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Autore: Atlantislux    29/09/2009    6 recensioni
[Gundam SEED] Pensava che il passato non l’avrebbe più tormentato. Si sbagliava. Perché le bambole da guerra, anche se rotte, trovano sempre qualcuno che le aggiusti.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Irreparabile'
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Esecuzione



Aprilius City, 13 dicembre, C.E. 81


“Dearka. Sei incorreggibile.”

Gli occhi ametista del giovane ufficiale lanciarono un’occhiata di fuoco al suo vecchio compagno di squadra.

“Athrun. Piantala, o comincerò a credere che sei geloso.”

“E di cosa? Guarda che hai già rischiato una volta di perderla! Che diavolo aspetti a mettere la testa a posto?”

Al biondo sfuggì un’espressione sofferente, e si volse verso il suo amico di sempre per incassare un po’ di sostegno.

Ma il Comandante Yzak Joule lo gelò con uno sguardo particolarmente penetrante, che i suoi occhi azzurri resero glaciale.

“Dearka, idiota, quando ti deciderai a rendere Miri una ragazza onesta?”

Davanti a quella risposta, e sentendosi accerchiato, l’interpellato alzò bandiera bianca. “Ma perché invece di pontificare non chiedete a Miri cosa ne pensa? Lei non è come quella stupida di Lunamaria che ha rinunciato alla carriera per correre dietro a Shinn. Miri viaggia molto per il suo lavoro, e non ha intenzione di rinunciarci. Per ora un impegno del genere è assolutamente prematuro, per noi” Dearka sentenziò incrociando le braccia al petto.

Davanti alla sua requisitoria Athrun e Yzak si scambiarono un sorrisetto. Poi l’Ammiraglio di Orb fece un cenno a Dearka.

“Stai perorando il tuo caso di fronte alle persone sbagliate. Le nostre mogli hanno saputo perfettamente conciliare lavoro e famiglia, o ci vuoi far credere che Cagalli e Shiho sono più brillanti di Miriallia?”

“Non vi sopporto quando vi coalizzate contro di me” Dearka sbottò, ma con un sorriso in faccia tutt’altro che infastidito.

I tre amici di una vita scoppiarono a ridere simultaneamente, e Athrun fu grato di aver accettato l’invito di Kira di passare qualche giorno su PLANT, mentre lui gli dava il cambio nella cura delle due gemelle recentemente avute dalla sua amata Cagalli.

Non se n’era andato volentieri, perché non voleva perdersi un attimo della vita delle bambine, ma anche Kira aveva il diritto di stare un po’ a godersi da solo la compagnia della sorella e delle nipotine.
Guardò fuori dalla macchina che sfrecciava veloce in coda al corteo di auto che portava Lacus Clyne, e il suo ospite terrestre, alla sede del Consiglio di PLANT.

Aprilius non era cambiata per niente da quando lui ci abitava. Bella, ricca, perfetta in ogni dettaglio della sua natura controllata e, ovviamente, pure quella geneticamente modificata. Gli scappò uno sbadiglio. Abituato al panorama selvaggio di Orb, oramai quello gli sembrava terribilmente noioso. Pure la strada non offriva nessuna distrazione. Le macchine procedevano tutte alla stessa velocità, assistite da software di guida, e solo pochi osavano sfidare l’omologazione. Come la moto di potente cilindrata che li sorpassò rombando. Athrun non poté fare a meno di sorridere, quello era di certo un temerario.
Si girò verso gli amici, e Dearka gli lanciò uno sguardo implorante. Approfittando del suo silenzio Yzak era di nuovo riuscito a spostare la conversazione sul lavoro.

“Quella scema di Meyrin si merita il cazziatone del secolo quando torneremo alla base” stava dicendo l’albino. “Non è da nemmeno una settimana il capo della sicurezza del Consigliere Clyne e già è riuscita a fare un pasticcio nell’assegnazione dei posti.”

Athrun sollevò un sopracciglio. “Avresti preferito salire in macchina con loro invece che con noi?”

“Certo che sì, sono Consigliere anch’io, e magari avrei potuto strappare qualche informazione a quel pallone gonfiato di Natural. Invece Lacus scommetto che lo starà intrattenendo con le sue inutili chiacchiere.”

La voce di Yzak suonò oltraggiata, ma non particolarmente furente. Athrun sapeva quanto era devoto a Lacus, ma ogni tanto doveva dar sfogo alla sua irritazione con chiunque gli capitasse a tiro.

Stava per rispondergli a tono quando colpi di arma di fuoco squarciarono l’ovattato silenzio dell’auto, seguiti da uno stridio di gomme.

Anche la loro macchina frenò di colpo, e Athrun sentì la cintura schiacciarlo contro il sedile.

I tre si scambiarono un’occhiata. Temprati da innumerevoli battaglie, superarono immediatamente la sorpresa.

“È un attentato” sentenziò Yzak, con già la mano sul pulsante d’apertura della portiera. Ma prima che riuscisse ad azionarlo una seconda moto spuntò da dietro, schivando con abilità le auto bloccate. Superò quella dei tre giovani e, affiancandosi a quella di Lacus, il motociclista senza rallentare gli scaricò contro una selva di proiettili che mandarono in frantumi i finestrini.

Athrun non riuscì a soffocare un grido costernato.

Fu Dearka che prese l’iniziativa. “Scendete, io lo seguo” ordinò buttandosi fuori dall’auto e salendo al posto dell’autista.

Yzak e Athrun fecero appena in tempo ad obbedire, prima che il mezzo partisse all’inseguimento del terrorista.

Consapevoli che Dearka non se lo sarebbe mai lasciato scappare, dal canto loro si precipitarono verso la vettura delle loro amiche, le cui portiere si spalancarono dopo qualche secondo.

L’ospite terrestre fu il primo a precipitarsi fuori, quasi spinto da Lacus, a sua volta seguita da Meyrin.

Athrun sospirò di sollievo. Non sembravano ferite, ma non si sarebbe tranquillizzato fino a quando non avesse controllato personalmente. Doveva accertarsi che l’amata del suo migliore amico stesse bene. Si diresse velocemente verso il gruppo. Stava per chiamare l’ex-idol dai capelli rosati, quando il grido gli morì sulla labbra.

Successe davanti ai suoi occhi.

Il terrestre inciampò in qualcosa e cadde. Ma prima di toccare terra la testa gli esplose come un frutto troppo maturo. Dietro di lui, Lacus crollò in ginocchio tenendosi le mani strette intorno alla gola. Lorde di sangue.



Nassau, 29 ottobre, C.E. 71


Cecilia si permise un sorrisetto di scherno di fronte alle notizie che stavano passando su tutti i telegiornali. La guerra era finita. Dopo migliaia di morti, e la possibilità che lo stesso pianeta Terra fosse distrutto, finalmente potevano tirare un sospiro di sollievo.

“Sì, fino al prossimo pazzo che cercherà di rinfocolare l’odio tra Coordinator e Natural. Succederà, gli esseri umani sono troppo stupidi per non ricascarci.”

Scrollò le spalle, non riuscendo ad unirsi ai suoi colleghi che stavano festeggiando. Lei poteva capire l’invidia e la paura che gli umani geneticamente modificati generavano in tutto il resto della popolazione terreste, allo stesso tempo, però, essendo stata fin da piccola lei stessa emarginata dagli altri bambini a causa dei suoi troppo brillanti risultati scolastici, lo sdegno e l’odio che provavano i Coordinator non le era affatto estraneo.

“Gli idioti mi chiamavano ‘Mostro Coordinator’ quando avevano voglia di fare sul serio, anche se ero Natural come loro” ricordò scuotendo la testa. “Non mi vengano a raccontare che adesso andremo d’amore e d’accordo per sempre.”

Finalmente si risolse a voltare le spalle al monitor e uscì dalla mensa, decisa a finire il suo rapporto prima di andarsene a casa. Lenk Granato aveva ragione. Le grandi questioni non dovevano interessarle. La cosa importante era che, nonostante la fine della guerra, l’Istituto avrebbe continuato a ricevere finanziamenti. I loro sponsor erano deliziati dai successi finalmente raggiunti, e non vedevano l’ora di mettere a frutto i propri investimenti.

Già, anche in tempo di pace immagino che troveranno il modo di impiegare questi ragazzi. Se non altro come efficientissime guardie del corpo’ pensò sorridendo mentre apriva la porta della sala comune dove tutti i soggetti non impiegati in sperimentazioni e test potevano passare un po’ di tempo in libertà.

La maggior parte, come si era aspettata, era radunata davanti alla televisione. Due stavano invece giocando a ping-pong in un angolo della sala, movendo le racchette ad una velocità impossibile da raggiungere per qualunque essere umano, Coordinator o Natural.

Cecilia si sentì improvvisamente orgogliosa di sé stessa.

I corpi dei Coordinator avevano accettato senza nessun problema gli impianti, ai quali si erano adattati con una rapidità che lei trovava ancora stupefacente. Il loro stesso fortissimo sistema immunitario, che Cecilia aveva temuto potesse rigettare i materiali sintetici, li aveva invece assimilati senza nessun problema. Avvezzi fin da piccoli a considerare il proprio corpo come ingegneristicamente modificato e modificabile, anche psicologicamente non avevano riportato traumi.

Eccetto quelli della guerra’ si disse guardandoli in faccia. La maggior parte si era mostrata non solo sorpresa, ma sconvolta di essere ancora viva.

Qualcuno doveva ancora superare lo shock della morte, ma quello fortunatamente non era il suo campo di specializzazione, e Cecilia non ci teneva che lo fosse. Si sentiva a suo agio tra numeri, formule chimiche e materiali inanimati, mentre la mente delle persone la metteva a disagio. Come la gente stessa. Si guardò attorno, trovando il soggetto che cercava seduto insieme agli altri davanti al televisore. Si avvicinò con decisione.

A parte il suo mentore aveva pochi contatti personali con il resto dello staff, tutto composto da scienziati molto più grandi di lei; quelli professionali le bastavano ed avanzavano. I suoi colleghi si erano stupiti che lei si trovasse così bene tra il gruppo di Coordinator, e avevano erroneamente attribuito la cosa al fatto che fossero tutti ragazzi più o meno della sua età –qualcuno aveva malignato che erano anche bei ragazzi – ma Cecilia sapeva che non era per una ragione così triviale. La realtà era ben diversa, ma non l’avrebbe confessata nemmeno sotto tortura.

Diversi si girarono a guardarla mentre camminava verso di loro e, esaminando i loro visi perfezionati dagli interventi di chirurgia ricostruttiva e le loro braccia marcate dai segni sottili ma eleganti degli innesti, Cecilia non riuscì a non mascherare un sorriso soddisfatto. Erano come un gruppo di bellissime bambole alle quali per caso era stata concessa la parola; come bambole, lei non doveva aver paura di loro. Non l’avrebbero mai presa in giro perché lei era così diversa dagli altri esseri umani. Pure loro lo erano.

Alcuni indossavano degli occhiali scuri a mascherina. Anche il soggetto sul quale doveva far l’ultimo test della giornata.

La stava fissando, e Cecilia gli fece cenno di raggiungerla. Si alzò con una smorfia, e camminandole incontro la scienziata notò come stesse leggermente zoppicando.

Cecilia sospirò. Aveva spiegato in tutti i modi alla Commissione, esponendo tutte le problematiche tecniche, che almeno i più giovani avrebbero dovuto essere scartati dal programma, ma i finanziatori dell’Istituto non avevano voluto sentire ragioni. Lei si reputava fredda ma non senza cuore, e avrebbe preferito concedere a quei ragazzi una pietosa eutanasia piuttosto che condannarli ad anni di torture, ma glieli avevano imposti, e lei non aveva potuto fare altro che accettare.

Sorrise con un po’ più di cordialità, sedendosi in disparte con il soggetto. Lui era il più giovane del gruppo e anche il problema più grosso, ma la rincuorava che almeno tutti gli interventi fossero stati un completo successo.

“Fa male?” gli chiese indicandogli il ginocchio destro.

Lui rispose scrollando le spalle. “Un po’…”

Cecilia alzò un sopracciglio. Dopo tutti quei mesi aveva imparato a conoscerli. ‘Un po’’, nella lingua del ‘soggetto ventuno’ significava che stava soffrendo come un cane.

“Dirò al medico farti un’iniezione di lidocaina, per un po’ dovrebbe migliorare, ma se continua a farti male prenderemo in considerazione l’ipotesi di sostituire l’impianto.”

Cecilia riuscì a malapena a camuffare una smorfia preoccupata sotto un sorriso un po’ sghembo. Una terapia più intensa a base di oppiacei avrebbe risolto il problema, ma i medici avevano la proibizione di prescriverglieli.

Non vogliono creare dei nuovi Extended dipendenti dalle droghe che assumono, capibile da parte loro.’

Scrisse una nota sulla cartella clinica del ragazzo che si era portata dietro, aggiustandosi gli occhiali.

“Avevo sperato di attendere ancora un po’ prima di procedere con il rimpiazzo degli impianti, ma purtroppo cresci dannatamente in fretta. I tuoi genitori devono essere parecchio alti, non è vero?”

Gli lanciò uno sguardo, ma il soggetto non mosse un muscolo del suo nuovo volto. Per un attimo considerò di togliergli gli occhiali, ma non sarebbe servito a nulla. Un problema di quei dispositivi ottici che gli avevano installato era la onnipresente fissità dello sguardo

Sospirando gli prese invece le mani. Per quello che ne sapeva lei quel Coordinator poteva anche essere orfano; di certo non aveva detto assolutamente nulla del suo passato, nemmeno il suo vero nome. Peggio, passava giorni senza dire una parola. Eppure non aveva riportato danni neurologici.

Shock post traumatico’ Cecilia diagnosticò mentre passava le dita su quelle che avevano installato al ragazzo. ‘Spero che prima o poi ne esca, o tutto questo sarà perfettamente inutile.’

Gli passò la punta dell’indice sull’interno del polso sinistro, e lo sentì sussultare.

“Beh, ti faranno un po’ male ma hai un’ottima sensibilità.”

Anche se le sue parole caddero nel vuoto si sentì in dovere di spiegare. “Le chiamiamo impianti, e non protesi, perché sono interfacciate direttamente con il vostro sistema nervoso, con connessioni neurali totalmente integrate con esso. Gli impulsi che partono dal cervello raggiungono i sensori di movimento nello stesso esatto modo in cui, in un corpo umano integro, arrivano alle articolazioni… anzi, molto più velocemente.”

Gli chiuse la mano destra a pugno. La pelle artificiale aveva la consistenza setosa dell’epidermide un bambino.

“E lo sai. Questi impianti sono molto più efficienti di normali braccia e gambe. Tu e tutti i tuoi compagni sarete molto più forti, veloci ed agili di un qualunque essere umano.”

Gli toccò con un dito la montatura degli occhiali. “E con questi occhi nuovi vedrete la realtà in modo completamente diverso. Più completo e funzionale.”

Non riuscì a soffocare una risatina soddisfatta. “Da un certo punto di vista, potreste considerarvi l’evoluzione della nostra specie.”

Il ragazzo ritrasse le mani dalle sue, mentre le parole entusiaste di Cecilia incontravano un muro di silenzio, rotto solo da un laconico ‘affascinante’, detto a mezza voce. E perché la scienziata aveva la netta impressione che, se avesse potuto, il soggetto ventuno le avrebbe lanciato uno sguardo impietosito?

Cecilia scosse leggermente la testa, prese la cartella medica del ragazzo e si alzò.

Prima o poi capirai...’

“Vieni con me” gli disse con meno fervore. “Dobbiamo condurre insieme un piccolo test sulla coordinazione di quelle dita.”

Lui la seguì obbediente fuori dalla sala. Di certo, da buon soldato non si faceva mai ripetere le cose due volte.



Nel laboratorio faceva freddo, e Cecilia si strinse il camice addosso, afferrando due guanti neri riposti su una delle macchine.

“Tieni, indossali, tra le fibre ci sono inseriti sensori per trasmettere i tuoi movimenti al computer. Adesso, vedi quella tastiera digitale? Siediti lì e pigia un po’ quei tasti. Mi basteranno cinque minuti. Ti sarò estremamente grata se riuscirai a non pestare i tasti che producono i suoni più acuti, credo che siano quelli più a destra. Ho un mal di testa incredibile.”

La scienziata gli diede le spalle, accomodandosi stancamente davanti al computer e avviando il programma.

Aveva già condotto quel test su altri soggetti, e tutti avevano crudelmente martoriato i suoi timpani con i suoni più raccapriccianti. Non osava sperare che questa volta sarebbe stato diverso.

Il primo accordo fu incerto, e Cecilia considerò di afferrare le cuffie abbandonate accanto allo schermo. Allungò la mano per prenderle, ma le armoniose note successive fecero bloccare il suo movimento a mezz’aria. Dopo un paio di minuti il suo sguardo abbandonò il video per tornare sul soggetto. Muoveva le mani sulla tastiera con estrema sicurezza, conoscendo chiaramente dove andavano posate. E la melodia che scaturiva dallo strumento era eseguita ben più che alla perfezione, con una passione che lei non avrebbe mai attribuito al giovane Coordinator, considerato le poche volte che l’aveva sentito proferire verbo.

Cecilia non osava interrompere qualcosa di così bello. Lo fece lui dopo una decina di minuti, dopo aver sbagliato un accordo.

Lo vide fissarsi la mano destra con una smorfia, e Cecilia si segnò mentalmente l’ennesimo punto che aveva bisogno di un’iniezione di antidolorifico.

Incerta su quello che poteva dire, scelse la cosa più ovvia.

“Bene. Il test è stato brillantemente superato. E complimenti, non avevi mai detto a nessuno che eri un pianista.”

“Me la cavavo” fu la replica fin troppo remissiva, ma proferita con una tensione che non sfuggì a Cecilia.

“Abbiamo finito?” le chiese alzandosi di scatto, senza guardarla in faccia.

“Certo. Vieni, ti accompagno dal dott. Meine per quella iniezione.”

Lo seguì alla porta, senza riuscire a staccare gli occhi dalla mano destra che il soggetto apriva e chiudeva nervosamente.

Un campanello d’allarme cominciò a squillare nella testa di Cecilia, ma decise di testare comunque la sua fortuna. Alcuni di quei Coordinator erano davvero un mistero, e la sua curiosità scientifica non la poteva esimere dallo scoprire qualcosa di più su uno di loro.

“E, ribadisco, hai davvero talento per essere così giovane. Visto che eri anche un pilota di Mobile Suit, dove hai avuto il tempo di imparare a suonare così?”

Il ragazzo appoggiò la mano sinistra sul pulsante che apriva la porta, ma senza pigiarlo.

“Mia madre... fin da piccolo ha voluto che prendessi lezioni... aveva questo vecchio pianoforte e le piaceva che lo suonassi per lei.”

“Che pensiero gentile. Scommetto che ti vuole molto bene, vero?”

Cecilia si accorse dell’errore quando oramai era troppo tardi.

Il Coordinator si girò verso di lei, appoggiando le spalle contro la porta.

“Perché sono qui? Voglio tornare a casa… fammi tornare a casa… voglio vedere mia madre… il mio piano…”

Si premette le braccia attorno al corpo, scosso da singhiozzi che sembravano rantoli. Il fatto che non potesse piangere perché gli impianti ottici non erano ancora stati completati rendeva la scena ancora più straziante.

Cecilia si sentì persa. Come gestire un teenager in preda ad una evidente crisi isterica non era una cosa a cui i suoi studi l’avevano preparata. Con orrore lo vide portarsi le mani alla faccia, e scattò in avanti prima che il Coordinator potesse fare qualcosa di irreparabile. Istintivamente gli afferrò i polsi.

“Hey, non ci provare a rovinare così il mio lavoro.”

L’entità dell’ennesimo sbaglio le fu chiara quando si sentì sollevare e scaraventare da parte come se fosse stata senza peso.

Colpì un tavolo, e una fitta atroce le trafisse il costato. Si sentì svenire dal dolore ma non le sfuggì quello che le stava urlando il giovane Coordinator.

“E non mettermi mai più le mani addosso. Io non sono il tuo giocattolo.”

***

“Ti rendi conto di quello che hai fatto? Poteva spezzarti il collo.”

Cecilia arrossì furiosamente, sotto lo sguardo teso del suo mentore, a disagio in parte per la sfuriata e in parte per la fasciatura rigida che le teneva le due costole rotte a posto.

“Non l’avrebbe mai fatto, lo sai, è stato un incidente” cercò di giustificarsi lei, ma Lenk la zittì.

“Lo so, ho visto il filmato girato dalla telecamera del laboratorio. Chi credi che abbia chiamato il medico? Quel Coordinator, resosi conto che eri svenuta, si è ripreso e ti ha soccorsa. Meno male che almeno uno dei due in quella stanza ha saputo mantenere un minimo di lucidità.”

“Lo ringrazierò...” mormorò lei, imbarazzata come una ragazzina beccata a rubare i biscotti.

“Per forza, visto che sei tu che l’hai provocato, e lo sai che è stata una grandissima cazzata. Se ti fosse successo qualcosa cosa avremmo fatto? Senza contare che i militari avrebbero potuto pensare che ti aveva aggredita, e quindi...”

“Va bene va bene, ho capito!” Cecilia lo interruppe alzandosi velocemente in piedi nonostante il dolore. Strinse i denti, fissando il suo mentore seria in volto. “Mi spiace, mi sono fatta prendere dall’entusiasmo. Ero... come drogata io stessa.”

Lui annuì. “Non ti biasimo. Visto quello che hai ottenuto, se fosse ancora assegnato il Premio Nobel sarebbe tuo di diritto, ma vedi di controllarti quando hai a che fare con questi soggetti. Potrebbero diventare molto pericolosi, per te, per gli altri e anche per sé stessi. E, oltretutto” lo sguardo del Professore si fece pensieroso. “Hai sentito quello che ti ha urlato quel tipo, no? È un essere umano, Cecilia, e a solo quindici anni ha sofferto qualcosa di indicibile. Non trattarlo come un manichino senza sentimenti.”

La critica colpì la scienziata come una coltellata. Annuì rigidamente e in silenzio. Come aveva potuto pensare che il suo mentore non l’avesse capita?

“Vai a dormire adesso, è davvero tardi” le disse l’uomo più bonariamente, strofinandosi le guance con le dita. “Da domani chiederò a Giulia di sostituirti almeno nei test sui soggetti più avanzati. Se ti sei ridotta così è anche colpa mia, ti ho fatta lavorare troppo. Cristo... a volte mi dimentico che sei ancora una ragazzina anche tu.”

Cecilia soffocò una protesta sul nascere, e si accontentò di augurargli la buona notte e di uscire dall’ufficio senza aggiungere altro. Si sentiva un’idiota, ma non sarebbe mai riuscita a dormire se non si fosse prima scusata con il Coordinator.



Lo trovò nello studio medico. Il ragazzo teneva le braccia appoggiate su un tavolo e la testa abbandonata su di esse, ma la rialzò immediatamente sentendola entrare nella stanza. Indossava ancora gli occhiali, ma il Coordinator piegò le labbra in una smorfia mortificata. E Cecilia non riuscì a trattenere la sua sorpresa quando, prima ancora che lei potesse aprire bocca, si scusò con lei.

“Mi dispiace, non avrei dovuto reagire in quel modo.”

Il discorso che si era preparata evaporò miseramente. Ma come gli veniva in mente a quel tipo una cosa del genere? Imbarazzata non riuscì a trattenere una risatina.
“Di cosa? Sono io che ho esagerato. Sono stata terribilmente indiscreta e indelicata, tu non sei tenuto a dirmi nulla della tua vita precedente.”

Il ragazzo davanti a lei si mosse sulla sedia, evidentemente a disagio, e Cecilia cambiò precipitosamente argomento. “E, comunque, ti ringrazio per aver chiamato il medico.”

“Era colpa mia se eri svenuta. Non potevo mica lasciarti così.”

“Avresti potuto aspettare che ci trovassero, prima o poi l’avrebbero fatto.”

“Ti sembro così insensibile?”

Stavolta Cecilia si mise apertamente a ridere. “Veramente non te lo so dire. Questo è il discorso più lungo che ti sento fare da quando sei qui. Pensavo seriamente che avessi qualche problema. In ogni caso, non so quanto sensibile tu sia, ma di certo sei molto efficiente.”

“Sono un soldato, e uno dei migliori del mio corso. Mi hanno addestrato a non perdere il controllo in nessuna situazione.”

Il Coordinator abbassò la testa, distogliendo lo sguardo da lei. “Anche se a volte è davvero difficile... ma non succederà più, va bene?”

Lei sorrise mestamente a quel tono afflitto. Tragicamente, era come quello di un bambino in cerca di approvazione.

Cecilia imprecò tra sé e sé. ‘Cristo. Ma tu che ci fai qui? Che società è quella che fa combattere ai minorenni le sue guerre?’

Poi se lo ricordò. Il ragazzo le pareva gentile, ma sicuramente aveva già ucciso. E di certo l’avrebbe fatto in futuro, grazie a quegli impianti che lei gli aveva installato.

La scienziata si voltò verso la porta, cercando di mascherare il turbamento. Quei Coordinator potevano anche essere in quel momento le sue creazioni perfette, ma sarebbero diventate le bambole da guerra di qualcun’altro. Il pensiero la fece rabbrividire.

“Non ti tormentare, tu non hai nessuna colpa di quello che è successo. Proprio nessuna...” ‘Nemmeno di quello che ti ordineranno di fare quando uscirai di qui. Quello sarà tutto merito mio.’

Aprì la porta, ma la voce del giovane pilota la fece bloccare mentre stava già uscendo.

“Scusami anche per quello ti ho detto. Era una stupidaggine. Sei il mio medico. Puoi mettermi le mani addosso quando vuoi.”

Cecilia fu grata che lui non le vedesse il volto, che aveva assunto un colore rosso pompeiano. Per niente dotata di attrattive per l’altro sesso, raramente la scienziata era stata oggetto di battute salaci. E, anche se si rendeva conto che il ragazzo non poteva averlo fatto apposta, la dichiarazione le strappò comunque il sorriso che le serviva per finire la giornata in modo meno tetro.



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Note

Grazie davvero a tutti per i commenti e soprattutto per la fiducia XD Spero davvero di meritarla, visto che è la prima volta che mi addentro in questo fandom e il nervosismo è molto :)
Un grazie particolare va a Shainareth per l'opera di betaggio (mai minacce furono più utili ^^).

  
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