-Hei dov’è Ellen?-
domandò il ragazzo, rimanendo con le mani poggiate nella panca della chiesa. La
ragazza scosse la testa in segno di non conoscenza, o meglio lei sapeva dove si
trovasse l’amica ma non voleva parlare con lui, non
voleva rivolgergli la parola.
Lui si allontanò avvicinandosi a quella che aveva
presentato come sua amica, le porse l’orecchio in modo tale che lei potesse
dirle qualcosa che nessuno sentì.
Veronica si alzò in fretta dalla panca dove era seduta le mani le tremavano e non sapeva che fare. Si
sentiva ferita, abbandonata e non aveva quella spalla sicura su cui piangere,
così volse lo sguardo verso quel ragazzo che ancora chiacchierava con la sua
“amica”. Rimase non poco tempo a fissare la scena, finché non si rese conto che
la scena era cambiata, ora anche lui la fissava, scosse impercettibilmente la
testa si voltò e corse fuori. Per fortuna le lacrime si fecero
strada nella suo viso solo che si fu girata. Spalancò la porta della chiesa,
provocando un rumore dovuto al ferro arrugginito, corse ancora fini a
raggiungere l’ultimo scalino della scalinata e si sedette lì. Non fermò il
corso del suo pianto, voleva liberarsi di quelle sensazioni e credeva che così
ci sarebbe riuscita. Ma lo stesso rumore che lei aveva provocato minuti prima la fece sobbalzare e voltandosi di botto lo vide…era
lì fuori dalla porta che la guardava e si stava per avvicinare.
-Vattene- urlò lei voltandosi nuovamente, la voce era più rauca del solito e il
viso era rigato da quelle lacrime che non si fermavano.
-Perché?- domandò il ragazzo rimanendo fermo
-Non voglio mai più vederti, sei riuscito ad
ottenere quello avevi paura accadesse, perdermi-
rispose lei con un nodo alla gola e le mani bagnate dalle lacrime.
Un tuono, poi un altro. E
la pioggia cominciò a scendere come se volesse esprimere la sua solidarietà nei
confronti della ragazza, coprendo e nascondendo le sue lacrime.
-No, io...- quelle parole lo colpirono, lui che si
credeva superiore a qualsiasi sentimento, che credeva che dire “mi interessi” fosse solo un gioco stupido o una frase di
circostanza, lui che era tanto pieno di se da non rendersi conto che le uniche
persone che veramente gli volevano bene erano proprio quelle che lui
maltrattava.
-Vattene- ripeté la ragazza, con tono arrabbiato e seccato. Oramai era tutta
bagnata, ma non aveva intenzione di rientrare e dover sorbirsi quelle scene.
-No!- esclamò lui deciso.
-Bene, allora sarò io ad andarmene- si alzò, aveva
tutti i capelli bagnati e si stringeva le spalle per il freddo, aveva dimenticato
il giubbotto dentro e era lì in mezzo alla pioggia con
addosso solo una magliettina a maniche corte che ormai era zuppa di acqua.
Lui le si avvicinò e
tentò di poggiarle una mano su viso, ma lei lo fermò con la mano e alzando lo
sguardo –Non ti permettere mai più a toccarmi- gli disse sibilando e fissando i
suoi occhi azzurri che con la pioggia erano diventati ancora più chiari e
belli.
-Cosa...io...scusa- disse
il ragazzo, sostenendo lo sguardo fisso negli occhi di lei, anch’essi azzurri
non accesi come i suoi ma più sul grigio, che a causa del pianto erano
parecchio arrossati.
Lei fece due passi indietro e poi tornò a salire
evitandolo, si aprì la porta ed entrò.
Una ragazza le venne incontro –Very
stai bene?- domandò preoccupata, la ragazza annui ma quella
non si dette pace –Ma perché sei uscita senza cappotto, oddio sei tutta
bagnata...- poi si fermò vedendo rientrare il protagonista di quel maledetto
musical che lei dirigeva col fratello. Gli andò incontro –Carl,
che facevate fuori? Non vedi com’è combinata-
concluse indicando la ragazza castana con i capelli tutti bagnati che si
era appena seduta a terra con le gambe strette al petto e tremava come una
foglia. Ma non piangeva più.
Il ragazzo non rispose alla co-regista
e passando avanti si fermò a due passi dalla ragazza e abbassandosi sui
ginocchi –Non voglio perderti- le sussurrò.
Ma lei non riusciva più a sentirlo, era come se si
trovasse intrappolata in un’altra dimensione dalla quale non riusciva ad
uscire, e gridava e gridava ma nessuno, nemmeno la sua
migliore amica, era li per salvarla.
Il ragazzo sgranò gli occhi, si girò di botto
verso la ragazza di prima -Chiama un ambulanza, veloce-
le urlò.
La ragazza si avvicinò a Veronica mettendole una
mano sulla fronte, era bollente ma i suoi occhi non
erano chiusi, lei non era svenuta, il suo sguardo era spento, vuoto. Estrasse
il cellulare dalla tasca e in poco tempo i soccorsi arrivarono.
Il resto della storia non è importante, perché oramai tutto era successo,
e nessuno aveva più voglia di proferire parola,
nemmeno la sottoscritta che infondo non è stata solo un
giudice esterno,
che da lontano osserva quello che l’insensibilità
umana distrugge...
spazio autrice
Salve! Questa è una
short di mia invenzione, o meglio io l’ho scritta, cioè
ho portato parole in scrittura. Spero vi sia piaciuta, so bene che è triste e
molti di voi non ne saranno contenti ma spero lo
stesso che piaccia, l’unica e ultima cosa che voglio sottolineare e che questa
short è scritta col cuore, il cuore di una ragazza, distrutto in miliardi di
pezzi. E ogni volte che lei ha quasi finito di
raccoglierli e rincollarli, ecco che qualcun altro prende quello che lei è
riuscita a sistemare e lo rigetta a terra pestandolo, riducendolo di nuovo in
frantumi, come un bimbo dispettoso e invidioso che ruba e rompe il giocattolo
dell’altro.
Solo che senza un giocattolo si può vivere senza il cuore no...
Grazie a tutti in
anticipo!