Anime & Manga > Gundam > Gundam SEED/SEED Destiny
Ricorda la storia  |       
Autore: Atlantislux    24/09/2009    9 recensioni
[Gundam SEED] Pensava che il passato non l’avrebbe più tormentato. Si sbagliava. Perché le bambole da guerra, anche se rotte, trovano sempre qualcuno che le aggiusti.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Irreparabile'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note

Prima fanfiction nel fandom Gundam Seed, emozione!
Dunque, per prima cosa, ringrazio Lil_Meyer http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=71892 alla quale appartiene l’idea originale di questa fanfiction, che ho adottato con estremo piacere. E poi benedico Shainareth per le lunghe conversazioni a tema e per gli utili suggerimenti. Anche per le minacce. Sì, soprattutto per quelle ;)
Quanto alla storia in sé, è un "what if" divisa in due parti, una ambientata durante, e negli anni immediatamente successivi alla guerra del 71 C.E., e un'altra dieci anni dopo.
Buon divertimento! ;)



___________________________



Avanzi


"Io faccio amici. Giocattoli. I miei amici sono giocattoli." - Blade Runner


Nassau, 25 maggio, C.E. 71


Era l’alba del giorno del suo ventesimo compleanno quando la dottoressa Cecilia Jesek fu svegliata rudemente dal suono del cellulare che squillava.

Da sotto le coperte un occhio nocciola guardò con astio l’apparecchio, ma qualche secondo dopo la mano della scienziata sgusciò fuori dalle coltri per afferrarlo.

“Sì?” biascicò faticosamente.

Nonostante l’ora la voce dall’altra parte suonò perfettamente desta.

“Cecilia. Ti do mezz’ora per presentarti da me.”
La giovane richiuse gli occhi soffocando un’imprecazione. Se c’era una cosa che odiava sentire di primo mattino era la voce del suo capo. Autoritario e gioviale come solo lui riusciva ad essere.

“Lenk, anche se arrivo per le nove riuscirò a smantellare tutto…”

“Lascia perdere. C’è stato un cambio di programma, sbrigati ad arrivare.”

Con quello il suo mentore chiuse la comunicazione, lasciando una stordita Cecilia a fissare il cellulare senza parole.

Dopo qualche secondo la giovane si decise ad uscire dal letto, ancora assonnata ma incuriosita dall’ordine perentorio.


Arrivò a destinazione dopo venti minuti soltanto. Mentre faceva la doccia l’interesse era cresciuto in lei, anche se non si era azzardata a confidare troppo nelle parole del Professor Lenk Granato. Quello era il giorno in cui avrebbero dovuto smobilitare, il suo ultimo giorno di lavoro, e nulla nella settimana precedente aveva lascito presagire che il programma sarebbe cambiato.

Presa da un improvviso scoramento, Cecilia sospirò pigiando il pulsante dell’ascensore. Una volta dentro si guardò allo specchio. Cercò con una mano di sistemare gli indomabili capelli ricci, fallendo come sempre nel tentativo.

“Sto invecchiando…” mormorò guardando il suo volto già stanco di prima mattina e segnato da tante notti insonni. Tutto tempo perso gettato dietro a ricerche che sarebbero finite nella spazzatura.

Le porte si aprirono, distraendola, e il suo sguardo incrociò quello di un paio di colleghi. I due si fecero da parte per lasciarla uscire, salutandola con un cenno del capo. Lei ricambiò, facendo finta di non vedere i cartoni zeppi di libri ed altro materiale cartaceo che i due reggevano. La sola vista le fece però stringere il cuore. Quella era stata la sua casa per cinque anni, non era affatto giusto quello che stava succedendo.

Soffocando un ennesimo, inutile sospiro si avviò lungo il corridoio, sostando un attimo davanti alla porta del suo capo per annunciarsi. Lui la spalancò personalmente.

“Finalmente! La mia più brillante pupilla è qui!” tuonò l’uomo.

Cecilia rispose con un quasi imbarazzato cenno del capo. “Lenk...”.

“Vieni, accomodati.”

Lo seguì e, mentre il Professore si accomodava dietro la sua scrivania, la giovane si sedette di fronte, sbirciando senza particolare curiosità una pila di fascicoli plastificati che giacevano sul piano del tavolo. Erano sistemati davanti a lei, come se la stessero aspettando. Il pensiero le fece alzare la testa verso il suo capo, che di certo non aveva l’aria di una persona che si sarebbe trovata disoccupata da lì a poche ore. Anzi, l’uomo aveva un’aria decisamente elettrizzata. Decise di farglielo notare.

“Prof… ti sembra il caso di essere così contento?” gli disse con un sorrisetto. Essere la beniamina del Direttore dell’istituto l’aveva sempre autorizzata a dirgli in faccia tutto quello che pensava. E poi, il corpulento cinquantenne senza famiglia era un po’ come un padre per lei, che aveva perso i genitori da piccolissima.

Con sua somma sorpresa, l’uomo esplose in una risata.
“Eccome eccome!” esclamò, guardandola fissa in volto. “Possiamo continuare le nostre ricerche, abbiamo trovato materiale e finanziatori.”

Il cervello della giovane, seppure molto brillante, ci mise un attimo ad elaborare quello che le era appena stato detto.

“Cosa?” balbettò.

“Te lo ripeto. Oggi non si chiude proprio nulla.”

“Ma se ho appena visto John e Jeremiah andarsene con le loro cose!”

“Beh, certo, abbiamo dovuto accettare una ristrutturazione, ma per niente al mondo avrei lasciato andare te.”

Cecilia sbatté le palpebre, scossa dall’improvvisa notizia. “E quando pensavi di dircelo?”
“Ho già telefonato personalmente a tutti quelli coinvolti nel nuovo progetto. Non ti nascondo che da giorni stavamo negoziando la cosa, ma solo la notte scorsa un nuovo gruppo si è fatto avanti per rilevare le nostre ricerche e fornici nuovi fondi.”

Lei abbassò la voce. “Quale nuovo gruppo? Noi siamo legati all’Alleanza. I nostri progetti sono di carattere militare, e sono stati appena messi da parte.”

“Non più. I soldi da oggi arriveranno da un cartello di multinazionali che sostiene anche l’Alleanza e che ha deciso che, nonostante i successi conseguiti dalla linea di ricerca sugli Extended, noi potevano comunque continuare nel nostro lavoro” le disse il suo mentore, alzando le mani di fronte a sé, come per rassicurarla. “Probabilmente ci vogliono tenere di scorta. Le falle del progetto Extended le sai anche tu.”

“Non capisco” ribadì Cecilia, ostinata. “Ci hanno detto in ogni modo che abbiamo fallito, umiliando te e tutti noi.”

La scienziata non riuscì a non far tremare la sua voce. Sdegnata ricordò le parole dell’ultimo, tronfio Generale che aveva fatto visita al loro centro. Le aveva detto in faccia che doveva aver giocato troppo con le bambole da piccola, se pensava davvero che quello su cui lavorava potesse fare la differenza in una guerra condotta con Mobile Suits.

Cecilia abbassò lo sguardo fino a guardarsi le mani, ma il Professore sembrò leggerle nel pensiero.

“Oh, avanti, sapevo che non potevano disdegnare così il nostro lavoro. Quei mostri grandi come palazzi non valgono nulla rispetto a quello che possiamo produrre qui.”

“Sul valore delle nostre ricerche non ho dubbi, ma lo sai anche tu che non hanno tutti i torti, soprattutto perché, anche rispetto agli Extendend, quello che è uscito dai nostri laboratori si è rivelato un disastro” ribadì la giovane, non riuscendo ancora a capire l’improvviso cambio di programma, dopo giorni passati a sentirsi dire che oramai era meglio che si trovasse un altro lavoro.

“Lo so, ma sicuramente è stato tutto perché non lavoravamo sul… materiale giusto.”

L’uomo le indicò i fascicoli davanti a lei, appoggiandosi poi allo schienale della sua poltrona con le mani intrecciate sull’ampio ventre. In attesa.

Cecilia li guardò incerta, poi ne aprì uno.

Era zeppo di fogli, ma fu la foto posta sopra tutto il plico che la fece istintivamente sussultare, e distogliere gli occhi in preda al disgusto.

“Oh mio Dio…” esclamò sorpresa, salvo poi, per pura curiosità scientifica, ritornare cautamente a guardare i documenti contenuti del fascicolo. I suoi occhi affondarono tra i dati stampati su quelle pagine. Erano tutti dettagliati rapporti medici.

Lentamente, sollevò la foto davanti al suo capo.

“Mi vuoi spiegare cos’è questo?”

Lui le sorrise bonariamente. “Quello che resta di un pilota di Mobile Suit dopo che… beh… il suo mezzo ha avuto un incidente.”

“Interessante. E mi vuoi spiegare io cosa me ne dovrei fare?”

“Sono i tuoi nuovi soggetti. Mi sembra chiaro, no? Ovviamente, e per quanto possa sembrare inconcepibile, quel tizio è ancora vivo, come tutti i suoi compagni catalogati in quei fascicoli.”

Cecilia dovette trattenersi dall’urlare. “Fin qui c’ero arrivata ma, in ogni caso, ti va di scherzare? Uomini sani, perfettamente in forma, soldati addestrati non sono riusciti a sopportare gli impianti. I loro corpi li hanno rigettati o li hanno trovati psicologicamente intollerabili. Mi spieghi come una cosa del genere” esclamò facendo ondeggiare la foto, “potrebbe avere più successo?”

Il Professore alzò il dito indice della mano destra. “Uno, forse il problema era proprio che erano sani ed in forma. Abbiamo sottovalutato l’aspetto psicologico di avere il proprio corpo modificato così radicalmente.”

“Quindi, ripeto, cosa ti fa credere che per questi sarebbe diverso?”
“Forse il fatto che senza morirebbero. Ma lasciami finire. Per quanto riguarda l’aspetto meramente fisiologico, leggi bene quei rapporti. Tutti questi piloti sono Coordinator.”

Profondamente sorpresa, la ragazza abbassò gli occhi sui fogli. “Ma questo che c’entra?”

“Avanti, anche qualcuno di noi l’aveva suggerito a bassa voce qualche tempo fa. Che probabilmente il fisico più resistente dei Coordinator avrebbe reagito meglio agli impianti.”

“Non sto parlando di quello, Professore” lo sguardo di Cecilia si fece duro. “Noi qui progettiamo e produciamo… beh, cerchiamo di produrre armi biologiche che dovrebbero combattere i Coordinator. Non ha senso fare sperimentazioni su di loro. Anche nel caso in cui avessimo dei risultati non vedo cosa l’Alleanza se ne potrebbe fare. Loro non combatterebbero mai contro i propri simili.”

Il suo capo la guardò, quasi rassegnato. “Cecilia Jesek, quante volte ti ho detto di lasciare perdere questi discorsi? Quello sarà un problema che l’Alleanza dovrà risolvere. Mentre noi siamo scienziati, non politici né militari. Ci è stata data una magnifica opportunità per continuare i nostri studi, e io vorrei averti ancora al mio fianco. Dopotutto, molti dei brevetti che utilizziamo ti appartengono.”

Glielo disse sorridendo, ma Cecilia riconobbe la stoccata. Nell’istituto si lavorava su brevetti registrati a suo nome, e si perfezionavano sue ricerche. Nel caso se ne fosse andata non c’era nessuno in grado di sostituirla e nemmeno avrebbe potuto, legalmente. D’altra parte, non c’era nemmeno un posto dove lei potesse andare. Giovanissimo genio della biorobotica, Cecilia aveva sempre vissuto nell’istituto dove aveva completato i suoi studi. Il personale lì era la sua famiglia, lei non poteva abbandonarli, lo sapeva benissimo.
Sospirò rassegnata. “Già… scusami, dopotutto sarà affare loro se quello che uscirà da qui gli si rivolterà contro. Beh, sempre che qualcosa esca.”

Guardò con più attenzione la foto confrontandola con i rapporti medici. Non avrebbe mai creduto di poter vedere ancora in vita un essere umano ridotto in quello stato.

“Questi Coordinator sono proprio diversi da noi…” mormorò esaminando la pietosa cartella clinica del pilota nemico. “Abbiamo almeno idea di chi siano?”

“No. Possiamo sottoporli ad un test del DNA, ma non abbiamo modo di accedere alle banche dati di PLANT. In ogni caso, immagino che le rispettive famiglie li considerino già morti.”

“Non stento a crederlo.”

Cecilia sussultò lievemente quando i suoi occhi caddero sulle informazioni personali dell’uomo.

“Maschio, altezza un metro e settantacinque, età presunta… diciotto anni” lesse lentamente, sentendo la voce tremare sull’ultima parte. “Dio mio, è un ragazzo.”
“La maggior parte lo è, e non credo sia un caso. Probabilmente per ZAFT le cose stanno andando così male che hanno deciso di spedire in battaglia anche le reclute; quanto a noi, immagino che le alte sfere pensino che questi tizi, data la giovane età, abbiano più possibilità di sopravvivere agli esperimenti.”

“Io dubito che arrivino anche a domani, sai...”

Sentì le dita gelide e, finalmente, la spiacevole realizzazione di quello che le sarebbe aspettato la colpì in tutta la sua durezza.

“Le loro condizioni sono gravissime ma mantenute stabili, tocca a noi subentrare” le stava dicendo il Professore.
“O lasciarli morire se non ce la facessimo, vero? È per questo che ce li hanno mandati, perché tanto non possono nemmeno servire come merce di scambio. Non so se ce la posso fare, Lenk. Una cosa era apportare dei miglioramenti, un’altra operare una totale ricostruzione” ammise senza vergogna, mentre con una smorfia in viso dava una rapida scorsa ai fascicoli successivi. Uno in particolare le fece arricciare il naso dalla repulsione.

“Questo dovrebbe avere quindici anni, ti rendi conto? Mandano a combattere anche dei bambini.”

“Tu a quindici anni avevi già conseguito il dottorato.”

“Che c’entra?” rispose lei alzando le spalle. “Io studiavo. Non andavo in giro ad ammazzare la gente.”

Resasi conto dell’enormità di quello che aveva appena detto le labbra della giovane si torsero in un sorriso stanco. “… Ancora” terminò mettendosi una mano davanti agli occhi.

“Non pensarci, Cecilia. Piuttosto, se tutto andrà bene potrai dire di aver salvato delle vite” la rincuorò il suo capo. “E poi non sarai certo sola. Insieme ai soggetti è arrivata la squadra di chirurghi dell’esercito che li ha rimessi insieme e che ti assisterà costantemente. Tu dovrai solo occuparti della parte di meccatronica.”

“Come se fosse poco. Solo ad occhio, alcuni di questi ragazzi avranno bisogno di una ricostruzione del quaranta, cinquanta percento del corpo. E bisognerà sviluppare impianti ottici” sollevò il fascicolo che aveva in mano. “Questo ha perso gli occhi nell’esplosione, e non è certo l’unico.”

“Per questo le opportunità che si aprono per noi sono decisamente interessanti.”

Non totalmente convinta ma finalmente persuasa che non c’era nulla che lei potesse fare per rifiutare l’incarico, Cecilia annuì nonostante i cupi pensieri. Di una cosa però era certa: se fossero sopravvissuti, quei Coordinator l’avrebbero difficilmente ringraziata; non solo non avrebbero avuto la minima possibilità di ritornare a casa ma, anche nel caso che fosse successo, nemmeno i rispettivi genitori avrebbero più potuto riconoscerli.



Aprilius City, 12 dicembre, C.E. 81


Allo spazioporto l’addetta al controllo transiti non fece una piega davanti ai documenti di identità dei tre cittadini dell’Unione Sudafricana. Li registrò senza una parola, lanciando giusto un’occhiata per accertarsi che le loro facce corrispondessero alle immagini conservate nel database. Gli riconsegnò i documenti velocemente, e nemmeno li guardò mentre se ne andavano.

Fece cenno al gruppo successivo di avvicinarsi, notando e sorridendo tra sé e sé come i precedenti passeggeri, nonostante il lungo viaggio e il brusco ritorno alla gravità terrestre, non sembrassero minimamente infastiditi dalla cosa come il resto dei viaggiatori Naturals. Quelli che aveva davanti sembravano a malapena in grado di reggersi in piedi, mentre gli altri le erano parsi assolutamente tranquilli, e l’avevano guardata con occhi che non tradivano la minima emozione.

La donna si bloccò un attimo, sbattendo le palpebre. Già, ripensandoci, quegli sguardi le erano sembrati decisamente un po’ troppo fissi. Riprese a fare il suo lavoro, chiedendosi pigramente se non fossero sotto l’effetto di qualche droga. Per quello che ne sapeva lei poteva anche essere; dopotutto i Natural erano così deboli. Ma non era di sua competenza, quindi dimenticò velocemente l’accaduto. Se quei tre avessero combinato qualche guaio in città, era compito della polizia metterci una pezza.

  
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Gundam > Gundam SEED/SEED Destiny / Vai alla pagina dell'autore: Atlantislux