Nel
comporre il numero dal telefono della segreteria il cuore gli aveva
battuto fortissimo. Non sapeva spiegarselo; forse perché
stava
parlando coi due misteriosi individui che avevano dato vita a Bianca
e che, non si capiva perché, ora non erano in grado di
tenerla a
bada.
-Pronto? - rispose una voce femminile alquanto
affannata.
-Pronto? Buongiorno, parlo con la famiglia
Ferreri?
-Sì. Con chi parlo?
-Salve, mi scusi, sono un
insegnante di Bianca, professor Vettorel.
-Mmh... ah, sì, di
italiano e storia, vero? - dopo aver detto questo, la sentì
mormorare – No, un attimo, sono al telefono... firmo tra un
minuto.
- Poi riprese a tono normale. - Mi scusi. Dicevamo?
-No, di nulla.
Comunque sì, sono il professore di italiano e storia. L'ho
chiamata
per fare una chiacchierata al riguardo di Bianca. Per caso ha tempo
in settimana...?
-Tempo... oddio, vedrò di fare il possibile. Ma
perché? Ha fatto qualcosa che non va?
-No, no, nulla – mentì –
è solo che vi abbiamo visti poco ai ricevimenti, lei e suo
marito, e
quindi mi farebbe piacere incontrarvi. Personalmente, nel mio ruolo,
ritengo molto importante l'instaurazione di un dialogo tra il docente
e la famiglia... e se lei è d'accordo sarei felice di
parlare un po'
con lei di sua figlia, per arrivare a conoscerla un po' meglio
entrambi.
Se l'era preparato, quel discorsetto. Calibrato in ogni
sillaba per non sbilanciarsi in alcun modo.
-Beh, un paio d'ore
dovrei riuscire a trovarle... di mattina? Mi scusi –
tornò a
mormorare – intanto fammi le fotocopie di questi fascicoli.
Fronte
retro. Sì. - Di nuovo, tornò alla loro
conversazione. - Di mattina,
mi scusi?
-Sì, ricevo di mattina. Mercoledì alle
undici.
-Mercoledì alle undici... sì, dovrei riuscire a
tornare
al lavoro nel pomeriggio. D'accordo, allora, mercoledì alle
undici
sono da lei.
-L'aula ricevimento è subito a destra del
portone.
-Sì, perfetto. Ma siamo sicuri che è tutto a
posto...?
-Certo, signora, a postissimo. È solo che è mia
politica personale parlare con i genitori quanto più spesso
possibile, perché trovo fondamentale tener presente quello
che è il
background domestico
dei nostri alunni individualmente.
-Certo. Certo. Guardi, mi scusi
ma devo salutarla, ho gente in ufficio e non posso proprio rimanere
al telefono...
-Ci mancherebbe, anzi, mi scusi lei del disturbo.
Buona giornata e arrivederla.
-A lei, arrivederci – fece la
signora, cortesemente, prima di riagganciare.
-Allora? -
esordì Camilla quando tornò a casa la sera, con
aria vittoriosa –
Abbiamo trovato il coraggio per affrontare questi mostri
leggendari?
-Lascia stare, va', che ero emozionato come al nostro
primo appuntamento. Fa strano parlare con due persone che ti eri
immaginato più o meno come la nonnina di Hansel e Gretel.
-Hai
parlato con entrambi?
-No, solo con la madre, in realtà. Pensa:
ha dato alla scuola il numero dell'ufficio, anziché quello
di
casa.
-Evidentemente la mattina lavora, come tutti i comuni
mortali.
-Ma se la scuola avesse bisogno di lei di pomeriggio? Può
capitare, sai. E comunque era tutta di fretta, continuava a parlare
coi suoi colleghi...
-Tu ti stai già lanciando a cento all'ora
verso uno stereotipo. Aspetta di parlarci, con questa persona; poi
tirerai le tue somme.
-A volte penso che dovresti farlo tu questo
lavoro, al posto mio.
-Ma no, è solo che io guardo il tutto con
occhio esterno mentre tu ci sei in mezzo fino al collo. Se il mio
lavoro dipendesse da gente come Bianca e Cappelletto, sarei
già
scappata a gambe levate.
-Sapessi quante volte sono tentato.
-Lo
so, amore. Ti vedo, quando torni con gli occhi rossi, o con la vena
sulla fronte che pulsa, o quando sospiri un po' troppo per essere
solo 'stanco'.
-Per fortuna ho te – chiuse gli occhi, si
aggrappò all'esile busto della sua fidanzata – per
fortuna, per
fortuna oltre a Bianca il Signore mi ha mandato anche te.
Camilla
non disse nulla, ma Emanuele sapeva che stava sorridendo. E poi gli
venne in mente che Camilla sorrideva sempre mentre lui, da qualche
mese a questa parte, non faceva che lamentarsi di quella manica di
bambinetti maleducati.
-Cami – mormorò – tutto bene tu, al
lavoro?
-Certo, tutto bene. Lo sai che noi impiegati della
pubblica amministrazione non facciamo niente tutto il giorno.
Lo
disse sorridendo, ed Emanuele sapeva che comunque lei non era tipo da
fare sarcasmo. Scherzava, al massimo, ma non si permetteva mai di
usare il sarcasmo.
-Scherzi a parte, come va con quella là...
come si chiamava... la Milanesi?
-Oh, quella. Be', si schivano i
colpi come si può – sorrise.
La Milanesi
era la responsabile del settore in cui Camilla lavorava come
dipendente; era famosa per essere dura, velenosa, esigente e spesso
sgarbata nel rivolgersi ai suoi sottoposti. Almeno, così
gliel'aveva
sempre presentata.
-Cos'ha combinato, stavolta, quella vipera?
-Ma
niente, è che ha un modo di rivolgersi a te.... di dare
ordini senza
chiedere mai 'per favore'... poi la senti parlare dei colleghi con un
tale scherno. Dubito che abbia qualcosa da ridire su di me, ma
è
talmente velenosa che mi chiedo sempre cosa stia dicendo alle mie
spalle con qualcun altro. Mi mette soggezione... hai presente Miranda
Priestly?
-Purtroppo sì. Grazie a te.
-Ecco. Solo più magra e più
nevrotica.
-Dio mio . Dovremmo mettere Bianca in ufficio con lei,
magari è la volta buona che qualcuno le dà una
regolata.
-Che
idea! Forse, così, si eliminerebbero l'una con l'altra e
avremmo
risolto tutti i nostri problemi.
Emanuele sorrise e si avvicinò a
Camilla, senza dirle, perché non ne aveva il coraggio, che
ogni
giorno si chiedeva cos'avesse fatto di tanto meraviglioso da
meritarsi lei.
E
che avrebbe sopportato tutte le Bianche e i Cappelletti del mondo,
pur di poter rimanere ancora a lungo al suo fianco.
Dovette
aspettare quasi una settimana prima di poter vedere la madre di
Bianca; Bianca la vide soltanto il giorno successivo alla telefonata,
ma poi rimase assente anche dopo il weekend. Era curioso sia di
conoscere la madre, sia di avere notizie sulla figlia; perfino sabato
sera non era riuscito a godersi la compagnia per l'eccitazione dovuta
al prossimo incontro.
Finalmente arrivò mercoledì, e alle undici
meno cinque aveva già preso il caffè, mangiato il
Kit Kat e
sistemato le carte nella ventiquattrore. Si appostò perfino
in
atrio, davanti all'entrata, per sincerarsi che la signora non
sbagliasse aula; era preparato ad aspettare almeno una decina di
minuti, ma la donna si presentò puntualissima, anzi, con
cinque
minuti di anticipo.
Era di statura medio-bassa, come Bianca,
magrissima, cosa che Bianca non era, e con un caschetto di capelli
biondi freschi di parrucchiere, all'opposto di quelli di Bianca.
Quando si tolse gli enormi occhiali da sole di Chanel notò
due
piccoli occhi azzurro ghiaccio puntati a intermittenza ora sugli
alunni, ora sul bidello, ora su di lui.
-Buongiorno, professore –
gli sorrise cordialmente – Sono in ritardo?
-Anzi, è in
anticipo, si accomodi.
-Oddio, l'ho disturbata? Mi scusi, forse
aveva da fare...
-Ma si figuri, è ricreazione. Prego, questa è
la sala insegnanti.
-Grazie.
Per ora sembrava normale, pensò
Emanuele. Anzi, era molto gentile. Anche se aveva uno sguardo e una
falcata che lo mettevano un po' in soggezione.
-Prego, si sieda
pure.
-Grazie.
Si sorrisero a vicenda. Fu Emanuele a riprendere
la parola, davanti alla sfumatura vagamente ansiosa che vide negli
occhi della donna.
-Innanzitutto, mi voglio presentare di persona:
Emanuele Vettorel, piacere di conoscerla.
-Piacere mio – replicò
con calore la signora, stringendogli lievemente la mano. Quella di
lei era fredda e sottilissima.
-Mi scusi se le ho rubato del
tempo, mi rendo conto che i genitori devono lavorare e che spesso
purtroppo non hanno la possibilità di intervenire in questi
incontri. Il fatto è che sono arrivato in questa scuola a
settembre
e ho bisogno di conoscere al meglio e quanto prima i ragazzi, e
naturalmente è necessaria la collaborazione del genitore al
fine
della massima resa scolastica dell'alunno.
-Certo – mormorò la
signora, riponendo la custodia degli occhiali nella borsa di Vuitton
con un gesto veloce.
-E quindi... - si sentiva un po' a disagio,
perché quella donne lo stava guardando un po' troppo
intensamente.
Stava giusto iniziando a sentire caldo, quando lei spalancò
gli
occhi ed esclamò:
-Ma... mi scusi, io ho l'impressione di averla
già vista. È possibile che ci siamo
già parlati?
-Non credo. Io
sono arrivato qui quest'anno, e appunto l'ho chiamata perché
non
l'avevo ancora vista.
-Capisco... mi scusi ancora. Mi dica,
professore. Bianca ha fatto qualcosa che non va?
Così però lo
metteva alle strette. 'No', sarebbe stato una bugia, e oltretutto ci
sarebbe stato da chiedersi perché mai l'aveva chiamata fin
lì. Ma
'sì' avrebbe messo decisamente nei guai Bianca,
perché, a quanto
pareva, sua madre pareva essere totalmente all'oscuro del
comportamento scandaloso che sua figlia teneva a scuola. Altrimenti
non avrebbe chiesto se qualcosa non andava; avrebbe chiesto per
favore di non espellerla ché loro, come famiglia, ce la
stavano
mettendo proprio tutta.
-Bianca è una ragazza molto intelligente
– esordì, cautamente – ha i voti
più alti della classe, e
oserei dire dell'intero istituto. Non è solo studiosa; ha
proprio
una bella testa.
-Ah, guardi, Bianca non è per niente
studiosa – replicò la signora con un sospiro
– è sempre in giro
con le sue amiche, il pomeriggio, poi rimane a dormire lì...
chissà
se studiano, queste ragazze. Secondo me, no. Infatti pensavo mi
avesse chiamata perché aveva avuto un calo di voti, o
qualcosa del
genere...
-No, niente di tutto questo – si affrettò a
precisare
Emanuele; ma poi pensò, che altro posso dirle, allora? Tua
figlia non va dalle amiche, va dagli amici, e non sono neanche
propriamente amici perché mi sembra che ad oggi li chiamino
'trombamici'; e quando dorme fuori non dorme dall'Anna e dalla
MariaElena, ma da uomini che ha potenzialmente conosciuto il giorno
stesso e dei quali il giorno dopo si è prontamente
dimenticata?
Era chiaro che la famiglia non sapeva assolutamente niente. Ma
dovevano pur essersene accorti, da qualche cosa. - Ecco, si tratta
della questione abbigliamento, in realtà. Vede, noi
colleghi...
-Mi
scusi? - la donna sbarrò gli occhi, stralunata –
Le abbiamo detto
milioni di volte di tenere un abbigliamento sobrio, in classe. Quando
abbiamo visto che iniziava a mettersi gonnelline o ad andare in giro
con la vita troppo bassa, l'abbiamo rimproverata molto. Mi sembrava
però che ultimamente fosse sempre uscita in jeans e
maglietta... no?
Il problema dovrebbe essere risolto.
-Ecco... - Emanuele iniziava
davvero a sudare. Dove si cambiava, Bianca? Quando? E, soprattutto,
perché? - ecco, il
problema è risolto, sì. Solo che avevamo notato
che appunto ha
avuto un periodo un po' così... e... ecco, volevo
domandarle, dato
che sono arrivato quest'anno, quando Bianca ha avuto questo
cambiamento...
-Oh. Beh, Bianca ha iniziato a fare un po' la
stupidina quando aveva dodici anni. Magliettine scollate, poi voleva
tenere i capelli lunghi e stava sempre lì a spazzolarseli,
poi le è
venuta la mania di truccarsi... sa, è l'età. Poi
ha sempre
continuato su questa strada, ma noi le abbiamo sempre detto: quando
esci la sera puoi metterti certe cose, con moderazione, ma a scuola e
a casa e da qualsiasi altra parte devi vestirti come si deve. E alla
fine ci ha dato ascolto – concluse con evidente soddisfazione.
-Un
po' tutte le ragazzine a quell'età iniziano ad avere certi
pensieri
– incominciò – sa, i ragazzi, i
coetanei, al liceo anche ragazzi
più grandi...
-Non me lo dica. Purtroppo lo so che lo fa per
attirare l'attenzione. È sempre scollacciata,
alle volte sembra proprio che non abbia pudore. - Colse una smorfia
sulle labbra sottilissime della donna. - Poi quei capelli rossi...
non le dico cosa mi sembra. Ma non vuole sentire storie.
Così
abbiamo stabilito che deve tener sempre la coda o la cipolla. Eh, mi
rendo conto che non è adatto a una ragazzina della sua
età,
specialmente tingersi i capelli... ma cosa vuole che faccia?
Dopotutto è una brava ragazzina, prende voti alti, frequenta
delle
ragazze a posto, non mi dà problemi... qualche capriccetto
bisogna
concederglielo, purtroppo.
-Come no – Emanuele prese tempo –
sono così giovani. Ma mi dica, si è ammalata,
Bianca? È da un po'
di giorni che non la vedo a scuola.
-Più o meno... una cosa del
genere. È molto stanca, dev'essere stressata, sa, i compiti,
le
verifiche, le interrogazioni...
-Certo. Capisco. Ha bisogno che le
comunichi i compiti per la settimana prossima?
-Sì, guardi, mi
farebbe un gran favore. Bianca è talmente pigra, fosse per
lei non
chiederebbe mai niente a nessuno, devo sempre ricordarglielo io...
poi chissà se lo fa sul serio...
-Bianca è brava. Non la
troviamo mai impreparata su nessuna materia.
-Oh, sì, lo so che è
brava. È sempre stata bravissima, anche se non dovrei dire
io queste
cose, dato che sono la sua mamma.
-Se mi dà un attimo vado a
prendere il registro e un foglio, e le ricopio i compiti per i
prossimi giorni.
-Lei è troppo gentile. Dirò a Bianca di darsi
una mossa, ché non è giusto che sia lei, con
quello che ha da
fare... quella pigrona.
Colse
un altro sguardo piuttosto seccato; disgustato, quasi. Ma non
poté
esserne certo perché doveva correre al piano di sopra a
recuperare
il registro della terza A.
Quando tornò, la signora lo guardava
con due occhi che brillavano.
-Mi sono ricordata chi è lei –
esordì con brio – l'ho vista sulla scrivania di
una mia
dipendente. Ha incorniciato una vostra foto e la tiene di fianco al
computer... lei è il fidanzato di Camilla, sbaglio?
Emanuele posò
il registro sul tavolo e si sedette di colpo, prima di collassare
dritto di faccia sulla borsetta di Vuitton.
-Non ci credo. Mi
prendi in giro.
-No, Cami – gemette, battendo ripetutamente la
fronte sul tavolo – era lei. Miranda Priestly in persona. Mi
ha
riconosciuto dalla foto
sulla tua scrivania.
-Non ci posso credere. Non ci voglio
credere. Noi lì che scherzavamo di metterle nella stessa
stanza...
-... e invece convivono ventiquattr'ore al giorno da
sedici anni nella stessa casa!
-E per di più Miranda non sa
assolutamente niente della reputazione di sua figlia.
-Non
parlarmene! Grazie al cielo Bianca è assente, altrimenti sai
cosa
sarebbe successo se si fossero incontrate?
-Non so cosa sarebbe
capace di farle, la Milanesi. Non posso crederci. Lei tutta composta
e perfetta che tratta tutti con superiorità... e non sa che
sua
figlia è... è...
-Il buco comune di Padova – concluse
tranquillamente Emanuele – perché questo
è, a conti fatti.
-Che
famiglia... - mormorò Camilla – che brutto. Anzi.
Che triste.
-Non
riesco a capirla – buttò lì Emanuele,
gettandosi sul divano con
le braccia incrociate dietro la nuca – non capisco se le vuol
bene
o se la disprezza.
-O forse sono tutte e due le cose.
-Com'è
possibile?
-Forse Bianca l'ha delusa.
Probabile. Bianca non era
di certo una ragazza semplice da gestire. Non dubitava che non
dovesse essere una passeggiata tirarla su, ma, d'altra parte, se la
sentiva di essere leale nei suoi confronti.
-Non credo. Bianca è
strana, ma non è cattiva. E poi, sua madre non sa nulla di
quello
che lei realmente fa; non avrebbe motivo di essere delusa da
niente.
-Non so. Forse dovresti vedere anche il
padre.
-Impossibile; ho già chiamato a colloquio la madre, lei
gli comunicherà tutto e non c'è motivo che io
convochi anche
lui.
-Non ti resta che indagare.
-È
quello che farò.
Il giorno dopo, stette bene attento ai
dialoghi dei suoi alunni. Captò diverse liti tra fidanzatini
che
erano stati divisi dalla procacità di Bianca,
“solo perché quella
troia la dà a tutti e io invece provo a tenermela almeno un
po'
stretta! Ma vaffanculo, stronzo di merda!”, diversi
pettegolezzi
sulle sue ultime presunte avventure, “dicono che sia andata
con uno
di cinquant'anni!
Sì sì, è vero, te lo giuro, me l'ha
detto la Silvia di quarta E
che l'ha vista una sua amica in giro in centro con uno che aveva
cinquant'anni”, e infine qualche informazione utile.
-La Ferreri
è di nuovo assente per un mese? Ma perché lei
può sempre fare
tutto quello che vuole?
-Ma che ne so, fatto sta che da quando è
iniziata la seconda è già successo due volte. Un
mese, sta a casa.
A ciucciare cazzi, secondo me.
-E con questa fa tre. Eh, ma tanto
a lei nessuno dice mai niente.
-”Malessere', scrivono sulle
giustificazioni. Per un mese di assenza. Se glielo porto io il
malessere, alla Mantovani, quella mi urla dietro talmente forte che
crepa i vetri delle finestre.
-Avrà fatto qualche pompino anche
al direttore, così può continuare a fare tutto
quello che
vuole.
Ovviamente non poteva chiedere delucidazioni agli alunni,
anche perché così non avrebbe fatto altro che
aumentare i
pettegolezzi su di lei, e questo non era bene.
Ma riunì a
ricreazione Sonia, Antonella e Mariolina, per venirne a capo una
volta per tutte.
-Io ce l'ho solo da quest'anno, Bianca – si
giustificò Antonella – faccio solo il triennio.
Sapevo che c'era
questa ragazzina un po' particolare, ma non mi sono mai
intromessa.
-Stesso vale per me – ammise Mariolina – non ho
mai potuto occuparmene personalmente; so però che la preside
ha
parlato con i genitori e che è a conoscenza del motivo di
queste
assenze. Giovanna però ci ha sempre detto di non
preoccuparcene, che
andava bene così.
-Io ce l'ho da quando è entrata nell'istituto,
ma nessuno mi ha mai detto nulla, e io non sono il tipo da farmi gli
affari degli altri – affermò la forte ed elegante
Sonia – a me
quella ragazza, e ve lo dico tra colleghi, sta a cuore. So che
è lo
stesso per voi. Ma non possiamo chiedere più di quanto ci
sia stato
detto. Non avete idea di quanto intensamente vorrei poter andare
più
a fondo, ma purtroppo non è possibile.
Questo fu quanto riuscì
ad ottenere.
Bianca tornò al termine di un mese e dieci giorni
d'assenza; quel giorno, quell'unico giorno di presenza, era l'unico
in cui Emanuele non aveva la terza A. Non la vide nemmeno per i
corridoi. Il giorno dopo era di nuovo assente, e Sonia gli
raccontò
che era rimasta zitta e immobile per tutte le cinque ore di lezione;
ogni tanto avevano dovuto riprenderla perché si era
addormentata.
Bianca tornò dopo ulteriori quattro giorni
d'assenza. Era preparata su tutte le materie, chiese addirittura di
farsi interrogare, era vispa e attiva come l'aveva ricordata e
passò
le ore di lezione mandando sms e giocando con la PSP. La
sgridò più
di una volta perché continuava a flirtare con il ragazzo
seduto
dietro, e non ci fu modo di farla stare tranquilla per tutta la
giornata.
Emanuele sapeva che, molto presto, gli sarebbe toccata
una nuova seduta in aula insegnanti.
Per la prima volta, non stava
nella pelle al pensiero di parlarle.
(Nda: ed eccoci qui. Veloce, eh
:D? Ma non ancora per molto, temo XD ho appena concluso con enorme
fatica il capitolo 5, del quale non sono soddisfatta, e sto tentando di
imbarcarmi nel capitolo 6. Vi avverto già che il capitolo 5
sarà lungo almeno il doppio di quelli che avete affrontato
finora, quindi preparatevi ;).
Grazie delle recensioni a CTA - lieta di aver sconfitto l'azione
repellente di Analisi XD - , Dance of Death - non preoccuparti, potrai
sbizzarrirti con il commento a questo capitolo, lol *-* - e Baby Birba,
che mi ha fatto sorridere perché si è messa a
leggere la fanfic a scuola su iPhone, la migliore XD vorrei dirti di
no! Non farlo! Segui le lezioni, non leggere la mia fanfic ;o;!, ma non
ci credo nemmeno io -.-, quindi... sei grande e vaccinata XD vai e
segui il tuo cuore XD!
E con ciò vi saluto e alla prossima! Fatemi sapere come sto
andando, mi raccomando é_è!)