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Autore: The Corpse Bride    11/10/2009    6 recensioni
-Bianca, per favore, smettila con questa storia. Non cederò mai. Devo ripetertelo? Sono il tuo professore; non sarò mai il tuo amante.
La ragazzina sbuffò. Sedici anni, capelli rosso fuoco freschi di cotonatura, un trucco nero pesantissimo sfumato dal giorno prima.
Aveva una scollatura così profonda, e una minigonna così corta, e degli stivali così alti, che non si poteva fare a meno di guardarla, a prescindere dagli istinti sessuali che poteva o non poteva provocare.
'Provocare': ecco cosa faceva.
Non chiedeva solo sesso. Chiedeva anche l'altrui disapprovazione. E chiedeva che le parlassero alle spalle, sicuramente. In fin dei conti, per come la vedeva Emanuele, quello che chiedeva era semplicemente attenzione.
-Professore, lei non può sapere per certo che non cederà mai. Chi lo sa cosa potrebbe passarle per la testa domani, o il mese prossimo, o l'anno prossimo?
-Lo so io, cosa mi passerà per la testa: la mia fidanzata, il mio lavoro, i compiti da correggere, le cene fuori coi miei amici. Il mio cane, al massimo. Ma non il sesso con te. Non mi induci in tentazione, Bianca, mettitelo in testa.
-Ma davvero? - lei sorrise malignamente, alzò un sopracciglio, accavallò le gambe e si stese bene sullo schienale; si comportava come una spogliarellista trentenne. - Allora perché ha usato il termine 'cedere'? È alle tentazioni che si 'cede', o sbaglio? Altrimenti avrebbe detto 'non mi piacerai mai'. È già più vicino al concetto del quale lei cercava di convincermi.-Bianca...
-O di convincere se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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N.B.: non so come appaia a voi, ma questo capitolo a me risulta con un testo molto piccolo. Non sono riuscita a modificarne la grandezza, per cui provate a premere contemporaneamente i tasti "Ctrl" e "+" e dovrebbe essere più visibile... se ci fossero problemi segnalatemelo, vedrò di darci sotto col codice e sistemare la cosa. ^^

L'occasione non tardò a presentarsi. Dovette attendere appena il giorno successivo al suo ritorno; non appena riuscì a farsi sbattere fuori, Bianca si presentò, puntuale, nell'ufficio di Emanuele. Arrivò saltellando ed esordì con un vispo “Buongiooorno prof!”.
La osservò mentre trotterellava fino alla sedia e vi si sedeva con un colpo secco, alzando le gambe al punto che, se avesse voluto, avrebbe potuto sbirciare senza problemi di che colore aveva le mutande quella mattina.
-Bianca, se fai così ti si vede tutto – la ammmonì.
-Beh, non è mica un brutto spettacolo, gliel'assicuro. Me lo dicono tutti. Vuole sincerarsene?
-Ci credo sulla parola.
-Aah, prof, mi è così mancato! La posso abbracciare forte? Forte forte forte? Non mi ha mai lasciato abbracciarla, posso per una volta? Posso? Eh?
-Non se ne parla neanche.
-Ah! Fanculo. Non a lei, al destino funesto che ha frapposto la Camillah tra me e lei. Ah, l'amore infelice dei miei sedici anni!
-Vuoi stare ferma un minuto? Mi fai venire il mal di testa.
Bianca continuava a dondolare le gambe, a gesticolare con una mano e con l'altra a tormentarsi i capelli.
-Ferma? Nah, non ho voglia. Ah, sono così felice di rivederla, sono emozionata come una ragazzina al primo appuntamento! Era da tanto che qualcuno non mi faceva battere il cuore, prof.
Si alzò, saltellò fino alla finestra. Il suo sguardo schizzò sulle macchine fuori, poi esaminò per bene la stanza, poi si posò di nuovo su Emanuele, a cui rivolse un enorme sorriso di cuore.
-Bianca, ho parlato con tua madre, un mese fa.
-Cosa? - fece lei, che aveva posato le mani sulle superfici dei due tavoli e ora dondolava le gambe nello spazio dell'intermezzo – Mia mamma? Le ha detto di quella storia di Cappellotto? No, vero? Perché sono ancora qui viva e attiva che parlo con lei, e se avesse saputo di quel discorso di sicuro non sarei qui tutta intera.
-No, non le ho detto niente, perché concordo con te sul fatto che ti ammazzerebbe. E non avrebbe neanche torto. - Bianca intanto dondolava a velocità folle le gambe per aria. - Mi ascolti?
-Sì sì.
-Che ho detto?
-Che rompo i coglioni. Prof, senta, senta, l'ha visto l'ultimo di Woody Allen? Io l'ho trovato un agglomerato di escamotages che non tentano nemmeno di camuffarsi e di stereotipi che il nome prestigioso non riesce a nascondere. E poi, ha capito quel vecchio porco? L'avevo già captato in Manhattan che il suo sogno segreto neanche tanto segreto è quello di portarsi a letto una ragazzina profondamente affascinata dalla sua intelligenza eclettica e dal suo umorismo sarcastico e un po' noir, ma credo che questa volta abbia...
-No, Bianca, non l'ho visto.
-Oh, dovrebbe! Mi chiedo perché per non abbia per l'ennesima volta recitato nei panni di se stesso, o di quello che gli piacerebbe essere se fosse un po' più accettabile dal punto di vista estetico. Per di più, cercare di spiegarmi la storia attraverso il protagonista che parla con la telecamera! Bel fallimento nel presupposto dell'intento di comunicazione che è un po' la base del media cinematografico, non trova?
-Ti sei fatta buttare fuori dalla classe?
-Bah, non ne potevo più! Io le avevo capite, le disequazioni fratte. Quelli non ci arrivavano. Non avevo voglia di rimanere lì ferma immobile per altri tre quarti d'ora aspettando che ce la facessero anche loro, che tanto, lo so, non le capiranno mai.
-E quindi, come hai fatto a farti buttare fuori?
-Mi sono fatta sgamare a con l'auricolare nelle orecchie che scuotevo la testa a ritmo di
Infinity 2008. Oh, mi piace una vita quella canzone! E nonostante sia da discoteca ha anche un bel testo, a modo suo. Ho voglia di andare in discoteca. Oh, ho voglia di ballare! Prof, balliamo? Facciamo qualcosa assieme?
-Bianca, cos'hai preso?
-Io? Io niente, prof. Pensa che sia una
drogata? - chiese con un sorriso inquietante - Pensa che abbia le braccia tutte piene di buchi o che abbia un francobollo sotto la lingua? Vuole provare a controllarmi la lingua, prof?
Se la ritrovò a tre centimetri dal naso. Venne preso dal panico.
-Bianca, ti prego.
-Oook, ok – riprese a saltellare per la stanza, con le braccia dietro la schiena – allora vuole controllarmi le braccia? Vuole vederle? - tornò di fronte a lui e fece per levarsi il maglioncino. Poi scoppiò a ridere davanti al suo pallore improvviso, tirò giù il maglioncino, si chinò su di lui e afferrò l'orlo della sua manica sinistra – Controlliamo? Vuole vedere se mi faccio? - sorrise ancora, si rialzò e gli fece l'occhiolino – Beh, rimarrà col dubbio. Così almeno mi penserà un pochino. E com'è andata con la Camilla, in questo mesetto di assenza mia? Quand'è che vi lasciate? No, scherzo, non glielo augurerei mai. Ma quand'è che viene a fare un giro con me?
-Bianca,
fermati un secondo. Che cos'hai?
-Ma niente, prof! Sono solo una ragazzina un po' vivace. Sa com'è, a quell'età, hanno gli ormoni a mille. Eh, ma vedrà che col tempo si darà una calmata... sorrisino di scherno, e poi: è come tutti gli altri, tutti ci diamo una calmata prima o poi. Eh, già. Siccome io non mi calmo gli dà fastidio pensare che io abbia più diritto di loro di comportarmi senza vincoli o freni. Gli dà fastidio vedere il modo in cui mi do il permesso di esprimermi con sincerità, semplicemente perché io sono libera e loro non lo sono. Susanna Kaysen diceva qualcosa del genere. L'ha letto, il libro di
Girl, Interrupted? È molto meglio rispetto al film. Più che altro, il film è quasi un'altra storia. La scrittura della Kaysen è così cruda e asettica, l'ho poi ritrovata in quel libro sulla sua patata che...
-Bianca. Una cosa alla volta. Cosa stai cercando di dirmi?
-Mmh – si morse le labbra, i suoi occhi grandi schizzarono qua e là, nel frattempo dondolava le gambe – eh. Boh. Niente. In realtà nessuno di noi lo fa mai, giusto? Non vogliamo mai dirci un granché. Non facciamo altro che riempire milioni di attimi vuoti con film e libri e
vernissages e sesso. Non è così, che fanno le persone grandi? Voilà, vede che non sono poi così immatura? E neanche voi siete poi così complicati.
-Bianca.
-Su, basta chiamarmi per nome, mi sembra di essere in classe, la prego. Comunque, tornando a Woody – stavamo parlando dello zio Woody, vero? - ha notato come ama i salotti, i ricevimenti, le esternazioni di cultura postmoderna e in generale l'ambiente borghese intellettualoide? E ha notato come ha preso in giro quelle newyorchesi boho-chic, etno-finto-povero, genio-e-sregolatezza, dedite all'arte e convertite all'ambiguità sessuale e filosofica e ideologica?
-Ti vuoi fermare un momento, Bianca...?
-Mannò, perché? Chiacchieriamo! Mi dica qualcosa. Se non ci fossi io che parlo, il tempo non passerebbe più. Con la Cami come fa? Passa tutto questo tempo a dirle 'Camilla! Camilla! Camilla!' ogni volta che la poverina cerca di fare un po' di conversazione?
-Senti, non sono affari tuoi quello che io e...
-Looo sooo, prof, looo sooo, stavo solo sdrammatizzando. È che qui ci perdiamo in un gomitolo aggrovigliato di parole senza senso quando in realtà io voglio fare sesso con lei e continuiamo a girare attorno a questa verità senza mai concludere nulla. Non la tento almeno un pochino? Almeno una sbirciatina alle tette? Tutti cedono davanti alle tette, avanti. Sarà mica
diverso, lei?
-Non mi amavi proprio perché ero diverso...?
-Ma lei non mi ama, quindi non me ne faccio proprio niente della sua diversità a stampo romantico vecchio stile.
-Davvero vorresti che ti amassi?
-Disperatamente, anche se non sembra. Ma sarei curiosa di sapere, se fossimo io e lei, in un motel fuori città, lontani dove non ci vedrebbe nessuno, se non sarebbe almeno un po' tentato di farlo.
-Nemmeno se ci trovassimo in un universo parallelo.
-Sarei capace di cercare il portale per Narnia in tutti gli armadi del mondo, se lei mi promettesse che, una volta arrivati lì dentro, potrei finalmente averla per qualche secondo.
-Non ti farò mai questa promessa.
-Io voglio esserne sicura.
-Prego...?
-Prenoti un motel a nome suo, fuori città. Pago tutto io: stanza, benzina, pranzo e cena. Stiamo un pomeriggio assieme e se non avrà mai, nemmeno per una volta, la tentazione di accarezzarmi il seno – si portò una mano sulla curva dolce e piena del petto – allora io mi arrenderò. Prometto. Non verrò nemmeno più qui a parlare con lei.
-Non se ne parla.
-Allora continuerò a venire qui e a chiederglielo e a riempirle le orecchie di parole senza senso.
-Fa' pure, non ti ascolterò.
-Lo farò con uno diverso ogni giorno. E la sera berrò ancora di più, lo sa che bevo parecchio? No? Bene, ora lo sa, bevo parecchio. Una bottiglia ogni uno o due giorni se ne va, e non di
Bacardi Breezer, ma di Keglevich da venticinque gradi: davvero lei vuole che io peggiori? Vuole che il fegato mi esploda in mille pezzi? Vuole che rimanga incinta, prima o poi? O magari che vada con qualcuno di pericoloso che mi violenterà e poi mi infilerà a pezzi nei bidoni della spazzatura?
-Sei proprio stronza a minacciarmi.
-E a lei non costa nulla passare un pomeriggio con me. Non le ho chiesto niente tranne la sua compagnia; quello che fa dipende esclusivamente dalla sua volontà, quindi, se non le andrà di toccarmi, non lo farà e il discorso sarà chiuso.
-E poi mi lascerai in pace?
-Sicuro, la lascerò in pace. Mi vedrà solo in classe e le parlerò solo in occasione delle interrogazioni. Guardando la classe e non i suoi occhi.
-Affare fatto. Il più presto possibile, mi raccomando.
-Prenoti lei quando le è più congeniale – rispose Bianca allegramente – e poi me lo comunichi, così effettuo il pagamento al motel. - Sorrise. - Spero anch'io che sia il più presto possibile.
-Non per i miei stessi motivi, credo – mugugnò Emanuele.
-Oh, lo so. Questa è la misura in cui lei vuole che io mi levi dalle palle – scoppiò a ridere – le farò cambiare idea. Altrimenti amen. Il mare è pieno di pesci, dicono! Arrivederci e buona giornata. E grazie. E le voglio bene. E scusi. E scusi anche alla Camilla. E ora me ne vado, sì, arrivederci.
Emanuele uscì da quella conversazione sfinito, e faticò non poco a trascinarsi attraverso le ultime tre ore di lezione. Poi passò un viaggio in treno terribile; era infastidito da tutto, operai puzzolenti, valige, ristrettezza di spazio, tutto. Tornato a casa si preparò una camomilla e Camilla arrivò poco dopo; quando la vide, non riuscì a trattenersi e un paio di lacrime spuntarono da sotto le palpebre e presero a ballargli sull'iride.
-Amore – esclamò Camilla, gettando la borsa per terra – che succede? Tutto a posto?
-Sì – mormorò – sì. Un po' stanco.
-Che è successo? Ti hanno rimproverato al lavoro?
-... sì – mentì, dopo una breve esitazione – perché secondo loro non ho organizzato per tempo un progetto di uscita didattica.
-E piangi per questo?
-No, perché non ne posso più. C'è troppa gente in una scuola e tu devi avere a che fare con ciascuno di loro. Voglio andarmene da lì. Appena finisce l'anno scolastico strappo il contratto e vado a fare qualcos'altro.
-Amore, mi dispiace tanto. Vieni qui. Andiamo a farci un bel bagno caldo assieme, su. Stasera ti preparo la parmigiana, sei contento? E poi se vuoi andiamo al cinema. Ti va l'idea?
Guardò il caldo sorriso di Camilla che lo teneva tra le braccia come fosse stato un bambino col ginocchio sbucciato. Purtroppo, dopo averla guardata, gli venne ancora più da piangere.
-No, dai... non fare così. Adesso ci dormiamo su e passa tutto. Tra poco la settimana è finita, forza, cerchiamo di farcela... pensa che io ho Bianca senior, altro che una sedicenne ribelle!
-Già...
Ma fu davvero consolatorio quel breve dialogo prima del bagno assieme, perché gli ricordò che, per quanto Bianca tentasse di trascinarlo nel suo vortice di parole e contraddizioni e sesso vuoto, c'era sempre Camilla ad aspettarlo a casa, e lui avrebbe sempre resistito a qualsiasi tentazione, posto che ve ne fosse una, perché non avrebbe mai potuto dimenticare per un attimo quanto l'amava.

Il giorno dopo comunicò brevemente a Bianca che potevano tranquillamente incontrarsi l'indomani, e le indicò nome e indirizzo dell'albergo.
-Fatti trovare in piazza Insurrezione alle due – le disse con tono neutro – io passo a prenderti in macchina. E vedi di non parlarne agli altri.
-Non mi tratti così.
-Tu mi hai minacciato, Bianca, non ti meriti di essere trattata diversamente.
La lasciò in corridoio dove l'aveva trovata, senza voltarsi a guardarla. Sapeva di averla ferita. Ma sapeva anche di non essere più in grado di reggere la situazione, e decise per quella volta di pensare solo a se stesso.

-Eccomi qua, prof! Ho fatto tutto. Partiamo!
Non rispose e la guardò mentre richiudeva la portiera e si allacciava la cintura. Anche Bianca tacque come lui, ma masticava una gomma dietro l'altra, e continuava a dondolare le gambe e a tormentarsi le pellicine delle mani.
Avrebbe voluto dirle di non farlo, di calmarsi per un secondo, ma era ancora furioso con lei. Alla fine, però, ricordò che era soltanto una ragazzina di sedici anni con evidenti problemi, e si arrese a rivolgerle la parola.
-Come stai? - le chiese, in un borbottio.
-Non le rispondo se me lo chiede così.
La guardò. Aveva lo sguardo puntato fuori dalla finestra; si morsicava le dita e continuava ad accavallare e scavallare le gambe, incapace di trovare requie.
-Basta mordere. Ti fai male.
Lei si voltò verso di lui e lo guardò un attimo, con un'espressione strana. Sembrava lo stesse studiando. Le lanciò un'occhiata. Lei si girò e riprese a mordersi le dita.
-Basta! - stavolta le diede un colpetto sulla mano. Lei lo guardò ancora, poi si girò ancora di più verso il finestrino ed Emanuele non fu più in grado di controllare cosa stesse facendo. Sentì solo che non stava mai ferma.
-Prof, andiamo in Alabama.
-Cosa...?
-In Alabama. No, in Texas. No, a Las Vegas. Oh, che sete.
Bianca tirò fuori dalla borsa una bottiglia. Emanuele lanciò un'occhiata alla bottiglia e realizzò, sgomento, che si trattava di vodka liscia.
-Non se ne parla. Io non vado da nessuna parte con una minorenne ubriaca, chiaro?
-Ma mi fa stare meglio. Mi rilassa, prof. Sa quante volte a scuola arrivo con la vodka secca nella bottiglietta? Tutti pensano che sia acqua, e invece no, è vodka. Mi serve per stare tranquilla, altrimenti mi agito.
-Quanto stupida sei?
-Se sapesse in quanti me lo dicono.
-No, tu sei proprio
stupida. Ci trovi un gusto tutto particolare nell'autodistruzione, vero? Hanno ragione quando dicono che vuoi soltanto il centro del palco. Tu vuoi la nostra attenzione, sempre, costantemente. Negalo.
-Be', se volessi la vostra attenzione mi porterei una bottiglia di Jack Daniels con l'etichetta, ma ad ogni modo lei la pensi come preferisce, non mi interessa molto. Mi basta che finisca.
-Cosa?
-L'attesa. È snervante. Il
dopo. Deve arrivare. E io non sto facendo nulla ma dopo tra di noi succederà qualcosa, e stiamo passando al rallentatore attraverso il tempo. Mi manda fuori di testa.
-Perché non lo ammetti...?
-Cosa?
-Che ti fai dalla mattina alla sera. Tu prendi qualcosa. Cos'è? Ecstasy? Cos'altro? Per comportarti a questo modo, qualche amfetamina la prendi di sicuro. Non sono un esperto, dimmelo tu. Cosa prendi?
-Un caffè con due cucchiaini di zucchero, grazie.
-Non farmi arrabbiare ancora di più, Bianca.
-Lei è suscettibile. Mentre io, nonostante lei continui a insinuare che sia una drogata, ancora non mi sono scomposta. E poi sarebbe lei l'adulto e non io.
-Tu sei una mocciosa.
-E LEI LA DEVE SMETTERE IMMEDIATAMENTE – strillò Bianca, da un momento all'altro – chiaro?! Io NON mi drogo. NON lo faccio. Ma LEI continua a dire che LO FACCIO, e IO sto perdendo la PAZIENZA.
La guardò. Aveva due enormi occhi rossi spalancati in modo inquietante, e ansimava.
-Va bene, Bianca. Non ti droghi.
-E non usi CONDISCENDENZA – urlò lei, afferrandolo per un braccio – ha capito?! NON faccia l'adulto maturo e ragionevole con me! NON mi faccia ARRABBIARE, è chiaro?! Altrimenti io... io...
-Molla il braccio, per favore.
-NON MI DIA ORDINI!
-Per favore, Bianca...
-Allora lei adesso LA SMETTE di fare insinuazioni su di me e di trattarmi da appestata. La SMETTE, ha capito?! Ha capito?! O vuole che mi arrabbi SUL SERIO?!
Rischiava davvero di finire attraverso il guard rail, perciò decise di mantenere la calma. Ora era praticamente certo delle sue ipotesi, ma decise di assecondarla. Sperava solo che l'effetto passasse prima che arrivassero al motel, e che nel frattempo lei non li conducesse dritti dritti verso un frontale.
-Ho capito, scusami. Sono saltato in fretta alla conclusione sbagliata.
-Mi scusi – bisbigliò lei, con aria angosciata – mi scusi lei. Io...
Non concluse. La sentì tirare un bel respiro, poi scoppiò a piangere a scroscio.
-Mi dispiace tanto, prof – singhiozzò – mi dispiace tanto, mi perdona? Sono stata maleducata, ho urlato. Mi dispiace tanto. Mi perdoni, prof. Io la amo. Non voglio che pensi questo di me. Mi dispiace tanto! Prof, mi dispiace...
-Ok, Bianca, ho capito. Non importa. Adesso non scusarti più.
-Ma ho paura che nel momento in cui smetterò lei inizierà a prendersela con me – gemette, asciugandosi gli occhi – ho paura che lei mi odi. Io non voglio che lei mi allontani. Professore, non se ne vada più, rimanga con me, per favore.
-Adesso non agitarti e asciugati il viso, ok? Sei più bella con un sorriso sulle labbra.
-No, sono brutta e lei mi odia, per questo non mi vuole – riprese a singhiozzare disperatamente – non ho mangiato per un mese e mezzo per piacerle, e ho perso dieci chili e lei non se n'è neanche accorto.
-Ma Bianca, hai il cappotto, come potevo...
-Sì, ma a scuola sono quasi svestita, e lei non si è accorto che avevo meno tette e meno cosce!
-Ma perché non te le guardo!
-E allora lo vede che non le interesso! - pianse, e appoggiò la fronte sul cruscotto. Emanuele le accarezzò i capelli rossi, sciolti e un po' secchi per via della tinta.
-Ma non è la fine del mondo. Io ho grande stima di te, Bianca, anche se ti comporti da stupida ogni tanto.
-Lo so che secondo lei e tutti mi comporto
sempre da stupida – si lamentò, e tirò su col naso – e ho sentito una volta quella di tedesco dire che non posso essere intelligente, al di là dei voti, se mi comporto così.
-Ma non la pensiamo tutti come lei. A sedici anni non puoi parlare a qualcuno di 'scelte' e pretendere che faccia anche quelle giuste. Quando si parla dell'emotività della persona, non si può essere razionali; intervengono moltissimi fattori, tra i quali sicuramente le esperienze personali, e tu probabilmente hai avuto le tue e queste ti hanno spinta, e tuttora ti spingono, a comportarti in un certo modo.
-Allora andiamo a Las Vegas?
-... eh?
-Las Vegas. Gioco d'azzardo. Decappottabili rosse sulla Route 66, capelli nel vento, il nostro amore folle e selvaggio.
-Bianca...
-Ho letto
L'Eleganza del Riccio, prof, l'ho trovato terribilmente pretenzioso e ho sentito la voce dell'autrice assordante come una campana. Quanto surrealismo, quanta metafisica dei poveri, quanta tronfia saccenza. E quante seghe mentali, soprattutto!
-Ti ricordi di cosa stavamo parlando?
-Sì, di me, come sempre. Sono un po' stufa di sentir parlare di me, tutti parlano sempre di me, che noia. Ci sono cose molto più interessanti nel mondo e una di queste è la narrativa contemporanea, e lei dovrebbe essere d'accordo con me, no? Quindi non concentriamoci sulla mia stupidità e confrontiamoci da uomo a donna colti quali siamo.
Cristo, avrebbe voluto dire. Iniziava a preoccuparsi dell'eventualità in cui li avessero fermati e avessero trovato lei con delle pastiglie in tasca. Poi avrebbe avuto un bel daffare a dimostrare che non era un pedofilo, e a spiegarlo a Camilla.
Ma come si era fatto incastrare...?
Come?
-Prof, è meglio se bevo. Davvero. Poi sto meglio e mi calmo.
Non poteva farle notare che alcool e droga non erano una grande accoppiata. Tentò di aggirare l'ostacolo.
-Non mi sembra una buona idea, Bianca. Poi come giustifico al gestore del motel la mia permanenza con una ragazzina di sedici anni ubriaca?
-Nel mezzo tra 'sedici anni' e 'ubriaca' stava per dire 'vestita come una puttana', vero?
-No...
-Sì, lo stava per dire. Ma lo so, cosa crede? Se non ne fossi cosciente, sarei proprio stupida; mi rendo conto di vestirmi diversamente dalle mie coetanee. Non lo faccio di certo con ingenuità.
-E perché lo fai?
-Perché ho un bel corpo e voglio che si veda.
-Che lo veda
chi?
-Chiunque fosse interessato a interagirvi. Uomini, donne, animali... poi io valuto.
-Perché lo fai?
-Perché il sesso mi piace e piace anche a chi lo fa con me. Perché lei fa sesso con Camilla? Perché le piace e piace anche a Camilla. No?
-Sì, ma io lo faccio
solo con Camilla. E lo faccio perché la conosco almeno un po', e almeno un po' mi piace.
-Solo un po'?
-No; 'molto' per entrambe le cose. Ma quelli che ti porti a letto ti piacciono?
-Anche 'quelle'.
-Fantastico. Ti piacciono?
-Sì, mi piacciono. Sennò non me li farei.
-Ma li conosci?
-Che importa, quando alla fine quello che vogliamo è il sesso?
-Non puoi ragionare così.
-Amo la velocità di questo dialogo.
-Io non so cosa fare con te.
-Allora lasci fare a me.
-Tu mi stai...
-Sì. Lo so. La faccio uscire da ogni grazia di Dio. Eh, ma io ci vivo, fuori da ogni grazia di Dio. È una cosa continua. Non si ferma mai. Rallenta e basta, che è una cosa insopportabile!, ma non si ferma mai. Dio. Per questo le dico di lasciarmi bere quella vodka. Almeno mi calmerei.
-Bevine un sorso e per favore poi stai calma un minuto. Solo un minuto, te ne prego.
Lei annuì e bevve più o meno un quarto della bottiglia.
-Ora va meglio – mormorò alla fine – aah, che pace. Adoro quando va giù dritta nella gola e fa effetto immediato. Senti quel calore piacevolissimo nello stomaco e un'ondata tiepida e vibrante che t'invade tutto il corpo. Che meraviglia.
Emanuele si sentiva sempre più a terra. Più si avvicinava a quella ragazzina, e più gli sembrava di precipitare in un posto buio e tortuoso, dal quale non riusciva a prendere aria.
Ma, sorprendentemente, Bianca aveva detto una cosa vera: dopo la vodka si calmò, e iniziò a parlare molto tranquillamente. Vivace, com'era sua consuetudine, ma non in modo psicotico.
-E quindi ho incontrato questa ragazza, ma su Netlog sembrava molto più carina. Comunque non era male, e qualche bacio e qualche carezza ci sono scappati. Mi piacciono, le ragazze. Sono così morbide e dolci. Accarezzarle è un piacere diverso dall'accarezzare un uomo, che è solido e alto e forte.
-E così sei bisessuale?
-Mah?
Sort of. Forse solo curiosa. Però a questo punto direi che la curiosità me la sono tolta, quindi mi sa che sì, mi piacciono entrambe le cose. In generale mi piace fare sesso, comunque. Non so perché; mi piace e basta. Ne ho bisogno, altrimenti non carburo. E poi ti sfoga un casino, come prendere a cazzotti un punching ball.
-Non è proprio così che bisognerebbe viverla...
-No, lo so. Ma a me viene spontaneo così. Se m'innamoro ma la persona che amo non ricambia, per me è impossibile
fare l'amore. Ora capisce perché faccio un casino di sesso?
-Solo perché io non ti ricambio?
-In definitiva, no, non credo sia solo per questo. Ma di sicuro, come direbbe Jess Crichton, se io fossi la pasta al ragù, lei sarebbe sicuramente la pasta, o la carne.
-E invece il pomodoro e la cipolla, cosa sono?
-Chissà – sospirò – non ci penso poi così tanto. Mi viene. So che c'è un motivo, ma io non ho proprio idea di quale sia.
Ora sembrava tornata la solita Bianca. Aveva smesso di agitarsi, parlava più lentamente e diceva cose sensate. Non cose
belle, ma sicuramente quello che diceva aveva un nesso logico. Forse la vodka era davvero capace di frenare l'effetto dell'ecstasy.
Alla
reception, dopo un'altra mezz'ora di chiacchiere delle quali Emanuele non riuscì a cogliere il filo conduttore, Bianca si comportò bene. Emanuele avrebbe voluto sprofondare di fronte allo sguardo indiscreto del receptionist, ma si consolò pensando che quell'ultimo sforzo avrebbe dato i suoi risultati.
Salirono in camera e posarono le borse. Bianca ricoprì il letto con una coperta che aveva portato da casa, “perché di questi posti non c'è da fidarsi”, spiegò. Era davvero convinta che avrebbe ceduto, prima o poi.
-Allora, prof? - sorrise – Adesso possiamo farlo e levarci il pensiero una volta per tutte?
-Se la metti così, sono ancora più convinto che farlo sarebbe la scelta peggiore.
-Ooh, lo sa che per me non è 'levarmi un pensiero'; io non voglio togliermi lei dalla testa. Adoro pensarla tutto il tempo. Lei è un'ottima persona a cui pensare: bello, buono, comprensivo, onesto, colto... non avrei potuto scegliere un candidato migliore.
Emanuele suo malgrado rise. Bianca s'illuminò.
-Ma allora so anche farla ridere! Pensavo di essere in grado soltanto di irritarla... e invece, pensa te! E magari mi vuole anche un po' di bene...?
-Bianca, io... senti. Non è che ti voglia male. Sono in un certo qual modo 'affezionato' a te, nel senso che mi preoccupo per te, che vorrei che tu stessi meglio. Ma non credo che... cioè...
-Ma allora sì che mi vuole bene – esclamò la ragazza, con gli occhi luccicanti – quando ti prendi a cuore una persona, è perché le vuoi bene. Sono sicura, prof. Di poche cose sono sicura, ma di questa al cento per cento.
Emanuele rise un'altra volta. Forse aveva ragione lei. Forse un po' le voleva bene.
-Ecco, mi dà ragione! Che figata, il prof mi vuole bene. Be', è già qualcosa! Allora, dato che mi vuole bene, mi abbraccia?
-Aspetta. Ora non...
-Ma prof, un abbraccino piccolo – si lamentò – piccolo e breve. Non le sto chiedendo niente di erotico. Un abbraccio come quello che dà a... boh, ai suoi nipotini, a sua suocera, a un'amica. Una cosa semplice e pulita.
-Mia suocera non l'abbraccerei nemmeno se ne andasse della mia vita, per me ha lo stesso effetto che ha la kryptonite su Clark Kent – mormorò – comunque, vieni qui.
Bianca sorrise felice e si avvicinò. Emanuele aprì le braccia; lei gli circondò la vita con le sue e appoggiò la testa sul suo petto, affondandola tra le pieghe della camicia tanto che non fu più in grado di vederla in viso. Con una mano le cinse la cascata di capelli rossi e spettinati; l'altra mano gliel'appoggiò sulla schiena e la premette delicatamente contro di lui. Bianca sfregò il naso sul suo sterno; non l'aveva mai vista così tranquilla e non si era mai reso conto di quanto fosse esile, nonostante la curva morbida e piena del seno appoggiata sul suo addome.
-Contenta? - sussurrò, in direzione della testolina scarmigliata sotto il suo mento. Lei non rispose. - Bianca?
Ancora non rispose, ma le sentì le spalle tremare tra le sue braccia. Presto il tremito si trasformò in piccoli scatti. Bianca strinse i lembi della sua camicia, e, per questa volta, decise che sarebbe stato giusto accarezzarle i capelli.
Rimasero così per un po', per tutto il tempo che ci volle a Bianca perché la sua schiena non fosse più scossa dai singhiozzi.
-Scusi – mormorò alla fine, staccandosi, rossa in viso per l'imbarazzo – mi scusi. Non è perché non fossi contenta. Ero contentissima. È proprio perché ero contentissima.
-Non devi vergognarti. Preferisco che piangi perché sei felice, piuttosto che per la tristezza.
-Ma un po' c'era anche tristezza – precisò lei – non per lei, prof. Ero felice, ma ero anche triste perché, prima di essere così felice, probabilmente mi sentivo molto triste.
-Da quand'è che qualcuno non ti abbraccia, Bianca...?
Lei lo guardò, spaesata; in capo a un paio di secondi, i suoi grandi occhi castani si riempirono di lacrime pesanti che sgorgarono immediatamente giù dalle palpebre, rotolando veloci sulle sue guance.
-Non so... cioè... non è che me ne freghi più di tanto. Non li chiedo mai a nessuno, gli abbracci, non ho mai voluto che nessuno mi abbracciasse... non capisco.
-Ci credo che non volevi, se ogni volta ti metti a piangere – le sorrise, cercò di essere rassicurante. E si chiese se quel pomeriggio sarebbe bastato per venirne a capo.
-È perché – tirò su col naso – lei abbraccia bene, prof. Per un attimo, attorno a me c'erano solo le sue braccia e il suo petto e il suo profumo e il silenzio, e da quel momento in poi tutto il resto del mondo è sparito. Capisce? Non esisteva più niente tranne l'uomo che amo e io avvolta dal suo corpo.
Protezione, ecco cosa serviva a Bianca. E se la cercava così disperatamente, era perché probabilmente per qualche motivo le era mancata.
Sicuramente non l'aveva trovata nelle persone che si portava a letto, e che teneva comunque a distanza lei stessa.
Fu comunque sollevato di constatare che non si gettava tra le braccia di sconosciuti affidandosi a loro; ci passava soltanto del tempo cercando di ammazzare in qualche modo un qualcosa che aveva dentro e che le sussurrava all'orecchio cose che la tormentavano.
-Adesso però calmati. Ti abbraccio ancora, se ti serve. Finché non ti abitui, ok? Però adesso stai tranquilla. Guarda; ti siedi qui sul letto, ti prendo un bicchiere d'acqua, se vuoi ti accendo la televisione...
Bianca si sedette e lo seguì attentamente con lo sguardo mentre riempiva d'acqua un bicchiere e cercava il telecomando. Quando le elargì entrambe le cose, fece una smorfia, chinò il capo e ricominciò a piangere silenziosamente.
-Ehi. Cos'hai adesso? Stai male?
-No, no – scosse la testa, guardando fisso le proprie ginocchia – è che prima lei era incazzatissimo con me e invece adesso mi tratta così bene. Sono contenta che lei non ce l'abbia più con me. Mi sento così sollevata. Prima stavo malissimo – riuscì a concludere, prima di esplodere in singhiozzi rumorosi.
-Non fare così – s'inginocchiò davanti a lei e le posò una mano sulla guancia – non ce l'ho con te. All'inizio me la prendo, ma poi ho come l'impressione che... be', io sono adulto. Non tengo il muso a una ragazzina di sedici anni.
-Non sono una ragazzina – protestò, con voce rotta – sono almeno una
ragazza, e tra un pochino se aspetta diventerò una donna.
-Sarai una donna quando ti comporterai da donna – le carezzò lievemente la guancia, per stemperare la sua affermazione – per adesso, ti stai comportando da adolescente contro il sistema.
-Ma io non ce l'ho col sistema, prof, glielo giuro. Mi piace, il sistema. Se non avessimo il sistema, sa che caos? Io non voglio andare contro a nessuno, vorrei solo vivere come piace a me. Non so che farci se è il sistema ad avercela con me, per conto mio potremmo convivere pacificamente ognuno per la sua strada. E invece poi arriva una Valeria qualsiasi a dirmi che le dà fastidio come mi comporto. Ma saranno mai affari suoi, prof? Eh? Sia sincero!
Gli venne quasi da ridere, perché, al di là dei temi, queste erano proprio le lamentele di alunni su altri alunni che normalmente un professore doveva sorbirsi ogni quarto d'ora.
-Senti, Bianca. Dà fastidio anche a me che tu, in un luogo pubblico, ti faccia trovare inginocchiata sotto il banco con qualcuno.
-Ma questo non l'ho mai fatto!
-Non tarderai, ne sono certo. Tu stai cercando il limite da tutte le parti, prima o poi lo troverai. Ma in quel momento? Quando l'avrai trovato, che farai?
-Prof – rispose lei, con tono paziente – le assicuro che non cerco niente. Contrariamente a quanto pensate tutti, non voglio né scandalizzarvi, né disturbarvi, né impedire il regolare svolgimento della lezione, né tantomeno autodistruggermi o cercare un fantomatico 'limite'. Non voglio niente di estremo. Voglio solo vivere la mia vita in santa pace senza che nessuno mi ripeta in continuazione che lo faccio nel modo sbagliato. Forse sarà sbagliato per voi, per la vostra concezione della vita e dei rapporti, ma per me è favoloso. Adatto a me e alle mie esigenze. Perciò le chiedo, almeno a lei che sembra capirmi un pochino: non fate più supposizioni di questo tipo su di me, per favore.
Sembrava seria, ed Emanuele si chiese se in fondo non fosse giusto che lei facesse ciò che si sentiva di fare senza che tutti loro si sentissero in dovere di contestare il suo modo di vivere.
Faticò parecchio a ricordare che aveva sedici anni, che tutto in lei gridava aiuto, e che, per quanto a lei sembrasse congeniale ai suoi bisogni, la politica del concedersi a chiunque non le avrebbe portato grandi vantaggi a lungo termine, e neanche a breve termine.
-Ne riparleremo – concluse – ma sappi che non mi convincerai. Vado a lavarmi le mani, tu fai la brava.
-Ma dai, prof. Cioè, dia. Non volevo darle del tu.
Emanuele scosse la testa e s'infilò in bagno; si lavò anche il viso, giusto per schiarirsi le idee, e, mentre si sciacquava, sentì un tramestio provenire dalla stanza accanto. Il riflesso dello specchio gli permetteva di sbirciare dalla fessura della porta: incredulo, osservò Bianca di spalle aprire la tasca posteriore dello zaino, estrarne qualcosa e, infine, portarsi la mano alla bocca e piegare indietro la testa di scatto. Poi la raddrizzò e rimise il qualcosa dentro lo zaino.
Si asciugò il viso e le mani alla velocità del fulmine.
Si precipitò nella camera da letto e, senza neanche lasciare che parlasse, la prese per il polso e la girò bruscamente verso di lui.
-Cos'erano quelle?!
-Prof – esclamò lei, con la tipica faccia di chi viene colto in fallo – niente. Di cosa parla?
-Parlo di quella cosa che hai ingoiato. E non provare a dirmi che era una Tic Tac, chiaro?
-Non è quello che pensa lei.
-No? Vorresti dirmi che era una Moment per il mal di testa? Mh? O che erano le caramelle per la gola?
-Per favore, non pensi subito male.
-Mi avevi giurato che non ti drogavi. Pensavo fossi abbastanza adulta da dirmi la verità, Bianca! Ti avevo creduta abbastanza cresciuta da poter dire come stavano le cose. Ti avrei
aiutata, porco demonio. Tutti ti avremmo aiutata. Se è questo che ti tormenta, perché non ce l'hai detto? Tu non vuoi uscirne, vero?
-Non è quello – gli occhi di Bianca iniziarono a riempirsi nuovamente di lacrime – io non... io non posso... lei non deve pensare che... prof, per favore, non mi chieda altro.
-Non ho bisogno di chiederti niente. Mi sembra tutto piuttosto chiaro. Quante altre ne hai? Quanta droga ti sei portata dietro per un
pomeriggio?
-Per favore, prof, non...
-Fammi vedere.
-Prof, davvero, no, la prego!
-Fammi vedere, Bianca – tentò di mantenere la calma. Allungò la mano verso lo zaino; lei lo afferrò per prima e se lo strinse al petto, terrorizzata. - Per favore – ritentò, a denti stretti – dammi quello zaino.
-Prof, no. La prego di credermi. Non mi drogo. Non ho né mal di testa né mal di gola, ok, ma non mi drogo.
Sembrava sincera, però. Almeno il dubbio gliel'aveva instillato.
Poi un'idea gli balenò nella mente.
-Ah – azzardò – è la pillola anticoncezionale? È questo? Be', non c'era motivo di nascondersi. Non c'è niente di cui vergognarsi.
-Sì – mormorò lei, scura in viso – è la pillola anticoncezionale.
-Be', chiaro. Se non ne hai bisogno tu, chi altri? Potevi dirmelo subito.
-Prof! - sbottò lei, ferita – Questa era una cattiveria.
-Macché cattiveria; lo dici tu stessa, che lo fai in continuazione. Di commenti come questo ne riceverai a palate, nella vita.
-No! - esclamò Bianca; si alzò di scatto, gli corse vicino, lo prese per una manica – Prof, perché mi dice queste cose? Pensavo che lei non mi giudicasse.
-E come potrei non farmi un giudizio, Bianca? Pensi che io approvi quello che fai? No, Bianca, non approvo affatto quello che fai. Se fossi mia figlia...
No, piano. Questo era ciò che si era ripromesso di non dire mai. Che gli era successo? Perché si stava trasformando in quegli professori bacchettoni e vecchio stile che dicevano agli alunni indisciplinati che se fossero stati i loro genitori due begli sculaccioni non glieli avrebbe levati nessuno?
-Non era questo che volevo diventare – mormorò, passandosi una mano sugli occhi – non puoi fare così. Non mi puoi portare a questo.
-A cosa? - fece lei, confusa.
-A
questo, Bianca! In una camera di un motel, con una ragazzina che potrebbe essere davvero mia figlia, ubriaca e forse drogata, che fa di tutto per portarmi a letto oppure, se non ci riesce, possibilmente portarmi fuori di senno! Nel caso te lo stessi chiedendo, no, non era questo che avevo in mente di fare, quando ho scelto di fare l'insegnante. Avevo in mente tutt'altra cosa, credimi! E allora perché tu devi farmi impazzire? Cosa vuoi da me? Che cosa ti ho fatto, per coinvolgere me fino a questo punto?!
-Prof – le tremava il mento, e aveva un'espressione tanto indifesa che Emanuele non seppe più se avesse ragione o torto, se fosse una vittima o una carnefice, se lo volesse uccidere o se l'amasse alla follia – niente. Non mi ha fatto niente. Io pensavo che lei potesse... che volesse... che... pensavo di poterle far capire come io... prof, mi dispiace tanto. Non volevo farla impazzire.
-Allora per favore, Bianca. Per favore. Dammi quelle pastiglie. - Si premette la mano sulla fronte, per impedire che esplodesse. - Bianca, se non vuoi farlo per te, ti prego di farlo per me. Ti prego, finiscila con queste cose. Mi fa
male vederti così, lo capisci?
-Lei vuole soltanto liberarsi di questo problema che vi costringe a indire riunioni straordinarie in sala insegnanti, lo so! - proruppe Bianca, in lacrime – Vorreste che la smettessi così potreste continuare le vostre lezioni in pace! Così non dovreste più chiedervi cos'ha quella ragazzina vestita e pettinata da puttana che si è innamorata di uno che potrebbe essere suo padre! Be', per sua informazione, lei
non potrebbe essere mio padre! A meno che non mi abbia concepita in seconda media, ecco!
-Stai sragionando. È l'ecstasy?
-NON È L'ECSTASY, PORCA PUTTANA – gridò Bianca – non prendo ecstasy, come cazzo glielo devo dire?! Scusi, prof. Non ricordo neanche cosa le ho appena detto! Lei non capisce! Non capisce perché
non sa! Quando la smetterà di farsi un'idea di me in base ai suoi personalissimi canoni da impiegato pubblico stipendio fisso fidanzata ufficiale e cene con gli amici e cane?! Come si chiama il suo cane? Io ne avevo uno, si chiamava Poppy. Perché avevo visto che l'orsacchiotto di Poochie si chiamava Poppy, io non avevo un orsacchiotto, ma un cane sì, e quello di Poochie si chiamava Pallottola, ma non era un cane, sì, era un cane, non era un orsacchiotto, scusi, mi sono sbagliata. Che sta succedendo? - All'improvviso sembrò spaesata. - Prof? Cosa stavamo dicendo?
Emanuele iniziava a sentire del vero panico. Stava salendo? Quanto sarebbe durata? Come poteva fermarla?
-Ah, sì. A letto con me. Ok, se non con le buone, con le cattive. Vediamo.
Si alzò in piedi ed iniziò a togliersi il maglioncino.
-Bianca...
Emanuele iniziava a sentirsi male.
-Poochie lo leggevo quand'ero molto piccola. Ho iniziato a leggere presto, credo che avessi due anni. Leggevo anche
Cip e Ciop, ma non riuscivo a leggere il corsivo. Allora chiedevo a mia madre di leggerlo, ma un giorno non aveva tempo, e così mi ha detto di leggerlo da sola, perché ero capace. In effetti, a forza di leggerlo assieme a lei ero diventata capace. E così l'ho letto da sola e, anche se ho faticato, ci sono riuscita. Capisce? Bisogna sempre essere perseveranti.
Non aveva più il coraggio di replicare niente. Non riuscì nemmeno ad alzarsi e a prenderla per le spalle e a imporle di rimettersi quel maglioncino.
-Un attimo, prof.
In reggiseno, chinò la sottile schiena pallida verso lo zaino, e riprese la sua vodka. Diede qualche sorsata abbondante. Poi si tirò su.
-Adesso dovrebbe andar meglio. Meno male me ne sono resa conto. Adesso... adesso si fermerà per un attimo. In teoria dovrei già essere ferma. Ma aiuterà. Vedrà. Mi dia tempo.
-Bi... Bianca – balbettò; le si fece vicino, le posò le mani sulle spalle – senti, io non ho mai preso niente. Non ho idea di come funzioni, perciò ti prego, finché sei lucida, dimmi cosa devo fare.
-Lei? - sembrò sorpresa – Nulla. Se mi concede un paio di minuti, dovrebbe passare. Ho fatto il possibile. Adesso passa. Nel frattempo, però, per favore, prof. - Lo guardò con aria seria. - Siamo qui. Non c'è nessun altro. Non riesco a calmarmi, e voglio lei.
-Dio – iniziava ad aver voglia di piangere. Si sedette sul letto di fianco a lei, sentendosi debole e disperato. – Bianca, basta. Basta. Per favore.
Per tutta risposta, lei si alzò in piedi, gli si fece davanti, e, dopo avergli sollevato il mento con l'indice, gli posò le mani sulle spalle e gli si sedette a cavalcioni, assicurandosi di premere il bacino contro il suo.
-Bianca, no. No. Adesso basta. NO – esclamò, quando lei gli si avvicinò e gli sfiorò il collo con le labbra. - Basta. Bianca. No. - Lei iniziò a baciarlo con delicatezza. Mentre lui tentava di scostarsi, gli accarezzò le braccia fino ad arrivare alle mani; gli sollevò le dita con le proprie e, lentamente, le sollevò. Emanuele ebbe un sussulto quando le ritrovò posate sul suo seno. Ne ebbe un altro quando, di fronte alla forma tonda e soda, e di fronte alla sensualità della scena stessa, si accorse che il suo corpo aveva reagito alla provocazione di Bianca.
Ma lei ebbe la sensibilità di non dire nulla; si limitò a strusciare il bacino contro la sua erezione.
Che crebbe. E lui non capiva perché.
Forse era il contesto, ragionò concitatamente. Forse perché le stupide fantasie sulla storia con una studentessa prendevano vita, forse perché loro due, il segreto, l'erotismo dei modi di Bianca, l'avevano in qualche modo eccitato. O forse perché voleva che lei la smettesse di parlare.
Qualunque cosa fosse, aveva preso il sopravvento. Non riusciva a reagire e Bianca procedeva con calma e languore, costringendolo a rabbrividire aspettando la prossima mossa. I baci sul collo si erano fatti profondi. La lingua di lei lo percorreva impercettibilmente, e poi all'improvviso premeva contro i suoi muscoli. Non l'allontanò quando lei spinse il seno con forza contro il suo petto. E sospirò per le sue dita che gli premevano sulla schiena.
E poi Bianca risalì il suo collo, gli succhiò il lobo dell'orecchio, ne percorse il contorno con le labbra e la punta della lingua. I suoi baci proseguirono lungo lo zigomo. Si fecero sempre più lievi e distanziati, quando, alla fine, gli arrivò all'angolo della bocca. Si staccò. Con una lentezza esasperante, inclinò la testa, socchiuse le labbra carnose, le morse voluttuosamente e le avvicinò a quelle di lui. Che tremavano, sopraffatte dal respiro bollente che gli usciva dal più profondo della gola.
Altri tre centimetri, pensava, e avrò fatto lo sbaglio più grande della mia vita. Altri tre centimetri e potrei venirle addosso, vestito, con solo la forma morbida e bagnata che emerge dalle sue mutandine premuta sulla cerniera dei miei jeans.
Ma in quel momento, in un lampo, prima che le loro labbra umide e gonfie si toccassero, Bianca lo guardò negli occhi. Per un solo istante, uno solo.
Le fu eternamente grato per averlo fatto.
Se non l'avesse fatto, probabilmente le loro bocche si sarebbero lanciate furiosamente una sull'altra, catturando le labbra dell'altro, quasi cercando di strappargliele dal volto, e poi lui avrebbe afferrato la schiena di Bianca e l'avrebbe trascinata giù sopra di lui, e poi l'avrebbe girata e sdraiata sui cuscini, le avrebbe sfilato con foga le mutandine e si sarebbe slacciato i jeans, e l'avrebbe scopata lì, in quel momento esatto, senza neanche tentare di bagnarla perché sapeva che lei non aspettava altro che di sentirlo dentro il suo corpo, fino a perdere la concezione dei sensi.
Ma lei in quel momento lo guardò negli occhi, ed Emanuele si sentì invadere da un sudore freddo e da un malessere che non aveva mai sperimentato in vita sua.
Era vero, non l'aveva toccata: ma era stato fermo immobile, e non l'aveva allontanata. E nessuno avrebbe mai creduto alla storia che una ragazzina di sedici anni l'aveva circuito, sfinito, confuso psicologicamente. Di solito andava nel modo opposto. Erano i pedofili a fare il lavaggio del cervello alle ragazzine, non il contrario. E Bianca era abbastanza disturbata da rendere plausibile l'eventualità che avesse cercato di confonderle le idee per poi portarsela a letto.
-Bianca – mormorò, spaventato – spostati, ti prego. Ti supplico, spostati da lì.
Lei lo guardò, seria e composta, e il suo sguardo non tradiva nessuna emozione. Si limitò ad alzarsi e a sedersi di fianco a lui, a un metro di distanza.
Emanuele rimase in silenzio, occhi sbarrati, testa tra le mani, mentre il cuore gli batteva sempre più forte. Bianca, perfettamente calma, se ne stava seduta a gambe accavallate – in modo del tutto formale – e dondolava un polpaccio con noncuranza.
Quando si voltò verso di lei, faticò a parlare.
-Perché l'hai fatto?
Lei non si voltò nemmeno e il suo tono fu perfettamente asettico, nel rispondergli.
-Non lo rifarò.
-No – confermò, tirando un respiro profondo per calmarsi – non lo rifarai, sicuro. Ma perché hai voluto... perché?
-Pensavo... non pensavo niente. Non penso la maggior parte delle cose che faccio e dico, ma adesso ci ho pensato, e ho capito che non lo rifarò. Non posso farlo.
-Non
puoi...?
-No, prof. Primo, perché lei non vuole. Secondo, perché lei ama Camilla e non me. Terzo, perché non è giusto portarla nel posto dove sono io. Non voglio farle del male. Vorrei proteggerla, se posso.
-Il posto... cosa...?
-Questo posto. - Bianca allargò un braccio e indicò la stanza. - Questo, e tutti gli altri posti dove lo faccio. Lei mi piace perché vive da un'altra parte. Scommetto in una villetta a schiera in zona residenziale con un giardinetto sul retro e una mansarda, col mutuo pagato a metà dai genitori suoi e della sua fidanzata, e scommetto che ha un bel letto soffice con cuscini sparsi dappertutto e magari le lenzuola hanno la stampa del cielo o degli Husky. - Bianca si voltò e gli sorrise. - E scommetto che Camilla ha comprato i vasetti per il sale e lo zucchero e il caffè decorati con i girasoli in rilievo, vero? E che ci sono dei fiori, e tanti libri e tanti cd e tanti dvd.
Emanuele non seppe replicare. Non perché il ritratto non fosse fedele, ma perché era sconvolto da tutto quello che era successo. Bianca quindi continuò.
-Io voglio che lei continui a vivere lì, nella sua villetta a schiera colorata assieme a Camilla. E col cane, mi ricordo che ha un cane, anche se non me ne parla mai. Ce l'ho anch'io, un cane. Scommetto che lei gli vuole bene e che gli ha dato il nome di qualche personaggio storico.
-Già – mormorò, pensando a Gengis. Quel bastardino un po' tonto, con la sua lingua fuori e i suoi tentativi di mordersi la coda, lo faceva sorridere ogni volta al solo pensiero.
-Ecco. Io voglio che lei continui a vivere lì, in quel posto felice e tranquillo un po' fuori mano. Perciò ho deciso di smetterla con questa storia del sesso, perché la mette nei guai. E perché starei male se lei tradisse Camilla; lei la ama, ne sono sicura. Lei è il tipo d'uomo che ama qualcuno e lo ama per tutta la vita. Sarei la ragazza più fortunata del mondo se scegliesse me, ma lei ha già scelto chi deve camminarle accanto fino alla fine. E non voglio assolutamente rovinare una delle ultime storie d'amore del ventunesimo secolo. Sarebbe un'offesa a lei, a Camilla e a quel che rimane in me del romanticismo.
-Sì – Emanuele annuì, troppo scombussolato per poter dire di più.
-Non sia infelice. Non è successo nulla. Lei non mi ha toccata, prof, e io non dirò a nessuno che ci siamo visti fuori da scuola.
-Detto così, sembra davvero che io ti abbia circuita e che tu cerchi di giustificarmi perché ti ho fatto il lavaggio del cervello – esalò Emanuele. Bianca scosse la testa.
-Io sono stata una gran stronza, prof, scusi il termine. Non è colpa sua. Ho esagerato io.
Farsi proteggere e rassicurare da una ragazzina di sedici anni. Dalla
stessa ragazzina che poco prima l'aveva portato in quel posto, come lo chiamava lei stessa, da cui ora cercava di farlo fuggire.
-Senti Bianca... non parliamo più. Stiamo calmi per un attimo. Ok?
-Ora
sono calma – sbadigliò – fin troppo. Mi è venuto anche un po' di sonno. Le dispiace se dormo un pochino?
-No, dormi.
Bianca si accoccolò poco più su e si avvolse con un lembo della coperta. Le ci vollero pochi minuti per rotolare in un sonno profondissimo, dal quale non riemerse per parecchio tempo. Un'ora dopo, e dopo aver letto metà del libro che teneva in borsa, Emanuele era quasi tentato di lasciare Bianca sul letto e andarsene, ma, seppur con difficoltà, cercò di tenere bene a mente che aveva sedici anni, che non aveva la macchina e che i suoi genitori non sapevano dove fosse.
Ma Bianca non era una di quelle che mentre dormivano sembravano un angioletto. Era abbandonata sul materasso con le palpebre pesantemente abbassate e la bocca semiaperta, ma non dava un'impressione né di calma né di dolcezza. Sembrava che stesse ricaricando le batterie in attesa di tornare all'attacco.

Emanuele ne era spaventato. Aveva paura che da un momento all'altro spalancasse gli occhi e si drizzasse in piedi, come in quel video del gruppo di Jared Leto. Lui, dal canto suo, si sentiva sfinito: avrebbe voluto capitombolare in un sonno di piombo come quello di Bianca, ma niente, non ne era capace. Continuava a pensare a cosa sarebbe successo se Camilla l'avesse saputo.
In un modo o nell'altro, aveva tradito la sua fidanzata. Un'erezione gli toglieva ogni possibile via di giustificazione; la sua immobilità di fronte alle provocazioni costituiva un'ulteriore condanna. Se, nonostante l'erezione, l'avesse scacciata, forse avrebbe salvato almeno in parte il suo onore. Ma, no, non l'aveva scacciata, non fin quando lei gli aveva lanciato un'occhiata talmente penetrante che l'aveva raggelato.
Bianca aveva condotto il gioco, non lui.
E continuava a chiedersi perché l'avesse voluto trascinare in un gioco tanto crudele, perché proprio lui, tra tutti, dovesse seguire la folle corsa di quella ragazza verso un posto che nessuno di loro due voleva raggiungere.
Ma Camilla. Con che faccia avrebbe guardato Camilla, quella sera? Come gliel'avrebbe mai spiegato che stava per cedere a una sedicenne? Come poteva farle capire che lo aveva portato a un punto nel quale non era più stato capace di discernere il giusto dallo sbagliato, voleva solo far tacere Bianca e un milione di voci contrastanti dentro di lui? Ogni volta che si poneva una di queste domande un brivido freddo gli scendeva lungo la schiena.
Lui non era un pedofilo, non lo era. Aveva dei princìpi, per l'amor del cielo. Era sempre stato in grado di tenere a bada degli adolescenti, ma perché questa no? Sembrava quasi che lo portasse sotto ipnosi, giù per la tana del Bianconiglio.
Decise di rimuovere tutto, di scacciarlo. Decise che quel giorno non era mai esistito. Decise di fare come se nulla fosse successo, prima, e di dimenticarlo per il resto dei suoi giorni. Se non era mai accaduto, non poteva causare danni in futuro. Non poteva attanagliarli il petto per il dolore di aver tradito Camilla. Non poteva riempirgli la testa di dubbi saltellanti sulla sua integrità morale. Non poteva toccarlo in alcun modo.
Il pomeriggio a dicembre tramontava velocemente, e dopo le cinque fuori dalla finestra il cielo era blu scuro e l'aria si era raffreddata; le luci della sera si erano accese in strada e le macchine si accodavano l'una all'altra nell'avvicinarsi all'ora di punta. Qualche clacson iniziò a fendere l'aria, ma Bianca continuava a dormire. Dormiva così profondamente che Emanuele si azzardò a scendere dal tabacchino a comprarsi le sigarette e si fermò anche in cartoleria a comprare il giornale, dato che il libro era finito da un pezzo. Quando tornò lei ancora dormiva. Si svegliò solo quando, dopo aver letto tutto il quotidiano compresi oroscopo e articoli sportivi, lui la scosse per la terza volta. Riaprì gli occhi con fatica, quasi non dormisse da giorni.
-Buongiorno – la salutò.
-Mh – fece lei – uuh, dimenticavo che ti fa venire sonno. Mi scusi, ho dormito tanto?
-Qualche ora.
Sperò che il sonno avesse anche rimosso i suoi ricordi degli avvenimenti precedenti. Lei, comunque, non ne fece parola.
-Prof, andiamo via. Sono molto stanca e credo di aver bisogno di una dormita profonda.
Emanuele alzò un sopracciglio; poco prima sembrava quasi in letargo. Ma non alzò obiezioni.
-Metti la coperta in borsa; ti riaccompagno in centro. Da lì ce la fai ad arrivare a casa, vero?
-Sì, sì, dovrebbero passare autobus fino alle nove.
-Andiamo allora.
Bianca frugò nel portafogli e gli porse qualche banconota; Emanuele scosse la testa – allontanarla con la mano avrebbe potuto portare a sfiorarla, e lui non lo voleva – e si avviò verso la porta.
Pagarono in silenzio e in silenzio si sedettero in automobile; lei si riaddormentò quasi all'istante e lui ascoltò il telegiornale via radio e qualche trasmissione di politica, ovvero, qualcosa che non lo facesse pensare ai sentimenti e a sé stesso – pericolo latente in caso di trasmissione di qualche canzone pop.
Svegliò Bianca con un “ehi”, e lei aprì gli occhi, se li strofinò con i pugni, sbadigliò e poi afferrò lo zaino.
-Arrivederci, prof – disse con voce impastata, aprendo la portiera.
-Ciao, Bianca – rispose educatamente, poi ripartì velocemente. Dallo specchietto notò che lei non si era girata verso di lui.
Notò anche un'andatura molto barcollante, uno sguardo un po' perso nel vuoto, ma ormai non gli interessava più. Non le avrebbe mai più permesso di prendersi un solo secondo della sua attenzione.

Il giorno dopo, purtroppo, l'avrebbe vista. Disgraziatamente, doveva tenere lezione nella sua classe quasi ogni giorno della settimana, escluso il mercoledì. Si consolò pensando che, quantomeno, aveva soltanto la quinta ora; ovvero, ci sarebbe rimasto assieme poco tempo, e comunque non avrebbe dovuto subire lo shock di rivederla non appena tornato a scuola.
Mentre il treno scorreva rumoroso sulle rotaie, e il signore in completo accanto a lui sfogliava il giornale nell'aria impastata e sonnolenta delle fredde mattine d'inverno, ricordò la sera prima.
Ricordò che, appena giunto a casa, per assicurarsi di non pensare al pomeriggio appena concluso si era versato un intero bicchiere di Anima Nera. E, più tardi, Camilla era tornata a casa, e l'aveva trovato disteso sul divano con gli occhi socchiusi e la testa penzoloni dal bracciolo. L'aveva guardata mentre spalancava gli occhi, gettava cappotto e borsa su una sedia e gli si precipitava accanto; lei aveva lanciato un'occhiata al bicchiere e alla bottiglia, poi un'occhiata a lui, poi di nuovo al bicchiere, e lui le aveva mormorato “non domandarmi” e lei non aveva fatto domande.
Scoprì che non era possibile dimenticare. Scoprì che qualunque cosa lei avesse fatto – chiederglielo, non chiederglielo, estorcerglielo, guardarlo con la sua incantevole dolcezza – lui avrebbe sempre ricordato. Anche se gliel'avesse taciuto. Ogni volta che gli fosse balenato in testa, e lui avesse bevuto per scacciarlo o pianto o battuto la testa contro il muro, anche se lei non l'avesse mai scoperto, né sospettato, lui avrebbe saputo cos'aveva fatto, e la consapevolezza l'avrebbe tormentato per tutta la vita.
Quanti anni ci volevano a dimenticare davvero cosa si ha fatto alla persona che si ama...?
-Mi scusi, devo scendere – fece il signore in completo.
-Certo, prego – replicò educatamente Emanuele, alzandosi per fare spazio.
Era terribile quella forzata vicinanza con gli estranei nel momento più intimo e sensibile della propria giornata. La mattina, Emanuele tollerava soltanto la presenza di Camilla: per come la vedeva lui, la mattina, quando hai le palpebre pesanti, la lingua incollata al palato, la testa dolorante per il riposo a cui sei costretto a rinunciare, non bisognerebbe mai ritrovarsi gomito a gomito con un estraneo che sfoglia il Mattino, o tenta di leggere un libro abbandonandosi ogni tanto al sonno, o addenta svogliatamente la brioche sorseggiando un cappuccino caldo comprato in stazione. Specialmente in quelle mattine gelide e nebbiose d'inverno, quando fuori era buio e dentro quella luce fastidiosa sembrava invitare i passeggeri a svegliarsi e a fare qualcosa, ché la giornata era già iniziata.
E se uno non vuole, pensava Emanuele, se uno non vuole, che la sua giornata abbia inizio...? E se uno volesse dormire per sempre e dimenticarsi quello che ha fatto...?
-Avvisiamo i gentili passeggeri che tra due minuti raggiungeremo la fermata Padova Centrale.
Doveva alzarsi; adesso lo aspettavano un autobus – il 3, il 24, il 18, il 12, il 16, non aveva che da scegliere – e cinque ore passate a cercare di conficcare a viva forza delle nozioni nelle teste caotiche dei suoi studenti.
Caotiche, sì. Non aveva mai pensato che fossero delle teste vuote; tutt'altro. Se fossero state vuote davvero, non avrebbe fatto alcuna fatica a riempirle. Ma dato che erano già quasi piene, tra relazioni, sport, hobby, preoccupazioni, obblighi e divieti, Emanuele aveva sempre pensato che fosse normale che rimanesse poco spazio per Torquato Tasso e Ludovico Ariosto, che non avevano certo lo stesso appeal di una partita a Soul Calibur. Si stupiva anzi che altri colleghi la pensassero altrimenti.
Lui non si sentiva poi molto lontano dai suoi studenti. Per quanto riguardava quelli di quinta, aveva appena undici anni più di loro; avrebbe davvero potuto essere il loro fratello maggiore. E, nonostante alcuni tra i più piccoli pensassero che i professori non facessero altro oltre a correggere compiti e prepararne altri a sorpresa, benché fosse costretto ad ammettere che per alcuni dei suoi colleghi la deduzione fosse piuttosto azzeccata, beh, nel suo caso non era così. A lui piaceva andare in discoteca, provare cocktail di birra agli Irish Pub, fare sesso con la sua ragazza, giocare con le varie consolle e, certo, anche leggere, ma nel suo tempo libero non leggeva di certo Ludovico Ariosto. Nella sua borsa c'erano volumi di John Fante e Chuck Pahlaniuk, e, come buona parte dei suoi studenti, amava i film di Kubrick e di Tarantino. A volte andava al cinese e comprava la cena take away e poi lui e Camilla guardavano assieme un horror che faceva paura più a lui che a lei, e a volte prendevano un giorno di ferie dal lavoro e se ne andavano assieme in giro per qualche città, o lontano, nei colli, ad esempio, a fine estate, rubando i fichi dagli alberi sul ciglio della strada e sfrecciando in moto sulle vie strette e silenziose, circondate da prati e fiori.
Ma quei pensieri felici svanirono nello spazio di un attimo, quando gli tornò in mente il pomeriggio precedente. Aveva rotto tutto quanto. E non poteva incolpare Bianca, no, non sarebbe stato giusto, perché la colpa era stata solo sua. Come sua mamma gli aveva detto migliaia di volte da piccolo: se ti dicono di buttarti in canale, tu ti butti?, esclamava con stizza. E lui diceva: no, mi butto solo se voglio io!, e quella volta si era buttato, e l'aveva fatto solo e soltanto perché l'aveva voluto.
Aveva rovinato tutto, per sempre. Non avrebbe più potuto pensare a Camilla senza che qualche macchiolina nera sgocciolasse sul quadro ad acquerello della loro vita assieme. E forse un giorno, pensò nel panico, forse un giorno pur che non gli venisse in mente tutto quanto avrebbe smesso di pensare a lei, e tutto sarebbe finito per sempre.
Non avrebbe potuto accusare altri che sé stesso.
Senza volerle alcun male, senza volerla ferire, anzi, preoccupandosi solo di amarla e rispettarla finché la morte non li avesse separati, era arrivato a separarsi da lei da solo. Senza nemmeno averlo mai desiderato. Un giorno non avrebbe più sorriso al pensiero delle carezze delicate di Camilla e questo soltanto perché Bianca aveva fatto sì di fargli mettere il piede in fallo, solo per pochi attimi che non gli avevano dato assolutamente niente.
Se ci fosse stato un modo per cancellare quel ricordo, l'avrebbe seguito alla lettera. Droga, veleno, botte, ipnosi, scappare all'estero per sempre. L'avrebbe fatto. Non importavano le conseguenze, ma voleva tornare a prima. A quando lui non aveva nulla da rimproverarsi e poteva guardare Camilla negli occhi e riusciva a parlare con Bianca senza sentirsi crescere dentro un malessere terribile.
Camilla la sera prima l'aveva accarezzato a lungo sulla fronte, baciato sul viso, abbracciato forte mentre lui guardava il soffitto senza parlare. Quando lui era tornato dal bagno dopo aver vomitato, si era trovato sul tavolo una camomilla calda e un piatto di riso in bianco. E poi lui aveva mangiato in silenzio, mentre Camilla lavava i piatti, e quando aveva finito lei aveva lavato anche la tazza e il piatto sporco d'olio e poi l'aveva accompagnato a letto, e si era sdraiata assieme a lui senza accendere l'iMac per guardare un film. Lui si era sistemato a pancia in su, con gli occhi serrati, immobile e teso. Lei gli aveva spostato il braccio e aveva appoggiato la testa sul suo petto e il piccolo pugno semichiuso sul suo addome, come facevano ogni notte.
Si addormentò quasi subito, per via dell'alcool, e quando si svegliò la mattina con Camilla tra le braccia, e guardò i suoi capelli scuri e lisci e i suoi occhi con le ciglia lunghe ancora chiusi, le lacrime iniziarono a straripare dalle palpebre e gli bruciavano nei bulbi come l'inferno.
Pianse a lungo, silenziosamente, e per tutto quel tempo fu costretto a rimanere immobile e a strozzare i singhiozzi, per non svegliarla.
Indipendentemente da quanto gli ci sarebbe voluto per guarire da quel dolore, avrebbe dovuto aspettare da solo.







(Nda: lo so lo so lo so ;_; era lunghissimo, biscottino premio se siete arrivati fin qui ç_ç. Tra l'altro, essendo questo capitolo lungo tre volte uno dei precedenti, penso capirete che questa volta non sono riuscita a portarmi avanti con la stesura; dovrete attendere che io scriva il capitolo 6 :). Nel frattempo il sostegno e il feedback sono sempre i benvenuti ù_u.

Una nota al proposito della madre di Bianca: posso capire che sia antipatica, e che possa apparire lo stereotipo della mamma in carriera sempre impegnata che non ha tempo per i figli. Da un lato sicuramente è vero, ma, come succede nella vita reale, dietro allo stereotipo e agli atteggiamenti sgradevoli c'è sempre un qualcosa che spinge la persona a comportarsi in un certo modo. Tuttavia non sempre nella vita reale è possibile scavare fino ad arrivare a quel qualcosa; in questa storia non ho interesse ad analizzare i suoi problemi personali, se non in relazione con quelli della figlia. Quindi, per chi mi chiedeva se l'avrei approfondita: posso solo dire che la rivedremo e che sapremo qualcosa di più su di lei, ma che rimane comunque un personaggio secondario, quindi non riceverà lo stesso livello di introspezione che ho dedicato ad Emanuele e a Bianca, ovvero i protagonisti. Dato che spesso, nel nostro quotidiano, non arriviamo a conoscere i dettagli più nascosti della personalità di chi ci sta davanti, così accadrà nella mia storia; spesso ci si fa l'idea di una persona dalla sua apparenza e, non avendo occasione di andare più in là nella conoscenza, ci si tiene questa idea e la si dà per corretta. Do per scontato, nelle mie storie, che non esistano personaggi solo buoni o solo cattivi, e anzi, per me non ha significato l'essere 'buono' o 'cattivo', esistono cause ed effetti ed ognuno ha vissuto i propri. Solo che non posso dedicare un capitolo alla nostra Miranda Priestly XD l'impostazione stessa della storia non lo concede, al massimo conoscerete qualcosa del rapporto madre/figlia e in generale gli avvenimenti accaduti in questa famiglia, ma non andrò più in là :).
In particolare mi rivolgo a Pnin: sono curiosa di sapere, perché mi aiuterebbe molto, cosa non ti è piaciuto della caratterizzazione di questo personaggio; pensavo che saltasse di più all'occhio, per mancanza di approfondimento, magari Camilla, ma la signora Milanesi non me l'aspettavo XD. Fammi sapere se ti va ;) mi sarebbe sicuramente molto utile.
E con questo chiudo e vi ringrazio tantissimo dei vostri commenti, siete davvero molto gentili. Spero che la storia continui a mantenere un buon livello e che non vi deluda :). Grazie ancora per il sostegno ^_^.)

  
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