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Autore: Tetide    05/10/2009    3 recensioni
Un mistero secolare e spaventoso si nasconde tra i monti della Transilvania; dipanarlo sarà compito di un gruppo di temerari giunti da lontano; ma, forse, più che l'oscuro nemico, i nostri dovrebbero temere di più i propri fantasmi personali... Si troveranno così a combattere su due fronti!
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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NEMESIS NEMESIS

I boschi, in quella regione del Paese, erano tanto cupi, da apparire quasi impenetrabili alla luce; o forse, era la fioca luce dell’ora che precede il tramonto a conferire loro quell’aspetto.
Sfumato l’effetto del vino, sul gruppo era calata una cappa di apatia, quella stessa apatia che ci prende quando ci domandiamo all’improvviso cosa ci ha spinto a fare ciò che stiamo facendo, e ci accorgiamo che la nostra scelta non ha poi avuto molto senso.
Seduta, più addosso che accanto, a Patrice Tavernier, Edith sorrideva beata; dal suo posto, Jeudi la guardava, invidiandola: Lundi era troppo assorto nella lettura di un libro per curarsi delle sue malinconie; si volse allora indietro, a guardare Leonhard, e le apparve bellissimo, come sempre, con quegli occhi viola grandissimi immersi nel nulla sempre uguale del paesaggio.
Fu solo in quel momento, che si decise a dare un’occhiata anche lei al paesaggio: le pinete si erano infittite, e già da un po’ stavano inerpicandosi su una montagna; ma Jean-Jacques sapeva bene quel che faceva: il suo atteggiamento di sicurezza era la garanzia di tutti loro.
Il pulmino proseguiva la sua strada, ed ora che stava calando la notte sembrava procedere in mezzo a montagne scure come alte onde di un mare in tempesta; non si vedevano luci, nemmeno in lontananza: il senso di solitudine si andava facendo sempre più intenso.
Ognuno di loro era immerso nei propri pensieri: Leòn soffriva di un muto senso di colpa nei confronti di Lundi, Jeudi affogava nella sua solitudine e nello struggente desiderio di Leonhard, Lundi, bloccato dalla sua impacciataggine, teneva dentro di sé tutte le parole che avrebbe voluto dire alla fidanzata.
Perché, perché non riesco a dimostrarle quanto l’amo? E perché lei non riesce a leggerlo nei miei sguardi? Da quella mattina a Riccione, dormiamo come due estranei, parliamo lo stretto indispensabile perché dobbiamo dividere la stessa camera,  non ci guardiamo neppure. Cosa siamo diventati, Jeudi?
“Guardate!” esclamò ad un tratto Edith “Guardate lassù!”.
La donna stava indicando un grappolo di luci lontane, perse nell’amaranto scuro del tramonto, che scomparivano ad ogni curva del percorso per poi ricomparire dietro la curva successiva.
A ben vedere, Edith e Patrice erano i soli davvero felici, e che pertanto avrebbero ricordato quel viaggio a lungo, e con piacere: superate le reciproche resistenze iniziali, entrambi avevano trovato l’amore, dopo anni di scelte sbagliate e di errori. Quanto a Liesel e Johann, si stavano annoiando sul serio.
“Che c’è lassù, Jean?” fece Patrice,
“Il vostro albergo!” rispose quello,
“Così sperduto? Ma non c’era posto nella città più vicina?”.
Il medico rise “Certo che c’era, ma vi avrebbe allontanato di molto dal percorso; e poi, questo è un posto speciale, vedrete!”.
Se ne accorsero quando giunsero davanti all’edificio, una grande costruzione di pietra dipinta di intonaco bianco, che nelle intenzioni voleva riprodurre un castello medievale; ma si vedeva chiaramente che era nuovo di zecca.
“Che roba è?”, chiese Lundi, sceso dal pulmino, a Piquet, che stava scaricando i bagagli; l’altro rispose: “Investimento degli Inglesi: dopo tutto, il romanzo “Dracula” è nato in terra loro, no?”.
Si avviarono all’ingresso, ed arrivati sulla porta, si fermarono, tutti a bocca spalancata.
Sul portone, campeggiava infatti la scritta “CASTELUL DRACULA”.
“Ed ecco la sorpresa che vi avevo promesso: ricalca, almeno nelle forme, il castello del romanzo; dentro, c’è perfino un’antica cripta ricostruita, con un attore che impersona Dracula; ma la parte più interessante, a mio avviso, è quella folcloristica!”.
Salirono. La scala era stretta e tortuosa, proprio come quella di un castello vero; mentre saliva, Jeudi si sentiva sempre più oppressa da un senso di dolore, di perdita.
Che mi succede? Non mi starò facendo influenzare da questa sorta di teatro vivente? E’ solo una ricostruzione! No, non è questo. E’ piuttosto la sensazione che stia per succedermi qualcosa di molto brutto, ma cosa?
Si guardò in giro, sperando di vedere gli spettri dei genitori, pronti a darle un’indicazione; ma restò delusa, non vedendo niente. Sospirò, e riprese a salire.
I suoi compagni di viaggio l’avevano già distanziata di un bel po’; affrettò il passo su per le scale; ad una curva della tortuosa scala, da una feritoia, poté vedere l’ultimo spicchio del sole che tramontava; ma non era un tramonto romantico: non aveva nulla di struggente; era piuttosto sinistro, con quel rosso che inondava un cielo scuro come la paura, e quell’ultimo spicchio di sole che sembrava lo sguardo di una persona morente: un grido silenzioso, un tramonto di sangue.
E quella che la aspettava l’indomani, forse, era un’alba di sangue.

Giunse nel salone principale, raggiungendo gli altri; Tavernier stava già distribuendo le chiavi, come al solito.
“… Aschenbach, stanza 25; Wolfgang, stanza 23; Edith tu sei alla 21; Brendell e Cortot, alla 26. La mia stanza è la 20. Va bene, andiamo. La cena è di là, tra mezz’ora. Siate puntuali, mi raccomando”.
“Anche perché non potete assolutamente perdervi lo spettacolo di stasera” aggiunse Jean “e poi, dulcis in fundo, faremo tutti un bel giro nella tomba del conte Dracula!” rise.

Jeudi aprì la porta, mentre Lundi reggeva le valigie. Entrò ed accese la luce.
“Non c’è male! Si vede che qui c’è passato capitale straniero!”, fece poi, indicando la stanza al compagno.(1)
La stanza, sebbene molto spoglia, era arredata con gusto: due lettini separati, appoggiati a due pareti diverse, ciascuno con una spalliera in legno a formare un angolo; la spalliera era decorata da motivi di stampo medievale, racemi marroni su fondo verde scuro; lungo il lato più lungo, stava appesa sul letto una piccola lampada da notte, in forma di torcia di ferro battuto con fiamma libera.
“Beh, a quanto pare stanotte ci hanno separati…” osservava distrattamente Jeudi,
“E a te la cosa non dispiace, vero?” Lundi la guardò intensamente.
Jeudi atteggiò il viso ad una smorfia di stanca rassegnazione “Non perdi occasione per litigare, tu!”.
L’uomo tirò un sospiro e si sedette su uno dei due letti, quello vicino alla finestra.
“Ascolta, Jeudi: mi dispiace per quanto è successo tra noi; mi dispiace di averti detto quelle cose; ma, ti prego, non continuare a tenermi su il muso: è da Riccione che mi tratti così!”.
Lei abbassò gli occhi “Ti rendi conto che siamo diventati due estranei?”,
“Sì, me ne rendo perfettamente conto, ma non è stato per colpa mia: io ti amo, Jeudi”,
“Ah, non è stata colpa tua? Allora sarebbe colpa mia? Certo, è colpa mia, se tu ti sei convinto che io sia ormai un qualcosa che ti appartiene, e che niente e nessuno potrà mai portarti via!”,
“Jeudi… ascolta, lo so che ho sbagliato. E so anche che quella Matilda ha iniziato a distruggere il nostro rapporto: non avrei mai dovuto permetterlo, mai! Ma ti prometto che, al nostro ritorno, le cose cambieranno. Però, per favore, almeno per la durata del viaggio, interrompiamo le ostilità!”.
Jeudi sospirò, intrecciando le braccia “Le cose cambieranno? Non ti credo affatto, Lundi. Tu sei convinto che io debba stare con te perché debbo stare con te; è una cosa che dài per scontata, e niente e nessuno te lo potrebbe togliere dalla testa; in quanto tale, continuerai a comportarti come hai fatto sinora. Persino quella Matilda faceva parte di questo tuo indolente modo di agire: eri convinto che, anche tradendomi con lei, io non ti avrei mai lasciato, proprio perché, ormai, dovevo stare con te! Lei non è stata la causa della fine del nostro rapporto; semmai, è stato il colpo di grazia”.
Lundi scattò in piedi “Cosa vuoi dire con “la fine del nostro rapporto”? Intendi dire che il nostro rapporto è finito? Vuoi lasciarmi, una volta tornati a casa?”,
“Non lo so, Lundi. Non so più che cosa voglio. Ho le idee molto confuse, ultimamente”,
“Immagino chi te le stia confondendo!” fece l’uomo con aria severa. Ma Jeudi fece finta di non aver inteso “Non so di che parli. Vogliamo scendere a cena? E’ tardi, gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti”. Così dicendo, prese la porta ed uscì.
Lundi rimase solo nella stanza “Non vede l’ora di correre da lui, si capisce!”, fece, i pugni stretti, impotente.

Il grande salone aveva un aspetto accogliente e festoso; i tavoli erano imbanditi nei toni del verde, gli stessi colori delle divise tradizionali dei camerieri; in un angolo, stava un piccolo complesso folcloristico, anche loro con indosso i costumi tradizionali della regione; il suono dei loro strumenti che venivano accordati si alzava appena dal sottofondo di voci e risa.
Il gruppo era stato sistemato in un angolo, al riparo dalla confusione e dal viavai dei camerieri in mezzo alla sala; anche fra loro c’era un’ilarità palpabile.
Tavernier era particolarmente su di giri, e continuava a raccontare barzellette, fermandosi solo, di tanto in tanto per avvolgere Edith in un appassionato bacio: oramai, il loro legame era noto a tutti, nel gruppo, e non avevano più motivo di tenerlo nascosto.
Jeudi li guardava sospirando, piena di amarezza.
E’ finita, Lundi. Al nostro ritorno a Ginevra, me ne andrò da casa, che Leòn mi voglia con sé oppure no. Non ti amo più: mi hai ferito troppo, quel giorno. Vai pure da lei, se ti vorrà ancora!
Lundi, come al solito, si era seduto accanto a Johann per fare due chiacchere, lontano da lei. Leonhard, invece, le sedeva accanto, e le teneva la mano, sorridendole.
Fu servita la cena: degli strani salsicciotti, sorta di wurstel dalla forma irregolare e tozzi, fatti di carne di manzo e di coniglio, accompagnati da vino. E, naturalmente, dall’allegra musica del gruppo folcloristico.
La sala si era riempita di battiti di mani a tempo e di canti: c’era davvero una grande allegria; l’ambiente era festoso, molto diverso dalle precedenti tappe. Si unirono anche loro alla sala, battendo le mani.
Al termine della cena, Piquet li condusse in un corridoio laterale, accompagnato da una delle cameriere; il corridoio era assai buio, e da lì partiva una scala.
“Scendiamo nella tomba di Dracula! Allora, siete pronti?”.
Un coro di approvazioni seguì le parole del medico; iniziarono a scendere tutti, ad eccezione di Edith e Patrice che si appartarono in un angolo per darsi un appassionato, lungo bacio.
“Si vede che questo posto li eccita!” disse Liesel all’orecchio di Jeudi “Certo, non capisco come facciano a fare del petting in un posto simile: guarda, lui le ha messo una mano tra le gambe!”,
“Liesel, andiamo!” Jeudi la tirò per un braccio.
Arrivarono in fondo: era un ambiente piccolo e semibuio, con le pareti coperte di ritratti di Dracula ed una piccola bara al centro; era un teatrino vistosamente artefatto.
La cameriera disse alcune parole, subito tradotte dal dottore; poi fece per aprire la finta bara, ed immediatamente ne sbucò fuori un altrettanto finto Dracula, troppo giovane e magro per impersonare il conte; da sotto alla parrucca nera, sbucavano ciuffi di capelli biondi; gli occhi azzurri stridevano con i bianchi canini di plastica.
Scese dalla bara, avvicinandosi ai presenti e facendo qualche smorfia, che più che paurosa, era divertente; tutti risero, divertiti, e poi fecero una bella foto di gruppo col “vampiro”.
Ritornati di sopra, videro Edith e Patrice che si scambiavano coccole seduti su uno dei divani della reception; lei appariva rilassata e felice.
Beata lei!, pensò Jeudi.
“Signori, se non avete ancora sonno, vogliamo scendere giù nel cortile?”, Jean si stava rivolgendo proprio alla coppia “Il meglio inizia adesso!”.
Tutti scesero.
Jeudi rimase senza parole: il cortile, che poche ore prima aveva visto spoglio e deserto, quasi spettrale, era adesso pieno di gente fino all’inverosimile. Tutti, o quasi, portavano quegli stessi costumi che aveva visti a cena; c’era un’allegria incredibile.
Si fece contagiare da quell’allegria, dimenticando il suo litigio con Lundi e l’amarezza che ne era seguita.
Allungò il passo, appendendosi al braccio di Leòn. Attraversarono il cortile, arrivando nel parcheggio: le vetture, tra cui il loro pulmino, erano state sgombrate per far posto ad un immenso falò, tanto grande che il suo calore riscaldava quella gelida notte dell’Est, e scintille di fuoco salivano, guizzando, verso il cielo, quasi volessero salutare le stelle lontane.
Jeudi guardò verso il cielo, e si meravigliò di quante stelle ci fossero in quella notte, che fino a poco prima le era sembrata tanto spettrale.
L’allegria continuava; in un angolo, il solito gruppo folcloristico stava suonando, con strumenti pittoreschi, strane musiche di tempi lontani; i camerieri passavano tra la folla, con vassoi colmi di quegli strani salsicciotti serviti a cena, e bicchieri di punch bollente.
Fu allora che, finalmente, Jeudi si rilassò. E sorrise.
Si appoggiò beatamente al braccio di Leòn; non sapeva dove fosse Lundi, e non le importava: c’erano solo loro due, quella notte.
Anche lui la abbracciò, e le sussurrò parole d’amore all’orecchio.
“Vieni da me, stanotte”.
Lei gli sorrise, stringendoglisi di più al braccio e socchiudendo gli occhi; poi, li riaprì, e guardò verso l’alto, osservando le scintille salire verso il cielo lontano di quella notte incantata.
Rimasero così per un tempo infinito.(2)
Lontano, alle loro orecchie, giungeva il clamore della festa.

Più tardi, quando furono nelle rispettive camere, Jeudi si rigirava nel letto.
Attendeva che Lundi prendesse sonno; si alzò e gli si avvicinò: sembrava dormire. Allora prese la chiave, aprì la porta ed uscì, diretta alla camera di Leonhard.
Ad ogni passo, sentiva il cuore scoppiarle sempre più forte dentro al petto.
Arrivò davanti alla porta e rimase ferma, non riuscendo a bussare; la sua mano era alzata a mezz’aria.
Un ultimo pensiero ancora, rivolto a Lundi.
L’ultimo rimpianto.
Poi, la mano si abbassò sul legno della porta.
Poco dopo, la porta si aprì; e con essa, anche il cuore di Jeudi.
E si richiuse, dietro di lei.

Lundi, in realtà, non dormiva affatto.
Aveva solo finto di dormire, per permettere alla ragazza di allontanarsi dalla camera.
Sapeva perfettamente dove sarebbe andata. E sapeva anche che lui non avrebbe fatto nulla per fermarla.
La amava, e voleva che fosse felice. Anche se questo avrebbe significato perderla.
Non sono in grado di amarti. Non io. Non sono uomo quanto lui. Perdonami, amore mio!
E pianse lacrime amare, la faccia premuta contro il cuscino.

Alle prime luci dell’alba, Jeudi rientrò in camera. La stanza era avvolta nella penombra; si sdraiò nel letto, e si perse nei ricordi appena nati.
Leonhard l’aveva amata con una passione indicibile, e lei l’aveva ricambiato con altrettanto slancio: era innegabile che fossero fatti l’uno per l’altra!
Mai, nella sua vita, si era sentita così protetta ed amata! Perché, perché non c’era lui al posto di Lundi? Perché a Lundi doveva spettare il ruolo di compagno ufficiale, mentre lui era e restava “l’altro uomo”?
E’ lui l’altra metà di me stessa: solo con lui mi sento completa, amata, felice! Ti amo, Leonhard! Ti amo, ti amo, ti amo: sono pazza di te!
E’ assieme a te che voglio vedere il mio futuro; Lundi per me è un caro amico, un fratello, e basta; è te che amo!
Io e te che siamo la stessa cosa, faremo insieme la nostra casa!(3)
Le lacrime presero a scenderle giù per le guance, brucianti.
Aveva scoperto i suoi veri sentimenti da poco, ma Leonhard la ricambiava. Ma come poteva distruggere così il cuore di Lundi? Lei che amava, e che sapeva cosa significasse amare, non avrebbe mai potuto infliggere un dolore simile ad un altro cuore innamorato! La sera prima, per un fugace attimo, aveva creduto di poterlo fare, ma ora…
Cosa devo fare, papà? Aiutami, aiutami, ti prego!!!
Vide comparire ai piedi del suo letto la solita luce azzurrognola; poi vide il padre che le sorrideva dall’Eternità.
La figura avanzò verso di lei, fino a sedersi sulla sponda del letto; fece per accarezzarle il viso.
“Non piangere, bambina mia. Anche se adesso non ci puoi credere, tutto si sistemerà per il meglio; il tuo cuore sarà felice. E’ del pericolo che incombe su di te che devi preoccuparti, piuttosto!”.
Lei girò il viso inondato di lacrime verso lo spettro “Papà, ma… c’è Lundi…”,
“Devi seguire la voce del tuo cuore, sempre e comunque. Diversamente, renderesti infelici tutti e due!”,
“Sempre e comunque” ripeté Jeudi “sempre e comunque, sempre e comunque…”.
Il fantasma si alzò, svanendo lentamente.
Con quelle parole sulle labbra ridotte ormai ad un sussurro, si addormentò.
Per svegliarsi poche ore dopo.
A colazione erano tutti parecchio abbattuti dalla stanchezza, persino l’appagatissima Edith; sedevano rimescolando meccanicamente i cucchiai nelle tazze, sbadigliando; oppure fumavano, gli occhi socchiusi.
Dammi solo un minuto, un soffio di fiato, un attimo ancora…(4)”, canticchiava sommessamente Edith,
“Beata te, che hai voglia di cantare!” le faceva eco Jeudi,
“Stavo solo ricordando il concerto dei Pooh… e poi, questa è la frase che avrei voluto dire a Patrice, quando, stamattina, è venuto a svegliarmi, bussando alla porta della mia stanza!”,
“Tu sei riuscita a dormire?”,
“Io sì, e tu?”,
“Molto poco. Oh, Edith, non ce la faccio più! Devo parlarne con qualcuno, o scoppio!”.
L’amica si dispose ad ascoltarla.
“Lo amo… e lui ama me! Ma Lundi…”.
Edith la guardava con fare interrogativo.
“Leonhard Aschenbach. Me lo avevi detto tu, ricordi, che una storia stava per cominciare per me, no?”,
“Lo avevo intuito”, abbassò lo sguardo sulla sua tazza, svogliatamente.
Jeudi riprese “Abbiamo fatto l’amore. Due volte”,
“E Lundi lo sa?”,
“Credo di no. Stava dormendo”,
“Ti sei andata a ficcare in un bel casino, bella mia!”,
“Tu cosa faresti, al mio posto?”,
“Gli direi ogni cosa, e romperei subito con lui, se è Leonhard che ami!”, la ragazza si alzò, andando incontro a Tavernier che entrava. I due si abbracciarono e si baciarono appassionatamente.
Jeudi li guardò, un sorriso malinconico sul viso; quanto li invidiava!

“O.K. Stiamo per arrivare a Shigsoara” fece Jean-Jacques “è la città natale di Dracula, sapete?”.
Nessuno, sul pulmino, gli aveva prestato la minima attenzione.
Johann e Liesel avevano dormito dalla partenza, Patrice ed Edith avevano continuato ad esaminare una carta stradale, Jeudi era persa nei suoi pensieri come Leòn, e Lundi fingeva di leggere un libro.
Il pulmino raggiunse quello che sembrava essere un parcheggio; rivolgendo lo sguardo verso l’alto, si vedevano delle possenti mura, inframmezzate da torri: il tutto aveva un aspetto molto ben curato. Camminando lungo la via che entrava nell’antico centro storico, potettero accorgersi che l’ambiente era molto diverso dalle cittadine che avevano visitato nei giorni passati: sebbene permanesse la stessa povertà, infatti, le strade e le facciate delle case erano pulite; queste ultime, anzi, presentavano intonaci colorati che, assieme ai fiori alle finestre, conferivano al tutto un’aria di allegria; numerosi bar e locali si aprivano lungo le stradine, ed in essi ferveva l’attività di camerieri e clienti che prendevano posto; un gran numero di turisti affollava le strade.
Risalirono lungo le viuzze che portavano alla torre dell’orologio, dove avevano appuntamento con il dottor Du Bois, il corrispondente di Tavernier, che li avrebbe istruiti sugli unici due casi di morte sospetta avvenuti in quella città.
Era una bella giornata di sole; i nostri otto temerari raggiunsero la piazza principale dell’antico centro storico.
“Quella è la casa natale di Dracula” fece Patrice, indicando un grazioso edificio a due piani intonacato di giallo, di stile medievale; al pianterreno, stava un piccolo ristorante all’aperto, con una sagoma un po’ ridicola del famoso conte vampiro.
“Bene arrivati!”, una voce li fece girare di scatto.
Era il dottor Du Bois, un uomo sui settant’anni, con occhiali e cappello a bombetta; il suo sguardo aveva un che di serioso ed intenso insieme.
Tese la mano a Tavernier “Venite pure nel mio studio, vi mostrerò il materiale di cui sono in possesso”.
Di nuovo, si rimisero in cammino per le viuzze della città.
L’uomo che li guidava si fermò davanti ad un’antica torre; estrasse dalla tasca un mazzo di chiavi con cui aprì un portone, ed invitò gli altri a seguirlo su per le scale.
“Prego!” fece, spalancando il portone su una scala ripida.
Mentre salivano, Jeudi si accorse di quanto stretta e tortuosa fosse quella scala; ed inoltre, non finiva mai: era una spirale continua, faceva mancare l’aria. Non le sembrò vero di arrivare in cima(5).
“Accomodatevi pure, signori” indicò loro dei divani, dove si sedettero tutti.
Jeudi si sedette accanto a Piquet “Scusi dottore, ma chi è quello?”,
“Un altro Francese trapiantato, come me. E’ uno spiritista. Lui ed il vostro capogruppo, a quanto mi è stato detto, si sono conosciuti alcuni anni fa; Patrice aveva avuto una storia con la sorella di Du Bois, Françoise mi pare si chiamasse, e per un certo tempo avevano abitato tutti e tre qui, a Shigsoara; poi, la storia tra i due si era esaurita, e Patrice era ritornato a Ginevra; ma non ha mai interrotto i contatti con lui”;
Jeudi stava guardando Edith, pensierosa “E la sorella è qui, ora?”.
Jean-Jacques lesse nei suoi pensieri “No, non devi preoccuparti di quello” rise “lei, ora, vive e lavora a Bucarest, dove ho sentito dire che si è anche sposata. L’aveva presa molto male, a quanto ne so”, aggiunse poi, riferendosi alla separazione da Tavernier.
Jeudi guardò il suo ex-professore, indispettita: possibile che avesse fatto una carneficina simile tra i cuori femminili? E di che ti stupisci, Jeudi? Per un certo tempo, ci eri cascata anche tu!, si disse.
Osservò l’oggetto dei suoi pensieri, ora intento a scambiarsi tenerezze con Edith “Speriamo che abbia messo la testa a posto” sospirò “certo è che così preso non lo avevo mai visto!”.
Poco dopo, Du Bois rientrò, tenendo uno scatolone tra le mani.
Lo depose su di una scrivania e lo aprì. “Qui c’è tutto quello che può interessarvi: riguarda il vampiro”.
Aprì la scatola, iniziando a tirarne fuori gli oggetti, mentre gli altri gli si facevano intorno.
Sulla scrivania comparvero diverse boccette piene di campioni di chissà cosa, alcuni pezzi di stoffa e quello che sembrava un referto.
Edith prese in mano una delle boccette “Che roba è?” disse,
“Quello lì è un campione di unghia ritrovato sullo stesso luogo dove si trovava il cadavere; vi sono annessi alcuni frammenti di pelle”.
Edith guardò meglio “Sì, l’unghia la vedo… ma questi pezzettini qua… sembrano carta bruciata. Non può essere pelle umana!”,
“Invece lo è, dottoressa”, Du Bois le prese di mano la boccetta “solo che, dopo una ventina d’anni non può essere ancora giovane e fresca, non crede?”,
“E l’unghia?” s’intromise Tavernier,
“Quella, come vedete, è intatta. Con tutta probabilità, apparteneva al vampiro”.
Leonhard prese un’altra boccetta in mano “Cos’è questo? Sembra sangue!”,
“Lo è!” fece Du Bois “Anche quello è del vampiro, ed è ancora fresco”,
“Chi ha refertato il ritrovamento, dottore?”, Liesel lo fissava.
“Se mi date un attimo, vi dirò tutto”, rispose l’uomo sedendosi alla scrivania. Poi iniziò:
“Dunque,” si sistemò gli occhiali sul naso “circa vent’anni fa, due ragazzini sparirono nel nulla in una notte d’autunno; la sorella, preoccupata, si diede a cercarli per giorni e giorni, finché non sparì anche lei. Ed il brutto è che i due ragazzini vennero ritrovati, un paio di giorni dopo, in un vecchio casolare dove si erano nascosti per fare una bravata; la ragazza, invece, non venne più ritrovata. Viva, almeno.
Poi, mesi dopo, scavando in un campo che aveva da poco acquistato, una coppia di contadini ritrovò uno scheletro, con brandelli di abiti ancora addosso; vicino al cadavere si trovarono tracce di sangue, che al contrario dello scheletro sembrava essere fresco, e resti di tessuti umani, tra cui quell’unghia. Furono portati tutti al laboratorio, ed analizzati. Ah, alle analisi erano presenti anche due sacerdoti, i quali, mandarono letteralmente in polvere alcuni pezzi di stoffa ritrovati sul terreno, quando li toccarono con una croce.
Ora, la gente si ricordava bene che, nei giorni della sparizione della ragazza, era stato visto aggirarsi in città uno strano tipo, uno straniero con capelli bianchi incolti ed occhi lucidi da matto”,
“Il calzolaio!” esclamarono all’unisono Jeudi e Lundi,
“E c’è dell’altro: nei giorni che avevano immediatamente preceduto la scomparsa della ragazza, alcune persone del posto avevano accusato strani sintomi”,
“Tipo?” fece Tavernier,
“Smania febbrile senza avere la febbre, incubi ricorrenti; alcuni lamentavano anche una debolezza estrema e mancanza totale di appetito. Ma ci fu anche chi disse di avere avuto delle allucinazioni: raccontò di aver avuto l’impressione che due lunghi aghi gli penetrassero simultaneamente nel collo, all’inizio causando dolore e senso di oppressione, ma poi, il dolore si tramutava sempre più in torpore, e faceva cadere in un sonno innaturale. Al risveglio, la vittima era priva di forze e tormentata da dolori alla testa”,
“Chi sono queste persone? Potremmo parlare con loro?”, Tavernier era tutt’orecchi,
“Con la vittima delle allucinazioni no: era un povero vecchio malato, e morì poco dopo. Degli altri, non è rimasto quasi nessuno, ad eccezione di una contadina, che adesso è mezza rimbambita (qui la conosciamo bene). E poi, sarebbe inutile, non vi potrebbero dire nulla di più di quanto vi ho detto io”.
Patrice rifletteva, il mento poggiato su una mano; Edith gli si avvicinò “Amore… cosa c’è?”,
“Ecco… stavo pensando… le prime sparizioni risalgono a circa cinquant’anni fa… qui, invece, l’episodio si è verificato una ventina di anni fa… mi sa dire l’anno esatto, dottore?”,
“Certamente: era il 1981”,
“Sono più di vent’anni, quasi trenta… ed i casi di Brasov sono recenti, risalgono a pochi mesi fa… è come se il vampiro avesse bisogno di nutrirsi ogni trent’anni circa; ma, dato il lungo lasso di tempo a digiuno, una sola vittima non gli basta…”.
Edith gli poggiò la testa su una spalla; lui le accarezzò i capelli “Non temere, a Brasov dormiamo insieme. Tanto, ormai non dobbiamo più nasconderci!”.
Per tutto il tempo, Jeudi se ne era rimasta muta, in un angolo.
Perché aveva sentito emanare da quegli oggetti inanimati un fortissimo senso di malvagità, di minaccia.
Un’ombra che la guardava da un luogo ed un tempo indefiniti, eppure sempre presenti… un destino che l’attendeva al varco? Ma dove? E perché solo lei? Le sembrò quasi di udire una lontana risata stridula, querula come il gracchìo di un uccello.
La sua nemesi.
Un brivido ghiacciato le percorse la schiena, come se… qualcosa di gelido l’avesse toccata! Le mancò il fiato, e si alzò di scatto, per ricadere giù immediatamente dopo.
“Jeudi! Cos’hai?” Lundi l’aveva vista, ma il primo a sorreggerla, come al solito, era stato Leòn.
“Va meglio, adesso?” le chiese. Lei alzò gli occhi fino ad incontrare quelli di lui “Ho paura… di nuovo… stammi vicino, ti prego!” gli sussurrò all’orecchio.


Poco dopo, salutato il dottor Du Bois, tutti erano sulla via per il parcheggio.
“Che ne dite se ci fermiamo a mangiare qualcosa lì?”, Jean aveva indicato il ristorante nella casa di Dracula,
“Per ritrovarci a bere un altro vino color del sangue? No, grazie!” rise Patrice, cingendo Edith con un braccio.
“Io un pò di sete l’avrei!” fece Johann “Entriamo almeno a prenderci un gelato! Siamo sempre così di corsa!”.
L’idea fu approvata.
Entrarono, e si sedettero tutti ad un tavolo.
C’era allegria; seduta vicino a Lundi, adesso Jeudi si sentiva un po’ meglio.
“Sicura che non vuoi niente?” le stava chiedendo lui,
“No, tranquillo!”.
“MA GUARDA CHI SI VEDE!!!”.
Una voce alta e querula dietro a loro li fece voltare di botto.
Lundi scattò in piedi “Matilda?!? Ma che ci fai tu qui?”,
“Vacanza, mio caro!” la nuova venuta lo aveva preso per la mano che lui le aveva tesa, e gli si era avvicinata, baciandolo sonoramente su di una guancia “Mio zio Armand ha acquistato un vecchio castello, e l’ha riadattato. Sapete che dicono fosse il castello del conte Dracula(6)? Ciao, Jeudi”,
“Lundi, non ci presenti la tua amica?”, al sentire nominare il castello di Dracula, Patrice Tavernier era scattato in piedi,
“Naturalmente. Signori, questa è Matilda Troncan, una mia ex-collega dei tempi dell’università. Prego, Matilda, accomodati pure con noi!”.
Dopo che Lundi ebbe fatte le presentazioni, Matilda attaccò a parlare, cercando di guadagnare subito il centro dell’attenzione con i suoi modi da civetta e la sua voce che squittiva.
“Il “castello di Dracula”, in realtà, non è mai appartenuto alla famiglia Dracula: era un avamposto di frontiera in origine, e passò in mani reali, poi”, spiegava Patrice
“Però è conosciuto come “castello di Dracula” da molto tempo”,
“Quella è una conseguenza della diffusione del romanzo omonimo. Lei si lascia suggestionare un po’ troppo, signorina”,
“Perché, lei no?”,
“Da studioso qual sono, non potrei mai!”,
“E come mai siete qui, se è lecito?”,
“Stiamo conducendo delle ricerche, signorina”, Tavernier la guardava senza sorridere,
“Davvero? E su cosa?”,
“Sull’attività di un presunto vampiro”,
“Davveeeero? Che fortuna! Allora mio zio potrà senza dubbio aiutarvi: sapete, vive qui da alcuni anni, e di questi posti conosce tutto, proprio tutto!”,
“Molto gentile da parte sua, signorina. Ma suo zio è anche lui d’accordo?”,
“Ma certo! Anzi, perché non venite nel nostro castello, visto che sapete già dove si trova? Sareste nostri ospiti!”,
“La ringrazio davvero, anche a nome dei miei colleghi, ma abbiamo le stanze prenotate in albergo a Brasov”,
“Insisto. Sarebbe un piacere”,
“Le prometto, però, che verremo a farvi visita”,
“Beeeene! Mio zio sarà contento, davvero!”.
Matilda si aggrappò spudoratamente al braccio di Lundi, ignorando la presenza di Jeudi “Così mi racconterai un po’ di cose, caro! E’ da tanto che non ci vediamo!”.
Lanciò un’occhiata maligna a Jeudi, che la contraccambiò con uno sguardo glaciale.
“Quella non mi piace neanche un po’!” stava dicendo Patrice all’orecchio di Edith,
“Neanche a me. Ma se suo zio può aiutarci, sarebbe una gran cosa per noi: è qui da più tempo di noi, e conosce molte più cose. Magari, è stato anche testimone dei ritrovamenti, chissà!”,
“Bah! Vedremo!”, concluse lui.

Più tardi, Matilda li riaccompagnò al pulmino.
“Peccato che non possa portarvi tutti sulla macchina di mio zio: ha l’autista, sapete!”, diceva.
Per tutto il tempo, al ristorante prima e lungo la strada poi, non aveva fatto altro che stare appiccicata a Lundi, il quale, per contro, mostrava chiari segni di insofferenza e cercava di continuo lo sguardo di Jeudi, in una muta richiesta di aiuto; ma lei, per reazione, si era aggrappata al braccio di Leonhard, e continuava a fingersi molto interessata alla conversazione che lui aveva intavolata con Patrice ed Edith.
“Ci vediamo a Brasov, allora!” li salutò alzando una mano, mentre il pulmino ripartiva.
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(1)Durante quel viaggio, quello è stato l’albergo migliore, il solo davvero elegante e dotato di tutti i confort
(2)A parte i personaggi e le loro vicende, tutto ciò che avete letto è stata mia esperienza personale (compreso il tramonto di sangue!!!). Che ve ne pare della “tomba di Dracula”? Personalmente, ho preferito la serata folcloristica, molto meno “costruita”!    
(3)Credits: L’altra donna, Pooh
(4)Credits: Dammi solo un minuto, Pooh
(5)Questa della torre me la sono inventata, ricordando un’alta torre della cinta muraria della città, e l’interno di altre torri che, al contrario di quella, ho realmente visitato
(6)Il castello, in realtà, è proprietà statale, e non è abitato: è un museo

E rieccomi con voi! Scusate il ritardo nell'aggiornare, ma ho avuto una settimana molto pesante. Che ve ne pare di questo capitolo? La cittadina di Shigsoara è forse la più bella tra tutte quelle che ho avuto modo di visitare in Romania: se andate da quelle parti, fateci un giro, garantisco che ne vale la pena (e salite sulla Torre dell'orologio per guardare il panorama dall'alto, è bellissimo!).
Ninfea 306: è vero, tutti i posti che descrivo in questa storia li ho visitati realmente (salvo qualche interno con personaggio...), ma non racconterò tutto il viaggio: la Transilvania finisce a Brasov. Comparirà solo un'altro luogo da me visitato, il monastero, che però si trova in un'altra regione del Paese.
Vitani: credo che la storia dovrebbe esser lunga una decina di capitoli, ma se ci fossero delle variazioni, sarebbero minime. Dimmi se anche questo capitolo ti piace!
Un grazie anche a tutti coloro che stanno leggendo senza recensire!



  
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