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Autore: Teresa Lisbon    01/10/2009    4 recensioni
Al California Bureau of Investigation un nuovo caso viene affidato alla squadra di Lisbon. Un caso difficile che non sembra presagire nulla di buono. A San Francisco una donna, Susan Long, viene trovata morta sul ciglio della strada, mostrando i chiari segni di percosse su tutto il corpo. Omicidio passionale o Premeditato? Entrambe le opzioni sembrano probabili; ma con il proseguire delle indagini le vittime aumentano facendo arrivare il CBI alla conclusione che non si tratti di un assassino alle prime armi. Chi è l’assassino? E perché sembra così interessato alla squadra del CBI? Jane, Lisbon, Rigsby, Cho e Van Pelt si ritroveranno a fare i conti con un serial killer pronto e tutto pur di ottenere ciò che vuole con conseguenze sconvolgenti nel cuore e nelle menti di ciascuno di loro. Nel bene….e nel male.
Genere: Generale, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

 

 

 

 

Sistemandosi distrattamente la maglietta, di un verde leggermente più scuro rispetto alle iridi dei suoi occhi , Teresa si diresse verso la sala centrale dell’ufficio coordinato da Minelli, sperando di trovare lì Patrick Jane, intento probabilmente a lavorare su una pista totalmente diversa da quella seguita dal resto della squadra.

Non dovettero trascorrere molti istanti in più prima che la minuta donna dai capelli scuri individuasse il consulente della squadra, steso come al solito sul suo inconfondibile divano marrone.  Anche se “suo” non era decisamente l’aggettivo più esatto.

“Jane…forza dobbiamo andare…” esclamò Lisbon, fermandosi alla scrivania di Rigsby, alla ricerca delle chiavi della sua auto, come se avessero potuto realmente trovarsi sulla scrivania di uno dei suoi collaboratori.

- Dove diavolo le ho messe…- pensò, leggermente seccata, dimenticandosi quasi per un secondo di non aver ricevuto nessuna risposta da parte dell’uomo a pochi metri da lei.

Già il fatto di essersi addormentata durante l’orario di lavoro la innervosiva non poco, in fin dei conti lei non era mai stata quel genere di persona; se in più ci si aggiungeva un ritardo dal coroner la giornata sarebbe stata totalmente da dimenticare.

In tanti anni di apprendistato e servizio in piena regola, non aveva mai avuto simili comportamenti; non aveva neppure mai utilizzato una scusa per giustificare una sua possibile mancanza, nemmeno il giorno del Ringraziamento. Naturalmente il modo in cui trascorreva quella festività era un dettaglio del tutto trascurabile. Dopotutto l’ultima volta non aveva potuto accettare l’invito di suo fratello perché stava seguendo un caso importante e non per rimpinzarsi di gelato davanti a vecchi film, come invece le aveva fatto notare Jane.

Già…suo fratello. Chissà se era a conoscenza delle ultime novità avvenute sul fronte, come dire…personale; novità  che, del resto, avevano ben poco di piacevole vista la loro capacità a tenere sveglia persino lei, il capo di una delle migliori squadre del CBI, con irritanti conseguenze dal punto di vista lavorativo.

Ad ogni modo, brutte notizie a parte, questi suoi “intoppi”, se così li si voleva chiamare, non rispecchiavano affatto il suo consueto ideale di comportamento. Non era da lei arrivare tardi al lavoro, indossare la maglietta sporca del giorno prima, addormentarsi sulla scrivania e, per concludere, perdere le chiavi dell’auto. Quelle erano cose che avrebbero potuto fare i suoi colleghi, non lei.

Lei era il capo e il capo non poteva permettersi di sbagliare. Nemmeno una volta. Altrimenti…altrimenti nessuno avrebbe più potuto fare affidamento su di lei.

Ed eccolo lì, uno dei tanti ricordi soffocati nei meandri della sua mente. Uno di quei ricordi che avrebbe volentieri dimenticato, cancellato completamente dalla sua memoria con un solo gesto della mano, ma che ormai faceva inevitabilmente parte del suo essere. 

Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non dover rivivere uno di quei momenti, come stava capitando proprio in quel momento…

 

 

“Papà…mi…mi dispiace…non capiterà più…” esclamò un’innocente voce di si e no dieci anni, il cui volto magro, circondato da dei lunghi capelli scuri, appariva eccessivamente maturo e preoccupato per una bambina della sua età.

Lui, così assente e disinteressato, se ne stava seduto sulla poltrona in salotto, intento a bere l’ennesima bottiglia di birra della giornata.

..papà…” lo richiamò la piccola, avvicinandosi di un solo piccolo  passo, con fare incerto e insicuro.

Ancora silenzio e immobilità; un’immobilità interrotta solo dal movimento altalenante della bottiglia verde, che saliva e scendeva a ritmi regolari, indicando chiaramente lo stato semi-vigile dell’uomo.

La bambina, troppo mingherlina per essere del tutto in salute, rimase in silenzio, consapevole del fatto che un errore come il suo avrebbe sicuramente arrecato altri dispiaceri a suo padre, che in quanto a dolori ne conosceva fin troppi.

Aveva sbagliato, aveva sbagliato come solo una sciocca bambina della sua età sapeva fare, e ora chi se ne doveva preoccupare era lui.

Avrebbe bevuto ancora? Avrebbe pianto come ormai faceva da quasi un anno?

Perché sera stata così stupida, perché non aveva fatto attenzione? Lui si era fidato di lei, ed era questo il modo di ripagarlo?

Ripetendosi continuamente quelle domande nella mente, la piccola non emise neppure un fiato, contorcendosi le mani sudate, mentre i profondi occhi spaventati non si spostavano di un solo centimetro dalla poltrona di fronte a lei.

“papà…”

Nessuna risposta, ma solo l’assordante infrangersi della bottiglia di birra, il cui vetro scuro rifletteva gli splendidi occhi chiari della bambina; una bambina dal volto troppo spaventato e tirato per avere solo nove anni.

 

 

Lo sguardo fisso su un foglio davanti a lei e la mente così lontana dal presente da essere quasi inarrivabile.

Da quanto non ripensava a quel giorno, o meglio da quanto non ripensava a lui, a quei giorni così lontani e…tristi.

Già, era da un po’ che non tornava indietro nel tempo, e così avrebbe continuato a fare. Non aveva nessuna intenzione di ricadere nuovamente nel passato; un passato in grado di soffocarla, senza lasciarle un solo alito d’aria fresca.

“Jane…” lo richiamò nuovamente, con un tono leggermente più stanco rispetto a qualche istante prima. Ma ancora niente, il silenzio assoluto.

Non ricevendo ancora alcuna risposta, Teresa alzò velocemente la testa dalla scrivania di Cho, lasciando che alcuni ciuffi mossi dei capelli castani le finissero davanti al volto, conferendole un’espressione più spontanea.

“Ehi Jane, mi hai sentito?!

Immobile. La testa di Jane non sembrava volersi sollevare di un solo centimetro, lasciando che solamente il torace si sollevasse e abbassasse a ritmo cadenzato.

-Ma sta….dormendo…- si disse, leggermente sorpresa.

Lentamente, Lisbon si avvicinò al divano, rimandando a più tardi il ritrovamento delle chiavi.

Da quando avevano cominciato a lavorare insieme, non le era mai capitato di vedere Jane dormire, o meglio di vederlo dormire così profondamente. Ogni volta che si sdraiava da qualche parte non si lasciava mai andare completamente, al contrario sembrava rimanere ogni volta in una sorta di dormiveglia che, in un certo senso, riusciva a tenerlo costantemente legato al mondo esterno.

Era come se non volesse mai lasciarsi andare, mai lasciarsi prendere di sorpresa da nessuno, neppure dal mondo stesso; non dopo l’ultimo scherzo che gli era stato giocato.

Già, ma ora era lì, con gli occhi chiusi, una mano appoggiata al petto e l’altra abbandonata lungo i fianchi, e un’espressione indimenticabile dipinta su quel suo volto a dir poco affascinante.

Quasi senza rendersene conto, Teresa rimase lì, ferma, ad un solo passo da quel divano ormai così impregnato del profumo di Patrick.

Un profumo simile a quello del pino e del muschio, così naturale e spontaneo che solo un uomo dal sorriso solare e contagioso come il suo poteva avere.

Non seppe spiegarsi il motivo, ma posando lo sguardo sui chiari capelli biondi di Jane, Teresa si ritrovò a pensare a ciò che era successo due sere prima, poco prima di staccare dal lavoro. Era seduta davanti alla sua scrivania e, mentre revisionava delle testimonianze di un caso, non riuscì a fare a meno di ascoltare uno strano discorso che il suo team aveva intavolato con Jane. Mentre li sentiva parlare e ridere capì subito che si trattava di una conversazione pilotata dalla singolare mente del consulente, che spesso si divertiva a prendersi gioco del prossimo, in particolar modo dei suoi colleghi. Quella sera, aveva chiesto ad ognuno di loro con quale stagione dell’anno si sarebbero reciprocamente rappresentati. Nonostante avesse teso più volte le orecchie per ascoltare, Teresa non era riuscita a sentire le risposte che avevano dato e, senza una ragione in particolare, aveva deciso di non raggiungerli; forse per paura di essere rappresentata come il freddo inverno. Ma, proprio una decina di minuti dopo, mentre stava per dirigersi verso la porta del suo ufficio, fece la sua comparsa Jane che con il suo sorriso era venuto a salutarla. Prima di uscire l’aveva guardata negli occhi, sorridendo, e spiazzandola in un modo che solamente lui sapeva fare le aveva detto : “…direi…autunno”.

Dopo quella strana esclamazione, Jane era uscito lasciandola lì, con le mani indaffarate a sistemare il colletto della camicia sopra la giacca.

Non aveva saputo rispondergli, sia perché non gliene aveva dato il tempo, sia perché era riuscito, ancora una volta, a lasciarla senza fiato. Chissà perché la identificava come l’autunno. L’autunno le piaceva, era una bella stagione, ne calda ne fredda, temperata al punto giusto. E in più c’erano le fragole e lei impazziva per le fragole.

Ma leggere nei pensieri di Jane era una cosa pressoché impossibile, e questo lo aveva capito a spese sue e, alle volte, dell’intera squadra.

Ed ora se ne stava lì, steso sul divano, del tutto inerme al mondo esterno.

Non sapeva spiegarsi il motivo, ma anche il solo guardarlo in quel modo la faceva sentire così….così…così colpevole. Come se stesse trasgredendo ad una delle infinite regole che un ottimo agente avrebbe dovuto rispettare. Ma, in fin dei conti, lei non stava trasgredendo proprio a nulla; se ne stava solamente in piedi, con gli occhi fissi in un punto preciso della stanza.

Lo stava solo guardando e pensando a quanto quel sorriso e il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli le ricordassero l’estate. Perché, senza bisogno di ripensarci, sarebbe stata quella la risposta che avrebbe dato: l’estate.

Lisbon fece un ulteriore passo avanti, allungando lentamente l’indice della mano destra verso Jane. Nella sala non c’era nessuno, solamente loro due e il suono del traffico proveniente dalle strade di Sacramento.

Gli avrebbe solamente sfiorato la spalla per svegliarlo; o forse la fronte…o magari il volto.

Si avvicinò ancora, con gli occhi chiari visibilmente emozionati, e la mano tremante che ad ogni secondo diminuiva sempre più la distanza dalla pelle rosea del consulente.

Pochi centimetri, pochi attimi e….

Bi bi bibipp bibibip…Bi bi bibipp bibibip

Improvvisamente l’arrivo di un messaggio sul cellulare di Lisbon fece crollare inesorabilmente la situazione. Presa dallo spavento, la mora si allontanò di scatto dal divano, vedendo del tutto vani i suoi tentativi di salvare il cellulare che, presa dall’agitazione, fece cadere ad un paio di metri di distanza.

Merda…” si lasciò sfuggire Lisbon, cercando di recuperare il telefonino finito sotto la scrivania di Van Pelt.

Chi diavolo aveva potuto cercarla in un momento simile? In tanti istanti che formavano un’intera giornata perché proprio ora?

- Rigsby…- lesse mestamente il nome del mittente, non riuscendo a controllare l’irrefrenabile sensazione di sbattere l’agente in una prigione del Nebrasca.

Agevolata dalla sua corporatura sottile, Lisbon uscì velocemente da sotto la scrivania, alzando riluttante lo sguardo. Avrebbe voluto rimanere con gli occhi puntati sul pavimento per il resto della giornata; tutto pur di non incrociare lo sguardo di Jane.

Ciò che vide, infatti, una volta posati gli occhi sul biondo la fece subito pentire di essere anche solo uscita da quella scrivania.

“Ciao…” disse quella voce così assurdamente familiare e divertita.

A quello che sembrava un semplice saluto di cortesia, la saliva della donna, nello scendere lungo l’esofago, sembrò emettere uno strano rumore, come se il deglutire fosse una delle cose più difficili da fare.

“…io…stavo cercando…il cellulare!” cercò di mentire Teresa, sperando con tutto il cuore che il suo sguardo non la tradisse.

“Oh immaginavo fosse per quello…anche se la scena di te inginocchiata sotto la scrivania di Van Pelt penso sarà indimenticabile!” la derise, sempre più divertito.

“Divertente!...su andiamo non è il momento di dormire adesso!”

“Oh ma io mica stavo dormendo!”

“Sì certo…come no!” gli rispose Teresa, porgendogli uno dei suoi sorrisi sarcastici “…stavi solo beatamente riposando gli occhi!”

perché…sei rimasta a guardarmi?” la sfidò, guardandola dritta negli occhi.

“no…affatto!” cercò di difendersi, sorridendo con imbarazzo.

“…ma io ero sveglio…sul serio” continuò Jane, i cui occhi esprimevano totalmente il divertimento prodotto da quella scena irripetibile “…mi sono svegliato appena sei entrata”

“Avanti Jane…non serve che ti giustifichi….ti sei addormentato. È umano farlo. Di certo questo non intaccherà la tua immagine di uomo misterioso! Prometto che non ne farò parola con nessuno!” lo derise, avvicinandosi nuovamente alla scrivania di Cho per proseguire con la ricerca delle chiavi, sperando in cuor suo che anche Jane facesse cadere il discorso.

Ma, ahimé, l’intento di Patrick non era decisamente lo stesso.

Mentre già si pregustava lo sguardo che Lisbon avrebbe avuto dipinto in faccia da lì a qualche minuto, Patrick cominciò a sistemarsi la camicia dentro ai pantaloni, cercando di non far intravedere le pieghe sul gilet, causate dal divano,.

“Ero sveglio…da prima che suonasse il cellulare…”

Ok…” lo accontentò divertita “…ti credo!”

Patrick sorrise, spostando lo sguardo su di lei, aspettando qualche secondo prima di utilizzare il suo consueto asso nella manica.

“…appena sei entrata” cominciò, avvicinandosi di un passo mentre abbottonava le maniche della camicia “…sei andata verso la scrivania di Rigsby per cercare le chiavi della macchina che hai perso…e mi hai detto – Jane forza dobbiamo andare- !” le espose,  muovendo sinuosamente le braccia, come rientrava nel suo stile, aspettando di assistere all’espressione di Lisbon.

Espressione che non tardò ad arrivare visto lo stupore e la vergogna dipinti improvvisamente sul suo voto.

Non c’era che dire, Jane adorava il modo in cui i suoi occhi e la sua bocca si adattavano al suo stato d’animo. Certo, tutti avevamo delle espressioni facciali che ci caratterizzavano, sia nel bene che nel male; ma Lisbon…Lisbon era unica. Ogni suo sentimento ed emozione trasparivano perfettamente da quel volto minuto; sia che fosse arrabbiata, o felice o stupita, lei riusciva sempre a trasmettere i suoi pensieri a chi le stava davanti: storcendo la bocca, alzando le sopracciglia o, ancora, lasciando che quella sua ruga ai lati della bocca si allargasse insieme al suo sorriso.

Tutte quelle espressioni erano semplicemente indimenticabili; così….così da Teresa Lisbon.

Dal canto suo, la detective non sembrava pensarla allo stesso modo.

L’improvviso arrossamento del suo volto sembrava essere un chiaro segnale di ciò che stava desiderando in quel momento: sparire da quella stanza, o meglio sparire dagli Stati Uniti d’America.

Lui era sveglio. Mentre lei lo guardava, mentre si avvicinava, mentre cercava di sfiorargli il volto con le dita, in tutti quei momenti lui era sveglio.

Era così spietatamente, crudelmente, inevitabilmente - …imbarazzante – pensò Teresa mentre, contro la sua stessa forza di volontà, lo guardava dritto negli occhi.

“Io…io non ti stavo guardando!” si giustificò frettolosamente, dimenticando per un momento il motivo per cui si trovava di fronte alla scrivania di Cho.

Patrick si avvicinò di qualche passo alla donna, sapendo bene che anche quel semplice gesto avrebbe aumentato la sua agitazione.

“Lisbon…te l’ho già detto una volta…” esclamò, con tono affascinante “…è il fatto che tu lo neghi che mi intriga” aggiunse, dirigendosi verso l’uscita della sala, sventolando un mezzo di chiavi di una Citroen DS21; auto che non assomigliava nemmeno lontanamente a quella di Lisbon.

“Forza…abbiamo un cadavere che ci aspetta”  disse Jane, con tono quasi teatrale, lasciando alla collega il tempo di accantonare l’ultima imbarazzante scena, per fare posto all’idea di lei dentro la sua amata Citroen grigia.

 

******

 

Subito dopo essersene andata dall’ufficio adibito a “sala mensa”, Van Pelt era corsa verso l’uscita, dimenticando persino di prendere la giacca accuratamente disposta sopra la sedia della sua scrivania.

Se solo Rigsby non si fosse dileguato in quel modo insieme a Cho, ora non starebbe sbattendo contro trequarti dei suoi colleghi del CBI, i quali non tardarono a lanciarle sguardi  di ogni tipo, sia divertiti che innervositi.

“Ehi Rigsby…” urlò la rossa, vedendolo in lontananza mentre estraeva le chiavi dell’auto dalla tasca.

Nel sentire la voce della collega, il cuore dell’agente sembrò mancare di un battito, rendendogli quasi più difficile la respirazione.   

Ogni volta gli capitasse di provare una simile sensazione, l’ex agente anti-piromani non riusciva a fare a meno di chiedersi perché un disgrazia del genere fosse capitata proprio a lui. Perché era arrivato ad innamorarsi proprio di una sua collega di lavoro? Avrebbe potuto accettare l’idea di prendere una sbandata per chiunque, persino per un agente del CBI di un’altra squadra, ma non di lei, non di Grace Van Pelt, una sua diretta collega.

All’inizio, quando ormai aveva capito di amarla da impazzire, aveva cominciato a sperare che nessuno ne venisse a conoscenza, in particolar modo Cho; ma nel giro di si e no un paio di mesi tutto il dipartimento già ne parlava, scherzandoci pure su. Non ci avrebbe messo la mano sul fuoco se una mattina, incontrando il Procuratore, questi si fosse messo a dispensare consigli su come conquistare una donna.

Ah già, quella parte ce l’aveva già qualcuno: Patrick Jane.

Jane, l’uomo dai mille consigli che riusciva a far innamorare di se tutta la California; già, persino le donne più impensabili.

“Quanta fretta…” gli disse Van Pelt, una volta arrivata a pochi passi da lui.

“Nessuna fretta..si giustificò Rigsby, aprendo lo sportello dell’auto, sorridendo alla donna.

Se gli avesse detto che se l’era data a gambe per il solo fatto di aver visto la faccia di Lisbon, la sua mascolinità ne avrebbe sicuramente risentito.

Una volta che entrambi furono saliti in macchina, Rigsby girò le chiavi nel quadrante, apprestandosi ad uscire dal parcheggio del quartiere generale del CBI.

“Perché quando andiamo da qualche parte guidi sempre tu?!” gli chiese ad un tratto Grace, osservandolo con il suo consueto sguardo dolce, ma al contempo accattivante.

“P…perché…perché sì!” si limitò a dire, non trovando una scusa migliore.

perché sì non è una risposta!”

Anche Lisbon non lascia mai guidare Jane…!”

“Sì ma lei è il capo…”

“E tu sei l’ultima arrivata!”  replicò, porgendole il suo familiare sorriso che, in ogni occasione, riusciva a farla sentire al sicuro.

Perché era questo ciò che Van Pelt provava ogni qual volta si trovasse in compagnia di Rigsby, sicurezza,  riparo. Era l’unico in grado di farla sentire protetta in ogni situazione, come se fosse a casa.

Certo, molte volte Rigsby aveva un modo di fare privo di tatto, non usava mezzi termini e, con alcuni sospettati, avrebbe volentieri usato la mano pesante. Ma lui …lui era Rigsby, e l’amava. L’amava come nessun altro sarebbe mai riuscito a fare, e forse era proprio questo a farla soffrire così tanto.

Erano colleghi, per giunta dello stesso team e il regolamento parlava chiaro a riguardo: nessuna relazione amorosa.

E lei…lei era troppo innamorata del suo lavoro per mollare tutto. Già una volta era stata tradita, aveva già sofferto le pene dell’inferno per qualcuno che non meritava il suo affetto e ora…ora non avrebbe rischiato ancora.

Anche se si trattava di Rigsby, l’uomo che il suo cuore aveva deciso di amare fin dal primo giorno.

“Ehi…stavo scherzando…al ritorno guidi tu…” esclamò improvvisamente Wayne, preoccupato dal quel improvviso silenzio calato tra di loro.

“Come?...” chiese stordita Grace, ridestandosi solo in quel momento dall’improvviso afflusso che aveva dominato i suoi pensieri “…oh…ok…grazie!”aggiunse, sorridendo dolcemente “…ma…credi davvero che ci sia qualcosa tra Lisbon e Jane?!” gli chiese improvvisamente, cambiando argomento.

Mh?...certo! insomma…non ne sono sicuro, ma non sarebbe la prima volta che mi salta un’idea simile!”

“Ah no? E quando ti sarebbe venuta questa illuminazione?” gli chiese ironica, contenta di essere riuscita a rompere nuovamente il ghiaccio tra di loro.

…una volta…” cominciò Rigsby, apprestandosi a raccontare quel famoso pomeriggio in cui aveva visto Jane sfiorare il volto del capo. Ma qualcosa dentro di lui continuava a ripetergli di stare zitto; come se in cuor suo già immaginasse la poca credibilità che Van Pelt avrebbe dato a quel suo aneddoto, per lui a dir poco dell’incredibile.

Forse Cho gli avrebbe creduto.

-sì…Cho….come no..- pensò tra se ironico.

“Allora? Che è successo?” lo spronò Grace, curiosa.

“No…niente…lascia stare…”

“…ok!” lo accontentò, divertita “Ad ogni modo…io non credo sia così…”

“Ah no?” esclamò Rigsby, questa volta lui con un tono leggermente incuriosito.

….Jane non ha né il cuore né la mente liberi per…per interessarsi a qualcuno!”

“Lo dipingi quasi come una persona cinica!” la riprese Rigsby, spostando per una frazione di secondo lo sguardo su di lei.

“…non dico sia cinico “ si corresse, spostando a sua volta lo sguardo su Rigsby, nello stesso istante in cui lo fece lui, arrivando così ad incrociare i suoi occhi chiari”…m…ma…è troppo pieno di sete di giustizia per pensare ad altro. L’unica cosa che gli sta a cuore è trovare John il Rosso e vendicare la sua famiglia!”

E penso sia comprensibile!”

“Sì certo…ma la sua è diventata più voglia di vendetta che di reale giustizia. Tutte le volte che una pista ci riconduce a John lui cambia atteggiamento, diventa impetuoso, arrogante e pronto a tutto pur di arrivare a lui…anche a scavalcare Lisbon!”

“Sì ma l’ultima volta ha dimostrato il contrario*…” le fece notare, con un lieve sorriso sulle labbra.

“Già...questo però non cambia le cose!”

“Ehi…non vuoi proprio darmela vinta…!” le disse l’agente dai capelli scuri, leggermente divertito, cercando di alleggerire la conversazione “Certo sarebbe sconvolgente vedere Jane…e….e il capo…forse qualcosa di più di sconvolgente. Ma…”

“No, non c’è nessun ma…” lo interruppe Van Pelt “…non…non tra due colleghi! È…contro le regole...” concluse, sforzandosi di apparire il più sicura e convincente possibile.

Nel sentire quell’ ultima frase, Rigsby non riuscì fare a meno di collegarla con la loro situazione.

Perché anche loro erano due colleghi, come Jane e Lisbon. Anzi, forse la loro situazione era ancora più delicata, vista la voglia di Van Pelt di raggiungere i suoi obbiettivi professionali.

In fin dei conti, Lisbon era già a capo di una squadra e Jane...Jane non sembrava di certo il tipo che si sarebbe fermato davanti ad una piccolezza come un regolamento.

E che dire, lui era Rigsby, un uomo così innamorato da fare qualsiasi cosa pur di rendere felice la persona che amava; anche a sottostare ad uno sciocco regolamento , fingendo di non provare nulla.

“Ehm…” si schiarì la voce Wayne dopo una decina di minuti in cui era calato il silenzio “…intanto…ho scommesso trenta dollari con Cho!” le confessò, riuscendo così a strapparle l’ennesimo sorriso.

Un sorriso che rese ancora più amara l’idea di non poterle stare accanto.

 

 

 

 

 

 

 

 

* riferimento all’espisodio 1x23

 

 

 

 

Scusate…mi asciugo le lacrimuccie.  T_T …(seeeeee……esagerata XD)

A me Rigsby fa troppa tenerezza; ogni volta che guarda Van Pelt è così…così…così innamorato!!!!!! Povero. Basta ho deciso,  faccio il tifo per lui…nella speranza che Van Petl si dia una svegliata.

Però…adesso che ci penso. Devo avere le idee parecchio confuse. Vabbè Jane e Lisbon sono Jane e Lisbon e rimarranno sempre e comunque i miei preferiti^^. Poi…ho ammesso di provare una simpatia per Cho (mitico Cho con il suo sguardo serio e i suoi interrogatori da film poliziesco XD ), adesso dico che faccio il tifo per Rigsby perché povero è cotto di Van Pelt. Insomma….mi piacciono tutti i personaggi di questo telefilm?! Ahahahahaha XD

Quindi care colleghe qua bisogna prendere in mano la situazione e fare i fan club di Jisbon e RigsPelt!!! XDXD

Ok dopo questo breve sprazzo di follia passiamo alle cose….serie XD!

Prima di tutto voglio dedicare questo capitolo a hikary e evelyn  (ribattezzate ormai le “colleghe”XD) che sono sempre pronte a recensire la mia ff e a darmi preziosi consigli. Siete unicheeeee….non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza tesore!

Infatti è grazie a loro se finalmente abbiamo la sezione di The Mentalist.

A questo proposito…..trrrrrrrrr….rullo di tamburi…….ecco lo spazio dedicato alla pubblicità occulta XD ahah

Se siete passate per questa sezione non potete fare a meno di leggere due fantastiche ff scritte dalle due autrici citate qui sopra: Bloody Red Classes di hijary e Quando tutto cambia... di evelyn. Mi raccomando!!!! XD

 

Bene…ed ora passiamo alle recensioni ^^

 

Evelyn….che dire, parole sante XD Teresa è la più tosta del telefilm. Certo Van Pelt ispira molta dolcezza, ma secondo me è proprio per quel suo modo di fare sicuro che Teresa nasconde una grande fragilità. A parte che anche Grace deve nascondere qualcosa...mmmmm…il mio sesto senso dice di stare allerta!!XD

Grazie mille per l’incoraggiamento….sei troppo gentileeeeee!!!!! E cmq hai visto le foto della seconda serie? Sbaglio o Rigsby è dimagrito?? (guarda te di che cosa mi accorgo…ahahahah)

 

Hikari…mi sa che hai ragione, se vado avanti così Lisbon non mi arriva all’ultimo capitolo…soprattutto dopo quello che le è successo qui XD Povera, forse esagero con lei...hihihihihi!

Cmq laurea in " disturbologia???? ahahahah quando l’ho letto sono morta dal ridere!!! Sono contenta che Rigby abbia riscosso successo…avevo paura di non riuscire a riportarlo bene. Spero di esserci riuscita anche qui!!!^^

Anch’io adoro le espressioni che fa Lisbon…sono troppo….troppo…..belleeeeeee!!!! non c’è niente da fare lei è una grande!!!XD

 

ragazze, non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate di questo capitolo….

Qui mi sono soffermata di più sui rapporti tra i personaggi (Lisbon e Jane – Rigsby e Van Pelt), nel prossimo qualche indizio in più sul caso.

Che altro aggiungere, la pubblicità occulta l’ho fatta…quindi…XDXD Un bacioneeeeeeeeeeeee

 

 

A tutti i lettori….alla prossima puntata!!!!!

 

 

A presto….

 

T.L.

 

  
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