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Autore: giny81    04/10/2009    6 recensioni
Harry e la morte di Remus: un momento per ritrovarlo dentro sè, e capire chi sia stato davvero..per farsi salvare da lui ancora una volta, perchè in fondo i Dissennatori non sono solo personaggi della fantasia. E tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a scacciarli..
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Harry si trovava finalmente nel posto in cui aveva desiderato trovarsi. Nel suo letto, solo. Quel fragore nelle sue orecchie, le mani che stringevano le sue, gli occhi grati che cercavano i suoi, avrebbero reso fiero chiunque, ma non lui. Lui non aveva potuto gioirne davvero, e aveva solo sperato di sfuggirli. La vanità non era mai stata tra i peccati a cui Harry indulgeva. Aveva mangiato il sandwich che Kreacker gli aveva portato dietro sua gentilissima richiesta. Aveva provato a mangiarlo. In realtà lo aveva abbandonato dopo due morsi svogliati. Il suo stomaco aveva iniziato a contrarsi, rifiutava il cibo. Si era steso, il corpo indolenzito, la mente stanca, affollata a tratti, a tratti vuota. Voleva solo dormire, dormire. Ritrovare, magari, quella sensazione di quiete che aveva assaporato a King’s Cross, se mai quella era sul serio King’s Cross, al fianco di Dumbledore. Aveva bisogno di mezz’ora di tregua, dopo essere morto, risorto, dopo aver vinto. Ma non era il tempo della tregua, se ne accorse presto. Fissava le tende del suo letto, sfocate di fronte ai suoi occhi, così infiniti e fragili, se deprivati dello schermo degli occhiali. Aveva vinto. Avrebbe dovuto sentirsi liberato, leggero, euforico. La parola fine era stata apposta al termine dell’orrore. Si sentiva, tuttavia, come si era sentito mesi prima, di fronte all’impresa ancora da compiere. Sconfitto comunque. Allora lo sapeva già. Sapeva che se anche avesse ottenuto la caduta di Riddle, restava molto da perdere comunque. Sentiva che avrebbe pagato il prezzo, come sempre. Si girò a pancia sotto, forse affondare lo sguardo nel cuscino lo avrebbe fatto dormire, alla fine. Harry non se ne rendeva conto, ma serrava i pugni. Non sapeva spiegare a se stesso il motivo, ma aveva avuto un’idea molto chiara, fin dalla morte di Albus, di quale sarebbe stato il tributo la volta successiva. Si rigirò nel letto, assestò un pugno al cuscino. Qualcosa aveva preso definitivamente vita dentro di lui, qualcosa che aveva trattenuto fino a quel momento, perché doveva agire, perché non poteva permettersi altro. Odiava quella sensazione, percepiva la rabbia che gli ribolliva in fondo allo stomaco erodendo silenziosa tutto di lui. Non era un’idea in realtà, era un presagio sottile, nascosto, quasi inascoltato. Il presagio aveva preso corpo in modo violento, crudele, quando Hermione si era fatta da parte e aveva scoperto il corpo privo di vita di Remus. Allora Harry aveva taciuto, non si era mosso, non aveva urlato. Non aveva potuto, colpito dalla consapevolezza in maniera ancor più atroce perché aveva davanti esattamente quello che si era segretamente aspettato e quindi temuto più di tutto. Remus morto. In un momento, semplicemente, l’ennesima catastrofe che doveva solo diventare normale, ordinaria amministrazione. Come James, come Lily, come Sirius. Come Albus. Tutti ad adempiere la loro funzione, che altra fine potevano mai fare? Genitori, padrino, mentore del Prescelto. Potevano solo proteggerlo e morire, perché quello che lui era doveva contare più di quelle vite. Sorrise amaro tra sé, contemplando la ferrea logica di quelle morti. Percepì finalmente in modo cosciente che lui e Remus si erano riconosciuti fin dal primo momento, solo con l’istinto. Un giorno dei suoi tredici anni Harry si era recato dal suo insegnante preferito e aveva chiesto aiuto, si era affidato a lui. Non l’aveva mai fatto prima, neanche con Albus. Era stato il Preside a tiragli fuori dalla bocca le sue paure di essere come Riddle, l’anno prima. E il professor Lupin, non più professore, ma già padrino, gli aveva insegnato a evocare un Patronus. Gli aveva insegnato a lasciarsi invadere da un pensiero felice. Un’altra delle cose che Harry non aveva mai saputo fare prima di avere Remus nella sua vita. Era stata la fiducia innata che Harry aveva provato per Remus sin dal primo momento ad avergli permesso di ascoltare la verità nella Stamberga, di riunirsi a Sirius. E quando Harry aveva dubitato di suo padre, ascoltare le parole di Remus aveva lenito la ferita anche di più che ascoltare quelle di Sirius, da cui si era atteso la difesa più accorata, anche se forse non la più obiettiva. Remus aveva lenito un’altra ferita, in una delle notti peggiori della vita di Harry, quando l’aveva afferrato, stringendolo con tutte le sue forze, per impedirgli di attraversare il Velo e andare a riprendersi Sirius. Allora Harry non ci aveva riflettuto, ma venute a mancare le lettere di Sirius, si era naturalmente atteso quelle di Remus. E Remus gliele avrebbe naturalmente scritte, se non fosse stato sperso in mezzo a quelli che chiamava, con disprezzo per se stesso, i suoi simili. Solo in quel momento Harry comprendeva fino in fondo tutto quello che Remus aveva fatto per lui, sin dal primo momento. Aveva sbagliato quando al funerale di Albus aveva pensato di aver perso l’ultimo dei suoi protettori. Restava ancora Remus, che l’aveva protetto in un modo più discreto e silenzioso di ogni altro. Remus, che tante volte aveva osservato, tenendosi in disparte, il mondo in cui Harry e Sirius precipitavano, presi l’uno dall’altro, quando erano insieme. L’aveva osservato, il sorriso dolce sul volto prematuramente segnato, e un pensiero nel cuore, un pensiero per la famiglia che erano di nuovo. Una lacrima velò gli occhi di Harry. Si stava pentendo amaramente di non aver mai riservato a Remus gli abbracci calorosi che aveva avuto per Sirius, non avergli mai detto che si sentiva figlioccio anche suo. Ma in qualche modo la grande pacatezza di Remus lo aveva sempre indotto ad essere altrettanto pacato nei suoi rapporti con lui. Si morse un labbro. Solo una volta l’aveva visto perdere la pacatezza. Ma non era rimasto deluso. Harry capiva, capiva più di chiunque altro, cosa volesse dire sentirsi un pericolo per coloro che si amano, ed essere tanto nauseato da se stesso da voler solo liberare gli altri da sé. Ma come Ron e Hermione avevano fatto capire a lui che la solitudine non era la strada, Harry l’aveva fatto capire a Remus. Che quel giorno non stava solo lasciando Dora, ma anche tentando di proteggere Harry dal punto più vicino possibile. Poi la gioia. Remus e Dora riuniti, il futuro nella pancia di lei. Harry batté un pugno contro l’intelaiatura del letto senza saperlo. Piangeva in silenzio, cercando di strozzare i singhiozzi. Quella gioia era stata così crudelmente breve, e lui, Harry, era così rabbioso per questo. In qualche modo gli sembrava la beffa più ingiusta tra tutte, perché Remus meritava di essere felice, di essere un marito, di essere un padre. Meritava di vivere nell’amore che si era sempre negato. Harry capì ancora. Capì il motivo della breve ma intensa sensazione di strazio che aveva attraversato la sua giovane anima quando Remus gli si era rivolto, gli occhi stranamente limpidi, il viso insolitamente luminoso, un attimo prima di chiedergli di essere il padrino di suo figlio. Quella pienezza non si addiceva a Remus, ed Harry aveva percepito vagamente, in qualche parte di sé, che non poteva durare. E poi Remus aveva parlato e allora era stato come vedere suo padre. Suo padre affidare il proprio figlio alla persona più amata prima di andarsene, sapendo, in fondo a se stesso, di essere prossimo ad andarsene. Così Remus. Stupido, stupido Harry! Perché non gli hai fatto una raccomandazione di più, perché non gli hai chiesto di non morire! Stupido Remus, proprio tu che avevi incitato il tuo figlioccio a Schiantare senza indugio, se non era pronto a uccidere! Perché non hai ucciso, allora?! Maledetto Harry, sii maledetto tu e la tua capacità di amare e di farti amare, che ha mietuto più vittime dell’odio! Ancora una volta Harry detestava se stesso. Il mondo lo adorava, e lui si detestava. Si era messo a sedere sul letto, il capo tra le mani. Si sentiva perso nell’oscurità, non riusciva a vedere la luce, nessuna luce. Troppi pesi su di lui. Troppe tombe bianche impresse, indelebili, nei suoi occhi verdi. Come aveva fatto a sopportare la morte di Sirius? Non lo ricordava più. Come aveva potuto accettare l’idea che Albus fosse mortale? Non ricordava più neanche questo. Ma un nuovo pensiero lo invase, improvviso. L’immagine dolce del professor Lupin che gli porgeva un po’ di cioccolata, sorridendo rassicurante. Remus, Remus più di ogni altro, gli aveva insegnato a vedere la luce. Gli aveva insegnato a vincere quella sensazione di gelo strisciante che anche ora lo invadeva, per quanto lontani potessero essere i Dissennatori. Non poteva rinnegare la sua memoria precipitando senza difese in quello stato d’animo. No. Nonostante tutto il cuore di Harry, la sua anima pura, erano ancora capaci di incassare un altro colpo e sopportarlo. E trasformarlo. Harry afferrò mentalmente quel pezzo di cioccolata e vi si aggrappò con tutte le forze. L’immagine del piccolo Teddy esplose nella sua mente. E poi una visione. La visione di cinque Malandrini che facevano baccano da qualche parte, forse non lontano da King’s Cross. Erano suo padre, sua madre, Sirius, Remus e Dora. Tutti insieme. Ancora una famiglia. La sua famiglia. Harry alzò la testa. Negli occhi gli bruciava la determinazione, sulle labbra un sorriso. Uno vero. Avrebbe amato il piccolo Teddy come Remus aveva amato lui. Quel bambino era speranza. Proprio come Harry era stato speranza alla sua nascita, per le persone che lo amavano. Lo strazio nel suo cuore era ancora infinito. Non sarebbe mai cessato, neanche ad anni di distanza. Ma non l’avrebbe mai sconfitto. Perché Harry era così: capace di amare. Qualsiasi dolore la vita gli avesse inflitto, non aveva mai smesso di amare, e aveva trovato nelle persone amate la sua forza, la sua motivazione, la sua salvezza. Abbandonò il letto. Doveva correre in Sala Grande, abbracciare Ron e Hermione. Baciare Ginny. Precipitarsi da Andromeda e raccontare a Teddy che il suo papà lo aveva amato tanto da dare la sua vita per proteggere quella di suo figlio. Esattamente come James aveva fatto per lui, Harry. Raccontare a Teddy che il suo papà aveva amato tanto lui, Harry, da dare la sua vita per proteggere quella del suo figlioccio. Esattamente come Harry era disposto a fare per il piccolo Teddy. Cinque Malandrini avrebbero fatto baccano anche lì, lontano da King’s Cross: Harry, Ron, Hermione, Ginny e il piccolo Teddy. Tutti insieme. Ancora una famiglia. La sua famiglia. Remus l’aveva salvato dai Dissennatori. Di nuovo. Per sempre.
  
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