterea del sogno si infiammò, e Harry si sentì e capì
che nulla avrebbe potuto spegnere quel incendio; forse la Luna lo stava facendo
davvero impazzire e, per una volta, tutti i sui timori svanirono, le sue
incertezze si dissolsero.
C’erano solo lui, il
Moro e l’astro celeste, protettore degli amanti.
Lasciò che quelle
mani sconosciute vagassero sulla sua pelle, che i denti candidi mordessero il
suo collo. Assaporò il gusto del suo Otello, cercandone la bocca, per ricevere
baci sempre più famelici. Rabbrividì quando si accorse che l’altro aveva
iniziato a spogliare entrambi e per un attimo, sentì qualcosa di simile al
panico, impossessarsi di lui. Sensazione subito sedata dall’emozione di sentire
la sua pelle a contatto diretto con quella del suo amante.
Sentì il Moro
guidarlo verso il divano e quando vi ci si trovò sdraiato aprì gli occhi, per
guardare l’amante: bellissimo ed imponente nella sua nudità, come un’antica
divinità numida. La maschera bianca, che ancora indossava, splendeva esaltata
dal contrasto con quella pelle d’ebano. La frivolezza delle piume,
inverosimilmente, sembrava magnificare la mascolinità delle sue forme.
Harry capì capì di non aver mai visto nulla di così bello e
conturbante e che non si sarebbe mai pentito di ciò che stava per fare. Si
abbandonò completamente alla follia di quel sogno, facendosi amare proprio nel
momento in cui il giorno reclamò il cielo alla notte.
I raggi rosati
dell’alba, si insinuarono nella stanza. Harry affondò nuovamente nello sguardo
intenso del Moro, chiedendosi come poteva mantenere quell’intensità anche ora
che il giorno incalzante avrebbe dovuto cancellare i miraggi della notte.
Appoggiò la testa sul torace dell’ altro, che
se lo strinse addosso.
Quando alzò
nuovamente gli occhi, una nota di fermezza vi brillava, facendo capire al Moro
che era ora di uscire dal sogno, per affrontare la realtà. La mano pallida di
Harry, si posò sulla sua guancia, fermandosi solo un attimo, prima di
raggiungere la maschera. Il respiro del Moro si bloccò, mentre quella barriera,
veniva abbattuta.
Anche il respiro di
Harry si fermò, quando riconobbe l’altro. Si sentì avvampare e chinò lo
sguardo.
- Harry, perdonami …
ma avevo timore che se mi fossi presentato, se tu mi avessi riconosciuto, mi
avresti scacciato. Volevo tanto potermi far conoscere da te e conoscerti;
scoprire insieme chi siamo, se il sogno di un ragazzino può diventare la realtà
di un uomo. Desideravo disperatamente la possibilità di condividere qualcosa
con te, anche se si fosse trattato solo di una notte. -
Il ragazzo pensò che
era davvero ironico avvertire del timore nella voce dell’altro. Lui, che nei
suoi ricordi si ergeva fiero e battagliero, privo di qualsiasi paura anche
durante la battaglia finale . Freddo
come l’onice in cui sembrava forgiato.
- Va bene, Zabini … ora sono troppo stanco per arrabbiarmi. - Sospirò
Harry.
- Almeno chiamami
Blaise - sussurrò il compagno, con tono speranzoso.
- Blaise - lo
accontentò, in un sussurro.
Entrambi chiusero gli
occhi. Ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni, per i rimbrotti, magari anche
per le urla … ma adesso no. Ora sarebbero rimasti abbracciati, cullati dal sole
nascente, mentre il seme di un nuovo sentimento attecchiva nei loro cuori.
Hai
concluso il tuo racconto ed ora mi guardi di sottecchi. I tuoi occhi sanno
parlarmi, lo hanno sempre fatto: mi dicono che ti senti imbarazzato, per aver
ceduto ad un sentimento che ti ha completamente governato; mi dicono che sei
felice ed io, più di ogni altra persona, so quanto te lo meriti; mi dicono che
sei fiero del tuo compagno e io non posso contraddirti, perché, anche se non lo
conosco, conosco te. Mi dicono che non sopporteresti di dover scegliere tra lui
e me ed io non ti potrei mai mettere di fronte ad una scelta del genere.
Ci
siamo sempre appoggiati l’uno all’altra, abbiamo condiviso gioie e dolori;
abbiamo sostenuto pesi indicibili. Abbiamo pianto e riso; sperato e pregato,
amato ed odiato. Entrambi guardiani dei sogni dell’altro, guerrieri pronti a
combattere per difendere le nostre anime dalle malignità di chi ci circonda.
Forti, perché insieme.
Lo
so, sembrano le parole di un’innamorata, ma noi sappiamo che c’è molto di più.
La nostra amicizia è al disopra di qualunque sentimento, oltre il tempo e lo spazio;
oltre la comprensione di chi ci circonda. La tua voce era diversa, mentre mi
raccontavi com’era nato il tuo amore, permeata di quella dolcezza malinconica
che da tanto desideravo sentirti nella voce.
Anche
tu, come sto facendo io ora, hai ascoltato a suo tempo un racconto simile, in
cui ti narravo come era nato il mio amore. So di averti guardato nello stesso
modo in cui tu, ora, guardi me. Conosco quel leggero timore di sentire parole
che non riusciresti a sopportare; l’incertezza che ti scorre sottopelle,
insieme alla paura di rovinare un’amicizia che ha in sé qualcosa di divino. Per
quanto forte e bello sia il sentimento che ora tu provi, sai che perderebbe un
po’ del suo splendore se io non ti tendessi, come sempre, la mano.
Non
mi sento ferita da questa titubanza, perché so che davanti a sentimenti così
profondi ci sentiamo persi … piume al vento. Il sorriso mi nasce spontaneo,
tanto che non mi ero neppure accorta del tendersi delle mie labbra. Allungo una
mano oltre il tavolo e afferro la tua. Probabilmente dovrai lottare con gli
altri amici che abbiamo, difendere il tuo amore dalla loro perplessità, ma con
me non devi farlo.
- E
così, ti sei innamorato anche tu! Lo sapevo che avresti trovato una persona
diversa dalle altre.- Ripetei, sorridendoti.
Bastavano
quelle parole, perché il resto era nei miei occhi e sapevo che tu potevi
leggervi tutte le emozioni e le parole inespresse. I tuoi occhi brillavano,
colmi di una luce nuova, completa, come si può vedere solo negli occhi di chi è
pienamente felice ed io già sentivo di affezionarmi a lui, che ti aveva donato
la parte mancante della tua realtà. Risi, scrollando il capo e facendo danzare
i miei capelli, ebbra della gioia che provavamo, succube della nostra amicizia
e ancora più consapevole di quanto fosse importante.
Uscimmo
dal pub a notte fonda, mentre la Luna si specchiava nei canali di Venezia. Ti
ho accompagnato sino a casa tua, sapendo che lì avrei potuto usare la passaporta che mi avrebbe ricondotta in Inghilterra senza problemi
e che, emozionata, avrei conosciuto il tuo Otello … che da quel giorno, non se
n’era più andato.
Com’era
bella la Luna quella sera, ancora me la ricordo … sembrava più brillante e
grandissima, come se si fosse nutrita della nostra felicità e dei nostri amori,
mentre noi barcollavamo e ridevamo, appoggiandoci l’uno all’altra … come sempre
abbiamo fatto e come sempre faremo.
NOTE PERSONALI:
Una storia semplice, per augurare un bellissimo compleanno ad Alicesimone.
Mi hai sempre appoggiata in questi anni e sei stata tu a spingermi a scrivere ... non lo dimenticherò!
Un abbraccio,
Monica
Ringrazio, come sempre, chi legge questa storia e soprattutto chi lascia un parere. Sono i vostri commenti che danno forza alle mie idee e le tramutano in ciò che leggete!
Baci
Tit.