CAPITOLO 3
Sistemandosi distrattamente la maglietta, di un verde leggermente più
scuro rispetto alle iridi dei suoi occhi , Teresa si
diresse verso la sala centrale dell’ufficio coordinato da Minelli,
sperando di trovare lì Patrick Jane, intento probabilmente a lavorare su una
pista totalmente diversa da quella seguita dal resto della squadra.
Non dovettero trascorrere molti istanti in più prima che la minuta donna
dai capelli scuri individuasse il consulente della squadra, steso come al solito sul suo inconfondibile divano marrone. Anche se “suo” non era decisamente
l’aggettivo più esatto.
“Jane…forza dobbiamo andare…” esclamò Lisbon, fermandosi alla scrivania
di Rigsby, alla ricerca delle chiavi della sua auto, come se avessero potuto
realmente trovarsi sulla scrivania di uno dei suoi collaboratori.
- Dove diavolo le ho messe…- pensò, leggermente seccata,
dimenticandosi quasi per un secondo di non aver ricevuto nessuna risposta da
parte dell’uomo a pochi metri da lei.
Già il fatto di essersi addormentata durante l’orario di lavoro la
innervosiva non poco, in fin dei conti lei non era mai stata
quel genere di persona; se in più ci si aggiungeva un ritardo dal coroner la giornata sarebbe stata totalmente da
dimenticare.
In tanti anni di apprendistato e servizio in
piena regola, non aveva mai avuto simili comportamenti; non aveva neppure mai utilizzato
una scusa per giustificare una sua possibile mancanza, nemmeno il giorno del
Ringraziamento. Naturalmente il modo in cui trascorreva quella festività era un
dettaglio del tutto trascurabile. Dopotutto l’ultima volta non aveva potuto
accettare l’invito di suo fratello perché stava seguendo un caso importante e
non per rimpinzarsi di gelato davanti a vecchi film, come invece le aveva fatto notare Jane.
Già…suo fratello. Chissà se era a conoscenza delle ultime novità avvenute
sul fronte, come dire…personale; novità che, del resto, avevano ben poco di
piacevole vista la loro capacità a tenere sveglia persino lei, il capo di una
delle migliori squadre del CBI, con irritanti conseguenze dal punto di vista
lavorativo.
Ad ogni modo, brutte notizie a parte, questi suoi “intoppi”, se così li si voleva chiamare, non rispecchiavano affatto il suo
consueto ideale di comportamento. Non era da lei arrivare tardi al lavoro, indossare
la maglietta sporca del giorno prima, addormentarsi sulla scrivania e, per concludere, perdere le chiavi dell’auto. Quelle erano cose
che avrebbero potuto fare i suoi colleghi, non lei.
Lei era il capo e il capo non poteva permettersi
di sbagliare. Nemmeno una volta. Altrimenti…altrimenti nessuno avrebbe più
potuto fare affidamento su di lei.
Ed eccolo lì, uno dei tanti ricordi soffocati nei
meandri della sua mente. Uno di
quei ricordi che avrebbe volentieri dimenticato, cancellato completamente dalla
sua memoria con un solo gesto della mano, ma che ormai faceva inevitabilmente
parte del suo essere.
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non dover rivivere uno di quei
momenti, come stava capitando proprio in quel momento…
“Papà…mi…mi dispiace…non
capiterà più…” esclamò un’innocente voce di si e no
dieci anni, il cui volto magro, circondato da dei lunghi capelli scuri,
appariva eccessivamente maturo e preoccupato per una bambina della sua età.
Lui, così assente e
disinteressato, se ne stava seduto sulla poltrona in salotto, intento a bere
l’ennesima bottiglia di birra della giornata.
“..papà…”
lo richiamò la piccola, avvicinandosi di un solo piccolo passo, con fare incerto e insicuro.
Ancora silenzio e
immobilità; un’immobilità interrotta solo dal movimento altalenante della
bottiglia verde, che saliva e scendeva a ritmi regolari, indicando chiaramente lo stato semi-vigile dell’uomo.
La bambina, troppo
mingherlina per essere del tutto in salute, rimase in
silenzio, consapevole del fatto che un errore come il suo avrebbe sicuramente
arrecato altri dispiaceri a suo padre, che in quanto a dolori ne conosceva fin
troppi.
Aveva sbagliato, aveva sbagliato come solo una sciocca bambina della sua età sapeva
fare, e ora chi se ne doveva preoccupare era lui.
Avrebbe bevuto ancora?
Avrebbe pianto come ormai faceva da quasi un anno?
Perché sera stata così stupida,
perché non aveva fatto attenzione? Lui si era fidato di lei, ed era questo il
modo di ripagarlo?
Ripetendosi continuamente
quelle domande nella mente, la piccola non emise neppure un fiato, contorcendosi
le mani sudate, mentre i profondi occhi spaventati non si spostavano di un solo
centimetro dalla poltrona di fronte a lei.
“papà…”
Nessuna risposta, ma solo
l’assordante infrangersi della bottiglia di birra, il cui vetro scuro
rifletteva gli splendidi occhi chiari della bambina; una bambina
dal volto troppo spaventato e tirato per avere solo nove anni.
Lo sguardo fisso su un foglio davanti a lei e la
mente così lontana dal presente da essere quasi inarrivabile.
Da quanto non ripensava a quel giorno, o meglio da
quanto non ripensava a lui, a quei giorni così lontani e…tristi.
Già, era da un po’ che non tornava indietro nel tempo, e così avrebbe continuato a fare. Non aveva nessuna
intenzione di ricadere nuovamente nel passato; un passato in grado di
soffocarla, senza lasciarle un solo alito d’aria fresca.
“Jane…” lo richiamò nuovamente, con un tono leggermente più stanco rispetto a qualche istante prima. Ma
ancora niente, il silenzio assoluto.
Non ricevendo ancora alcuna risposta, Teresa alzò velocemente la testa
dalla scrivania di Cho, lasciando che alcuni ciuffi mossi dei capelli castani
le finissero davanti al volto, conferendole un’espressione più spontanea.
“Ehi Jane, mi hai sentito?!”
Immobile. La testa di Jane non sembrava volersi sollevare di un solo
centimetro, lasciando che solamente il torace si sollevasse e abbassasse a
ritmo cadenzato.
-Ma
sta….dormendo…- si disse, leggermente sorpresa.
Lentamente, Lisbon si avvicinò al divano, rimandando a più tardi il
ritrovamento delle chiavi.
Da quando avevano cominciato a lavorare insieme, non le era mai capitato
di vedere Jane dormire, o meglio di vederlo dormire così
profondamente. Ogni volta che si sdraiava da qualche parte non
si lasciava mai andare completamente, al contrario sembrava rimanere ogni volta
in una sorta di dormiveglia che, in un certo senso, riusciva a tenerlo costantemente
legato al mondo esterno.
Era come se non volesse mai lasciarsi andare, mai lasciarsi
prendere di sorpresa da nessuno, neppure dal mondo stesso; non dopo l’ultimo
scherzo che gli era stato giocato.
Già, ma ora era lì, con gli occhi chiusi, una mano appoggiata al petto e
l’altra abbandonata lungo i fianchi, e un’espressione indimenticabile dipinta
su quel suo volto a dir poco affascinante.
Quasi senza rendersene conto, Teresa rimase lì, ferma, ad un solo passo
da quel divano ormai così impregnato del profumo di Patrick.
Un profumo simile a quello del pino e del muschio, così naturale e
spontaneo che solo un uomo dal sorriso solare e contagioso come il suo poteva avere.
Non seppe spiegarsi il motivo, ma posando lo sguardo sui chiari capelli
biondi di Jane, Teresa si ritrovò a pensare a ciò che era successo due sere
prima, poco prima di staccare dal lavoro. Era seduta davanti alla sua scrivania
e, mentre revisionava delle testimonianze di un caso,
non riuscì a fare a meno di ascoltare uno strano discorso che il suo team aveva
intavolato con Jane. Mentre li sentiva parlare e ridere capì
subito che si trattava di una conversazione pilotata dalla singolare mente del
consulente, che spesso si divertiva a prendersi gioco del prossimo, in
particolar modo dei suoi colleghi. Quella sera, aveva chiesto ad ognuno
di loro con quale stagione dell’anno si sarebbero reciprocamente rappresentati.
Nonostante avesse teso più volte le orecchie per
ascoltare, Teresa non era riuscita a sentire le risposte che avevano dato e,
senza una ragione in particolare, aveva deciso di non raggiungerli; forse per
paura di essere rappresentata come il freddo inverno. Ma, proprio una decina di
minuti dopo, mentre stava per dirigersi verso la porta del suo ufficio, fece la
sua comparsa Jane che con il suo sorriso era venuto a
salutarla. Prima di uscire l’aveva guardata negli occhi, sorridendo, e
spiazzandola in un modo che solamente lui sapeva fare le aveva detto : “…direi…autunno”.
Dopo quella strana esclamazione, Jane era uscito lasciandola lì, con le
mani indaffarate a sistemare il colletto della camicia sopra la giacca.
Non aveva saputo rispondergli, sia perché non gliene aveva dato il tempo,
sia perché era riuscito, ancora una volta, a lasciarla senza fiato. Chissà perché la identificava come l’autunno. L’autunno le
piaceva, era una bella stagione, ne calda ne fredda,
temperata al punto giusto. E in più c’erano le fragole
e lei impazziva per le fragole.
Ma leggere nei
pensieri di Jane era una cosa pressoché impossibile, e questo lo aveva capito a
spese sue e, alle volte, dell’intera squadra.
Ed ora se ne
stava lì, steso sul divano, del tutto inerme al mondo esterno.
Non sapeva spiegarsi il motivo, ma anche il solo guardarlo in quel modo
la faceva sentire così….così…così colpevole. Come se stesse
trasgredendo ad una delle infinite regole che un ottimo agente avrebbe dovuto
rispettare. Ma, in fin dei conti, lei non stava
trasgredendo proprio a nulla; se ne stava solamente in piedi, con gli occhi
fissi in un punto preciso della stanza.
Lo stava solo guardando e pensando a quanto quel sorriso e il colore dei
suoi occhi e dei suoi capelli le ricordassero
l’estate. Perché, senza bisogno di ripensarci, sarebbe
stata quella la risposta che avrebbe dato: l’estate.
Lisbon fece un ulteriore passo avanti,
allungando lentamente l’indice della mano destra verso Jane. Nella sala non
c’era nessuno, solamente loro due e il suono del traffico proveniente dalle
strade di Sacramento.
Gli avrebbe solamente sfiorato la spalla per svegliarlo; o forse la
fronte…o magari il volto.
Si avvicinò ancora, con gli occhi chiari visibilmente emozionati, e la
mano tremante che ad ogni secondo diminuiva sempre più la distanza dalla pelle
rosea del consulente.
Pochi centimetri, pochi attimi e….
Bi bi bibipp bibibip…Bi bi bibipp bibibip
Improvvisamente l’arrivo di un messaggio sul cellulare di Lisbon fece
crollare inesorabilmente la situazione. Presa dallo spavento, la mora si
allontanò di scatto dal divano, vedendo del tutto vani
i suoi tentativi di salvare il cellulare che, presa dall’agitazione, fece
cadere ad un paio di metri di distanza.
“Merda…” si lasciò sfuggire Lisbon, cercando di
recuperare il telefonino finito sotto la scrivania di Van Pelt.
Chi diavolo aveva potuto cercarla in un momento simile? In tanti istanti
che formavano un’intera giornata perché proprio ora?
- Rigsby…- lesse mestamente il nome del mittente, non riuscendo a
controllare l’irrefrenabile sensazione di sbattere l’agente in una prigione del
Nebrasca.
Agevolata dalla sua corporatura sottile, Lisbon uscì velocemente da sotto
la scrivania, alzando riluttante lo sguardo. Avrebbe voluto
rimanere con gli occhi puntati sul pavimento per il resto della giornata; tutto
pur di non incrociare lo sguardo di Jane.
Ciò che vide, infatti, una volta posati gli occhi sul biondo la fece
subito pentire di essere anche solo uscita da quella
scrivania.
“Ciao…” disse quella voce così assurdamente familiare e divertita.
A quello che sembrava un semplice saluto di cortesia, la saliva della
donna, nello scendere lungo l’esofago, sembrò emettere uno strano rumore, come
se il deglutire fosse una delle cose più difficili da fare.
“…io…stavo cercando…il cellulare!” cercò di
mentire Teresa, sperando con tutto il cuore che il suo sguardo non la tradisse.
“Oh immaginavo fosse per quello…anche se la
scena di te inginocchiata sotto la scrivania di Van Pelt penso sarà
indimenticabile!” la derise, sempre più divertito.
“Divertente!...su andiamo non è il momento di
dormire adesso!”
“Oh ma io mica stavo dormendo!”
“Sì certo…come no!” gli rispose Teresa, porgendogli uno dei suoi sorrisi
sarcastici “…stavi solo beatamente riposando gli
occhi!”
“perché…sei rimasta a guardarmi?” la sfidò,
guardandola dritta negli occhi.
“no…affatto!” cercò di difendersi, sorridendo con imbarazzo.
“…ma io ero sveglio…sul serio” continuò Jane, i cui occhi esprimevano
totalmente il divertimento prodotto da quella scena irripetibile
“…mi sono svegliato appena sei entrata”
“Avanti Jane…non serve che ti giustifichi….ti sei addormentato. È umano
farlo. Di certo questo non intaccherà la tua immagine di uomo
misterioso! Prometto che non ne farò parola con nessuno!” lo
derise, avvicinandosi nuovamente alla scrivania di Cho per proseguire con la
ricerca delle chiavi, sperando in cuor suo che anche Jane facesse cadere il
discorso.
Ma, ahimé, l’intento di Patrick non era decisamente
lo stesso.
Mentre già si pregustava lo sguardo che Lisbon avrebbe avuto dipinto in
faccia da lì a qualche minuto, Patrick cominciò a sistemarsi la camicia dentro ai pantaloni, cercando di non far intravedere le pieghe sul
gilet, causate dal divano,.
“Ero sveglio…da prima che suonasse il
cellulare…”
“Ok…” lo accontentò divertita
“…ti credo!”
Patrick sorrise, spostando lo sguardo su di lei, aspettando qualche secondo prima di utilizzare il suo consueto asso nella
manica.
“…appena sei entrata” cominciò, avvicinandosi di un passo
mentre abbottonava le maniche della camicia “…sei andata verso la
scrivania di Rigsby per cercare le chiavi della macchina che hai perso…e mi hai
detto – Jane forza dobbiamo andare-
!” le espose, muovendo sinuosamente le
braccia, come rientrava nel suo stile, aspettando di assistere all’espressione
di Lisbon.
Espressione che non tardò ad arrivare visto lo stupore e la vergogna
dipinti improvvisamente sul suo voto.
Non c’era che dire, Jane adorava il modo in cui i suoi occhi e la sua bocca si adattavano al suo stato d’animo. Certo, tutti avevamo delle espressioni facciali che ci caratterizzavano, sia
nel bene che nel male; ma Lisbon…Lisbon era unica. Ogni suo sentimento ed
emozione trasparivano perfettamente da quel volto minuto; sia che fosse arrabbiata, o felice o stupita, lei riusciva
sempre a trasmettere i suoi pensieri a chi le stava davanti: storcendo la
bocca, alzando le sopracciglia o, ancora, lasciando che quella sua ruga ai lati
della bocca si allargasse insieme al suo sorriso.
Tutte quelle espressioni erano semplicemente indimenticabili; così….così
da Teresa Lisbon.
Dal canto suo, la detective non sembrava pensarla allo stesso modo.
L’improvviso arrossamento del suo volto sembrava essere un chiaro segnale
di ciò che stava desiderando in quel momento: sparire da quella
stanza, o meglio sparire dagli Stati Uniti d’America.
Lui era sveglio. Mentre lei lo guardava, mentre
si avvicinava, mentre cercava di sfiorargli il volto con le dita, in tutti quei
momenti lui era sveglio.
Era così spietatamente, crudelmente, inevitabilmente - …imbarazzante –
pensò Teresa mentre, contro la sua stessa forza di
volontà, lo guardava dritto negli occhi.
“Io…io non ti stavo guardando!” si giustificò frettolosamente,
dimenticando per un momento il motivo per cui si
trovava di fronte alla scrivania di Cho.
Patrick si avvicinò di qualche passo alla donna, sapendo bene che anche
quel semplice gesto avrebbe aumentato la sua agitazione.
“Lisbon…te l’ho già detto una volta…” esclamò, con tono affascinante “…è il fatto che tu lo neghi che mi intriga” aggiunse,
dirigendosi verso l’uscita della sala, sventolando un mezzo di chiavi di una Citroen DS21; auto che non assomigliava nemmeno
lontanamente a quella di Lisbon.
“Forza…abbiamo un cadavere che ci aspetta” disse Jane, con tono quasi teatrale,
lasciando alla collega il tempo di accantonare l’ultima imbarazzante scena, per
fare posto all’idea di lei dentro la sua amata Citroen
grigia.
******
Subito dopo essersene andata dall’ufficio adibito a “sala mensa”, Van
Pelt era corsa verso l’uscita, dimenticando persino di prendere la giacca accuratamente
disposta sopra la sedia della sua scrivania.
Se solo Rigsby non si fosse dileguato in quel modo insieme a Cho, ora non
starebbe sbattendo contro trequarti dei suoi colleghi del CBI, i quali non
tardarono a lanciarle sguardi
di ogni tipo, sia divertiti che innervositi.
“Ehi Rigsby…” urlò la rossa, vedendolo in lontananza
mentre estraeva le chiavi dell’auto dalla tasca.
Nel sentire la voce della collega, il cuore dell’agente sembrò mancare di
un battito, rendendogli quasi più difficile la respirazione.
Ogni volta gli capitasse di provare una simile sensazione, l’ex agente
anti-piromani non riusciva a fare a meno di chiedersi perché un
disgrazia del genere fosse capitata proprio a lui. Perché
era arrivato ad innamorarsi proprio di una sua collega di lavoro? Avrebbe
potuto accettare l’idea di prendere una sbandata per chiunque, persino per un
agente del CBI di un’altra squadra, ma non di lei, non
di Grace Van Pelt, una sua diretta collega.
All’inizio, quando ormai aveva capito di amarla da impazzire, aveva
cominciato a sperare che nessuno ne venisse a conoscenza,
in particolar modo Cho; ma nel giro di si e no un paio di mesi tutto il
dipartimento già ne parlava, scherzandoci pure su. Non ci avrebbe messo la mano
sul fuoco se una mattina, incontrando il Procuratore, questi si fosse messo a dispensare consigli su come conquistare una
donna.
Ah già, quella parte ce l’aveva già qualcuno:
Patrick Jane.
Jane, l’uomo dai mille consigli che riusciva a far innamorare di se tutta
“Quanta fretta…” gli disse Van Pelt, una volta arrivata a pochi passi da
lui.
“Nessuna fretta..” si
giustificò Rigsby, aprendo lo sportello dell’auto, sorridendo alla donna.
Se gli avesse detto che se l’era data a gambe
per il solo fatto di aver visto la faccia di Lisbon, la sua mascolinità ne
avrebbe sicuramente risentito.
Una volta che entrambi furono saliti in
macchina, Rigsby girò le chiavi nel quadrante, apprestandosi ad uscire dal
parcheggio del quartiere generale del CBI.
“Perché quando andiamo da qualche parte guidi sempre tu?!”
gli chiese ad un tratto Grace, osservandolo con il suo consueto sguardo dolce,
ma al contempo accattivante.
“P…perché…perché sì!” si limitò a dire, non trovando una scusa migliore.
“perché sì non è una risposta!”
“Anche Lisbon non lascia mai guidare Jane…!”
“Sì ma lei è il capo…”
“E tu sei l’ultima arrivata!” replicò, porgendole il suo familiare
sorriso che, in ogni occasione, riusciva a farla sentire al sicuro.
Perché era questo ciò che Van Pelt provava ogni qual volta si trovasse in
compagnia di Rigsby, sicurezza, riparo. Era l’unico in grado di farla
sentire protetta in ogni situazione, come se fosse a casa.
Certo, molte volte Rigsby aveva un modo di fare privo di tatto, non usava mezzi termini e,
con alcuni sospettati, avrebbe volentieri usato la mano pesante. Ma lui …lui era Rigsby, e l’amava. L’amava come nessun altro
sarebbe mai riuscito a fare, e forse era proprio questo a farla soffrire così tanto.
Erano colleghi, per giunta dello stesso team e
il regolamento parlava chiaro a riguardo: nessuna relazione amorosa.
E lei…lei era
troppo innamorata del suo lavoro per mollare tutto. Già una volta era stata
tradita, aveva già sofferto le pene dell’inferno per qualcuno che non meritava
il suo affetto e ora…ora non avrebbe rischiato ancora.
Anche se si trattava
di Rigsby, l’uomo che il suo cuore aveva deciso di amare fin dal primo giorno.
“Ehi…stavo scherzando…al ritorno guidi tu…” esclamò improvvisamente Wayne, preoccupato dal quel improvviso
silenzio calato tra di loro.
“Come?...” chiese
stordita Grace, ridestandosi solo in quel momento dall’improvviso afflusso che
aveva dominato i suoi pensieri “…oh…ok…grazie!”aggiunse,
sorridendo dolcemente “…ma…credi davvero che ci sia qualcosa tra Lisbon e Jane?!”
gli chiese improvvisamente, cambiando argomento.
“Mh?...certo! insomma…non ne sono sicuro, ma non sarebbe la prima volta
che mi salta un’idea simile!”
“Ah no? E quando ti sarebbe venuta questa
illuminazione?” gli chiese ironica, contenta di essere riuscita a rompere
nuovamente il ghiaccio tra di loro.
“Bè…una volta…” cominciò Rigsby, apprestandosi
a raccontare quel famoso pomeriggio in cui aveva visto Jane sfiorare il volto
del capo. Ma qualcosa dentro di lui continuava a ripetergli di stare zitto; come
se in cuor suo già immaginasse la poca credibilità che
Van Pelt avrebbe dato a quel suo aneddoto, per lui a dir poco dell’incredibile.
Forse Cho gli avrebbe creduto.
-sì…Cho….come no..- pensò tra se ironico.
“Allora? Che è successo?” lo spronò Grace, curiosa.
“No…niente…lascia stare…”
“…ok!” lo accontentò,
divertita “Ad ogni modo…io non credo sia così…”
“Ah no?” esclamò Rigsby, questa volta lui con un
tono leggermente incuriosito.
“Bè….Jane non ha né il cuore né la mente liberi
per…per interessarsi a qualcuno!”
“Lo dipingi quasi come una persona cinica!” la riprese Rigsby, spostando
per una frazione di secondo lo sguardo su di lei.
“…non dico sia cinico “ si corresse, spostando a sua volta lo sguardo su
Rigsby, nello stesso istante in cui lo fece lui, arrivando così ad incrociare i
suoi occhi chiari”…m…ma…è troppo pieno di sete di
giustizia per pensare ad altro. L’unica cosa che gli sta a
cuore è trovare John il Rosso e vendicare la sua
famiglia!”
“E penso sia comprensibile!”
“Sì certo…ma la sua è diventata più voglia di vendetta che di reale
giustizia. Tutte le volte che una pista ci riconduce a John
lui cambia atteggiamento, diventa impetuoso, arrogante e pronto a tutto pur di
arrivare a lui…anche a scavalcare Lisbon!”
“Sì ma l’ultima volta ha dimostrato il contrario*…” le fece
notare, con un lieve sorriso sulle labbra.
“Già...questo però non cambia le cose!”
“Ehi…non vuoi proprio darmela vinta…!” le disse l’agente
dai capelli scuri, leggermente divertito, cercando di alleggerire la
conversazione “Certo sarebbe sconvolgente vedere Jane…e….e il capo…forse
qualcosa di più di sconvolgente. Ma…”
“No, non c’è nessun ma…” lo interruppe Van Pelt “…non…non
tra due colleghi! È…contro le regole...” concluse,
sforzandosi di apparire il più sicura e convincente possibile.
Nel sentire quell’ ultima frase, Rigsby non riuscì fare a meno di collegarla
con la loro situazione.
Perché anche loro erano due colleghi, come Jane e
Lisbon. Anzi, forse la loro situazione era ancora
più delicata, vista la voglia di Van Pelt di raggiungere i suoi obbiettivi
professionali.
In fin dei conti, Lisbon era già a capo di una squadra e Jane...Jane non sembrava di certo il tipo che si sarebbe fermato
davanti ad una piccolezza come un regolamento.
E che dire, lui era Rigsby, un uomo così innamorato da fare qualsiasi
cosa pur di rendere felice la persona che amava; anche a sottostare ad uno
sciocco regolamento , fingendo di non provare nulla.
“Ehm…” si schiarì la voce Wayne dopo una decina
di minuti in cui era calato il silenzio “…intanto…ho scommesso trenta dollari
con Cho!” le confessò, riuscendo così a strapparle l’ennesimo sorriso.
Un sorriso che rese ancora più amara l’idea di non poterle stare accanto.
* riferimento all’espisodio 1x23
Scusate…mi asciugo le lacrimuccie. T_T …(seeeeee……esagerata XD)
A me Rigsby fa troppa
tenerezza; ogni volta che guarda Van Pelt è così…così…così innamorato!!!!!! Povero. Basta ho deciso, faccio il tifo per lui…nella speranza che Van
Petl si dia una svegliata.
Però…adesso che ci penso. Devo avere le idee
parecchio confuse. Vabbè Jane e Lisbon sono Jane e
Lisbon e rimarranno sempre e comunque i miei
preferiti^^. Poi…ho ammesso di provare una simpatia per Cho (mitico Cho con il
suo sguardo serio e i suoi interrogatori da film poliziesco XD ), adesso dico che faccio il tifo per Rigsby perché povero è cotto di
Van Pelt. Insomma….mi piacciono tutti i personaggi di questo telefilm?! Ahahahahaha XD
Quindi care colleghe
qua bisogna prendere in mano la situazione e fare i fan club di Jisbon e RigsPelt!!! XDXD
Ok dopo questo breve
sprazzo di follia passiamo alle cose….serie XD!
Prima di tutto voglio dedicare questo capitolo
a hikary e evelyn (ribattezzate
ormai le “colleghe”XD) che sono sempre pronte a recensire la mia ff e a darmi preziosi consigli. Siete unicheeeee….non
riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza tesore!
Infatti è grazie a loro se finalmente
abbiamo la sezione di The Mentalist.
A questo proposito…..trrrrrrrrr….rullo di tamburi…….ecco lo spazio dedicato alla pubblicità occulta XD ahah
Se siete passate per questa sezione
non potete fare a meno di leggere due fantastiche ff
scritte dalle due autrici citate qui sopra: Bloody Red Classes
di hijary e Quando tutto cambia... di evelyn. Mi
raccomando!!!! XD
Bene…ed ora passiamo
alle recensioni ^^
Evelyn….che dire, parole sante XD Teresa è la più tosta del telefilm. Certo Van Pelt ispira molta dolcezza, ma secondo me è proprio per quel suo modo di fare
sicuro che Teresa nasconde una grande fragilità. A parte che anche Grace deve
nascondere qualcosa...mmmmm…il mio sesto
senso dice di stare allerta!!XD
Grazie mille per l’incoraggiamento….sei troppo gentileeeeee!!!!! E cmq hai visto le foto della
seconda serie? Sbaglio o Rigsby è dimagrito?? (guarda te di che cosa mi accorgo…ahahahah)
Hikari…mi sa che hai ragione, se vado avanti così
Lisbon non mi arriva all’ultimo capitolo…soprattutto dopo quello
che le è successo qui XD Povera, forse esagero con lei...hihihihihi!
Cmq… laurea in " disturbologia”???? ahahahah
quando l’ho letto sono morta dal ridere!!! Sono contenta che Rigby abbia riscosso successo…avevo paura di non riuscire a
riportarlo bene. Spero di esserci riuscita anche qui!!!^^
Anch’io adoro le espressioni che fa Lisbon…sono troppo….troppo…..belleeeeeee!!!!
non c’è niente da fare lei è una grande!!!XD
Bè ragazze,
non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate di questo
capitolo….
Qui mi sono soffermata di più sui
rapporti tra i personaggi (Lisbon e Jane – Rigsby e Van Pelt), nel prossimo
qualche indizio in più sul caso.
Che altro aggiungere, la pubblicità
occulta l’ho fatta…quindi…XDXD Un bacioneeeeeeeeeeeee
A tutti i lettori….alla prossima
puntata!!!!!
A presto….
T.L.