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Autore: Kanda_90    29/09/2009    6 recensioni
Silenzio.
E’ tutto ciò che sento.
Nulla.
È tutto ciò che provo.
Lui.
È tutto ciò che vedo.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All'inizio doveva essere una brave storiellina di due pagine...beh, questo è quanto ho scritto. Amo particolarmente questa coppia e mi è piaciuto provare a immaginare l'incontro tra Jasper e Alice e ciò che ne è seguito. Inaspettatamente questa fanfiction mi è valsa il primo posto in un contest.
Spero vi piaccia.
Buona lettura!

"Ho sempre avuto il mio volto nel mio futuro..."

Silenzio.
E’ tutto ciò che sento.
Nulla.
È tutto ciò che provo.
Lui.
È tutto ciò che vedo.

Da quanto camminavo? Ore...giorni?
Se era possibile dire che stessi solo camminando.
Pareva volassi.
Mi bastava pensare all’azione e in meno di un decimo di secondo era fatta, prima ancora che potessi rendermene conto. Ecco perché non mi sarei stupita affatto se avessi già percorso metà degli Stati Uniti a piedi.
Quello che non mi era chiaro era il motivo di questa capacità.
Erano passati pochi giorni da quando mi ero svegliata, solo che non sapevo perché mi ero addormentata, non sapevo nulla, ero come una bambina in balia del mondo, senza ricordi, senza identità.
Il mio nome era tutto ciò che mi rimaneva.
Alice.
L’unica cosa di cui ero terribilmente consapevole era che, grazie ad un udito più che anormale, potevo sentire battere il cuore di coloro che mi passavano velocemente accanto, ma il mio, era drasticamente fermo.
Eppure vivevo.
Udii gorgogliare un ruscello, probabilmente qualche chilometro più avanti e fui grata che ci fosse. Mi ero addentrata in quel bosco due giorni prima, per sfuggire agli sguardi terrorizzati della gente che mi incrociava per strada. Non ne capivo la ragione e questo mi confondeva. Avevo provato a parlare con qualcuno, ma nessuno ascoltava la mia voce limpida e tintinnante. Era come se non esistessi.
Arrivai al corso d’acqua e bevvi, bagnandomi la gola riarsa. Da giorni ormai provavo una sete insaziabile, e per quanto bevessi, essa persisteva, anzi, pareva peggiorare.
Inoltre ero confusa dalle mie reazioni, altro motivo che mi aveva indotta alla solitudine.
Quel profumo, quell’irresistibile profumo mi inebriava ogniqualvolta incontravo una persona sul mio cammino, inibendo ogni mia capacità cognitiva, senza apparente ragione, lasciandomi come unica sensazione il desiderio di impadronirmene. Non sapevo da cosa ciò dipendesse, ma, date le mie reazioni, pareva indispensabile alla mia sopravvivenza.
Andai oltre, senza preoccuparmi di ciò che avrei potuto trovare. Non avevo bisogno di supporlo, lo sapevo.
Sapevo tutto.
Da quando avevo ripreso conoscenza il futuro si era spiegato davanti a me come un libro, ansioso di essere letto. Non avevo dubbi su cosa mi sarebbe successo, chi avrei incontrato, cosa avrei detto o ascoltato. Tutto mi era perfettamente chiaro.
Solo una cosa continuava a rimanermi oscura, malgrado ciò.
Chi fossi.
Ero consapevole della mia diversità rispetto alla gente comune, ma non sapevo da dove venisse. Nessuno di loro pareva avere vista e udito straordinari, né la velocità che mi contraddistingueva o la pelle fredda e bianca che avevo visto sulle mie braccia al mio risveglio, né l’impossibilità di ferirsi.
Né un cuore mortalmente immobile come il mio.
Stava cominciando a piovere quando arrivai nei pressi di Philadelphia. Grazie alle mie doti innate non mi persi negli stretti vicoli della periferia e raggiunsi la locanda, o meglio, la squallida bettola che era la mia meta, senza bagnarmi troppo.
Non che il freddo e la pioggia fossero un problema per me.
Entrai.
Istantaneamente tutti gli occhi nello stretto spazio erano puntati su di me, in un misto di terrore e ammirazione. Ignorai loro e chiusi fuori di me l’irresistibile profumo che mi aggrediva la gola, smettendo di respirare.
Altra interessante scoperta; i miei polmoni non necessitavano d’aria.
Mi sedetti su di uno sgabello al bancone e ordinai qualcosa per dissetarmi al gestore, che non smetteva di fissarmi negli occhi con evidente terrore, e cominciai ad aspettarlo, sicura che sarebbe arrivato di lì a breve.
Jasper.
Era l’unica certezza nella mia confusa esistenza, una luce in fondo al mio impervio cammino.
Non appena avevo ripreso conoscenza, lui era stata la prima persona che avevo visto, oltre il sottile velo del presente. Nella visione, ero seduta al bancone di una locanda, nella periferia di Philadelphia, e, mentre bevevo, la porta si era aperta e ne era entrato un giovane dalla bellezza inumana, segnato da numerose cicatrici a mezzaluna, sulle braccia e sul collo; i capelli biondi e spettinati mandavano riflessi dorati e gli occhi neri ed incredibilmente diffidenti, mi guardavano da dietro le lunghe ciglia.
Non so come avessi fatto a sapere il suo nome, ma mia era sempre parso chiaro, come ero certa che fosse il mio giusto completamento ed io il suo.
Non avevo alcun dubbio che il nostro incontro sarebbe stato indissolubile, fino alla morte. Sentivo che la mia vita non sarebbe mai stata la stessa senza di lui, anche se non l’avevo mai incontrato...
Bevvi un sorso da mio bicchiere e in quel momento la porta si aprì.
Nella sala era calato lo stesso silenzio inquietante di prima, quando ero arrivata.
Sulla soglia c’era un bellissimo ragazzo biondo, fradicio per esser stato troppo a lungo sotto la pioggia, che si guardava ansiosamente intorno, muovendo le iridi nere nervosamente intorno a sé, fino a che non incontrò il mio sguardo, sussultando. Sentii una scarica percorrermi tutta la spina dorsale; se il mio cuore fosse stato vivo, probabilmente, si sarebbe messo a battere all’impazzata...fu in quel momento che ebbi una nuova visione...
Una grande casa bianca, in una radura, circondata dagli alberi e accarezzata dal fiume che scorreva poco più avanti. Io e Jasper ci avvicinavamo, mano nella mano, lui mi cingeva le spalle con un braccio, protettivo. Avanzavamo verso l’ingresso e gli inquilini ci venivano incontro, piuttosto confusi, ma non apparentemente ostili. Carlisle, Esme, Rosalie, Emmett e Edward.
Sapevo già i loro nomi...
La visione cambiò...
Ero affacciata a una grande finestra al piano superiore della grande casa, tutti i miei effetti, che ancora non avevo, erano ordinatamente riposti in scaffali e mensole, e il mio vasto guardaroba, che ancora doveva formarsi, riempiva un mastodontico armadio a muro. Jasper era di fianco a me e parlava tranquillamente con Carlisle, mentre io, con lo sguardo perso nel paesaggio nebbioso di Forks, ascoltavo Edward, al piano inferiore, carezzare i tasti del pianoforte e fargli cantare sublimi melodie....
Nella frazione di secondo in cui avevo preso atto del mio, anzi del nostro, futuro, Jasper non si era mosso e mi fissava ancora con sospetto e curiosità.
Decisi di prendere l’iniziativa e scesi dal mio trespolo con grazia, avvicinandomi.
Lo vidi muoversi impercettibilmente, mettendosi sulla difensiva.
Per non so quale ragione pareva considerarmi una minaccia.
Gli sorrisi, radiosa.
- Mi hai fatto aspettare parecchio. –
Era piuttosto confuso, ma nonostante questo si comportò da perfetto gentiluomo. Chinò la testa da un lato e mi rispose.
- Mi dispiace, signorina. –
Gli offrii la mano e lui la prese, senza esitazione, seguendomi fuori dal locale. Non riuscii a immaginare l’impressione che questo breve quanto bizzarro incontro avesse potuto suscitare negli avventori del locale, ma li sentii rimanere in silenzio a lungo, anche dopo che ce ne eravamo andati.
Lo condussi di nuovo fuori dal centro abitato, verso i boschi, che erano stati il mio rifugio in quei giorni confusi.
Lui si affidò completamente a me, non mi fece domande, non cercò di fermarmi.
Stringeva la mia mano come fosse stata l’unica cosa per cui valeva la pena vivere e cominciavano a nascere in me sensazioni nuove, cui non volevo per nulla al mondo rinunciare.
Solo una volta durante il tragitto, mi voltai a guardarlo e scoprii che mi fissava intensamente, come a studiarmi, con uno sguardo tranquillo, sereno...
Mi fermai nei pressi di un rigagnolo d’acqua che scorreva pacifico tra gli alberi e di nuovo tentai invano di dissetarmi. Il bruciore alla gola si era fatto insostenibile ormai.
Quando mi alzai Jasper mi guardava, piuttosto incredulo.
- Cosa stai facendo? –
Non capivo il senso della sua domanda. Non aveva mai visto nessuno bere acqua da un ruscello?
- Le persone bevono quando hanno sete. –
Sembrava la risposta che si da ad un bambino ancora ignaro dei meccanismi del mondo. Sperai di non averlo offeso.
Invece, l’unica emozione che lessi sul suo viso fu lo stupore. Mi guardava ad occhi sgranati, sembrava quasi si stesse trattenendo dal sorridere.
- E tu hai sete. –
- Molta... –
< Perché era così interessato ai miei problemi fisiologici?
- Da quanto tempo? –
- Da qualche giorno. Continuo a bere, ma la sete rimane. –
Cominciavo a pensare che lui sapesse il perché di molte cose a me oscure.
Inaspettatamente sorrise, divertito.
- Che c’è? –
Ero sconcertata. Avrei voluto leggergli nella mente per capire cosa lo divertisse tanto.
Mi si avvicinò, e mi invitò a sedermi accanto a lui.
Obbedii.
- Incredibile....non sai niente... –
- Cosa dovrei sapere? –
- Tu non hai la minima idea di cosa sei, vero? – disse, con una vena di malinconia.
Cominciai ad avere paura. Il fatto che avesse detto “cosa sei” implicava logicamente che non ero un essere umano.
- Non lo so. Mi sono svegliata, non so da che cosa, e ti sono venuta a cercare. Non so altro di me stessa... a parte il mio nome. –
- Qual è il tuo nome? -
- Alice... -
- Alice...chi ti ha trasformata? –
Trasformata? In cosa, poi? Continuavo a non capire. Il mio silenzio lo sconcertò ancora di più.
- Non ti sei mai chiesta come riesci a fare tutto quello che fai? Da dove venissero queste capacità? –
- Lo sai? – chiesi speranzosa.
- Anche io sono in grado di fare le stesse cose. –
Quindi lui era come me. Questo mi faceva sentire infinitamente meglio. Aveva le risposte che stavo cercando da giorni.
Nel rispondermi, però, un velo di tristezza offuscò i suoi lineamenti perfetti.
- Ti spiegherò...ma, ti prego, non scappare. Da quando ti ho incontrata ho sentito in me sensazioni nuove, che non avevo mai provato...e non voglio perderle. Non voglio che tu mi abbandoni. Con te vicino, sento rinascere in me la speranza. Hai agito su di me con la stessa forza del sole che squarcia le tenebre dopo un temporale e so che, se te ne vai, l’oscurità ritornerà... –
Rimasi paralizzata da queste parole.
- Jasper...? –
Il silenzio che seguì fu lacerante.
- Alice...io sono un vampiro. –

Correvamo, fianco a fianco, attraverso i boschi. Non solo io e Jasper, Emmett e Carlisle erano con noi, i sensi all’erta. L’odore ci guidava verso il fitto intrico del cuore della foresta e noi lo seguivamo, senza esitazione.
Cacciatori.
Era quello che eravamo.
Cacciatori...di sangue.
L’odore si era fatto più forte e ci aveva spinti a rallentare la marcia, per precauzione, per non perdere lo scopo della nostra corsa.
Avevo individuato il mio obbiettivo.
Un cervo adulto brucava soddisfatto, ignaro dell’imminente morte che lo attendeva sotto i miei implacabili denti...

Questa era stata l’istantanea visione che mi si era presentata appena un attimo dopo la cocente rivelazione di Jasper.
Un vampiro.
Questa era la sua natura...ed anche la mia.
Una natura dannata.
La paralisi che mi aveva colto a quella rivelazione perdurava ormai da quelle che parevano ore, ma Jasper non aveva dato cenno di preoccuparsene. Era ancora seduto di fianco a me e aspettava, paziente, che reagissi.
Mi voltai verso di lui, il viso contratto dall’angoscia.
Se avessi potuto avrei pianto, ma gli occhi di un vampiro non conoscono le lacrime.
Sembrò capire lo stato in cui versavo, ma non mi fece domande; prese la mia mano tra le sue e, dolcemente, cominciò ad accarezzarne il dorso con la punta delle sue dita di seta, fornendomi, con questo semplice gesto, più consolazione di quanta potesse immaginare. Continuò a guardarmi, aspettando che parlassi, fino a che decisi che, se questa sarebbe stata la mia vita, per quanto potesse sconvolgermi, dovevo almeno sapere a cosa andavo incontro.
Lo guardai negli occhi.
- Jasper, voglio sapere. –
Sospirò. Il fatto che avessi ricominciato a parlargli sembrò rassicurarlo.
Mi prese anche l’altra mano. I suoi occhi neri mi scrutavano esprimendo emozioni che non riuscivo a decifrare. Sembravano indissolubilmente uniti ai miei.
- Cosa? –
- Tutto quello che sai sulla tua....la nostra razza. –
Parlò per un tempo che parve infinito...senza smettere di guardarmi negli occhi...senza lasciare le mie mani.
Mi descrisse la sua vita, quello che poteva e non poteva fare, le precauzioni da prendere per mantenere la segretezza e tutto ciò che secondo lui avevo bisogno di apprendere; si offrì anche di accompagnarmi nella mia prima, quanto terribilmente imminente, caccia.
Io ascoltavo, rapita, mentre si faceva strada dentro di me la convinzione che, forse, avevo ben poco per cui disperarmi.
Presa dalla conversazione gli chiesi il motivo di tante cicatrici.
Parve irrigidirsi, ma mi raccontò comunque la sua storia.
Rimasi paralizzata, ancora una volta.
Non potevo concepire come tanta sofferenza potesse essere sopportata o raccontata.
Vide il mio viso sconvolgersi e sorrise, un sorriso tanto bello da mozzare il respiro.
Se non altro compresi l’atteggiamento difensivo che aveva adottato nei miei confronti quando mi ero avvicinata a lui la prima volta. I miei occhi cremisi l’avevano messo in guardia.
Ero una neonata nel suo mondo e la sua esperienza mi aveva catalogato come un pericolo.
Capii anche perché la gente avesse sempre provato terrore nei miei confronti.
Eccezion fatta per un albino, due occhi rossi che ti scrutavano erano del tutto fuori da ogni norma umana.
La sua voce calda e vellutata mi riportò al presente.
- Ma è una vita che voglio dimenticare...ora che sei qui. – mi disse dolcemente, accarezzandomi il viso col dorso della mano.
Istintivamente chiusi gli occhi, assaporando quel contatto.
Si ritrasse.
- Scusa... –
Avevo l’impressione che, se ci fosse stato sangue nelle sue vene, sarebbe arrossito fino alla punta dei capelli. Mi fece tenerezza.
- Per cosa? – gli chiesi, con un sorriso innocente.
- Mi sono lasciato prendere da... –
- Da cosa?–
- ...dal...sentimento. –
Sembrava stupito e imbarazzato al tempo stesso.
- E...quindi? –
- Non mi...era mai successo prima...Insomma, non credevo neppure di essere in grado di provare qualcosa, ma poi ti ho incontrata e... –
- E? –
- E’ come se ti avessi sempre conosciuta. Come se avessi vissuto fin’ora solo per incontrarti, come se incontrarti fosse parte del mio destino, qualcosa di irrinunciabile. Provo per te un sentimento che non ho mai sentito per nessuno, nemmeno nella mia vita umana...ed è qualcosa di cui non voglio fare a meno... –
Rimasi in silenzio, guardando quegli occhi neri e quel viso perfetto, assimilando le parole di quella “dichiarazione”, beandomi della sua presenza e comprendendo quanto avesse ragione, quanto fosse irrinunciabile anche per me averlo vicino.
Allora gli raccontai delle mie visioni, del mio dono, di coloro che avremmo incontrato e della nuova vita che ci attendeva. Insieme. A mia volta appresi che anche lui aveva delle particolarità non comuni, persino tra i vampiri. Riusciva a sentire cosa provassero coloro che erano intorno a lui e a manipolarli di conseguenza. Poteva calmare un litigio, o al contrario creare tensione e nervosismo. Era una capacità interessante, quanto inquietante ed improvvisamente mi balenò in mente una preoccupante supposizione.
- Potresti anche indurre un soggetto a provare determinati sentimenti nei tuoi confronti? –
Mi fissò, rialzandosi in piedi in un millesimo di secondo.
Capì dove volevo arrivare.
- Potrei... –
Come temevo. Le mie convinzioni cominciavano pericolosamente a vacillare.
Mi rialzai in piedi anch’io e lo fissai con ostilità. Di tutta risposta mi sorrise.
- ...ma con te non è servito. – disse avvicinandosi a me, - Quello che io sento in questo momento, in te era già presente, dal momento che ci siamo incontrati. Non userei mai il mio potere, sapendo che vorrebbe dire perderti per sempre. –
Ormai era di fronte a me, poggiava delicatamente le sue mani sulle mie spalle. Non ricordavo, ovviamente, di essermi mai innamorata di qualcuno, ma non avevo dubbi che fosse Amore quello che mi spinse ad abbandonare la testa sul suo petto muscoloso e marmoreo, che lo portò a circondarmi con le sue braccia, forti e protettive, mentre appoggiava il mento sul mio capo. Sarei rimasta lì per giorni, anni, pur di non separami da lui...
Inaspettatamente fu lui a sciogliere l’abbraccio.
- Credo che sarebbe ora di andare a caccia, non ti pare? –
L’unica cosa che volevo in quel momento era poterlo riabbracciare, ma il persistente bruciore che mi attanagliava la gola, mi fece ricordare che c’erano bisogni più urgenti.
- D’accordo. Ma facciamo a modo mio. –
Mi guardava, dubbioso.
- Hai detto di voler dimenticare la tua vita e ricominciarne un’altra. Farò in modo che tu non uccida più nessuno. – lo guardavo ansiosa, timorosa di come avrebbe potuto reagire, terrorizzata dalla prospettiva di vederlo voltarmi le spalle per sempre, - ...Non potrei sopportarlo. –
Vedevo quanto fosse difficile per lui. Era come proibire il miele ad un orso.
Tuttavia annuì.
Mi prese per mano e cominciammo a correre, cercando una traccia da seguire.
Passammo diverse settimane insieme, cacciando per le foreste, evitando accuratamente qualsiasi insediamento. Non ero disposta a rischiare di vedere Jasper aggredire persone innocenti. Non sarei riuscita più a guardarlo con gli stessi occhi.

Accadde una sera.
Il cielo era limpido e terso, avrei potuto contare le stelle, e una leggera brezza soffiava da ovest, muovendo i rami degli alberi in una danza sinuosa.
Eravamo sulle tracce di un branco di cervi quando il vento cambiò direzione e l’ormai familiare profumo ci aggredì, colpendoci in gola, con la stessa forza di una palla di cannone contro un pagliaio.
In quel momento si dissiparono i veli del presente e vidi Jasper attaccare una coppia di ragazzi ai margini del bosco, con famelica ferocia.
Scacciando dalla mente quell’orribile visione, mi voltai verso di lui, appena in tempo per vederlo cambiare direzione seguendo il vento, gli occhi neri accesi di desiderio.
- NO! –
Spiccai un potente salto, atterrando cinque metri più avanti di lui, intercettandolo, prima ancora che potesse accorgersene.
Fu come sbattere contro un muro.
I nostri corpi produssero un fragore di tuono e cademmo addosso ad una grossa quercia, che si sgretolò all’impatto.
Jasper mi fissò con cieco furore.
Avevo paura.
Non per me, ma per lui...per ciò che avrebbe potuto fare se lo avessi lasciato andare.
Lo guardavo col viso contratto dal dolore.
Quando mi riconobbe il suo viso si distese e distolse lo sguardo. Lo lasciai andare e mi rialzai.
Vidi che rimaneva ancora seduto tra l’erba e le schegge di legno, appoggiato alle ginocchia, la fronte sulle braccia.
- Scusa. -
Non sapevo cosa rispondere.
- Non so ancora controllarmi, è difficile per me. -
Mi avvicinai. Non avevo intenzione di lasciarlo solo a crogiolarsi nei suoi cupi pensieri, sentivo il bisogno di consolarlo, di rivedere il suo sorriso mozzafiato. Per la prima volta dopo settimane sentivo il disperato bisogno di essere ancora circondata dalle sue braccia forti...
Nonostante tutto quello che era successo però, avevo cieca fiducia in lui, doveva solo riuscire ad averne di più in sé stesso. Mi venne un’idea.
- Jasper. –
Si alzò di scatto e vene verso di me, pronunciando parole che per me erano assolutamente inconcepibili.
- Ho deciso. È meglio che ci separiamo qui. Non riuscirò mai a cambiare, sono un mostro. Non voglio che tu soffra per causa mia, quindi è meglio... –
Non lo feci continuare.
Gli posi un dito sulle labbra, intimandoli di tacere e gli sorrisi, cercando di trasmettergli tutta la serenità possibile coi miei dolci occhi d’oro.
- Non voglio mai più sentirti dire cose del genere. –
Abbassò lo sguardo, con un espressione avvilita. Gli accarezzai il viso con la punta delle dita, con una delicatezza innaturale, come se avessi paura che svanisse in una nuvoletta di fumo e sapevo che avrebbe potuto farlo. Alzò gli occhi, perdendosi nei miei, ponendo la sua mano sulla mia.
- Io ho fiducia in te, non dimenticarlo, mai. –
Mi donò uno dei suoi irrinunciabili sorrisi, ma velato dallo sconforto.
- Sbagli. –
Sospirai, prendendogli il viso tra le mani.
- D’accordo...Voglio che invece dimostri a me e a te stesso che ho ragione. Vuoi tornare ad essere un assassino di vite innocenti, un mostro, come hai detto tu? Un anonimo disseminatore di terrore? Io non credo. –
Mi fermai per vedere se le mie parole avevano sortito effetto.
- Per questo ora io ti aspetterò qui. –
Non sapevo se il suo sguardo esprimeva più sorpresa o terrore per quello che avrebbe potuto fare, ma nella sua voce convivevano entrambi.
- Cosa stai dicendo...? –
Mi sedetti su uno dei resti della povera quercia che avevamo appena fracassato.
- Sono già sazia, non sento il bisogno di “scampagnate”. Cerca di non metterci troppo. –
Mi sistemai comodamente sul tronco,senza alcuna intenzione di muovermi.
Chiusi gli occhi.
Non volevo correre il rischio di doverlo vedere scomparire tra gli alberi per l’ultima volta. Sapevo che il rischio di perderlo era alto, ma non volevo crederci.
Mi ero ripromessa di non ricorrere al mio potere, per quanto mi fosse possibile. Non volevo essere costretta ad essere la muta osservatrice di un truce futuro.
Concentrai il mio udito sui suoi passi, sperando di poterli udire di nuovo, attutiti dal morbido sottobosco, mentre tornava da me...

Passarono ore, o almeno così mi era parso.
Sentivo la rassegnazione insinuarsi dentro di me col suo gelo...finche venne sciolta dal suo irresistibile profumo, che riscaldò come fuoco me e la foresta intorno a noi.
Aprii gli occhi e lo vidi procedere verso di me, gli occhi fissi a terra.
Mi passò davanti, senza fermarsi, andandosi a sdraiare poco più avanti, sull’erba soffice che ricopriva l’unico spazio non invaso dalle schegge dell’albero abbattuto.
Teneva la testa girata dalla parte opposta rispetto a me...non potevo vedergli gli occhi, specchio crudelmente sincero di ciò che eravamo...di ciò di cui ci nutrivamo.
Temevo le due schegge di rubino che tante volte avevano tormentato il suo futuro...
Decisi comunque di alzarmi, andare verso di lui, affrontare la verità...
Mi fermai esattamente davanti a lui, aspettando una sua reazione, finchè vidi il suo petto alzarsi e abbassarsi convulsamente.
Rideva.
Il suono più bello che avessi mai sentito pervadeva tutta la foresta, un concerto di campane a festa che tintinnavano solo per me.
Non ero sicura di cosa realmente pensassi in quel momento: sollievo o timore, oppure entrambi.
I suoi occhi risposero ad ogni mio dubbio.
Si issò a sedere e mi fissò col suo splendido sguardo dorato, esprimendo tutta la serenità e l’orgoglio di chi è riuscito a vincere i propri limiti e raggiungere i propri obbiettivi.
Non seppi trattenermi e, contagiata, cominciai anche io a riempire l’aria di note tintinnanti, quando improvvisamente sentii le sue mani nelle mie e mi ritrovai trascinata sull’erba, tra le sue braccia.
Il suo viso era a pochi attimi dal mio e l’intensità di quegli occhi mi devastava completamente.
Non servirono parole.
Bastò il cuore, seppur fermo, a svelare ogni più profonda verità tra noi...ogni più profondo e sopito sentimento.
Sentivo le sue dita di seta sfiorarmi il viso e non desiderai altro che quel momento fosse eterno...
Vedevo i suoi occhi sempre più vicini e profondi e il mondo divenne d’oro...
Poi poso con leggerezza, quasi esitante, le sue labbra fredde sulle mie e in quell’attimo ogni cosa divenne inutile...tranne lui...
Ogni cosa si perse in quel nostro primo bacio, carico di passione e dolcezza, simbolo di un Amore eterno, nell’anima e nel tempo...

Una settimana più tardi raggiungemmo Forks e la grande casa dei Cullen. Ci fermammo poco prima del grande spiazzo che la circondava, al’ombra dei rami. Lo guardai amorevolmente negli occhi e lo baciai con tenerezza, rassicurandolo della nostra nuova vita. Lui mi sorrise, prendendomi per mano e circondandomi le spalle con un braccio, facendomi sentire protetta e al sicuro come non sarei mai stata in nessun altro luogo...
Ci incamminammo verso la nostra nuova dimora e vidi alcuni degli inquilini venirci incontro, confusi e sbalorditi, quando con voce squillante esclamai...
“Buongiorno Carlisle! E’ pronta la mia stanza?”

Fine...?

   
 
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