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Autore: Fiamma Drakon    06/10/2009    3 recensioni
Era un mazzo di rose, constatò il moro senza scomporsi minimamente. Ed era per il tenente Hawkeye, altra ovvia constatazione, superflua da ribadire. E allora perché, osservando quel mazzo di rose, sentiva crescere dentro di sé qualcosa che, nonostante la sua ampia esperienza in campo sentimentale, non riusciva a definire?
[dedicato alla mia amica Violet Adams, che mi ha dato l'ispirazione]
[possibili OOC]
Genere: Romantico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6_Invito Il mattino seguente, Riza si recò di buon ora al Quartier Generale, come suo solito.
Sperava con tutta se stessa che, almeno quella mattina, il colonnello si presentasse in ufficio: si sentiva sola senza la sua infantile pigrizia.
Quella mattina, quando aveva aperto la porta di casa, fortunatamente, non aveva trovato alcun mazzo di fiori, ma temeva che altri potessero arrivarle mentre era in ufficio e a quel pensiero rabbrividì: non voleva dare cattive impressioni al colonnello, per nessuna ragione al mondo.
Già doveva sopportare in silenzio i suoi vaneggiamenti sugli altri milioni di donne con cui usciva, senza poter replicare né protestare: l’avrebbero smascherata subito. Poi, se andava a pensare che avesse decine di spasimanti anche lei, il suo profondo e impossibile desiderio di poter stare con lui andava a farsi benedire.
Tuttavia, per quanto si fosse mai applicata, sapeva perfettamente di non avere alcuna possibilità di competere con le altre spasimanti del colonnello: non avrebbe mai potuto considerarla come una ragazza disponibile al corteggiamento. Lui la vedeva sempre e solo per il fedele cane dell’esercito che era, senza altre alternative.
Sospirò, affranta, scendendo dall’auto, quindi si avviò verso l’ingresso principale, attraversando una serie quasi impressionante di corridoi, per giungere infine dinanzi alla porta dell’ufficio di Mustang.
Chissà se il colonnello era già arrivato... presumibilmente no ma, come diceva il proverbio, “la speranza è l’ultima a morire”.
Inspirò profondamente, mise la mano sul pomello e aprì la porta.
- Salve tenente! - la accolse allegramente Havoc.
- Oh... salve - salutò lei.
Il suo sguardo corse immediatamente alla poltroncina al di là della scrivania, voltata in modo che l’occupante, vuota aria o colonnello che fosse, non potesse essere visibile.
- Il colonnello non è ancora arrivato... - esclamò Breda, che aveva intercettato immediatamente la traiettoria dello sguardo della bionda.
- Ah... - si limitò a rispondere lei, senza riuscire a nascondere una sfumatura triste nella voce, distogliendo la propria attenzione dalla scrivania.
Di che cosa si era illusa?
Che potesse essere già rientrato? A quell’ora del mattino, per giunta?
Le venne da rider di se stessa: era sciocco da parte sua illudersi a quel modo. Oltretutto, anche se fosse effettivamente tornato, era masochistico da parte sua pensare che avrebbe potuto avere anche solo una misera chance di dimostrargli i propri sentimenti.
Sospirò.
Quel gesto non sfuggì a nessuno dei presenti, alcuni dei quali si scambiarono anche qualche occhiata eloquente.
- Buongiorno! Scusate il ritardo... -.
La suadente, dolce voce dell’uomo che aveva atteso così a lungo e con trepidazione quasi opprimente la raggiunse accompagnata da un sorriso di scuse da parte del suddetto.
Il tenente riuscì a trattenersi a stento dal saltargli al collo per abbracciarlo.
- Controllati... ora riprende la recita consueta... - mormorò tra sé la bionda, avvicinandosi lentamente al moro.
- Dov’è stato ieri colonnello?! - lo aggredì ad alta voce, con tono severo.
Avrebbe tanto voluto non dovergli gridare in faccia a quel modo, ma se avesse evitato l’avrebbero scoperta.
- Ecco... - esordì quest’ultimo, incerto: certamente non poteva dirle che non era venuto per causa sua, anche se lei ci rientrava solo... marginalmente. Si sarebbe insospettita.
- Eh... ecco... n-non stavo bene... - mentì.
La scusa più patetica che avesse mai messo piede in terra, tuttavia parve funzionare, in quanto lo sguardo del tenente si raddolcì subitaneamente, anche se di pochissimo.
- Ah... capisco... - si limitò a rispondere, distogliendo lo sguardo.
Il moro andò a sedersi dietro la scrivania, nascondendo ciò che aveva preso poco prima da Hughes tra alcune carte.
- I documenti e le circolari di ieri signore... le deve firmare... - esclamò il tenente in tono severo, piazzandogli dinanzi un’impressionante pila di fogli che il colonnello scrutò con sguardo scettico.
- Ehm... - si limitò a sussurrare quest’ultimo: non sapeva che altro dire, se ringraziarla o meno per avergli tenuto da parte quella sconcertante quantità di lavoro che, lo sapeva, l’avrebbe trattenuto inchiodato dietro quella scrivania per molto tempo.
Molto più del dovuto, almeno.
Però... forse sarebbe stato un buon modo per rimanere da solo con Riza... e magari proporle il proprio progetto... quello che si era così instancabilmente applicato per rendere il più perfetto e semplice possibile.
Ciononostante, osservando meglio quella pila di documenti vari, non poté fare a meno di pensare alle condizioni della sua mano destra arrivato a sera.
Sospirò, afflitto: quella sera, forse, avrebbe dovuto applicare qualche impacco al suddetto arto.
- Oh, be’... stare a ragionarci ora non serve a niente... tanto vale incominciare subito... - e, nel mentre pensava ciò, si alzava a prendere il foglio sopra la pila, risedendosi poi e iniziando a scorrere con lo sguardo il testo.
Iniziò l’arduo e stancante compito senza proferir parola, pensando al momento in cui avrebbe proposto al tenente di uscire.
Già fremeva d’impazienza, tuttavia cercò di trattenersi dal manifestarlo apertamente: s’immaginava già la reazione dei suoi sottoposti, che gli si sarebbero avventati contro pieni di fanciullesca smania di sapere.
Sapeva che non avrebbe potuto reggere per molto ad un attacco del genere, perciò preferì di gran lunga rimanere nell’anonimato.
Continuò a leggere e firmare documenti, circolari, ordini e quant’altro senza emettere né un sospiro né un fiato, quasi senza respirare.
Non si fermò neppure per un istante, finché qualcuno bussò alla porta, distraendolo così dal suo compito.
- Avanti... - esclamò il tenente, alzando fugacemente lo sguardo verso l’uscio, sul quale era appena apparso Denny Brosch, visibilmente in imbarazzo a causa degli occhi che si erano incollati su di lui non appena fatto capolino nella stanza.
- Eh-ehm... scusate il disturbo, ma avrei bisogno di parlare un istante con il tenente Hawkeye... in privato - disse, al colmo dell’imbarazzo, assumendo varie sfumature di rosso.
La bionda gli si fece vicino con passo deciso, quasi volesse aggredirlo, quindi lo seguì fuori dell’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle.
Mustang, nonostante fosse chino sulla scrivania, apparentemente intento nel suo lavoro, non si era perso una che fosse una parola e già ardeva d’ira repressa a stento: che voleva Brosch dal tenente?!
Un flusso a dir poco incontrollato di pensieri e dubbi gli invase il cervello senza preavviso, gettandolo nel caos.
Iniziò così a sospettare che Denny Brosch fosse il fantomatico spasimante che aveva mandato a Riza tutti quei fiori e nel suo io interiore si scatenò un putiferio senza precedenti.
   
 
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