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Autore: Ashbear    04/10/2009    3 recensioni
[Rinoa e Squall, Quistis e Seifer] Si può fare sempre la scelta giusta, se ci viene data la possibilità di realizzare i nostri sogni tramite una semplice risposta: sì o no? Una bugia che cambierà per sempre una nazione, una settimana che cambierà per sempre la storia.
Attenzione: la traduzione è stata completamente rivista e corretta; attualmente, abbiamo aggiornato i primi 22 capitoli con la nuova traduzione, fatta sulla base dell'ultima versione della storia rilasciata dall'autrice originale.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quistis Trepe, Rinoa Heartilly, Seifer Almasy, Squall Leonheart
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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No rumor of the foe's advance
Now swells upon the wind;
No troubled thought a midnight haunts
Of love ones left behind;
No vision of morrow's strife
The warrior's dream alarms;
No braying horn nor screaming fife
At dawn shall call to arms.

--Theodore O'Hara

CRIMSON LIES
scritto da Ashbear, tradotto da Erika, Shizuru117, Alessia Heartilly, Shu e Youffie
~ XXXVI. BATTAGLIA ~

I raggi del sole sfolgoravano sui tetti della città. Nuvole di luce si facevano strada in ogni fessura, rischiarando anche i vicoli solitamente bui. Se mai il gruppo aveva desiderato pioggia, o un cielo coperto, era quel giorno. Ma Madre Natura, come per celebrare la vita, aveva invece fatto sfoggio di tutti i suoi colori più gloriosi e vibranti.

Deling non era mai stata così bella, o così letale.

Seifer e Alex si divisero dal resto del gruppo, per incontrare il contatto da lui procurato dietro l'autonoleggio, mentre gli altri cercavano di non apparire troppo sospetti... cosa che era di per sé una difficoltà. Quistis e Zell erano seduti su una panchina, ed entrambi evitavano di parlare, sarebbe stata una conversazione impacciata. Squall stava in piedi appoggiato contro un palo della luce, gli occhi fissi sulla Residenza Presidenziale.

Il cielo sembrava farsi sempre più brillante nel sorgere del sole, e Squall faticava per cercare di tenere gli occhi aperti, ma alla fine si arrese al naturale impulso di schermare la propria vista. La mente del Comandante tornò ad un altro tempo, un'altra volta in cui, insieme ad Irvine, era andato a salvare Rinoa proprio in quella stessa Residenza... un tempo che pareva lontano dieci anni. Anche le immagini di quel giorno danzavano nei suoi pensieri: Edea, gli Shumelke, e la prima volta che aveva avuto paura di perdere lei. Ed era un qualcosa che lo perseguitava ancora oggi, anche se quella volta aveva cercato di pensare a lei solo ed esclusivamente come ad un cliente.

Le parole di quella notte della Madre gli riecheggiarono nella testa... non aveva idea di quanto crudele poteva essere una strega. La sensazione di Irvine che gli dava una gomitata non era mai stata registrata del tutto da Squall, che guardava la scena di fronte a lui. Irvine aveva voluto entrare, il fucile che luccicava. Lui no, Squall no. Al contrario, aveva detto che il cancello non era aperto. La sua risposta era stata così superficiale e vuota d'emozioni... allora era più facile.

Rinoa... era così innocente, allora, così fanciullesca nei suoi modi di fare... piena di ottimismo per la vita in sé. Ma tutto ciò era cambiato nel tempo... a forza di stare con lui. In tanti avevano pensato che i suoi modi spensierati avrebbero contagiato Squall, e forse alcuni di essi l'avevano anche fatto... forse. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che l'atteggiamento deprimente del ragazzo avrebbe finito per trasformare lei. Forse due persone sono legate per cambiarsi a vicenda col tempo che passa, ma non sempre per il meglio. Lui davvero non lo sapeva più.

Quella sera che Vinzer Deling era stato assassinato, aveva pensato che Rinoa sarebbe stata nient'altro che una nota a piè di pagina nella storia... un sacrificio dimenticato. Allora la amava già, ma non sapeva come fosse amare... non l'avrebbe saputo per molto tempo. E un tempo ancor più lungo doveva passare prima che lui guadagnasse la forza interiore per ammetterlo a se stesso. Quella notte a Deling, così tanto tempo prima, aveva lasciato scivolare fuori dalla cinta delle sue mura una minuscola traccia di preoccupazione; aveva sperato che Rinoa non avesse visto il sollievo sul suo volto quando l'aveva saputa sana e salva, invece l'aveva notato.

"...Non ti allontanare da me." Ripeté quelle parole, cercando di ritrovare i ricordi. I SeeD erano sempre addestrati a mantenere le distanze... ma era più facile da insegnare che da fare.

Era stato amore a prima vista, il loro? No, in realtà no, era facile adesso guardarsi indietro e dire che era stato amore già in quel primo ballo, se si voleva cercare una risposta da fiaba... lussuria, attrazione fisica... forse. Di certo qualcosa li aveva avvinti, ma l'amore ha bisogno di tempo; cresce dal cuore e si diffonde dentro all'anima. L'amore controlla le emozioni e i pensieri finché un bel giorno non diventa parte di te. Una parte che non puoi mai perdere, una parte che c'è sempre, una parte per cui sacrificheresti ogni cosa.

"Squall..."

Il suono del suo nome lo trascinò di nuovo dentro alla situazione presente. Come soldato, Squall sapeva di essere in pericolo. I sentimenti stavano controllando le sue azioni, facendogli perdere la prospettiva di tutto... persino di quello che aveva intorno. Provò amarezza, per aver fallito in quello per cui si era allenato con tanto sforzo. Distolse lo sguardo dalla Residenza Presidenziale, tentando di autoconvincersi che questa era solo un'altra normale missione.

Zell non aveva intenzione di forzarlo, vedeva bene quanto diceva l'espressione rinchiusa in se stessa del comandante. "Seifer ha provato a contattarti sulla tua radio; Alex è con la troupe della televisione... saranno dentro la Residenza entro più o meno quindici minuti."

"Da qui in poi, vado da solo."

"Capito." L'esperto di arti marziali abbassò lo sguardo a terra, si sentiva un po' la lingua annodata in quella situazione. "Uhm... Squall... ti auguriamo che vada tutto alla grande." Zell non era un granché bravo nel dire cose del genere, e il Comandante non era bravo nell'accoglierle. "Solo, stai attento... okay?"

Squall annuì appena al ragazzo mentre le parole nemmeno lo sfioravano, come spesso succedeva.

"Anche noi le vogliamo bene... e... vabbè, niente." Zell si voltò, e tornò lentamente alla panchina dove Quistis attendeva pazientemente.

"Zell..." rispose il Comandante, la voce malferma, roca. "Grazie."

*~*~*~*~*

Alexandra abbassò lo sguardo sul suo tesserino identificativo falsificato, chiedendosi cosa di preciso facesse un 'macchinista'. Si ricordava che l'uomo aveva detto qualcosa che riguardava differenti posizionamenti, ma era tutto così vago. Primo macchinista, macchinista al carrello, e macchinista del gruppo... non sapeva distinguere una cosa dall'altra, ma di sicuro il suo ruolo c'entrava qualcosa con le luci. Pensò quasi divertita a come la paga fosse un po' più alta di quando lavorava per Richard Bennett... e tutto quel che doveva fare per questo era cambiare l'angolazione delle luci.

"Nome," chiese l'addetto alla sicurezza galbadiano, guardandola dritto negli occhi.

"Elise." rispose, cercando di non sembrare evasiva, e gli diede i suoi documenti, mentre nell'altro braccio reggeva un fascio di lunghi cavi.

"Nome e cognome," domandò lui, un poco più seccato.

Si ricordò improvvisamente che era uno di quei nomi che sanno tanto d'inventato. Un nome che le ricordava quello del suo vecchio ginecologo... Van... Vander...

"Elise Vandermere, di Local 80," disse trionfante. Il nome sembrò scapparle di bocca, come fosse stato qualcun altro a guidare le sue parole.

L'uomo la squadrò da capo a piedi. "Dov'è Darrius? A quanto dicono le informazioni, dovrebbe essere lui il primo macchinista alla trasmissione." La guardia fissava la sua cartellina, rovistando tra vari fogli. Alex lo guardò in un breve istante di panico. Fortunatamente per lei, sembrava sempre perso nel regno della burocrazia.

"Darrius è da sua moglie," rispose, senza esitazione. "Ha cominciato il travaglio stanotte... ma l'ultima volta che ci siamo sentiti, stava andando tutto bene. A proposito, qui si può avere accesso ad una linea esterna? Non so come, ma sono stata incaricata io dei festeggiamenti, e speravo di poter telefonare... giusto per sapere se i palloncini li devo comprare rosa o celesti."

"Signorina Vandermere, metta qui il dito indice." Mostrò un piccolo rilevatore elettronico posato sulla scrivania. "Dobbiamo inviare l'identificazione delle impronte digitali alla Centrale, e poi potremo preoccuparci dei suoi impegni mondani."

Con un debole sorriso, obbedì alla richiesta, poggiando il dito sul lettore. Quando alzò lo sguardo, notò che l'addetto sembrava poco interessato al suo lavoro. Cercò di tenere un contegno che non apparisse nervoso, sperando che Selphie fosse riuscita a inserire la sua nuova identità nel database di Galbadia. Non che avesse poca fiducia nelle capacità di hacker di Selphie; piuttosto non aveva per nulla fiducia nella tecnologia galbadiana. L'uomo premette qualche pulsante, poi attese; infine, una luce verde apparve sopra il monitor della sicurezza.

"Signorina Vandermere, adesso deve solo passare dal metal detector, può lasciare i suoi cavi su quel tavolo laggiù." Seguendo le istruzioni della guardia, la ragazza aspettò con pazienza mentre lui le passava addosso una macchinetta tascabile. "Può entrare nell'area riservata alla stampa, e per favore si assicuri di seguire i cordoni di sicurezza come indicato nel suo foglio informativo."

"Grazie," disse, sospirando dentro di sé per il sollievo di essere arrivata fin lì.

*~*~*~*~*

Mentre si avvicinava alla Residenza, Squall Leonhart si sentiva letteralmente come se il cuore gli venisse strappato dal petto e presentato davanti. Ognuna delle esclamazioni, degli applausi della folla incideva come mille lame nella sua anima. Faceva tutto quel che poteva per trattenere la sua furia dalla fiumana gioiosa che scorreva lungo i marciapiedi. Una parte di lui voleva spezzare le ginocchia a tutti, uno per uno, senza pietà... ma sapeva che allora sarebbe sceso al livello di Mitchell. Sapeva che la gente credeva con fiducia che fosse arrivata la loro salvezza, quando invece in realtà stava solo cominciando la loro dannazione.

Il programma del presidente Mitchell per gli avvenimenti di quel giorno era stato illustrato pubblicamente su ogni emittente televisiva e anche attraverso tutta la stampa. Stando alle notizie, gli ufficiali galbadiani avevano lavorato nel più stretto riserbo al fianco del dottor Odine per inventare una macchina che bloccasse i poteri di una strega. Questo avrebbe permesso alla gente di vivere libera dalla paura della tirannia; quella macchina sarebbe stata sigillata ad Esthar e poi lanciata in orbita.

Squall sapeva quello che il mondo non sapeva.

Dato che i tempi dell'operazione erano stati accuratamente calibrati, gli ufficiali di Esthar non avrebbero avuto modo di denunciare in tempo quella montatura. Una volta che Esthar avesse sentito la versione galbadiana della storia, comunque, avrebbe pubblicamente negato di essere a conoscenza di una tecnologia simile. Allora il presidente Mitchell avrebbe accusato Esthar di aver rotto il contratto, e di voler tenere per sé il potere. E tutto questo alla fine avrebbe portato alla guerra, una guerra a cui Esthar non era di certo preparata, ma che Galbadia pianificava da anni.

Ma, con il peso della storia che gravava dalla loro parte, i paesi vicini sarebbero stati inclini a tendere verso quella di Galbadia. Dopotutto, era stata Esthar a causare la prima Guerra della Strega, e a permettere a Rinoa di lasciare la sicurezza del confino. La falsa 'rottura del contratto' sarebbe stata un'altra falla nell'armatura di Esthar, che avrebbe danneggiato ulteriormente la sua credibilità.

In più, Mitchell, all'apparenza, sembrava dirigere il suo paese con giustizia e degnamente, e la sua popolarità aumentava di minuto in minuto. I soldati l'avrebbero seguito di buon grado in battaglia, credendo che fosse stato il nemico a fare la prima mossa. Il Consiglio Mondiale avrebbe mantenuto il controllo in tempo di legge marziale; e questo non avrebbe fatto che rafforzare il ruolo di Mitchell nella sua ovvia risoluzione... beatamente ignari delle vere motivazioni che lui nascondeva loro.

E tutto questo per cosa? Potere? Quanto altro poteva guadagnarne Jefferson Mitchell? Se davvero fosse riuscito a dominare il mondo, cosa sarebbe successo poi? Una volta che hai raggiunto la cima della montagna, non resta altro che scendere... o continuare ancora più su, nel cielo, se hai le ali, e Mitchell non era certo un angelo. La sua brama di potere non avrebbe fatto altro che crescere. Quando avrebbe comandato governi, città ed eserciti... quale sarebbe stata la conquista successiva? Per un istante, una visione di Artemisia passò tra i pensieri di Squall. Forse anche lei, nel suo tempo, aveva avuto in mano tutto il potere terreno, realizzando poi che non c'era più nient'altro da conquistare, se non un luogo dove ogni tempo ed ogni spazio potessero essere compressi? Per regnare così non solo nella sua era, ma anche in tutte quelle precedenti e successive... in totale supremazia.

Prima che la sua mente potesse afferrare le conseguenze di una cosa simile, tornò alla realtà. Un ragazzino di piccola statura gli era finito addosso, e il comandante abbassò lo sguardo verso di lui, vedendo l'euforia sul suo volto bambino.

"Mi dispiace, signore!" si scusò, gli occhi spalancati; teneva in mano una bandierina.

Per tutti i cittadini di Galbadia, era iniziata la cerimonia, e per loro era iniziata l'alba di una nuova era, un tempo che, era stato promesso, sarebbe stato libero dalla strega. A parole, Squall non poteva rispondere al ragazzino, fissò solamente il suo sguardo nella speranza che portava negli occhi. Un innocente celebrava la morte della strega, e lui sapeva che non era colpa del bambino: era questo che gli era stato insegnato, queste le paure instillate in lui dai suoi genitori e dalla società. Quel bambino faceva festa non per deliberato odio, ma per credenze che gli erano state trasmesse sin dalla nascita. La stessa, identica cosa che era stata insegnata a Squall Leonhart, e ad ogni altro ragazzino, al Garden. La stessa, identica paura che aveva insegnato lui ad una nuova generazione. Era veramente responsabile anche lui per gli avvenimenti di quel giorno, come lo erano tutti: tutti i SeeD prima di lui e tutti gli studenti che erano passati per quei corridoi... erano tutti stati addestrati per uno scopo solo. Quel giorno.

Salì rapidamente la gradinata della Residenza Presidenziale, aprendosi la strada tra la folla che intasava l'ingresso. Era come se tutta l'umanità di Rinoa fosse morta nel giorno in cui aveva ereditato i poteri, e di lei fosse rimasto solo un guscio. Lasciò per strada la maggior parte delle sue buone maniere mentre si avvicinava al cancello, diventando più aggressivo ad ogni passo. I suoi pensieri oscillavano, avanti e indietro, tra Rinoa e la scena che aveva davanti agli occhi, e tutto era surreale. In un certo qual modo, si sentiva come se si fosse dovuto risvegliare da un momento all'altro dall'incubo; sperava solo che, se si fosse svegliato davvero, lei sarebbe stata ancora lì accanto a lui.

Una sentinella era di guardia al cancello principale, e altre tre all'interno della Residenza controllavano la folla. Il Comandante si avvicinò a quella che sembrava la responsabile dell'operazione. Il soldato vide Squall avvicinarsi, e parve lasciare che il nervosismo avesse la meglio su di lui. Chiamò immediatamente qualcuno con l'auricolare, cercando di coprire il ricevitore mentre parlava per non far sentire le sue parole... Sembrava avere qualche problema, o essere nervoso, oppure entrambe le cose... mentre Squall gli si parava davanti.

"Posso fare qualcosa per lei, signore?" La sentinella cercava di comportarsi in maniera normale, ma il comandante aveva capito benissimo... sentiva in lui la paura.

"Sono con la delegazione di Balamb del Consiglio Mondiale."

"Comandante Leonhart, pare che lei non sia sulla lista degli ospiti ammessi," affermò l'uomo, calmo, senza nemmeno controllare tra le centinaia di nomi.

Squall fece un passo avanti, invadendo chiaramente lo spazio personale dell'uomo. Lo guardò dritto negli occhi, e la pretesa gli uscì dalle labbra quasi in un ringhio. "Mi sa che sei l'unico sulla faccia di questo maledetto pianeta a non aver letto i giornali. Io sono la persona a cui spetta il merito della sua cattura, no? E allora perché non dovrei voler essere qui, ad un evento storico di questa portata? Ricontrolla la tua lista."

"Signore, mi dispiace, ma non posso fare nulla." Il piantone cercava di resistere, ma la sua sicurezza stava evaporando a poco a poco, e cominciava a trapelare la sua natura debole.

"Senti," sibilò Squall, afferrando per il collo il soldato. "Possiamo fare in due modi... con le buone o con le cattive... a me vanno bene tutti e due. Mettiti l'auricolare e parla con il tuo superiore, digli che sono qui. Fagli sapere di persona che Mitchell mi ha invitato ai festeggiamenti di oggi. Oppure me lo metterò io il tuo auricolare, dopo che l'avrò strappato dal tuo corpo senza vita. Sai come si fa a tagliare la gola a uno prima ancora di spezzargli il collo? Io sì." Premette sulla gola dell'uomo con l'indice, per sottolineare il concetto. Fu subito ovvio che le sue minacce stavano ottenendo l'effetto desiderato: il soldato inghiottì, tendendo le mani verso il collo, mentre faceva cenno agli altri due di aprire i cancelli sbarrati.

"Dovrà comunque essere sottoposto a un controllo, e le saranno confiscate le armi." La guardia voleva farla suonare come un'intimidazione, ma quelle parole riuscirono piatte, come il loro significato.

"Bene, tanto non ho nessun'arma," ringhiò Squall, inarcando un sopracciglio all'indirizzo dell'uomo. Lanciò un ultimo sguardo alle sue spalle, vedendo la gente che faceva festa tutta insieme. Provò pietà per la loro stupidità. "Che Hyne abbia pietà di tutti voi se falliamo," mormorò, e la sua preghiera silenziosa si allontanò nella brezza sottile.

Quando attraversò il secondo cancello della Residenza, trovò ad accoglierlo un'intera guarnigione. Era evidente che il 'signor Lista-degli-invitati' là fuori aveva già allertato gli altri. Era quindi logico supporre che Jefferson Mitchell fosse perfettamente informato del suo arrivo, e, dalle espressioni sulle facce dei suoi uomini, i galbadiani erano stati colti di sorpresa come previsto... Adesso, stava per infuriare la vera battaglia, da combattere non con le armi, ma con la mente.

*~*~*~*~*

Alexandra trafficava con fili e cavi, non molto sicura di cosa andasse dove. Si sforzava di comportarsi come se fosse abituata a tutto quello che succedeva attorno a lei, ma stava disperatamente cercando di trovare il momento più giusto per scappare, e farla finita con quell'incubo... in un modo o nell'altro. Prima, quando aveva lasciato solo Seifer nel vicolo, aveva incontrato il contatto interno con cui lui aveva fissato l'appuntamento, Robert Woods, il capo dei macchinisti per la trasmissione. Le era stato detto in termini molto chiari di seguire in ogni dettaglio le sue istruzioni, e quell'uomo era l'unico a sapere che non era stata mandata dall'emittente per una sostituzione. Se fosse stata scoperta, lui avrebbe detto di non saperne niente, e lei sarebbe rimasta da sola... capiva i rischi, ma era disposta a correrli e ad accettarne ogni conseguenza... anche a perdere la propria vita.

"...il transponder." Dietro di lei risuonò una voce dal tono severo. Alex si voltò cercando di dare l'impressione di esser pronta a intervenire, e l'uomo, con quella che pareva un'aria arrabbiata, le passò un blocco di appunti. "Per favore, puoi andare a sintonizzare il transponder sulla stazione... o hai in programma di star qui tutto il giorno? Lo so che tecnicamente non è il tuo lavoro, ma..."

"Ma certo, Robert... ok, il transpoder, non c'è problema," rispose con sicurezza, intuendo che era la sua occasione di tagliare la corda. Aveva fatto appena pochi passi nel corridoio grande, quando si bloccò di colpo: aveva notato una visione familiare... una visione che le aveva fatto accapponare la pelle. Il presidente Mitchell si stava dirigendo verso la zona dov'era in attesa la stampa, circondato da quattro guardie. Dalla faccia che aveva, non sembrava un uomo felice... Alex sorrise, sapendo che una sola cosa poteva causare una simile reazione a quell'uomo... Squall Leonhart. Il Comandante doveva avercela fatta ad accedere nell'edificio, e questo era un immenso sollievo. Ora, era suo dovere far entrare gli altri dalla porta del cortile... senza essere scoperti.

Fece marcia indietro, e passò per un corridoio secondario con il suo blocco in mano, facendo finta di studiare il suo contenuto. Si fermò quando raggiunse la porta laterale, e controllò se ci fosse qualcun altro nelle vicinanze. Proprio nel momento in cui aveva pensato che fosse vuoto, due soldati galbadiani spuntarono da dietro l'angolo. Poggiata con aria casuale contro il muro, Alex si comportò come se stesse scorrendo i suoi fogli.

"Sul serio, che ne dici... sei a uno che la strega sopravvivrà per dieci minuti?"

"Dieci minuti!? Ma stai scherzando, nessuno ha mai resistito più di cinque, e cavolo se era gente molto più dura di questo affarino pelle e ossa... io punterò cento Guil su tre minuti... al massimo."

Chiuse gli occhi, tentando di distaccarsi dalla loro conversazione... quegli uomini, per usare un eufemismo, stavano scommettendo su quanto ci sarebbe voluto ad uccidere un essere umano innocente. La sua migliore amica. Tentò di non mostrarsi disgustata quando loro si fermarono di fronte a lei.

"Possiamo fare qualcosa per aiutarti?" La prima guardia la fissò con sospetto, mentre l'altra la esaminava da capo a piedi con un sorrisino malizioso.

"Stavo cercando la stanza del satellite... a quanto dice la mappa, dovrebbe essere giusto qui." Indicò dall'altra parte del corridoio, verso la porta interna più vicina.

"E tu ci stai andando per...?" Il soldato la guardò dritto negli occhi cercando di intimidirla; e siccome non gli rispose subito, le si avvicinò e le posò una mano sul fianco, entrando ben oltre il consentito nel suo spazio personale. "Beh, tesorino...?"

Alex lo allontanò immediatamente, lanciandogli un'occhiata di pura ostilità. "Sto andando là per fare il mio lavoro, se permettete. Devo sintonizzare il transponder al satellite giusto. Se non volete aiutarmi, allora potete spiegare voi al presidente Mitchell come mai la trasmissione non è andata in onda su tutte le televisioni e le frequenze radio che aveva richiesto. E poi, sono sicura che saprete spiegare a milioni di cittadini votanti di Galbadia perché si sono persi questo evento storico... semplicemente perché il vostro livello di testosterone è troppo alto per non molestare un'impiegata di sesso femminile. Di certo quando il Presidente scoprirà che è stata colpa vostra se non abbiamo trasmesso, sarete voi i prossimi nella lista delle iniezioni letali... e, tra parentesi, punto cento Guil che nessuno dei due durerà più di due minuti... al massimo."

I due si scambiarono un'occhiata di rabbia trattenuta... ma si rendevano conto che sarebbero stati fatti fuori se si fosse scoperto che erano responsabili di aver fatto casini con la trasmissione. Alla fine, la seconda guardia rispose con disgusto. "Vai in fondo al corridoio e gira a destra, prima porta alla tua sinistra. Farai meglio a sbrigarti, attiveranno il campo anti-magia a momenti... e quando lo faranno, solo il Presidente o il suo consulente alla sicurezza potranno entrare in questa zona."

Le parole che disse la colpirono: in quel momento non era attivo nessun campo anti-magia. Ma qualcosa nella sua esitazione doveva aver indotto i due a dubitare della sua copertura, e la prima guardia la fissò dicendo semplicemente "Ave, Galbadia..."

"Come?" fece lei momentaneamente confusa.

"Lo sapevo, puttana..." Il soldato mosse la mano verso la sua arma, e l'altro seguì il suo esempio. "Qualunque vero galbadiano conoscerebbe l'inno nazionale."

"Merda! Okay, Quetzal, speriamo che abbia detto giusto sulla barriera." Alex sollevò immediatamente il palmo verso di loro. "Stop!" Riuscì a muoversi abbastanza alla svelta, cosicché tutti e due furono presi sotto l'effetto della magia; per sua fortuna, i soldati di Galbadia erano un po' lenti nel reparto intelligenza.

"Beh, l'effetto è proprio strambo..." Girò lo sguardo sui soldati bloccati con la bocca aperta, sospesi nel tempo. Lasciando da parte ogni propensione per la discrezione, strappò loro dalle mani le armi, e le buttò a terra. "Ave Galbadia un cavolo..."

Alexandra aprì la porta che aveva accanto e guardò fuori nel cortile in cerca degli altri. Sulle prime non vide altro che il cielo color cobalto, ma poi Seifer sembrò sbucare fuori dal nulla: per un secondo la ragazza si spaventò, ma recuperò in fretta il controllo. Gli altri due stavano scendendo giù dalle mura dell'edificio con corde fissate a rampini. "Sbrigatevi, ci sono due guardie, ho usato Stop su di loro... mi hanno scoperta... mi dispiace... ci ho provato... ma..."

"Il campo anti-magia?" chiese Seifer, aprendo la porta.

"Ancora no, ma a momenti. Mi dispiace..."

"Non importa," tagliò corto lui. "Dobbiamo solo occuparci di loro prima che si scongelino, altrimenti possiamo dire addio al nostro culo... Zell, prendi quello là, Quistis, vai alla porta."

"Chi è che ti ha nominato Dio?" mugugnò l'esperto di arti marziali, seguendo controvoglia gli ordini.

"Non è che li ucciderete, vero?" Alex girò lo sguardo sui suoi compagni che stavano trascinando i due uomini immobilizzati nel cortile.

Seifer le lanciò un'occhiata torva, scuotendo la testa. "No, pensavamo di invitarli per un tè... è ovvio che lo faremo..."

"State indietro." Quistis fece cenno a Zell e Seifer di allontanarsi. "Medusa!" Lanciò la magia sui due uomini, uno per volta. Lentamente, grigia pietra prese il posto della carne, e alla fine le due figure apparivano come due statue quasi identiche. La donna guardò Seifer negli occhi, posandogli una mano sulla spalla. "Cerchiamo di non uccidere nessuno, se non è l'unica possibilità che abbiamo. Nessun altro deve morire per i nostri errori."

"Ragazzi... abbiamo un problema," li chiamò Zell dall'interno. "Le porte hanno un timer, dobbiamo digitare un codice entro più o meno venti secondi... o tutta Galbadia saprà che siamo qui."

Corsero al tastierino numerico. "Perché il Garden non ne sapeva niente? Nessuna delle nostre informazioni ne parlava... il cortile doveva essere l'unica via. È chiaro, Mitchell ha aggiunto altre precauzioni alla sicurezza." Quistis fissava la tastiera scrollando la testa per la frustrazione. "Abbiamo una sola possibilità, ragazzi... qualcuno ha voglia di tirare a indovinare?"

"Ma chi diavolo metterebbe uno di questi cosi all'esterno?" ringhiò Seifer. "Non depone molto a favore dell'intelligenza della società Galbadiana, no? E questo fantastico conto alla rovescia coi numeri rossi è così originale."

"Cosa?" Zell afferrò Seifer per un braccio. "Che cosa hai detto?"

"Si può sapere che accidenti hai nella testa? Stiamo per essere catturati... non mi sembra il momento di mettersi a rievocare quello che ho detto."

Zell scambiò uno sguardo intenso con Alex, e in un attimo la soluzione passò tra di loro. Poteva essere così semplice? Gli incubi che avevano condiviso per troppo tempo, al risveglio si dissolvevano sempre nelle cifre digitali, i numeri rossi che Seifer aveva appena menzionato. Nella stasi di così tante notti, le cifre digitali luminose che offrivano un piccolo sollievo dalle visioni, e la consapevolezza che era finita, per un'altra giornata. Le risposte che Ellione aveva mandato loro, risposte a domande che non sapevano che avrebbero mai fatto.

"4-2-7?" chiese lui, gli occhi che scavano nei recessi della mente di Alexandra.

"Sì," rispose lei semplicemente in un sussurro, prima di sorridere appena. "Ci scommetto..."

Trattenendo il fiato, Quistis inserì i numeri, non sapendo bene di cosa stessero parlando i suoi compagni; ma aveva imparato a fidarsi del suo istinto, e in quel momento aveva la sensazione che i due sapessero qualcosa che lei ignorava. E aveva visto giusto... il conto alla rovescia si fermò quando rimanevano quattro secondi. Alex chiuse gli occhi in un breve momento di sollievo, ma Seifer riuscì solo a scuotere la testa.

"Voi due fate veramente... paura."

"Già," rispose Zell, e prese la mano di Alex, portandola dentro. "Lo sappiamo."

*~*~*~*~*

Sentiva che la stavano scortando lungo un interminabile corridoio. L'ultima cosa che Rinoa ricordava di aver visto erano i grossi mattoni grigi che formavano le mura della prigione; e poi l'avevano portata dentro una stanza scarsamente illuminata. Nella cella dove aveva sostato l'avevano bendata: riusciva a capire che non volevano che lei potesse vedere com'era configurata la Residenza. Poi una guardia l'aveva fatta camminare per il resto del tempo, trascinandola come fosse nulla più di un cane al guinzaglio. Alla fine, la fece entrare in una sala; il fumo di tabacco da pipa riempiva l'aria. Conosceva bene quell'odore, dopo tutti quegli anni in cui era cresciuta nella villa di suo padre. Un uomo la fece sedere di forza su una sedia, ordinandole di star lì senza fiatare.

La giovane strega cercò di reprimere un gemito quando l'uomo le strinse la mano vicino alla clavicola. La spalla le diede un sussulto nel profondo morso che le trafiggeva la carne, e sentì tutto il corpo dolerle per come aveva dovuto dormire la notte prima. La porta si chiuse alle sue spalle, e, per un momento di nirvana, Rinoa credette di essere sola. Sperò di essere sola. Ma poi, come lo strappo di una spada nella tela del tempo, avvertì la presenza di un'altra pugnalata per la sua solitudine. Tutti i sospetti vennero confermati quando il rumore di rotelle che scivolavano sul pavimento e lo stridio di una seggiola infransero l'aria.

Sentiva che qualcuno le stava sciogliendo la benda, qualcuno con mani che le davano una forte impressione di femminilità. Le dita la toccavano con una certa delicatezza, che gli uomini di solito non dimostravano. Un profumo di fiori le riempì i sensi e per un istante la portò di nuovo in mezzo al campo fiorito. Nell'oscurità, poteva immaginarsi di essere dovunque, e in quel momento non riusciva a immaginare un posto più tranquillo del loro prato.

Quando la barriera del tessuto si sollevò, le ci volle qualche secondo per mettere a fuoco la vista in quel forte contrasto. Guardandosi intorno, poteva dire di essere in un ufficio: il suo primo pensiero fu che fosse quello di Mitchell, finché non lo ebbe osservato meglio. Sapeva più di femminile, a parte l'odore di sigaro, ma allo stesso tempo aveva anche un'aria di professionalità. Sentì una mano carezzarle la testa, unghie lunghe che le scivolavano con gentilezza giù per i capelli. Somigliava tanto a quello che una madre avrebbe fatto per tranquillizzare il suo bambino. Seguendo la sensazione, alzò lo sguardo, per vedere un'alta donna dai capelli scuri che le sorrideva con indulgenza.

"E così saresti tu l'onnipotente strega, eh? A dir la verità, mi sembri un po' penosa."

"Come, scusi?" balbettò, cercando di capire con chi stesse parlando e perché, e quale parte del puzzle quella donna giocasse nella sua vita.

"E così saresti tu la grande Rinoa Heartilly... l'onnipotente Strega Heartilly. Quella che si è immischiata col Comandante del Garden di Balamb, figlio del presidente di Esthar?"

"Squall?"

La donna rise al suono di quel nome, e si appoggiò contro la scrivania, guardando Rinoa con disgusto. "Già, e chi altri... l'ho incontrato una volta, a me non è sembrato un granché, ma certo, se ti piace il tipo arrogante-egocentrico-bastardo..."

"Dove sono?" La voce della ragazza rispecchiava la confusione dei suoi pensieri. Strizzò gli occhi per mettere a fuoco la figura della donna di fronte a lei, e credette di notare una cosa... ma poi si chiese se non fossero stati solo i riflessi della luce.

La donna non rispose con molta tenerezza allo sguardo interrogativo della giovane strega. "Da parte dei cittadini di Deling City, ti do il benvenuto per i tuoi ultimi momenti su questa terra. Io sono Kimberley Thatch, il tuo rimpiazzo."

Quella frase la prese alla sprovvista, ma poi ricordò le parole che Mitchell le aveva detto prima. "Tu... tu sei quella a cui il Presidente vuole che passi i poteri?"

"Dio, me l'avevano detto che eri completamente deficiente." La donna dai capelli neri fissò irritata Rinoa. "No, io sono quella a cui saranno passati i tuoi poteri... c'è una certa differenza."

Visibilmente infuriata, la donna tornò dietro alla scrivania e tirò fuori una limetta. Emise un sospiro esasperato quando si accorse che Rinoa avevo lo sguardo fisso, e iniziò rabbiosamente a limarsi le unghie. Aveva indosso un vestito da sera color vinaccia, che si adattava con scioltezza alle sue curve e le sottolineava; era estremamente attraente e un'aura d'eleganza la circondava. Aveva i capelli scuri, molto simili a quelli di Rinoa, e c'era anche un'altra cosa... una cosa che risaltava più d'ogni altro tratto distintivo. Gli occhi di Rinoa non l'avevano ingannata poco prima...

"I tuoi capelli..."

La donna gettò spazientita la limetta sulla scrivania. "Sì, i miei capelli sono come erano i tuoi." Rimarcò la cosa indicando le due mechés più chiare che aveva su entrambi i lati della capigliatura. "Sai, signorina Heartilly, questa è in assoluto la cosa più bassa che io abbia mai fatto. Farmi due ciocche bionde... mi sembra di essere una battona da due soldi."

"Facciamo quel che ci tocca fare," disse Rinoa, aggiungendo una punta di malizia in quella frase. "Quindi stai facendo questo per ereditare i poteri, no?"

"Più o meno... gli uomini sono così ingenui, e il Presidente non fa eccezione. Lui ha visto in me solo quel che voleva vedere, mentre tu mi vedi un po' diversamente, no?"

"Come una puttana senza cuore?"

"Molto bene, Strega Heartilly, io imparo solo dal meglio che c'è." Kimberley si allungò a spostare a Rinoa i capelli dietro le orecchie. "Tu sei così giovane, sei stata così sconsiderata... avresti potuto diventare qualcuno, ma non era nel tuo destino. Per caso ti ricordi di me?"

Pensieri corsero nella mente di Rinoa, nel tentativo di trovare un posto alla donna che stava di fronte a lei. "Io... io... la festa a Deling, le foto..." Si sforzò immensamente di ripensare al passato, e poi quell'immagine apparve dal nulla. "Tu eri quella che mi chiese di fare uno scatto col presidente Mitchell alla festa... sei stata tu a mandare le foto a Squall."

"Esatto, e sono stata sempre io a scattare le foto di Jefferson e Lauren a letto insieme... che effetto ti fa sapere che il tuo fidanzatino non ti ha saputo distinguere in fotografia da una puttana presa a noleggio? Ti dice qualcosa, no?"

Voltò la testa per non rispondere alla domanda: nulla di ciò che avrebbe potuto dire sarebbe stato giusto. "Kimberley... il Presidente Mitchell non sa nulla di quello che stai progettando, vero?" La sua voce guadagnò una briciola di convinzione in più. "Tu stai pensando di tradirlo... non è così?"

E infine, Rinoa comprese una cosa... una cosa che adesso poteva costituire la sua unica salvezza. Questa donna non lo ama... e fa di tutto per diventare... me? Come ero una volta? Kimberley, Lauren... tutte e due somigliano a... Oh, mio Dio, la sua debolezza... sono io.

*~*~*~*~*

"Squall, mi senti? Squall rispondi..."

Zell sussurrava con energia nel microfono, ma la radio restava muta. Poi sentì che qualcuno gli dava uno schiaffo sulla nuca. "Ouch... Seifer, che diavolo?"

"Idiota, guarda che è in una stanza piena di gente. Silenzio radio vuol dire esattamente quello... silenzio e radio. Ti serve un dizionario?"

Zell alzò gli occhi al cielo, e avrebbe voluto ribattere con qualcosa di brillante, peccato che sapeva che Seifer aveva ragione. Ma comunque, il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di ammetterlo al suo avversario. Lasciando andare la testa contro il muro, si accovacciò sul pavimento, sconfitto. "Squall, capisco che non puoi rispondere. Volevo solo farti sapere che siamo dentro la Residenza, ora. Abbiamo pure delle armi parecchio potenti, un regalino da parte di due guardie che adesso stanno assolvendo alla fondamentale funzione di farsi cacare addosso dai piccioni. Alex è riuscita a lanciargli addosso una magia Stop e... ouch!?"

Seifer si piegò a togliergli di mano il microfono. "Zell, lo so che muori dalla voglia di raccontare del piccolo successo della tua ragazza, ma lascia perdere la cronaca. Semplice, devi farla semplice... credimi, il Comandante sentirà solo metà di quello che gli dici. In testa ha una sola persona in questo momento, e quella non sei tu. Lezione numero uno... falla breve."

"Squall, qui Seifer. Siamo dentro, ancora niente campo anti-magia, stiamo andando al secondo piano -molto probabilmente lei sarà nel suo ufficio." Seifer udì dall'altra parte dell'apparecchio un colpo di tosse simulato: era il modo di Squall per dire che aveva ricevuto il messaggio. Furono tutti sollevati di sapere che l'auricolare nascosto nei gemelli della giacca del comandante era in funzione, e non era stato confiscato dalla sicurezza galbadiana. Seifer restituì la radio all'esperto di arti marziali, indirizzandogli una specie di sorriso rassicurante.

"Senti, Zell, lo so che non ti piaccio e ti do pure ragione. Maledizione, neanch'io mi piaccio molto, ma credimi quando ti dico che... voglio che riusciamo a uscirne fuori tutti - incluso te. Quindi, pensa quello che vuoi, ma non c'è nessun altro che vorrei a combattere accanto a me tranne voi, ragazzi."

Dietro di loro, Alexandra e Quistis si scambiarono un'occhiata, anche se era una situazione difficile per entrambe. In qualche modo, adesso tutti avevano fiducia l'uno nell'altro, non importava cosa fosse successo nel passato. I problemi personali erano stati messi da parte, e gli amici potevano combattere al fianco dei nemici per un fine più alto.

Conoscendo la storia dei due, Quistis non si aspettava nessuna risposta da Zell: sapeva bene che l'ostilità e le offese duravano da più di vent'anni. E così fu sorpresa, e veramente umiliata, di vedere che l'esperto di arti marziali aveva messo la mano sulla spalla di Seifer dicendo "Vale anche per me." Non era il momento più poetico del mondo, o uno che la storia avrebbe ricordato, ma per la prima volta vide due rivali di lunga data fare ammenda. Qualche volta, nella vita di Quistis Trepe, erano le piccole cose a darle la forza di andare avanti... la speranza, la fiducia, e il sapere che in quel momento, e altre volte ancora, il bene vince... anche quando ha un mucchio di carte contro.

"Ragazzi, credo che dobbiamo proprio andarcene di qui." Alex sbirciò dalla fessura di una porta e fuori vide il riflesso di acciaio e uniformi blu. Non osò dire un'altra parola, le figure si stavano avvicinando alla loro posizione. Indicò una porta dal lato opposto della stanza; era ovvio che non sarebbero usciti dalla stessa parte da cui erano entrati.

I quattro coprirono di corsa la distanza. All'aspetto, la stanza sembrava essere usata per l'insegnamento, visto che c'erano parecchi banchi e sedie sparsi in giro. Mentre si dirigevano verso l'uscita, Quistis notò un piccolo registratore. Ricordava che molti dei suoi studenti, negli anni passati, ne usavano uno per registrare le varie lezioni. Dopo averlo sorpassato, tornò invece indietro; verificò che avesse all'interno la cassetta e poi se lo mise in tasca. L'istruttrice non era sicura di cosa le avesse fatto notare il registratore, né perché avesse rischiato preziosi secondi per andarlo a prendere; eppure l'aveva attirata come una calamita. Tornò di corsa dagli altri, che stavano davanti alla porta.

"È chiusa." Zell additò la porta, amareggiato. "E adesso? Sembra che la nostra operazione di salvataggio non stia andando proprio come previsto."

"Guarda," replicò Quistis con calma. "Ti ricordi la piantina? A quanto diceva, c'é un'altra via per salire all'ufficio di Mitchell."

Seifer scosse la testa. "No, questa porta non era sulla pianta." Indicò dall'altra parte della stanza, verso un'altra uscita in un angolo. "C'era quella."

"E allora questa qui che diavolo è?" sbottò Zell. "Con la fortuna che mi ritrovo, ci scommetto che è il gabbiotto dei bidelli. Prima di pietrificare le prossime guardie, prendiamogli le uniformi, così potremmo girare un po' più liberamente. Credetemi, ha funzionato l'ultima volta, alla base missilistica."

"Grazie, gallinaccio, avremmo potuto usare il tuo suggerimento dieci minuti fa." Seifer si grattò la nuca squadrando Quistis e Zell. "Mi sono sempre chiesto come aveste fatto a procurarvi quelle uniformi... è stato proprio niente male."

Senza nemmeno guardarsi, i due SeeD risposero all'unisono "Selphie."

"Ah... ora capisco."

"Gente..." Alex tirò Seifer per la manica del cappotto. "Capisco che state di nuovo rievocando i vostri ricordi, ma dobbiamo muoverci. Penso stiano per entrare."

"State indietro," ordinò Seifer. "Datemi solo un secondo."

La porta esterna cominciò ad aprirsi lentamente, e dall'altra parte si sentivano delle voci. "Dai." Seifer forzò il lucchetto e spinse dentro gli altri tre; si assicurò che fossero al sicuro dall'altra parte della porta prima di seguirli.

"Impressionante." Quistis inarcò un sopracciglio mentre l'uomo la spingeva dentro la stanza buia. "Immagino che non mi piacerebbe sapere dove hai imparato quest'utile arte."

"Direi di no," rispose Seifer, richiudendosi la porta alle spalle. "Questo sembrerebbe un corridoio, su, andiamo... non credo che torneremo indietro da quella parte."

Dalla tasca del suo cappotto, Seifer tirò fuori una piccola torcia elettrica, e usò il cono di luce per guidare gli altri per il resto del passaggio. Nessun chiarore filtrava dalle crepe dei muri, e il corridoio sembrava scavato nella roccia, con supporti di legno per ulteriore protezione. Apparentemente, sembrava non essere stato attraversato da diverso tempo, visto che Quistis, che camminava davanti, toglieva di continuo ragnatele.

"Che cos'è questo?" chiese Alex, mentre stringeva forte il braccio di Zell. "Perché tenere un passaggio come questo nella Residenza?"

"Ce ne sono in tutta Deling," rispose Quistis, senza mai mettere il piede in fallo né rallentare nel percorso oscuro. Si avvicinò a Seifer e gli prese la mano, e lui continuò a rimuovere le tracce degli anni di abbandono. Avrebbe potuto anche lasciargli la mano, ma trovava una certa rassicurazione nella sua presenza. E, a dire la verità, il buio non le era mai piaciuto molto... non che avrebbe ammesso una simile debolezza ad anima viva. Eppure quel giorno stava incontrando una forza che non aveva mai conosciuto prima. "Quando la città fu costruita, all'inizio, fu su un labirinto di fognature e canali. I fondatori avevano progettato di installare un sistema di metropolitane dentro ai tunnel, ma durante la Prima Guerra della Strega i lavori si fermarono. Allora i passaggi vennero usati come rifugi contro i bombardamenti e per contrabbandare merci illegali. Non sono sicura di come facciano ad arrivare fin dentro ai singoli edifici, c'era un'entrata anche nella villa di Caraway. La mia ipotesi è che molte delle strutture più grandi siano collegate."

"Adesso rimangono solo come un complesso di catacombe, e parecchi dei vagabondi della città stanno in questi budelli. Per molti è il posto dove sono nati, dove vivono, e dove muoiono," aggiunse Seifer.

Si sentiva addosso gli occhi di Quistis, e per un attimo girò la torcia nella sua direzione, e gli occhi azzurri di lei scintillarono come quelli di un gatto nell'oscurità. "Sì, ho detto che ho passato del tempo sottoterra... e lo intendevo letteralmente. Che altro posto dove andare poteva esserci? Ma non ti preoccupare, questo posto non fa parte del solito tour. Immagino che la Residenza sia isolata dal resto della città. Mitchell non è stupido, e non lo era nemmeno Vinzer Deling, sapevano di questi passaggi. Quindi, da qualsiasi parte finiremo, sarà dentro la Residenza e..."

La frase restò a metà quando l'uomo inciampò in una serie di scale che portavano verso l'alto. Si scontrò con un tonfo contro l'inaspettata struttura, e fece cadere la torcia. Quando si piegò per raccoglierla si girò a illuminare dietro di sé, per vedere le facce sorprese dei suoi compagni. "Mi sa che avrei dovuto stare un po' più attento, eh?"

Scuotendo la testa, Alex sussultò per il violento contrasto della luce, e nascose il capo nella spalla di Zell. "Sapete, non so proprio come facciate a fare le cose. Sono cinque giorni che sto con dei SeeD, e mi chiedo come siate riusciti a passare gli allenamenti base."

Sentì il suo compagno irrigidirsi per quelle parole. "Ehi, Alex," replicò Zell, cercando di essere più sensibile che poteva. "Devi capirci... è questo quello che facciamo noi. So che a te sembra che stiamo solo a bisticciarci, e in certi momenti è anche così. Ma, stanne sicura, quando si arriva ai fatti... noi vinceremo. Sono due anni che non provo una sensazione simile. Anche se non mi piace Seifer, persino io devo ammettere che è un sollievo più che gradito tornare alle vecchie schermaglie."

Nell'oscurità, Quistis sentì un braccio forte che le circondava la vita. Si arrese alla sua debolezza, posando il capo contro la spalla di Seifer. "Alexandra, non hai nessun motivo per ascoltarmi, o per credermi. Ma nessuno di noi ha dimenticato la serietà di questa missione. Nemmeno per un istante ci sono passati di mente Mitchell e l'inferno in terra che Rinoa sta passando. Ti giuro che ce la riprenderemo."

I quattro continuarono in silenzio la strada, salendo la scala a chiocciola. Raggiunsero un pianerottolo e un'altra porta chiusa, e Seifer usò di nuovo la sua abilità nel forzare il lucchetto; ma con soltanto la piccola luce della torcia, l'operazione si faceva più difficile.

Armeggiò parecchio, finché finalmente non sentì il click dentro il lucchetto che cedeva. Seifer dischiuse la porta lentamente, controllando che non ci fossero guardie dall'altra parte. Quando fu sicuro che fosse tutto a posto, aprì la porta. Gli occhi spalancati, incredulo, le uniche parole che riuscì a mormorare furono "oh mio Dio..."

*****
Note delle traduttrici: capitolo betato da Alessia Heartilly. Vi prego, come per il capitolo precedente, non fate spoiler di nessun tipo nelle recensioni a questo capitolo, sempre per il solito discorso. Questo significa: per favore non fate nomi! Se non per rispetto degli altri lettori, almeno per rispetto di Ashbear che s'è fatta un mazzo tanto per scrivere questa storia e ottenere certi effetti sorpresa! Nel caso vedessi recensioni spoiler, le farei cancellare, lo dico subito^^
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Citazione di apertura: da The Bivouac of the Dead, poema di Theodore O'Hara.
Nessun rumore di avanzamento del nemico
Si gonfia ora nel vento;
Nessun pensiero turbato perseguita la mezzanotte
Dei propri cari lasciati indietro;
Nessuna visione della battaglia di domani
Mette in allarme i sogni del guerriero;
Nessun corno sbraitante, nessun flauto urlante
All'alba chiamerà alle armi.
- Alessia Heartilly

   
 
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