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Autore: cartacciabianca    09/10/2009    3 recensioni
[ SOSPESA ]
In una New York devastata dalla Guerra tra sani e portatori, sono emersi un gruppo di patriottici eroi. Uomini e donne sottoposti a crudeli esperimenti allo scopo di sopprimere definitivamente il Virus e ogni suo esponente. Sono gli Angeli, nati dalle ricerche fatte sul precedente campione Zeus e protettori della specie umana. La battaglia per il dominio sul pianeta volge al termine dopo due anni di scontri sulla frontiera della scienza e della tecnologia meccanica. Due anni di sangue e vittime innocenti capitate nelle mani dei predatori più spietati.
"Mi sentii puntare sulla schiena qualcosa di estremamente freddo, sottile e affilato più di un rasoio.
Ingoiai a fatica, trattenendo il fiato e sollevandomi sulle punte degli stivali. Dalla mia bocca schiusa venne solo un flebile sospiro quando Alex affondò la lama tra le mie scapole traversandomi orizzontalmente da un capo all’altro. Un fiume di sangue mi bagnò la divisa, raccogliendosi poi sul terreno impolverato tra i miei piedi. Quel rosso vivo e accecante mi finì anche negli occhi, mentre il dolore risucchiava nel suo vortice la sensibilità del mio corpo.
Inclinai la testa da un lato scoprendo una parte di collo, sul quale Mercer posò appena le labbra.
-Sai… ora capisco cosa ci trovava quel Turner di tanto interessante in te- mi sussurrò all’orecchio dopo aver risalito il mio profilo di piccoli baci, minuziosi come graffi. –Quando sanguini così sei davvero eccitante- rise."

[Alex Mercer x nuovo personaggio + altri nuovi personaggi]
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 24° - Vecchie anime infette

[:. Alex .:]


“-So dove vuoi arrivare, ma è sbagliato tentare un approccio con lei, Alex, fidati. Se vuoi farti degli alleati, devi partire dal principio. Risalire alla radice- pronunciò composto e profetico.
-Mark?- ipotizzai.
-Esattamente. Trova lui, e avrai tra le mani l’ultimo tassello del tuo puzzle- disse. –Dopodiché saprai tu cosa sarà giusto fare, ma voglio almeno che lo porti qui da me- aggiunse.”

La pioggia si era placata. Il cielo sopra Manhattan si apriva di una nuova luce soffusa che filtrava attraverso la coltre di tossico veleno sospesa nell’aria, riempiendo di un rosa sbiadito l’orizzonte sopra il livello dell’asfalto. Era sorta l’alba, e in un qualche assurdo modo anche la città assumeva un tono differente dal giorno alla notte, nonostante fosse spoglia della sua gente e così silenziosa. Il cambiamento si avvertiva da qualsiasi prospettiva: in aria, dove la puzza di Bloodtox era davvero soffocante; a terra, dove vecchie radici ammuffite andavano a decomporsi assieme alle masse di cadaveri e carni infette. Nell’acqua che contornava tutta l’isola, increspata da una leggera corrente, dove si formava quella biancastra massa spumosa appiccicaticcia mista tra sangue e lerciume dovuto all’inquinamento. Un venticello gelido sollevava grumi di sangue secco mescolando particelle genetiche alle polveri del suolo. Ed era esattamente lì, in quella desolata Broadway, che trafficavo con le mie vane ricerche già da una buona mattina.
Mi trovavo a camminare nel silenzio e nelle ombre di una galleria che traversa nel sottosuolo metà isola. Le auto abbandonate ai lati della strada, il soffitto basso e oscurato dalle condense di smog e virus, alcuni tubi fuoriuscivano dalle pareti liberando nell’aria gas tossici e incendiabili, assieme ad una gran quantità di lerciume proveniente dalle fogne. I tombini sistemati a dieci metri di distanza l’uno dall’altro, infatti, erano scoperti e lasciavano traspirare quell’adorabile odorino.
Le mani in tasca, il volto infossato nell’ombra del mio cappuccio, gli occhi ridotti a due fessure per il dolore che avvertivo dilaniarmi il petto: ciondolavo per Manhattan mentre mia sorella e Ragland erano prigionieri dei miei peggior nemici. Per la testa avevo tanti altri di quei problemi… era stato un grosso sbaglio intraprendere quella via. Se Max voleva che trovassi questo Walker, dovunque egli fosse, avrebbe dovuto darmi informazioni più concrete! Non sapevo nulla di lui, niente… a parte… forse… il vano pensiero che accolsi fu quello di possedere effettivamente un qualcosa che potesse aiutarmi nella mia ricerca. Se l’Angelo con la quale mi ero scontrato il giorno prima era sua figlia, il sangue di lei che avevo assorbito poteva diventare un utile traccia. Nei meandri del mio corpo, negli angoli più remoti delle vene che traversano le mie carni infette, recuperai quel sapore, quel profumo tanto odiato che bastò poco per far nascere in me l’egoistico desiderio di ucciderla, piuttosto che portare in salvo suo padre.
Resi quel sangue parte di me ancora una volta, saggiai la sua contorta e malsana composizione genetica potendo quasi sentirmi bruciare la lingua. Dalla bocca al naso, e dal naso agli occhi: fu allora che vidi.
Un sottile barlume rosato attraverso la parete alla mia destra. Oltre quel muro di vecchi mattoni si celava chi sembrava corrispondere ad una carne tanto cercata. I miei sensi, la vista, l’olfatto e il gusto, captavano la sua presenza così vicina potendo rendere visibilmente consistente ciò che appariva solo come una massa informe costituita da una particolare essenza. Ma non un’essenza qualunque: quell’essenza, quel sangue e quel potere che per anni quell’uomo non ha mai mostrato al mondo. Ed ora, poterlo sentire così vicino a me, a solo due metri di spessore come barriera, mi dava un senso di soddisfazione e un vigore mai provato.
-Mark…- chiamai un sussurro, poggiando il palmo aperto sui mattoni scuri e bui.
Quel flebile mormorio non scaturì nella figura dall’altra parte del muro nessuna reazione. Stette immobile, chinata al suolo, probabilmente seduta su qualcosa. La vedevo di spalle, e man mano che la sua presenza si faceva più vivida nella mia mente riuscivo a scorgerne particolari quali la forma robusta delle spalle, la schiena ampia… quasi riuscii a coglierne l’abbigliamento mal ridotto ad una giacca di vecchia pelle sovrapposta ad un’uniforme militare mimetica di varie sfumature del blu-grigio. La polvere, i gas… m’impedivano di scorgere altro che non fosse la sua ombra.
Possibile che fosse lui? A così poca distanza da dove avevo cominciato le ricerche già ci incontravamo. Mi aspettavo che il suo fosse un nascondiglio nettamente migliore. Ipotizzai che dall’altra parte di quella parete di fosse una seconda galleria destinata alla corsia opposta di automobili e…
Un brivido mi salì lungo la schiena quando un rantolio cupo e profondo si diffuse nell’aria immobile del tunnel nel quale mi trovavo. Portai il braccio lungo il mio fianco, mi staccai dalla parete e, guardandomi attorno, solo allora scorsi nel buio infinito della galleria il proprietario di quel suono.
Un cacciatore volante abitava lì assieme ad altri due individui più minuti. Tutti e tre, da direzioni differenti e in perfetta sincronia tentarono di accerchiarmi, posizionandomisi uno alle spalle, l’altro al lato e l’ultimo di fronte. La bava colava dai loro denti mescolandosi alle viscere delle cenette recenti. I loro artigli penetravano l’asfalto, le punte dorsali sfioravano il tetto della galleria producendo quasi scintille. Le loro ali, strette attorno al corpo e perfettamente aderenti, luccicavano di quella membrana trasparente, fragile e sottile che faceva di loro facili predi in volo.
Azzardai un passo in avanti, preparando già la parte destra del mio corpo a tramutare, quando il primo dei cacciatori, quello che avevo davanti, strozzò un gemito di disapprovazione mettendosi accovacciato sull’asfalto. Fecero altrettanto anche gli altri due, sistemandosi comodi come gigantesche sfingi d’Egitto.
Attonito, strabiliato di quello che avevo appena visto, mi limitai ad attendere che a quella scena se ne aggiungesse una ancora più assurda.
-Non fare caso a loro- disse una voce profonda e maschile. –Mi spiace solo che delle volte… non sappiano distinguere i nemici- parlò ancora –dagli amici-.
Finalmente il proprietario di tali parole si mostrò, emergendo come un fantasma dall’ombra del sotto ala di un cacciatore. Mosse alcuni passi avanti, fermandosi a due metri da me.
-Mark Walker- pronunciai io con stupore.
-Finalmente ci incontriamo- arrise lui. Sul suo volto da cinquantenne vissuto si stagliava un sorriso malinconico: le guance bianche, gli occhi azzurri infossati nelle profonde occhiaie. Le sopracciglia folte, la barba lasciata crescere e sfatta, così come i capelli azzardati in un taglio di media lunghezza alla “fai-da-te” senza specchio. Indossava quegli stessi abiti che gli avevo “sentito” addosso poco prima. La giacca di pelle, con i rispettivi gradi militari dell’aeronautica sulle spalle e sul petto. Comodi pantaloni mimetici consumati dalle fatiche di anni trascorsi a nascondersi nelle fogne e in gallerie come questa, e in simili condizioni stavano anche gli stivali neri. Portava un orologio al polso, e una catenina militare al collo che andava a nascondersi dietro la cerniera del giubbotto.
Ciò che mi lasciò a tal punto interdetto, inizialmente non fu solo il fatto di trovarmi davanti una leggenda, l’uomo di cui avevo letto e scoperto molto quella volta che m’intrufolai nella base degli Angeli, ma soprattutto che riuscisse in qualche strano modo a… controllare i cacciatori.
-Non fare quella faccia- ridacchiò isterico avvicinandosi di un altro passo.
Sicuramente l’espressione che avevo in viso era bizzarra a tal punto da fargli pronunciare quelle parole. –Come…-.
-Sono miei- disse ad un tratto, sorprendendomi e attirando del tutto la mia attenzione su di lui.
Mark era tranquillo, sereno del fatto che i cacciatori stessero così accovacciati come gatti attorno a sé. –Se ti stai chiedendo come sia possibile, ti basti sapere che ubbidiscono a me perché li ho creati io- fece sincero.
-Cosa?!- eruppi del tutto scettico. –È un’assurdità, come…-.
-Le quantità di Virus in me è sufficiente quel che basta per regalarne ad altri- divenne improvvisamente serio.
-Allora sei un pazzo! Fai dono dei tuoi poteri ai cacciatori?! Perché mai?! Hai idea di quante vite hanno spezzato, quanti morti hanno procurato?!- gli gridai contro. Ciò di cui parlava era una tale assurdità, e sembrava andarne fiero.
-I miei cacciatori non hanno mai fatto male ad una mosca!- fu la sua risposta altrettanto potente.
-Ah!- risi. –Certo, come no… uno di loro per poco non si sgranocchiava tua figlia!-.
Il silenzio cadde su di no ( ma su Mark per primo ) come una secchiata d’acqua gelida.
L’espressione sul suo viso cambiò da così a così, tramutandosi in una vera e propria maschera di terrore, ansia…
-Emily…- mormorò a fior di labbra, come se pronunciare quel nome gli costasse troppa fatica per le sue vecchie ossa infette.
-Ti ricordi di lei, vero?- abbassai il tono di voce, comprendendo a pieno quali domande, quali dubbi e quali immagini lo stesso assillando in quel momento.
Mark si riscosse con violenza. -Certo che mi ricordo di lei!- sbottò con rabbia, e nel medesimo istante il cacciatore alle sue spalle balzò in piedi parandosi tra di noi. Mi mostrò tutta la sua taccagna dentatura ruggendomi contro, dopodiché una sua zampa arrivò a colpirmi ancor prima che riuscissi a schivare quell’attacco. Mi aveva del tutto colto di sorpresa, spiazzandomi con vigoroso vigore alla parete del tunnel. Sprofondai per alcune centimetri nei mattoni, e una nube di polvere e detriti mi avvolse. Poi, come da nulla, il secondo cacciatore volante lì presente mi si avvicinò afferrandomi per un braccio con i denti. Mi sbatté a terra con altrettanta violenza. Successivamente, mi sentii schiacciare la schiena dai suoi grandi artigli, tenendomi prigioniero tra due di essi.
Mark si mosse nella mia direzione, e mentre il suo “cucciolo addomesticato” mi teneva incollato al pavimento, l’uomo si chinò alla mia altezza restando in perfetto equilibrio sulle punte dei piedi.
-Cosa sai di mia figlia?- mi domandò più serio che mai.
Serrai la mascella, cominciando ad avvertire un solletico di dolore risalirmi la colonna vertebrale. –Poco e niente, te lo assicuro!-.
-Cosa ci fai qui?- chiese. Il cacciatore alle sue spalle mandò un profondo rantolio d’intimidazione.
-Max…- digrignai. –Maximilian Taylor… lui mi ha mandato a cercarti!- confessai.
Al suono di quel nome non ottenni in Mark la reazione desiderata, anzi… la zampa che premeva sulla mia schiena invigorì la presa e il cacciatore volante in questione mandò un altro poderoso ruggito.
-Come fai a conoscere Corvo?!- mi ringhiò contro Walker.
-Lui e sua figlia Lisa hanno allestito un campo profughi per i sani sopravvissuti al porto della costa ovest! Ci siamo incontrati per caso! Lui mi ha offerto il suo aiuto, ed io l’ho offerto a lui!-.
-Max non è tipo da chiedere aiuto a quelli come te…- eruppe avvicinando il suo viso al mio. –Perciò adesso dimmi cosa sai di mia figlia!-.
-Ti prego- mi lasciai sfuggire. –Devi credermi, non sono qui per farti alcun male…-.
-In tutta la mia vita ho imparato a fidarmi solo di me stesso e delle persone che mi hanno circondato donandomi la propria anima- sibilò lui. –Non credo di poter fare la stessa cosa con un essere tanto simile a me…-.
-Cosa…- mormorai sgranando gli occhi. –Di che stai parlando?-.
-Perché Max ti ha mandato a cercarmi?- non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.
-Aspetta, dimmi…-.
-No, dimmelo tu!- si apprestò a tapparmi la bocca ordinando al suo “fedele cuccioletto” di premere un po’ di più con la zampa sulla mia schiena.
Mi sfuggì un lamento quando avvertii saltare una vertebra della spina dorsale.
-Avanti, parla!-.
-Prima levami questo coso di dosso e poi ti dico tutto quello che vuoi sapere!- sbraitai collerico.
Mark si sollevò in piedi d’un tratto, continuando a guardarmi dall’alto con uno sguardo enigmatico e severamente composto. Non disse o fece nulla perché il cacciatore si allontanasse da me liberandomi di quella morsa mortale. Successivamente andò ad accoccolarsi seduto assieme agli altri due alle spalle di Walker.
-Forza- mi esortò lui una volta che mi fui alzato. –Comincia dall’inizio-.
-Comincia tu dall’inizio!- ribaltai la domanda. –Cosa sei?! E come fai a controllare e creare queste bestie a tuo piacimento?!-.
-Elizabeth non faceva forse la stessa cosa con gli stessi identici sistemi?- arrise come fosse ovvio.
Ed effettivamente… lo era.
-E poi?- eruppi. –Perché tua figlia è entrata nel progetto Gabriel?-.
A quella domanda l’animo dell’uomo che avevo davanti si fece oscuro e tenebroso ancora una volta. –Questo non ti riguarda-.
-È qui che ti sbagli! Mi riguarda e come! Più di quel che pensi- arrisi isterico.
Mark serrò i pugni lungo i fianchi: sicuramente stava trattenendosi dal ferirmi di nuovo.
-Ho sentito la tua comunicazione alla radio- dissi precedendolo. –Il segnale nascosto in quel messaggio, l’okkey alla richiesta da parte loro di prendere con sé tua figlia…-.
-Se sai già tutte queste cose, allora cos’altro vuoi da me?!-.
-Quindi Lewis lo sapeva già- affermai.
-Cosa?-.
-Che Emily era tua figlia-.
-Ovviamente!-.
-No, non intendo quello…- sospirai inclinando lo sguardo. –Mi riferisco al fatto che… voi siete… come me- mi costò un patrimonio pronunciare quelle parole.
-Sì, Lewis lo sapeva, e l’ha sempre saputo-.
-Perché?-.
-È un Balckwatch-.
-E anche tu lo sei?-.
L’uomo scosse la testa. –Lo ero…-.
-Ma la loro organizzazione è nata dopo l’incidente dell’69!- apostrofai.
Mark si adombrò ulteriormente. -Ti ostini a chiamarlo “incidente”! Ma sappiamo entrambi che non fu così!-.
-Ah!- risi. –Questa mi è nuova…- blaterai.
-Io fuggii, Elizabeth e il suo bambino no perché in loro il trauma fu più forte, più intenso. In loro il Virus che colpì la gente nell’69 fu dieci volte più potente del mio, ma questi fattori, questi numeri in più andarono a consumarsi in tutti quei tentativi di estrarne qualcos’altro…-.
-Perché dici di essere uno di loro?-.
Walker sospirò. –Perché imboccando mia figlia al progetto Gabriel, sapevo benissimo incontro a chi e nelle mani di chi la consegnavo…-.
-In mano alla Black…-.
-Sì!- mi anticipò. –In mano loro!-.
-E adesso te ne penti?-.
-Se non l’avessi fatto a quest’ora sarebbe già morta-.
-Come fai a dirlo?-.
-Il Virus… come ha preso sua madre, avrebbe preso anche lei-.
-Quand’è successo a tua moglie?-.
-Poco dopo la sera in cui Lewis la portò via assieme al resto della squadriglia 190esima dal People Pub…-.
-Di che stai parlando?!- sbottai circospetto.
Mark fece un gesto con la mano. –Non puoi saperlo, e queste sono davvero cose che non ti riguardano- azzardò una brevissima pausa distogliendo i suoi occhi dai miei, ma quando essi tornarono a congelarmi del loro azzurro così intenso e splendente, l’accento nella sua voce divenne ancor più serio: -Adesso dimmi di Max- sbottò. –‘Sta bene, vero?-.
Annuii.
-E…-.
-Lisa è morta- lo informai schiettamente. –Tua figlia, Emily, l’ha uccisa per sbaglio mentre combattevamo…- mi lasciai sfuggire.
L’uomo, a differenza di quel che immaginavo, non parve per nulla stupito. –Lo so- disse. –Vi ho visto, quella sera…- aggiunse in un sussurro.
-Com’è possibile?!- scattai in avanti, ma a tale gesto un cacciatore volante alle spalle di Mark mostrò i denti sfogandosi in un possente ruggito, intimandomi di indietreggiare. E così feci.
-Non solo il legame che ho con loro- disse indicando le sue creature –mi permette di vedere attraverso i loro occhi, ma quando combatte, quando va a caccia, quando salva i sani e li porta alla base procedendo con la manovra di soccorso, quando spiega le sue ali…- assentì affranto. –Io ci sono sempre- aggiunse con la voce incrinata dall’emozione di pronunciare simili parole, rimaste allungo solo vani pensieri.
Parlava di sua figlia, e di come durante tutte le sue escursioni a Manhattan le fosse stato sempre accanto, soprattutto quando era lei a non accorgersi della sua presenza.

******
D’un tratto ebbi una vana sensazione di sentirmi chiamare; mi voltai e vidi solo un’ombra muoversi nell’oscurità di un vicolo che avevamo da poco passato, continuando a dirigerci verso il centro abitato. -Siamo sicuri che siano andati di qua?- chiese Lucy.
-Il mio naso dice così! Se il tuo ha qualcosa in contrario dillo adesso!- eruppe Harry.
-Va bene, scusa…-.
Ero rimasta indietro mentre i due ragazzi proseguivano oltre l’incrocio attraversando sulle strisce; peccato però che da quelle parti non passava un’auto da mesi.
I semafori erano spenti, altri distrutti. Le pareti dei palazzi mangiati da tentacoli neri e rossi e avvolti dalla solita puzza di Virus. Mi guardai bene le spalle allontanandomi da quel vicolo e accelerando il passo.
-Ehi, aspettatemi!- chiamai.
-Emily, ora resti anche indietro?!- fece lui infastidito vedendomi arrivare di corsa sul marciapiede opposto.
-Scusate, ma… mi era parso di vedere…-.
-Perfetto!- Lucy alzò il occhi al cielo. –Ora hai anche le visioni!-.
******

-Se le vuoi così bene…- pronunciai io. –Perché non vai da lei e la porti via da quel posto?- chiesi. –Hai idea di quante sofferenze nascano e crescano in quella base? Un’idea dell’Inferno che ha passato quella ragazza vendendo così il suo corpo? Che razza di padre farebbe mai una cosa simile?-.
-Era l’unico modo…-.
-Per fare cosa?!-.
-Per salvarla…-.
-Da chi?!- insistei.
-Dalla Blackwatch!- ruggì lui. –Quando me la portarono via, quando la rapirono ancora bambina, temevo che sarebbe stata la fine, che avrebbero scoperto che razza di occasione era capitata loro tra le mani! Fu un caso che scelsero lei, nessuno sapeva chi fossi io e cosa poteva aver ereditato da me! Nonostante ciò, l’indisposizione al Virus, all’impianto, smontò nei Blackwatch ogni ideale su di lei, e l’abbandonarono alla corta esistenza che le restava da vivere. All’interno degli esperimenti che condussero su di lei, solo due uomini si accorsero del male che la mia Emily aveva nel sangue. Solo due su un milione si accorsero di che genere di gene straordinariamente potente serbava nel suo sangue! Costoro erano Maximilian Taylor e Lewis Martin, laureati con me al College con la lode in scienze genetiche mutanti…-.
-Continua- lo esortai.
Mark mi si avvicinò con cautela, fissando un punto nel vuoto oltre le mie spalle. –Max ed io avevamo un ottimo rapporto, eravamo sempre stati grandi amici, grandi colleghi… fu il mio desiderio di entrare in aeronautica a dividerci, per il resto eravamo come fratelli. Ma Lewis…- sospese lì la frase, lasciandomi intuire tutto il resto prima che potesse riprendere il discorso. –Lewis era il cancro della nostra classe di scienze al liceo e la pecora nera nel branco del College. Credeva molto sulla possibilità che un giorno, non molto più tardi di due anni fa, un virus letale avrebbe preso piede sul pianeta e mietuto miliardi di vittime. Era così bramoso di potere, che se non ci avesse pensato qualcun altro prima di lui, sarebbe stato Martin stesso a far esplodere l’epidemia. Quando la Blackwatch lo contattò in segreto, promise il posto di lavoro anche a Max, che in quegl’anni vagabondava come un disperato alla ricerca di un mestiere fisso mentre io, promosso già come ufficiale alla marina, mi sudavo sette camice per mettere in piedi una famiglia, nonostante il… “difetto” che mi trascinavo addietro. Giusto pochi anni prima ci fu l’incidente. Fuggii, appresi subito cos’ero diventato e imparai a governarlo. Quando tornai all’aeronautica, fu una tale vittoria scoprire di poter risultare negativo a qualsiasi tampone a piacimento-.
-Cosa accadde dopo?-.
Gli sfuggì un sorriso. -Comparisti tu- disse guardandomi. –Abbandonati gli esperimenti su mia figlia e su altri precedenti cavie, la Blackwatch trovò te e ti rese ciò che sei, ciò che ti piace tanto essere-.
-Non mi piace ciò che sono- digrignai, sentendomi profondamente offeso.
-Se conosci Max, deve per forza averti fatto tante di quelle prediche sul fatto che la tua è stata una scelta, quella di diventare tutto questo-.
-Non ci posso credere!- alzai gli occhi al cielo. –Anche tu!-.
Marck scoppiò in una fragorosa risata. –Ti rammento che fu Max il primo a sapere del mio segreto, ed io gli parlai per la prima volta dell’eventualità di una vita normale che mi si era proposta davanti. Sono stato io a fare di ciò che ti ha detto, una profezia- arrise.
Scossi la testa guardando a terra, mentre a stento riuscivo a tenere le labbra strette per via della risatina che mi saliva lo stomaco. –Cos’accadde a Lewis?- domandai sollevando il mento dal petto. –Perché è a capo del progetto Gabriel? E cosa c’entra con tua figlia?-.
Il vecchio pilota d’aeri sospirò. –Come ti ho detto la Balckwatch prese lui e Max con sé. L’inglobò entrambi nel progetto, ed entrambi inizialmente ne furono entusiasti. Non appena Max scoprì di mia figlia, ed ogni cosa che la riguarda, lasciò gli esperimenti dando le dimissioni. Deve ringraziare il cielo se in tutti questi anni nessun cecchino si è appostato davanti casa sua. Lewis, invece, rimase. Da Emily risalì direttamente a me, ma non appena seppe riconoscere ciascuno degli anelli della catena che ci teneva uniti, anche lui lasciò il progetto…- fece una pausa –ma con scopi ben più subdoli…-.
-Ah, ecco- ridacchiai. –Mi sembrava strano…-.
-Lewis lasciò il progetto, ma non esitò un solo istante a firmare il contratto propostogli dal Presidente che lo nominava responsabile del Gabriel!- espose.
-Ora è tutto chiaro-.
-Aspetta, c’è dell’altro…-.
-Emily?-.
-Esatto. Lewis ed io c’incontrammo nella basa dell’aeronautica due anni prima l’inizio del settore Angeli. Mi parlò del progetto come un Messia narra della Bibbia! Sembrava così entusiasta, e all’inizio lo fui anch’io come lo era Max. Ma a differenza del mio amico, sapevo fin dall’inizio quali piani malvagi Lewis serbasse fin dal principio. Quella sera stessa mi ricontattò per telefono, ero a casa, circondato dalla mia famiglia. Emily compieva a breve vent’anni e si avvicinava il natale. Quanto vorrei non aver mai risposto a quella chiamata…-.
-Cosa accadde?- domandai amareggiato.
-Alzando la cornetta, il suono della voce di Lewis fu come uno stiletto in pieno petto. In principio volle me. Mi disse di sapere tutto quanto, di conoscere cosa avessi di tanto anomalo nel sangue. Come qualsiasi persona avrebbe fatto al mio posto, negai l’evidenza, ma non appena Martin accennò a mia figlia e agli esperimenti che aveva personalmente condotto su di lei… le mie difese… crollarono. Mi rassicurò dicendo che non avrebbe fatto parola con nessuno della Blackwatch di tale scoperta, così come il segreto era andato avanti fino ad allora. Mi fidavo di lui. Come uno sciocco, ma mi fidavo. Il suo silenzio, però, aveva un prezzo. E quel prezzo era uno dei due-.
-Tu o…-.
-…Lei- concluse il pilota.  
-Perché non andasti tu?- sbottai. –Era tua figlia, no? Un po’ di bene gliene volevi, no?!-.
-Se Lewis avesse fatto di me un Angelo, ora saresti già morto, Mercer- fu la sua risposta.
Sbiancai, diventando più bianco di quanto lo fossi di solito. –Tu dici?-.
Mark annuì. –Non accettai subito le sue condizioni- disse riallacciandosi al discorso. –Mi presi del tempo, forse troppo, perché le chiamate continue e la presenza sempre più assidua di Lewis nella mia vita fece insospettire entrambi i membri della mia famiglia. Quando il Virus comparve a Manhattan… ci fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ero lì per accettare, lì per consegnarmi nelle mani di Lewis che stava mettendo su la più grande organizzazione poliziesca mai esistita, perché d’altronde… gli Angeli non sono altro che pubblici ufficiali, come i carabinieri, le guardie svizzere, e i “mangiatori di ciambelle”- ridacchiò, alludendo alla polizia newyorchese.
-Ma poi?-.
-Ma poi…- sospirò. –Le mie attività militari mi tenevano troppo impegnato, e cominciai a fare di questo pretesto una scusa pur di rimandare, rimandare e rimandare… ma poi? Già, poi… poi ci fu l’incidente, dove rimase coinvolto anche un certo Cole Turner, non so se ne sai qualcosa, fatto sta che… avvertendo le forze venirmi meno, mentre tutti quei cacciatori mi accerchiavano, ho fatto l’unica cosa che potesse garantire una salvezza a questo modo per mia figlia. Sul baratro tra la vita e la morte, ho visto nelle ricerche e i traguardi del Progetto Gabriel l’unica opportunità che potevo offrire ad Emily di sfuggire al Virus… ma prima di tutto, a sé stessa-.
Rimasi allungo in silenzio, combattuto tra la verità di quelle parole e il dolore mescolato al rimorso delle mie azioni. I cacciatori alle spalle di Mark ostentavano in quello stesso mutismo colmo di rispetto per il loro padrone.
-Perché un tuo cacciatore ha cercato di ucciderla, allora?-.
-Hmm?- fece distratto.
-Quella volta, al porto…- insistei dubbioso. –Una delle tue bestie ha attaccato tua figlia. Sono dovuto intervenire- dissi.
-Non so di cosa stai parlando- sembrava sincero, e sconvolto soprattutto.
-Che buffo- constai.
-Sì, parecchio. Le mie creature non lo farebbero mai di loro spontanea volontà, e non c’è cacciatore volante che sfugga al mio controllo. Sono i miei burattini, li ho creati io!-.
-So per certo quello che ho visto!- ribadii. –Non essere dubbioso di questi occhi-.
-Non sono dubbioso, Alex- s’irrigidì. –Quello che mi hai appena detto mi porta ad una sola conclusione-.
-Quale?-.
-La Blackwatch sa di me-.
-Impossibile, o sarebbero già qui! E poi cosa c’entra?! Senza contare il fatto che quei bastardi si sono istinti, li ho uccisi tutti, te lo garantisco-.
-Ti sbagli di grosso. Sia Lewis che Max sono ancora vivi, e come loro molti altri possono sapere qualcosa che non sappiamo!- dichiarò lui, e non aveva tutti i torti.
-E allora cosa facciamo?- chiesi con maggior calma.
-Dobbiamo andare da loro-.
-Da chi?!- feci nervoso.
-Da Lewis e chiunque sia coinvolto in questa storia!-.
-E tua figlia?-.
-Emily deve starne fuori, e Lewis finalmente pagherà per quello che ha fatto- s’incamminò verso di me e fece per sorpassarmi, ma lo afferrai per un braccio costringendolo a voltarsi.
Ci fissammo allungo negli occhi. –Perché hai aspettato tanto a rivoltarti contro di lui?- domandai schietto, rigido quanto lui. –I tuoi poteri ti consentono di generare creature colossali e impadronirti della loro mente. Perché non hai ucciso Lewis molto tempo fa?- insistei col tenerlo stretto, e Mark non se lo fece ripetere.
-Aspettavo qualcuno abbastanza forte e motivato quanto me-.
-Chi?-.
-Te-.












Rieccoci!
Ah! Che bello! Sono soddisfatta in una maniera abnorme di questo capitolo! L’incontro tra Alex e il padre di Emily l’avevo in mente fin dall’inizio della storia, e le varie fasi di questo secolare dialogo le ho rivedute e controllate diverse volte. Diciamo che di novità da aggiungere alla trama ce ne sono parecchie. Lewis quindi è sempre stato qualcuno da eliminare, però Alex l’ha sempre ignorato per via della mancanza di collegamenti che poteva avere col progetto Balckwatch. Il futuro si prospetta interessante, le vicende si articolano in una maniera che neppure io ritenevo possibile, e sono molto fiera di questa storia! La prima tra tutte che riuscirò a concludere con una trama concreta e sensata! XD Bhé! Di sensato forse ha ben poco, ma paragonandola a quella di Prototype (che secondo me è intricatissima, peggio di tutte! XD) non si ha certo un confronto tanto stretto.
Bene, allora pregherò perché anche questo medesimo sclero della mia subdola fantasia vi sia piaciuto. Vi attendo come al solito nei commenti e nei prossimi capitoli sino alla fine! *eroe* A presto, amici! ^^


   
 
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