Issun alzò la testa al cielo, assaporando il vento fresco
che faceva frusciare il suo verde mantello.
Sospirò, abbassando di nuovo lo sguardo sulla tela mezza
dipinta per impugnare il suo pennello, intingendolo nell’inchiostro rosso, e
ricominciare a dipingere.
Con tratto preciso disegnò i segni della dea conosciuta.
L’ennesimo dipinto di
Amaterasu. La sua capanna ne era ormai piena e, nonostante stesse provando con
tutto sé stesso, non era mai soddisfatto del risultato.
Non erano neanche lontanamente splendenti come il soggetto
originale.. Probabilmente, l’unica pittura che più si avvicinava all’essenza
della lupa bianca era quella di Ishaku, suo nonno.
Ma adesso il Celestial Envoy era lui, ed era suo compito
garantire che la gente credesse agli dei tramite le sue pitture.
Ed aveva fatto una promessa ad Amaterasu.. Che avrebbe avuto
più credenti di quanti ne avesse mai immaginato. Lui sapeva che lei lo guardava
e si compiaceva dei suoi sforzi; ogni volta che alzava lo sguardo al sole, gli
sfuggiva un flebile sorriso che lo faceva sembrare più allegro del solito.
Erano passati dieci anni, e lui ancora non aveva
dimenticato. Né la sua promessa, né tutto quello che avevano passato insieme.
Ringhiando un’imprecazione, rovesciò la boccetta di inchiostro
sulla tela sbattendoci il pennello sopra, frustrato. Possibile che non
riuscisse mai a raggiungere un livello che lo soddisfacesse? Diamine, era il
settimo Celestial Envoy, e cavolo se sapeva dipingere!
Eppure.. C’era qualcosa che non lo convinceva.
“Uff. Se solo non fosse stata una lupa, non ci sarebbe stato
tutto quel pelo da dipingere e sarebbe stato più facile,” borbottò in maniera
idiota strappando quello che restava del dipinto.
.. Poi un’idea geniale lo fulminò.
Rientrò in casa in maniera fulminea, afferrando in fretta un
paio di pergamene vuote e un carboncino. Uscito, si sedette per terra a gambe incrociate iniziando a
schizzare una sagoma umana.
Aveva schizzato su pergamena per poi trasferire il tutto
direttamente su tela, sicurissimo di quello che stava facendo. Era un dipinto a grandezza naturale, alto quanto lui.
Tirò su col naso, soddisfatto. Dinanzi a lui c’era il primo
ed unico dipinto della dea del sole versione uman..
Beh, Poncle.
Dalla tela una ragazza dai lunghi capelli d’argento, con
coda ed orecchie di lupo e brillanti occhi azzurri gli sorrideva. Dietro di lei
s’intravedevano le scintille rosse, blu ed oro del Solar Flare.
Con un sorriso a trentadue denti, Issun ripose il pennello
per poi afferrare l’opera dai due lati per trasportarla nella sua
capanna. Ma, non appena l’ebbe presa, questa iniziò a
scottare e la
luce del sole lo accecò.
Il poncle la lasciò andare terrorizzato, soffiandosi sulle dita
bollenti. Quando rialzò lo sguardo, maledicendo l’aver lasciato troppo al sole
la tela, quello che vide lo fece rimanere a bocca aperta.
Proprio di fronte a lui c’era una copia esatta, in carne ed
ossa, del dipinto. Era stesa a terra, raggomitolata, e sembrava addormentata.
Issun rimase a fissarla per dieci secondi buoni, prima di
sbattere perplesso le palpebre e spostare lo sguardo sul suo lavoro di
pennello.
La tela era vuota.
Fece un passo indietro, non credendo ai propri occhi, quando
la ragazza si stiracchiò con un lungo sbadiglio.
Le orecchie da lupo tremarono appena mentre Amaterasu
apriva gli occhi e si guardava intorno con curiosità.