N.B.: non so come appaia a voi, ma questo capitolo a me risulta con un testo molto piccolo. Non sono riuscita a modificarne la grandezza, per cui provate a premere contemporaneamente i tasti "Ctrl" e "+" e dovrebbe essere più visibile... se ci fossero problemi segnalatemelo, vedrò di darci sotto col codice e sistemare la cosa. ^^
L'occasione
non tardò a presentarsi. Dovette attendere appena il giorno
successivo al suo ritorno; non appena riuscì a farsi
sbattere fuori,
Bianca si presentò, puntuale, nell'ufficio di Emanuele.
Arrivò
saltellando ed esordì con un vispo “Buongiooorno
prof!”.
La
osservò mentre trotterellava fino alla sedia e vi si sedeva
con un
colpo secco, alzando le gambe al punto che, se avesse voluto, avrebbe
potuto sbirciare senza problemi di che colore aveva le mutande quella
mattina.
-Bianca, se fai così ti si vede tutto – la
ammmonì.
-Beh, non è mica un brutto spettacolo, gliel'assicuro.
Me lo dicono tutti. Vuole sincerarsene?
-Ci credo sulla
parola.
-Aah, prof, mi è così mancato! La posso
abbracciare
forte? Forte forte forte? Non mi ha mai lasciato abbracciarla, posso
per una volta? Posso? Eh?
-Non se ne parla neanche.
-Ah!
Fanculo. Non a lei, al destino funesto che ha frapposto la Camillah
tra me e lei. Ah, l'amore infelice dei miei sedici anni!
-Vuoi
stare ferma un minuto? Mi fai venire il mal di testa.
Bianca
continuava a dondolare le gambe, a gesticolare con una mano e con
l'altra a tormentarsi i capelli.
-Ferma? Nah, non ho voglia. Ah,
sono così felice di rivederla, sono emozionata come una
ragazzina al
primo appuntamento! Era da tanto che qualcuno non mi faceva battere
il cuore, prof.
Si alzò, saltellò fino alla finestra. Il suo
sguardo schizzò sulle macchine fuori, poi esaminò
per bene la
stanza, poi si posò di nuovo su Emanuele, a cui rivolse un
enorme
sorriso di cuore.
-Bianca, ho parlato con tua madre, un mese
fa.
-Cosa? - fece lei, che aveva posato le mani sulle superfici
dei due tavoli e ora dondolava le gambe nello spazio dell'intermezzo
– Mia mamma? Le ha detto di quella storia di Cappellotto? No,
vero?
Perché sono ancora qui viva e attiva che parlo con lei, e se
avesse
saputo di quel discorso di sicuro non sarei qui tutta intera.
-No,
non le ho detto niente, perché concordo con te sul fatto che
ti
ammazzerebbe. E non avrebbe neanche torto. - Bianca intanto dondolava
a velocità folle le gambe per aria. - Mi ascolti?
-Sì sì.
-Che
ho detto?
-Che rompo i coglioni. Prof, senta, senta, l'ha visto
l'ultimo di Woody Allen? Io l'ho trovato un agglomerato di
-No, Bianca, non l'ho
visto.
-Oh, dovrebbe! Mi chiedo perché per non abbia per
l'ennesima volta recitato nei panni di se stesso, o di quello che gli
piacerebbe essere se fosse un po' più accettabile dal punto
di vista
estetico. Per di più, cercare di spiegarmi la storia
attraverso il
protagonista che parla con la telecamera! Bel fallimento nel
presupposto dell'intento di comunicazione che è un po' la
base del
media cinematografico, non trova?
-Ti sei fatta buttare fuori
dalla classe?
-Bah, non ne potevo più! Io le avevo capite, le
disequazioni fratte. Quelli non ci arrivavano. Non avevo voglia di
rimanere lì ferma immobile per altri tre quarti d'ora
aspettando che
ce la facessero anche loro, che tanto, lo so, non le capiranno
mai.
-E quindi, come hai fatto a farti buttare fuori?
-Mi sono
fatta sgamare a con l'auricolare nelle orecchie che scuotevo la testa
a ritmo di Infinity
2008. Oh,
mi piace una vita quella canzone! E nonostante sia da discoteca ha
anche un bel testo, a modo suo. Ho voglia di andare in discoteca. Oh,
ho voglia di ballare! Prof, balliamo? Facciamo qualcosa
assieme?
-Bianca, cos'hai preso?
-Io? Io niente, prof. Pensa
che sia una drogata?
- chiese con un sorriso inquietante - Pensa che abbia le braccia
tutte piene di buchi o che abbia un francobollo sotto la lingua?
Vuole provare a controllarmi la lingua, prof?
Se la ritrovò a tre
centimetri dal naso. Venne preso dal panico.
-Bianca, ti
prego.
-Oook, ok – riprese a saltellare per la stanza, con le
braccia dietro la schiena – allora vuole controllarmi le
braccia?
Vuole vederle? - tornò di fronte a lui e fece per levarsi il
maglioncino. Poi scoppiò a ridere davanti al suo pallore
improvviso,
tirò giù il maglioncino, si chinò su
di lui e afferrò l'orlo
della sua manica sinistra – Controlliamo? Vuole vedere se mi
faccio? - sorrise ancora, si rialzò e gli fece l'occhiolino
– Beh,
rimarrà col dubbio. Così almeno mi
penserà un pochino. E com'è
andata con la Camilla, in questo mesetto di assenza mia?
Quand'è che
vi lasciate? No, scherzo, non glielo augurerei mai. Ma
quand'è che
viene a fare un giro con me?
-Bianca, fermati
un secondo.
Che cos'hai?
-Ma niente, prof! Sono solo una ragazzina un po'
vivace. Sa com'è, a quell'età, hanno gli ormoni a
mille. Eh, ma
vedrà che col tempo si darà una calmata...
sorrisino di scherno, e
poi: è come tutti gli altri, tutti ci diamo una calmata
prima o poi.
Eh, già. Siccome io non mi calmo gli dà fastidio
pensare che io
abbia più diritto di loro di comportarmi senza vincoli o
freni. Gli
dà fastidio vedere il modo in cui mi do il permesso di
esprimermi
con sincerità, semplicemente perché io sono
libera e loro non lo
sono. Susanna Kaysen diceva qualcosa del genere. L'ha letto, il libro
di Girl,
Interrupted?
È molto meglio rispetto al film. Più che altro,
il film è quasi
un'altra storia. La scrittura della Kaysen è così
cruda e asettica,
l'ho poi ritrovata in quel libro sulla sua patata che...
-Bianca.
Una cosa alla volta. Cosa stai cercando di dirmi?
-Mmh – si
morse le labbra, i suoi occhi grandi schizzarono qua e là,
nel
frattempo dondolava le gambe – eh. Boh. Niente. In
realtà nessuno
di noi lo fa mai, giusto? Non vogliamo mai dirci un granché.
Non
facciamo altro che riempire milioni di attimi vuoti con film e libri
e vernissages
e sesso. Non è così, che fanno le persone grandi?
Voilà, vede che
non sono poi così immatura? E neanche voi siete poi
così
complicati.
-Bianca.
-Su, basta chiamarmi per nome, mi sembra
di essere in classe, la prego. Comunque, tornando a Woody –
stavamo
parlando dello zio Woody, vero? - ha notato come ama i salotti, i
ricevimenti, le esternazioni di cultura postmoderna e in generale
l'ambiente borghese intellettualoide? E ha notato come ha preso in
giro quelle newyorchesi boho-chic, etno-finto-povero,
genio-e-sregolatezza, dedite all'arte e convertite
all'ambiguità
sessuale e filosofica e ideologica?
-Ti vuoi fermare un momento,
Bianca...?
-Mannò, perché? Chiacchieriamo! Mi dica qualcosa.
Se
non ci fossi io che parlo, il tempo non passerebbe più. Con
la Cami
come fa? Passa tutto questo tempo a dirle 'Camilla! Camilla!
Camilla!' ogni volta che la poverina cerca di fare un po' di
conversazione?
-Senti, non sono affari tuoi quello che io
e...
-Looo sooo, prof, looo sooo, stavo solo sdrammatizzando. È
che qui ci perdiamo in un gomitolo aggrovigliato di parole senza
senso quando in realtà io voglio fare sesso con lei e
continuiamo a
girare attorno a questa verità senza mai concludere nulla.
Non la
tento almeno un pochino? Almeno una sbirciatina alle tette? Tutti
cedono davanti alle tette, avanti. Sarà mica diverso,
lei?
-Non mi amavi proprio perché ero diverso...?
-Ma lei non
mi ama, quindi non me ne faccio proprio niente della sua
diversità a
stampo romantico vecchio stile.
-Davvero vorresti che ti
amassi?
-Disperatamente, anche se non sembra. Ma sarei curiosa di
sapere, se fossimo io e lei, in un motel fuori città,
lontani dove
non ci vedrebbe nessuno, se non sarebbe almeno un po' tentato di
farlo.
-Nemmeno se ci trovassimo in un universo parallelo.
-Sarei
capace di cercare il portale per Narnia in tutti gli armadi del
mondo, se lei mi promettesse che, una volta arrivati lì
dentro,
potrei finalmente averla per qualche secondo.
-Non ti farò mai
questa promessa.
-Io voglio esserne sicura.
-Prego...?
-Prenoti
un motel a nome suo, fuori città. Pago tutto io: stanza,
benzina,
pranzo e cena. Stiamo un pomeriggio assieme e se non avrà
mai,
nemmeno per una volta, la tentazione di accarezzarmi il seno
– si
portò una mano sulla curva dolce e piena del petto
– allora io mi
arrenderò. Prometto. Non verrò nemmeno
più qui a parlare con
lei.
-Non se ne parla.
-Allora continuerò a venire qui e a
chiederglielo e a riempirle le orecchie di parole senza senso.
-Fa'
pure, non ti ascolterò.
-Lo farò con uno diverso ogni giorno. E
la sera berrò ancora di più, lo sa che bevo
parecchio? No? Bene,
ora lo sa, bevo parecchio. Una bottiglia ogni uno o due giorni se ne
va, e non di Bacardi
Breezer,
ma di Keglevich
da
venticinque gradi: davvero lei vuole che io peggiori? Vuole che il
fegato mi esploda in mille pezzi? Vuole che rimanga incinta, prima o
poi? O magari che vada con qualcuno di pericoloso che mi
violenterà
e poi mi infilerà a pezzi nei bidoni della spazzatura?
-Sei
proprio stronza a minacciarmi.
-E a lei non costa nulla passare un
pomeriggio con me. Non le ho chiesto niente tranne la sua compagnia;
quello che fa dipende esclusivamente dalla sua volontà,
quindi, se
non le andrà di toccarmi, non lo farà e il
discorso sarà
chiuso.
-E poi mi lascerai in pace?
-Sicuro, la lascerò in
pace. Mi vedrà solo in classe e le parlerò solo
in occasione delle
interrogazioni. Guardando la classe e non i suoi occhi.
-Affare
fatto. Il più presto possibile, mi raccomando.
-Prenoti lei
quando le è più congeniale – rispose
Bianca allegramente – e
poi me lo comunichi, così effettuo il pagamento al motel. -
Sorrise.
- Spero anch'io che sia il più presto possibile.
-Non per i miei
stessi motivi, credo – mugugnò Emanuele.
-Oh, lo so. Questa è
la misura in cui lei vuole che io mi levi dalle palle –
scoppiò a
ridere – le farò cambiare idea. Altrimenti amen.
Il mare è pieno
di pesci, dicono! Arrivederci e buona giornata. E grazie. E le voglio
bene. E scusi. E scusi anche alla Camilla. E ora me ne vado,
sì,
arrivederci.
Emanuele uscì da quella conversazione sfinito, e
faticò non poco a trascinarsi attraverso le ultime tre ore
di
lezione. Poi passò un viaggio in treno terribile; era
infastidito da
tutto, operai puzzolenti, valige, ristrettezza di spazio, tutto.
Tornato a casa si preparò una camomilla e Camilla
arrivò poco dopo;
quando la vide, non riuscì a trattenersi e un paio di
lacrime
spuntarono da sotto le palpebre e presero a ballargli
sull'iride.
-Amore – esclamò Camilla, gettando la borsa per
terra – che succede? Tutto a posto?
-Sì – mormorò –
sì.
Un po' stanco.
-Che è successo? Ti hanno rimproverato al
lavoro?
-... sì – mentì, dopo una breve
esitazione – perché
secondo loro non ho organizzato per tempo un progetto di uscita
didattica.
-E piangi per questo?
-No, perché non ne posso più.
C'è troppa gente in una scuola e tu devi avere a che fare
con
ciascuno di loro. Voglio andarmene da lì. Appena finisce
l'anno
scolastico strappo il contratto e vado a fare qualcos'altro.
-Amore,
mi dispiace tanto. Vieni qui. Andiamo a farci un bel bagno caldo
assieme, su. Stasera ti preparo la parmigiana, sei contento? E poi se
vuoi andiamo al cinema. Ti va l'idea?
Guardò il caldo sorriso di
Camilla che lo teneva tra le braccia come fosse stato un bambino col
ginocchio sbucciato. Purtroppo, dopo averla guardata, gli venne
ancora più da piangere.
-No, dai... non fare così. Adesso ci
dormiamo su e passa tutto. Tra poco la settimana è finita,
forza,
cerchiamo di farcela... pensa che io ho Bianca senior, altro che una
sedicenne ribelle!
-Già...
Ma fu davvero consolatorio quel
breve dialogo prima del bagno assieme, perché gli
ricordò che, per
quanto Bianca tentasse di trascinarlo nel suo vortice di parole e
contraddizioni e sesso vuoto, c'era sempre Camilla ad aspettarlo a
casa, e lui avrebbe sempre resistito a qualsiasi tentazione, posto
che ve ne fosse una, perché non avrebbe mai potuto
dimenticare per
un attimo quanto l'amava.
Il giorno dopo comunicò brevemente
a Bianca che potevano tranquillamente incontrarsi l'indomani, e le
indicò nome e indirizzo dell'albergo.
-Fatti trovare in piazza
Insurrezione alle due – le disse con tono neutro –
io passo a
prenderti in macchina. E vedi di non parlarne agli altri.
-Non mi
tratti così.
-Tu mi hai minacciato, Bianca, non ti meriti di
essere trattata diversamente.
La lasciò in corridoio dove l'aveva
trovata, senza voltarsi a guardarla. Sapeva di averla ferita. Ma
sapeva anche di non essere più in grado di reggere la
situazione, e
decise per quella volta di pensare solo a se stesso.
-Eccomi
qua, prof! Ho fatto tutto. Partiamo!
Non rispose e la guardò
mentre richiudeva la portiera e si allacciava la cintura. Anche
Bianca tacque come lui, ma masticava una gomma dietro l'altra, e
continuava a dondolare le gambe e a tormentarsi le pellicine delle
mani.
Avrebbe voluto dirle di non farlo, di calmarsi per un
secondo, ma era ancora furioso con lei. Alla fine, però,
ricordò
che era soltanto una ragazzina di sedici anni con evidenti problemi,
e si arrese a rivolgerle la parola.
-Come stai? - le chiese, in un
borbottio.
-Non le rispondo se me lo chiede così.
La guardò.
Aveva lo sguardo puntato fuori dalla finestra; si morsicava le dita e
continuava ad accavallare e scavallare le gambe, incapace di trovare
requie.
-Basta mordere. Ti fai male.
Lei si voltò verso di lui
e lo guardò un attimo, con un'espressione strana. Sembrava
lo stesse
studiando. Le lanciò un'occhiata. Lei si girò e
riprese a mordersi
le dita.
-Basta! - stavolta le diede un colpetto sulla mano. Lei
lo guardò ancora, poi si girò ancora di
più verso il finestrino ed
Emanuele non fu più in grado di controllare cosa stesse
facendo.
Sentì solo che non stava mai ferma.
-Prof, andiamo in
Alabama.
-Cosa...?
-In Alabama. No, in Texas. No, a Las Vegas.
Oh, che sete.
Bianca tirò fuori dalla borsa una bottiglia.
Emanuele lanciò un'occhiata alla bottiglia e
realizzò, sgomento,
che si trattava di vodka liscia.
-Non se ne parla. Io non vado da
nessuna parte con una minorenne ubriaca, chiaro?
-Ma mi fa stare
meglio. Mi rilassa, prof. Sa quante volte a scuola arrivo con la
vodka secca nella bottiglietta? Tutti pensano che sia acqua, e invece
no, è vodka. Mi serve per stare tranquilla, altrimenti mi
agito.
-Quanto stupida sei?
-Se sapesse in quanti me lo
dicono.
-No, tu sei proprio stupida.
Ci trovi un gusto tutto particolare nell'autodistruzione, vero? Hanno
ragione quando dicono che vuoi soltanto il centro del palco. Tu vuoi
la nostra attenzione, sempre, costantemente. Negalo.
-Be', se
volessi la vostra attenzione mi porterei una bottiglia di Jack
Daniels con l'etichetta, ma ad ogni modo lei la pensi come
preferisce, non mi interessa molto. Mi basta che
finisca.
-Cosa?
-L'attesa. È snervante. Il dopo.
Deve arrivare. E io non sto facendo nulla ma dopo tra di noi
succederà qualcosa, e stiamo passando al rallentatore
attraverso il
tempo. Mi manda fuori di testa.
-Perché non lo
ammetti...?
-Cosa?
-Che ti fai dalla mattina alla sera. Tu
prendi qualcosa. Cos'è? Ecstasy? Cos'altro? Per comportarti
a questo
modo, qualche amfetamina la prendi di sicuro. Non sono un esperto,
dimmelo tu. Cosa prendi?
-Un caffè con due cucchiaini di
zucchero, grazie.
-Non farmi arrabbiare ancora di più,
Bianca.
-Lei è suscettibile. Mentre io, nonostante lei continui a
insinuare che sia una drogata, ancora non mi sono scomposta. E poi
sarebbe lei l'adulto e non io.
-Tu sei una mocciosa.
-E LEI LA
DEVE SMETTERE IMMEDIATAMENTE – strillò Bianca, da
un momento
all'altro – chiaro?! Io NON mi drogo. NON lo faccio. Ma LEI
continua a dire che LO FACCIO, e IO sto perdendo la PAZIENZA.
La
guardò. Aveva due enormi occhi rossi spalancati in modo
inquietante,
e ansimava.
-Va bene, Bianca. Non ti droghi.
-E non usi
CONDISCENDENZA – urlò lei, afferrandolo per un
braccio – ha
capito?! NON faccia l'adulto maturo e ragionevole con me! NON mi
faccia ARRABBIARE, è chiaro?! Altrimenti io... io...
-Molla il
braccio, per favore.
-NON MI DIA ORDINI!
-Per favore,
Bianca...
-Allora lei adesso LA SMETTE di fare insinuazioni su di
me e di trattarmi da appestata. La SMETTE, ha capito?! Ha capito?! O
vuole che mi arrabbi SUL SERIO?!
Rischiava davvero di finire
attraverso il guard rail, perciò decise di mantenere la
calma. Ora
era praticamente certo delle sue ipotesi, ma decise di assecondarla.
Sperava solo che l'effetto passasse prima che arrivassero al motel, e
che nel frattempo lei non li conducesse dritti dritti verso un
frontale.
-Ho capito, scusami. Sono saltato in fretta alla
conclusione sbagliata.
-Mi scusi – bisbigliò lei, con aria
angosciata – mi scusi lei. Io...
Non concluse. La sentì tirare
un bel respiro, poi scoppiò a piangere a scroscio.
-Mi dispiace
tanto, prof – singhiozzò – mi dispiace
tanto, mi perdona? Sono
stata maleducata, ho urlato. Mi dispiace tanto. Mi perdoni, prof. Io
la amo. Non voglio che pensi questo di me. Mi dispiace tanto! Prof,
mi dispiace...
-Ok, Bianca, ho capito. Non importa. Adesso non
scusarti più.
-Ma ho paura che nel momento in cui smetterò lei
inizierà a prendersela con me – gemette,
asciugandosi gli occhi –
ho paura che lei mi odi. Io non voglio che lei mi allontani.
Professore, non se ne vada più, rimanga con me, per favore.
-Adesso
non agitarti e asciugati il viso, ok? Sei più bella con un
sorriso
sulle labbra.
-No, sono brutta e lei mi odia, per questo non mi
vuole – riprese a singhiozzare disperatamente – non
ho mangiato
per un mese e mezzo per piacerle, e ho perso dieci chili e lei non se
n'è neanche accorto.
-Ma Bianca, hai il cappotto, come
potevo...
-Sì, ma a scuola sono quasi svestita, e lei non si
è
accorto che avevo meno tette e meno cosce!
-Ma perché non te le
guardo!
-E allora lo vede che non le interesso! - pianse, e
appoggiò la fronte sul cruscotto. Emanuele le
accarezzò i capelli
rossi, sciolti e un po' secchi per via della tinta.
-Ma non è la
fine del mondo. Io ho grande stima di te, Bianca, anche se ti
comporti da stupida ogni tanto.
-Lo so che secondo lei e tutti mi
comporto sempre
da stupida – si lamentò, e tirò su col
naso – e ho sentito una
volta quella di tedesco dire che non posso essere intelligente, al di
là dei voti, se mi comporto così.
-Ma non la pensiamo tutti come
lei. A sedici anni non puoi parlare a qualcuno di 'scelte' e
pretendere che faccia anche quelle giuste. Quando si parla
dell'emotività della persona, non si può essere
razionali;
intervengono moltissimi fattori, tra i quali sicuramente le
esperienze personali, e tu probabilmente hai avuto le tue e queste ti
hanno spinta, e tuttora ti spingono, a comportarti in un certo
modo.
-Allora andiamo a Las Vegas?
-... eh?
-Las Vegas.
Gioco d'azzardo. Decappottabili rosse sulla Route 66, capelli nel
vento, il nostro amore folle e selvaggio.
-Bianca...
-Ho letto
L'Eleganza del
Riccio,
prof, l'ho trovato terribilmente pretenzioso e ho sentito la voce
dell'autrice assordante come una campana. Quanto surrealismo, quanta
metafisica dei poveri, quanta tronfia saccenza. E quante seghe
mentali, soprattutto!
-Ti ricordi di cosa stavamo parlando?
-Sì,
di me, come sempre. Sono un po' stufa di sentir parlare di me, tutti
parlano sempre di me, che noia. Ci sono cose molto più
interessanti
nel mondo e una di queste è la narrativa contemporanea, e
lei
dovrebbe essere d'accordo con me, no? Quindi non concentriamoci sulla
mia stupidità e confrontiamoci da uomo a donna colti quali
siamo.
Cristo,
avrebbe voluto dire. Iniziava a preoccuparsi
dell'eventualità in cui
li avessero fermati e avessero trovato lei con delle pastiglie in
tasca. Poi avrebbe avuto un bel daffare a dimostrare che non era un
pedofilo, e a spiegarlo a Camilla.
Ma come si era fatto
incastrare...? Come?
-Prof,
è meglio se bevo. Davvero. Poi sto meglio e mi calmo.
Non poteva
farle notare che alcool e droga non erano una grande accoppiata.
Tentò di aggirare l'ostacolo.
-Non mi sembra una buona idea,
Bianca. Poi come giustifico al gestore del motel la mia permanenza
con una ragazzina di sedici anni ubriaca?
-Nel mezzo tra 'sedici
anni' e 'ubriaca' stava per dire 'vestita come una puttana',
vero?
-No...
-Sì, lo stava per dire. Ma lo so, cosa crede? Se
non ne fossi cosciente, sarei proprio stupida; mi rendo conto di
vestirmi diversamente dalle mie coetanee. Non lo faccio di certo con
ingenuità.
-E perché lo fai?
-Perché ho un bel corpo e
voglio che si veda.
-Che lo veda chi?
-Chiunque
fosse interessato a interagirvi. Uomini, donne, animali... poi io
valuto.
-Perché lo fai?
-Perché il sesso mi piace e piace
anche a chi lo fa con me. Perché lei fa sesso con Camilla?
Perché
le piace e piace anche a Camilla. No?
-Sì, ma io lo faccio solo
con Camilla. E lo faccio perché la conosco almeno un po', e
almeno
un po' mi piace.
-Solo un po'?
-No; 'molto' per entrambe le
cose. Ma quelli che ti porti a letto ti piacciono?
-Anche
'quelle'.
-Fantastico. Ti piacciono?
-Sì, mi piacciono. Sennò
non me li farei.
-Ma li conosci?
-Che importa, quando alla fine
quello che vogliamo è il sesso?
-Non puoi ragionare così.
-Amo
la velocità di questo dialogo.
-Io non so cosa fare con
te.
-Allora lasci fare a me.
-Tu mi stai...
-Sì. Lo so. La
faccio uscire da ogni grazia di Dio. Eh, ma io ci vivo, fuori da ogni
grazia di Dio. È una cosa continua. Non si ferma mai.
Rallenta e
basta, che è una cosa insopportabile!, ma non si ferma mai.
Dio. Per
questo le dico di lasciarmi bere quella vodka. Almeno mi
calmerei.
-Bevine un sorso e per favore poi stai calma un minuto.
Solo un minuto, te ne prego.
Lei annuì e bevve più o meno un
quarto della bottiglia.
-Ora va meglio – mormorò alla fine –
aah, che pace. Adoro quando va giù dritta nella gola e fa
effetto
immediato. Senti quel calore piacevolissimo nello stomaco e un'ondata
tiepida e vibrante che t'invade tutto il corpo. Che
meraviglia.
Emanuele si sentiva sempre più a terra. Più si
avvicinava a quella ragazzina, e più gli sembrava di
precipitare in
un posto buio e tortuoso, dal quale non riusciva a prendere aria.
Ma,
sorprendentemente, Bianca aveva detto una cosa vera: dopo la vodka si
calmò, e iniziò a parlare molto tranquillamente.
Vivace, com'era
sua consuetudine, ma non in modo psicotico.
-E quindi ho
incontrato questa ragazza, ma su Netlog sembrava molto più
carina.
Comunque non era male, e qualche bacio e qualche carezza ci sono
scappati. Mi piacciono, le ragazze. Sono così morbide e
dolci.
Accarezzarle è un piacere diverso dall'accarezzare un uomo,
che è
solido e alto e forte.
-E così sei bisessuale?
-Mah? Sort
of.
Forse solo curiosa. Però a questo punto direi che la
curiosità me
la sono tolta, quindi mi sa che sì, mi piacciono entrambe le
cose.
In generale mi piace fare sesso, comunque. Non so perché; mi
piace e
basta. Ne ho bisogno, altrimenti non carburo. E poi ti sfoga un
casino, come prendere a cazzotti un punching
ball.
-Non
è proprio così che bisognerebbe viverla...
-No, lo so. Ma a me
viene spontaneo così. Se m'innamoro ma la persona che amo
non
ricambia, per me è impossibile fare
l'amore.
Ora capisce perché faccio un casino di sesso?
-Solo perché io
non ti ricambio?
-In definitiva, no, non credo sia solo per
questo. Ma di sicuro, come direbbe Jess Crichton, se io fossi la
pasta al ragù, lei sarebbe sicuramente la pasta, o la carne.
-E
invece il pomodoro e la cipolla, cosa sono?
-Chissà – sospirò
– non ci penso poi così tanto. Mi viene. So che
c'è un motivo, ma
io non ho proprio idea di quale sia.
Ora sembrava tornata la
solita Bianca. Aveva smesso di agitarsi, parlava più
lentamente e
diceva cose sensate. Non cose belle,
ma sicuramente quello che diceva aveva un nesso logico. Forse la
vodka era davvero capace di frenare l'effetto dell'ecstasy.
Alla
reception,
dopo un'altra mezz'ora di chiacchiere delle quali Emanuele non
riuscì
a cogliere il filo conduttore, Bianca si comportò bene.
Emanuele
avrebbe voluto sprofondare di fronte allo sguardo indiscreto del
receptionist,
ma si consolò pensando che quell'ultimo sforzo avrebbe dato
i suoi
risultati.
Salirono in camera e posarono le borse. Bianca ricoprì
il letto con una coperta che aveva portato da casa,
“perché di
questi posti non c'è da fidarsi”,
spiegò. Era davvero convinta
che avrebbe ceduto, prima o poi.
-Allora, prof? - sorrise –
Adesso possiamo farlo e levarci il pensiero una volta per tutte?
-Se
la metti così, sono ancora più convinto che farlo
sarebbe la scelta
peggiore.
-Ooh, lo sa che per me non è 'levarmi un pensiero'; io
non voglio togliermi lei dalla testa. Adoro pensarla tutto il tempo.
Lei è un'ottima persona a cui pensare: bello, buono,
comprensivo,
onesto, colto... non avrei potuto scegliere un candidato
migliore.
Emanuele suo malgrado rise. Bianca s'illuminò.
-Ma
allora so anche farla ridere! Pensavo di essere in grado soltanto di
irritarla... e invece, pensa te! E magari mi vuole anche un po' di
bene...?
-Bianca, io... senti. Non è che ti voglia male. Sono in
un certo qual modo 'affezionato' a te, nel senso che mi preoccupo per
te, che vorrei che tu stessi meglio. Ma non credo che...
cioè...
-Ma
allora sì che mi vuole bene – esclamò
la ragazza, con gli occhi
luccicanti – quando ti prendi a cuore una persona,
è perché le
vuoi bene. Sono sicura, prof. Di poche cose sono sicura, ma di questa
al cento per cento.
Emanuele rise un'altra volta. Forse aveva
ragione lei. Forse un po' le voleva bene.
-Ecco, mi dà ragione!
Che figata, il prof mi vuole bene. Be', è già
qualcosa! Allora,
dato che mi vuole bene, mi abbraccia?
-Aspetta. Ora non...
-Ma
prof, un abbraccino piccolo – si lamentò
– piccolo e breve. Non
le sto chiedendo niente di erotico. Un abbraccio come quello che
dà
a... boh, ai suoi nipotini, a sua suocera, a un'amica. Una cosa
semplice e pulita.
-Mia suocera non l'abbraccerei nemmeno se ne
andasse della mia vita, per me ha lo stesso effetto che ha la
kryptonite su Clark Kent – mormorò –
comunque, vieni qui.
Bianca
sorrise felice e si avvicinò. Emanuele aprì le
braccia; lei gli
circondò la vita con le sue e appoggiò la testa
sul suo petto,
affondandola tra le pieghe della camicia tanto che non fu
più in
grado di vederla in viso. Con una mano le cinse la cascata di capelli
rossi e spettinati; l'altra mano gliel'appoggiò sulla
schiena e la
premette delicatamente contro di lui. Bianca sfregò il naso
sul suo
sterno; non l'aveva mai vista così tranquilla e non si era
mai reso
conto di quanto fosse esile, nonostante la curva morbida e piena del
seno appoggiata sul suo addome.
-Contenta? - sussurrò, in
direzione della testolina scarmigliata sotto il suo mento. Lei non
rispose. - Bianca?
Ancora non rispose, ma le sentì le spalle
tremare tra le sue braccia. Presto il tremito si trasformò
in
piccoli scatti. Bianca strinse i lembi della sua camicia, e, per
questa volta, decise che sarebbe stato giusto accarezzarle i
capelli.
Rimasero così per un po', per tutto il tempo che ci
volle a Bianca perché la sua schiena non fosse
più scossa dai
singhiozzi.
-Scusi – mormorò alla fine, staccandosi, rossa in
viso per l'imbarazzo – mi scusi. Non è
perché non fossi contenta.
Ero contentissima. È proprio perché ero
contentissima.
-Non devi
vergognarti. Preferisco che piangi perché sei felice,
piuttosto che
per la tristezza.
-Ma un po' c'era anche tristezza – precisò
lei – non per lei, prof. Ero felice, ma ero anche triste
perché,
prima di essere così felice, probabilmente mi sentivo molto
triste.
-Da quand'è che qualcuno non ti abbraccia, Bianca...?
Lei
lo guardò, spaesata; in capo a un paio di secondi, i suoi
grandi
occhi castani si riempirono di lacrime pesanti che sgorgarono
immediatamente giù dalle palpebre, rotolando veloci sulle
sue
guance.
-Non so... cioè... non è che me ne freghi
più di tanto.
Non li chiedo mai a nessuno, gli abbracci, non ho mai voluto che
nessuno mi abbracciasse... non capisco.
-Ci credo che non volevi,
se ogni volta ti metti a piangere – le sorrise,
cercò di essere
rassicurante. E si chiese se quel pomeriggio sarebbe bastato per
venirne a capo.
-È perché – tirò su col naso
– lei
abbraccia bene, prof. Per un attimo, attorno a me c'erano solo le sue
braccia e il suo petto e il suo profumo e il silenzio, e da quel
momento in poi tutto il resto del mondo è sparito. Capisce?
Non
esisteva più niente tranne l'uomo che amo e io avvolta dal
suo
corpo.
Protezione,
ecco cosa serviva a Bianca. E se la cercava così
disperatamente, era
perché probabilmente per qualche motivo le era mancata.
Sicuramente
non l'aveva trovata nelle persone che si portava a letto, e che
teneva comunque a distanza lei stessa.
Fu comunque sollevato di
constatare che non si gettava tra le braccia di sconosciuti
affidandosi a loro; ci passava soltanto del tempo cercando di
ammazzare in qualche modo un qualcosa che aveva dentro e che le
sussurrava all'orecchio cose che la tormentavano.
-Adesso però
calmati. Ti abbraccio ancora, se ti serve. Finché non ti
abitui, ok?
Però adesso stai tranquilla. Guarda; ti siedi qui sul letto,
ti
prendo un bicchiere d'acqua, se vuoi ti accendo la
televisione...
Bianca si sedette e lo seguì attentamente con lo
sguardo mentre riempiva d'acqua un bicchiere e cercava il
telecomando. Quando le elargì entrambe le cose, fece una
smorfia,
chinò il capo e ricominciò a piangere
silenziosamente.
-Ehi.
Cos'hai adesso? Stai male?
-No, no – scosse la testa, guardando
fisso le proprie ginocchia – è che prima lei era
incazzatissimo
con me e invece adesso mi tratta così bene. Sono contenta
che lei
non ce l'abbia più con me. Mi sento così
sollevata. Prima stavo
malissimo – riuscì a concludere, prima di
esplodere in singhiozzi
rumorosi.
-Non fare così – s'inginocchiò davanti
a lei e le
posò una mano sulla guancia – non ce l'ho con te.
All'inizio me la
prendo, ma poi ho come l'impressione che... be', io sono adulto. Non
tengo il muso a una ragazzina di sedici anni.
-Non sono una
ragazzina – protestò, con voce rotta –
sono almeno una ragazza,
e tra un pochino se aspetta diventerò una donna.
-Sarai
una donna quando ti comporterai da donna – le
carezzò lievemente
la guancia, per stemperare la sua affermazione – per adesso,
ti
stai comportando da adolescente contro il sistema.
-Ma io non ce
l'ho col sistema, prof, glielo giuro. Mi piace, il sistema. Se non
avessimo il sistema, sa che caos? Io non voglio andare contro a
nessuno, vorrei solo vivere come piace a me. Non so che farci se
è
il sistema ad avercela con me, per conto mio potremmo convivere
pacificamente ognuno per la sua strada. E invece poi arriva una
Valeria qualsiasi a dirmi che le dà fastidio come mi
comporto. Ma
saranno mai affari suoi, prof? Eh? Sia sincero!
Gli venne quasi da
ridere, perché, al di là dei temi, queste erano
proprio le
lamentele di alunni su altri alunni che normalmente un professore
doveva sorbirsi ogni quarto d'ora.
-Senti, Bianca. Dà fastidio
anche a me che tu, in un luogo pubblico, ti faccia trovare
inginocchiata sotto il banco con qualcuno.
-Ma questo non l'ho mai
fatto!
-Non tarderai, ne sono certo. Tu stai cercando il limite da
tutte le parti, prima o poi lo troverai. Ma in quel momento? Quando
l'avrai trovato, che farai?
-Prof – rispose lei, con tono
paziente – le assicuro che non cerco niente. Contrariamente a
quanto pensate tutti, non voglio né scandalizzarvi,
né disturbarvi,
né impedire il regolare svolgimento della lezione,
né tantomeno
autodistruggermi o cercare un fantomatico 'limite'. Non voglio niente
di estremo. Voglio solo vivere la mia vita in santa pace senza che
nessuno mi ripeta in continuazione che lo faccio nel modo sbagliato.
Forse sarà sbagliato per voi, per la vostra concezione della
vita e
dei rapporti, ma per me è favoloso. Adatto a me e alle mie
esigenze.
Perciò le chiedo, almeno a lei che sembra capirmi un
pochino: non
fate più supposizioni di questo tipo su di me, per favore.
Sembrava
seria, ed Emanuele si chiese se in fondo non fosse giusto che lei
facesse ciò che si sentiva di fare senza che tutti loro si
sentissero in dovere di contestare il suo modo di vivere.
Faticò
parecchio a ricordare che aveva sedici anni, che tutto in lei gridava
aiuto, e che, per quanto a lei sembrasse congeniale ai suoi bisogni,
la politica del concedersi a chiunque non le avrebbe portato grandi
vantaggi a lungo termine, e neanche a breve termine.
-Ne
riparleremo – concluse – ma sappi che non mi
convincerai. Vado a
lavarmi le mani, tu fai la brava.
-Ma dai, prof. Cioè, dia. Non
volevo darle del tu.
Emanuele scosse la testa e s'infilò in
bagno; si lavò anche il viso, giusto per schiarirsi le idee,
e,
mentre si sciacquava, sentì un tramestio provenire dalla
stanza
accanto. Il riflesso dello specchio gli permetteva di sbirciare dalla
fessura della porta: incredulo, osservò Bianca di spalle
aprire la
tasca posteriore dello zaino, estrarne qualcosa e, infine, portarsi
la mano alla bocca e piegare indietro la testa di scatto. Poi la
raddrizzò e rimise il qualcosa dentro lo zaino.
Si asciugò il
viso e le mani alla velocità del fulmine.
Si precipitò nella
camera da letto e, senza neanche lasciare che parlasse, la prese per
il polso e la girò bruscamente verso di lui.
-Cos'erano
quelle?!
-Prof – esclamò lei, con la tipica faccia di chi
viene
colto in fallo – niente. Di cosa parla?
-Parlo di quella cosa
che hai ingoiato. E non provare a dirmi che era una Tic Tac,
chiaro?
-Non è quello che pensa lei.
-No? Vorresti dirmi che
era una Moment per il mal di testa? Mh? O che erano le caramelle per
la gola?
-Per favore, non pensi subito male.
-Mi avevi giurato
che non ti drogavi. Pensavo fossi abbastanza adulta da dirmi la
verità, Bianca! Ti avevo creduta abbastanza cresciuta da
poter dire
come stavano le cose. Ti avrei aiutata,
porco demonio. Tutti ti avremmo aiutata. Se è questo che ti
tormenta, perché non ce l'hai detto? Tu non
vuoi
uscirne, vero?
-Non è quello – gli occhi di Bianca iniziarono a
riempirsi nuovamente di lacrime – io non... io non posso...
lei non
deve pensare che... prof, per favore, non mi chieda altro.
-Non
ho bisogno di chiederti niente. Mi sembra tutto piuttosto chiaro.
Quante altre ne hai? Quanta droga ti sei portata dietro per un
pomeriggio?
-Per
favore, prof, non...
-Fammi vedere.
-Prof, davvero, no, la
prego!
-Fammi vedere, Bianca – tentò di mantenere la
calma.
Allungò la mano verso lo zaino; lei lo afferrò
per prima e se lo
strinse al petto, terrorizzata. - Per favore –
ritentò, a denti
stretti – dammi quello zaino.
-Prof, no. La prego di credermi.
Non mi drogo. Non ho né mal di testa né mal di
gola, ok, ma non mi
drogo.
Sembrava sincera, però. Almeno il dubbio gliel'aveva
instillato.
Poi un'idea gli balenò nella mente.
-Ah –
azzardò – è la pillola
anticoncezionale? È questo? Be', non
c'era motivo di nascondersi. Non c'è niente di cui
vergognarsi.
-Sì
– mormorò lei, scura in viso –
è la pillola
anticoncezionale.
-Be', chiaro. Se non ne hai bisogno tu, chi
altri? Potevi dirmelo subito.
-Prof! - sbottò lei, ferita –
Questa era una cattiveria.
-Macché cattiveria; lo dici tu stessa,
che lo fai in continuazione. Di commenti come questo ne riceverai a
palate, nella vita.
-No! - esclamò Bianca; si alzò di scatto,
gli corse vicino, lo prese per una manica – Prof,
perché mi dice
queste cose? Pensavo che lei non mi giudicasse.
-E come potrei non
farmi un giudizio, Bianca? Pensi che io approvi quello che fai? No,
Bianca, non approvo affatto quello che fai. Se fossi mia
figlia...
No, piano. Questo era ciò che si era ripromesso di non
dire mai. Che gli era successo? Perché si stava trasformando
in
quegli professori bacchettoni e vecchio stile che dicevano agli
alunni indisciplinati che se fossero stati i loro genitori due begli
sculaccioni non glieli avrebbe levati nessuno?
-Non era questo che
volevo diventare – mormorò, passandosi una mano
sugli occhi –
non puoi fare così. Non mi puoi portare a questo.
-A cosa? - fece
lei, confusa.
-A questo,
Bianca! In una camera di un motel, con una ragazzina che potrebbe
essere davvero mia figlia, ubriaca e forse drogata, che fa di tutto
per portarmi a letto oppure, se non ci riesce, possibilmente portarmi
fuori di senno! Nel caso te lo stessi chiedendo, no, non era questo
che avevo in mente di fare, quando ho scelto di fare l'insegnante.
Avevo in mente tutt'altra cosa, credimi! E allora perché tu
devi
farmi impazzire? Cosa vuoi da me? Che cosa ti ho fatto, per
coinvolgere me fino a questo punto?!
-Prof – le tremava il
mento, e aveva un'espressione tanto indifesa che Emanuele non seppe
più se avesse ragione o torto, se fosse una vittima o una
carnefice,
se lo volesse uccidere o se l'amasse alla follia – niente.
Non mi
ha fatto niente. Io pensavo che lei potesse... che volesse... che...
pensavo di poterle far capire come io... prof, mi dispiace tanto. Non
volevo farla impazzire.
-Allora per favore, Bianca. Per favore.
Dammi quelle pastiglie. - Si premette la mano sulla fronte, per
impedire che esplodesse. - Bianca, se non vuoi farlo per te, ti prego
di farlo per me. Ti prego, finiscila con queste cose. Mi fa male
vederti così, lo capisci?
-Lei vuole soltanto liberarsi di questo
problema che vi costringe a indire riunioni straordinarie in sala
insegnanti, lo so! - proruppe Bianca, in lacrime – Vorreste
che la
smettessi così potreste continuare le vostre lezioni in
pace! Così
non dovreste più chiedervi cos'ha quella ragazzina vestita e
pettinata da puttana che si è innamorata di uno che potrebbe
essere
suo padre! Be', per sua informazione, lei non
potrebbe
essere mio padre! A meno che non mi abbia concepita in seconda media,
ecco!
-Stai sragionando. È l'ecstasy?
-NON È L'ECSTASY, PORCA
PUTTANA – gridò Bianca – non prendo
ecstasy, come cazzo glielo
devo dire?! Scusi, prof. Non ricordo neanche cosa le ho appena detto!
Lei non capisce! Non capisce perché non
sa!
Quando la smetterà di farsi un'idea di me in base ai suoi
personalissimi canoni da impiegato pubblico stipendio fisso fidanzata
ufficiale e cene con gli amici e cane?! Come si chiama il suo cane?
Io ne avevo uno, si chiamava Poppy. Perché avevo visto che
l'orsacchiotto di Poochie si chiamava Poppy, io non avevo un
orsacchiotto, ma un cane sì, e quello di Poochie si chiamava
Pallottola, ma non era un cane, sì, era un cane, non era un
orsacchiotto, scusi, mi sono sbagliata. Che sta succedendo? -
All'improvviso sembrò spaesata. - Prof? Cosa stavamo
dicendo?
Emanuele iniziava a sentire del vero panico. Stava
salendo? Quanto sarebbe durata? Come poteva fermarla?
-Ah, sì. A
letto con me. Ok, se non con le buone, con le cattive. Vediamo.
Si
alzò in piedi ed iniziò a togliersi il
maglioncino.
-Bianca...
Emanuele iniziava a sentirsi
male.
-Poochie lo leggevo quand'ero molto piccola. Ho iniziato a
leggere presto, credo che avessi due anni. Leggevo anche Cip
e Ciop,
ma non riuscivo a leggere il corsivo. Allora chiedevo a mia madre di
leggerlo, ma un giorno non aveva tempo, e così mi ha detto
di
leggerlo da sola, perché ero capace. In effetti, a forza di
leggerlo
assieme a lei ero diventata capace. E così l'ho letto da
sola e,
anche se ho faticato, ci sono riuscita. Capisce? Bisogna sempre
essere perseveranti.
Non aveva più il coraggio di replicare
niente. Non riuscì nemmeno ad alzarsi e a prenderla per le
spalle e
a imporle di rimettersi quel maglioncino.
-Un attimo, prof.
In
reggiseno, chinò la sottile schiena pallida verso lo zaino,
e
riprese la sua vodka. Diede qualche sorsata abbondante. Poi si
tirò
su.
-Adesso dovrebbe andar meglio. Meno male me ne sono resa
conto. Adesso... adesso si fermerà per un attimo. In teoria
dovrei
già essere ferma. Ma aiuterà. Vedrà.
Mi dia tempo.
-Bi...
Bianca – balbettò; le si fece vicino, le
posò le mani sulle
spalle – senti, io non ho mai preso niente. Non ho idea di
come
funzioni, perciò ti prego, finché sei lucida,
dimmi cosa devo
fare.
-Lei? - sembrò sorpresa – Nulla. Se mi concede un
paio di
minuti, dovrebbe passare. Ho fatto il possibile. Adesso passa. Nel
frattempo, però, per favore, prof. - Lo guardò
con aria seria. -
Siamo qui. Non c'è nessun altro. Non riesco a calmarmi, e
voglio
lei.
-Dio – iniziava ad aver voglia di piangere. Si sedette sul
letto di fianco a lei, sentendosi debole e disperato. –
Bianca,
basta. Basta. Per favore.
Per tutta risposta, lei si alzò in
piedi, gli si fece davanti, e, dopo avergli sollevato il mento con
l'indice, gli posò le mani sulle spalle e gli si sedette a
cavalcioni, assicurandosi di premere il bacino contro il
suo.
-Bianca, no. No. Adesso basta. NO – esclamò,
quando lei
gli si avvicinò e gli sfiorò il collo con le
labbra. - Basta.
Bianca. No. - Lei iniziò a baciarlo con delicatezza. Mentre
lui
tentava di scostarsi, gli accarezzò le braccia fino ad
arrivare alle
mani; gli sollevò le dita con le proprie e, lentamente, le
sollevò.
Emanuele ebbe un sussulto quando le ritrovò posate sul suo
seno. Ne
ebbe un altro quando, di fronte alla forma tonda e soda, e di fronte
alla sensualità della scena stessa, si accorse che il suo
corpo
aveva reagito alla provocazione di Bianca.
Ma lei ebbe la
sensibilità di non dire nulla; si limitò a
strusciare il bacino
contro la sua erezione.
Che crebbe. E lui non capiva perché.
Forse
era il contesto, ragionò concitatamente. Forse
perché le stupide
fantasie sulla storia con una studentessa prendevano vita, forse
perché loro due, il segreto, l'erotismo dei modi di Bianca,
l'avevano in qualche modo eccitato. O forse perché voleva
che lei la
smettesse di parlare.
Qualunque cosa fosse, aveva preso il
sopravvento. Non riusciva a reagire e Bianca procedeva con calma e
languore, costringendolo a rabbrividire aspettando la prossima mossa.
I baci sul collo si erano fatti profondi. La lingua di lei lo
percorreva impercettibilmente, e poi all'improvviso premeva contro i
suoi muscoli. Non l'allontanò quando lei spinse il seno con
forza
contro il suo petto. E sospirò per le sue dita che gli
premevano
sulla schiena.
E poi Bianca risalì il suo collo, gli succhiò il
lobo dell'orecchio, ne percorse il contorno con le labbra e la punta
della lingua. I suoi baci proseguirono lungo lo zigomo. Si fecero
sempre più lievi e distanziati, quando, alla fine, gli
arrivò
all'angolo della bocca. Si staccò. Con una lentezza
esasperante,
inclinò la testa, socchiuse le labbra carnose, le morse
voluttuosamente e le avvicinò a quelle di lui. Che
tremavano,
sopraffatte dal respiro bollente che gli usciva dal più
profondo
della gola.
Altri tre centimetri, pensava, e avrò fatto lo
sbaglio più grande della mia vita. Altri tre centimetri e
potrei
venirle addosso, vestito, con solo la forma morbida e bagnata che
emerge dalle sue mutandine premuta sulla cerniera dei miei jeans.
Ma
in quel momento, in un lampo, prima che le loro labbra umide e gonfie
si toccassero, Bianca lo guardò negli occhi. Per un solo
istante,
uno solo.
Le fu eternamente grato per averlo fatto.
Se non
l'avesse fatto, probabilmente le loro bocche si sarebbero lanciate
furiosamente una sull'altra, catturando le labbra dell'altro, quasi
cercando di strappargliele dal volto, e poi lui avrebbe afferrato la
schiena di Bianca e l'avrebbe trascinata giù sopra di lui, e
poi
l'avrebbe girata e sdraiata sui cuscini, le avrebbe sfilato con foga
le mutandine e si sarebbe slacciato i jeans, e l'avrebbe scopata
lì,
in quel momento esatto, senza neanche tentare di bagnarla
perché
sapeva che lei non aspettava altro che di sentirlo dentro il suo
corpo, fino a perdere la concezione dei sensi.
Ma lei in quel
momento lo guardò negli occhi, ed Emanuele si
sentì invadere da un
sudore freddo e da un malessere che non aveva mai sperimentato in
vita sua.
Era vero, non l'aveva toccata: ma era stato fermo
immobile, e non l'aveva allontanata. E nessuno avrebbe mai creduto
alla storia che una ragazzina di sedici anni l'aveva circuito,
sfinito, confuso psicologicamente. Di solito andava nel modo opposto.
Erano i pedofili a fare il lavaggio del cervello alle ragazzine, non
il contrario. E Bianca era abbastanza disturbata da rendere
plausibile l'eventualità che avesse cercato di confonderle
le idee
per poi portarsela a letto.
-Bianca – mormorò, spaventato –
spostati, ti prego. Ti supplico, spostati da lì.
Lei lo guardò,
seria e composta, e il suo sguardo non tradiva nessuna emozione. Si
limitò ad alzarsi e a sedersi di fianco a lui, a un metro di
distanza.
Emanuele rimase in silenzio, occhi sbarrati, testa tra
le mani, mentre il cuore gli batteva sempre più forte.
Bianca,
perfettamente calma, se ne stava seduta a gambe accavallate –
in
modo del tutto formale – e dondolava un polpaccio con
noncuranza.
Quando si voltò verso di lei, faticò a
parlare.
-Perché l'hai fatto?
Lei non si voltò nemmeno e il
suo tono fu perfettamente asettico, nel rispondergli.
-Non lo
rifarò.
-No – confermò, tirando un respiro profondo per
calmarsi – non lo rifarai, sicuro. Ma perché hai
voluto...
perché?
-Pensavo... non pensavo niente. Non penso la maggior
parte delle cose che faccio e dico, ma adesso ci ho pensato, e ho
capito che non lo rifarò. Non posso farlo.
-Non puoi...?
-No,
prof. Primo, perché lei non vuole. Secondo,
perché lei ama Camilla
e non me. Terzo, perché non è giusto portarla nel
posto dove sono
io. Non voglio farle del male. Vorrei proteggerla, se posso.
-Il
posto... cosa...?
-Questo posto. - Bianca allargò un braccio e
indicò la stanza. - Questo, e tutti gli altri posti dove lo
faccio.
Lei mi piace perché vive da un'altra parte. Scommetto in una
villetta a schiera in zona residenziale con un giardinetto sul retro
e una mansarda, col mutuo pagato a metà dai genitori suoi e
della
sua fidanzata, e scommetto che ha un bel letto soffice con cuscini
sparsi dappertutto e magari le lenzuola hanno la stampa del cielo o
degli Husky. - Bianca si voltò e gli sorrise. - E scommetto
che
Camilla ha comprato i vasetti per il sale e lo zucchero e il
caffè
decorati con i girasoli in rilievo, vero? E che ci sono dei fiori, e
tanti libri e tanti cd e tanti dvd.
Emanuele non seppe replicare.
Non perché il ritratto non fosse fedele, ma
perché era sconvolto da
tutto quello che era successo. Bianca quindi continuò.
-Io voglio
che lei continui a vivere lì, nella sua villetta a schiera
colorata
assieme a Camilla. E col cane, mi ricordo che ha un cane, anche se
non me ne parla mai. Ce l'ho anch'io, un cane. Scommetto che lei gli
vuole bene e che gli ha dato il nome di qualche personaggio
storico.
-Già – mormorò, pensando a Gengis. Quel
bastardino un
po' tonto, con la sua lingua fuori e i suoi tentativi di mordersi la
coda, lo faceva sorridere ogni volta al solo pensiero.
-Ecco. Io
voglio che lei continui a vivere lì, in quel posto felice e
tranquillo un po' fuori mano. Perciò ho deciso di smetterla
con
questa storia del sesso, perché la mette nei guai. E
perché starei
male se lei tradisse Camilla; lei la ama, ne sono sicura. Lei
è il
tipo d'uomo che ama qualcuno e lo ama per tutta la vita. Sarei la
ragazza più fortunata del mondo se scegliesse me, ma lei ha
già
scelto chi deve camminarle accanto fino alla fine. E non voglio
assolutamente rovinare una delle ultime storie d'amore del
ventunesimo secolo. Sarebbe un'offesa a lei, a Camilla e a quel che
rimane in me del romanticismo.
-Sì – Emanuele annuì, troppo
scombussolato per poter dire di più.
-Non sia infelice. Non è
successo nulla. Lei non mi ha toccata, prof, e io non dirò a
nessuno
che ci siamo visti fuori da scuola.
-Detto così, sembra davvero
che io ti abbia circuita e che tu cerchi di giustificarmi
perché ti
ho fatto il lavaggio del cervello – esalò
Emanuele. Bianca scosse
la testa.
-Io sono stata una gran stronza, prof, scusi il termine.
Non è colpa sua. Ho esagerato io.
Farsi proteggere e rassicurare
da una ragazzina di sedici anni. Dalla stessa
ragazzina che poco prima l'aveva portato in quel posto, come lo
chiamava lei stessa, da cui ora cercava di farlo fuggire.
-Senti
Bianca... non parliamo più. Stiamo calmi per un attimo. Ok?
-Ora
sono
calma – sbadigliò – fin troppo. Mi
è venuto anche un po' di
sonno. Le dispiace se dormo un pochino?
-No, dormi.
Bianca si
accoccolò poco più su e si avvolse con un lembo
della coperta. Le
ci vollero pochi minuti per rotolare in un sonno profondissimo, dal
quale non riemerse per parecchio tempo. Un'ora dopo, e dopo aver
letto metà del libro che teneva in borsa, Emanuele era quasi
tentato
di lasciare Bianca sul letto e andarsene, ma, seppur con
difficoltà,
cercò di tenere bene a mente che aveva sedici anni, che non
aveva la
macchina e che i suoi genitori non sapevano dove fosse.
Ma Bianca
non era una di quelle che mentre dormivano sembravano un angioletto.
Era abbandonata sul materasso con le palpebre pesantemente abbassate
e la bocca semiaperta, ma non dava un'impressione né di
calma né di
dolcezza. Sembrava che stesse ricaricando le batterie in attesa di
tornare all'attacco.
Emanuele
ne era spaventato. Aveva paura che da un momento all'altro
spalancasse gli occhi e si drizzasse in piedi, come in quel video del
gruppo di Jared Leto. Lui, dal canto suo, si sentiva sfinito: avrebbe
voluto capitombolare in un sonno di piombo come quello di Bianca, ma
niente, non ne era capace. Continuava a pensare a cosa sarebbe
successo se Camilla l'avesse saputo.
In un modo o nell'altro,
aveva tradito la sua fidanzata. Un'erezione gli toglieva ogni
possibile via di giustificazione; la sua immobilità di
fronte alle
provocazioni costituiva un'ulteriore condanna. Se, nonostante
l'erezione, l'avesse scacciata, forse avrebbe salvato almeno in parte
il suo onore. Ma, no, non l'aveva scacciata, non fin quando lei gli
aveva lanciato un'occhiata talmente penetrante che l'aveva
raggelato.
Bianca aveva condotto il gioco, non lui.
E
continuava a chiedersi perché l'avesse voluto trascinare in
un gioco
tanto crudele, perché proprio lui, tra tutti, dovesse
seguire la
folle corsa di quella ragazza verso un posto che nessuno di loro due
voleva raggiungere.
Ma Camilla. Con che faccia avrebbe guardato
Camilla, quella sera? Come gliel'avrebbe mai spiegato che stava per
cedere a una sedicenne? Come poteva farle capire che lo aveva portato
a un punto nel quale non era più stato capace di discernere
il
giusto dallo sbagliato, voleva solo far tacere Bianca e un milione di
voci contrastanti dentro di lui? Ogni volta che si poneva una di
queste domande un brivido freddo gli scendeva lungo la schiena.
Lui
non era un pedofilo, non lo era. Aveva dei princìpi,
per
l'amor del cielo. Era sempre stato in grado di tenere a bada degli
adolescenti, ma perché questa no? Sembrava quasi che lo
portasse
sotto ipnosi, giù per la tana del Bianconiglio.
Decise di
rimuovere tutto, di scacciarlo. Decise che quel giorno non era mai
esistito. Decise di fare come se nulla fosse successo, prima, e di
dimenticarlo per il resto dei suoi giorni. Se non era mai accaduto,
non poteva causare danni in futuro. Non poteva attanagliarli il petto
per il dolore di aver tradito Camilla. Non poteva riempirgli la testa
di dubbi saltellanti sulla sua integrità morale. Non poteva
toccarlo
in alcun modo.
Il pomeriggio a dicembre tramontava velocemente, e
dopo le cinque fuori dalla finestra il cielo era blu scuro e l'aria
si era raffreddata; le luci della sera si erano accese in strada e le
macchine si accodavano l'una all'altra nell'avvicinarsi all'ora di
punta. Qualche clacson iniziò a fendere l'aria, ma Bianca
continuava
a dormire. Dormiva così profondamente che Emanuele si
azzardò a
scendere dal tabacchino a comprarsi le sigarette e si fermò
anche in
cartoleria a comprare il giornale, dato che il libro era finito da un
pezzo. Quando tornò lei ancora dormiva. Si
svegliò solo quando,
dopo aver letto tutto il quotidiano compresi oroscopo e articoli
sportivi, lui la scosse per la terza volta. Riaprì gli occhi
con
fatica, quasi non dormisse da giorni.
-Buongiorno – la
salutò.
-Mh – fece lei – uuh, dimenticavo che ti fa venire
sonno. Mi scusi, ho dormito tanto?
-Qualche ora.
Sperò che il
sonno avesse anche rimosso i suoi ricordi degli avvenimenti
precedenti. Lei, comunque, non ne fece parola.
-Prof, andiamo via.
Sono molto stanca e credo di aver bisogno di una dormita
profonda.
Emanuele alzò un sopracciglio; poco prima sembrava
quasi in letargo. Ma non alzò obiezioni.
-Metti la coperta in
borsa; ti riaccompagno in centro. Da lì ce la fai ad
arrivare a
casa, vero?
-Sì, sì, dovrebbero passare autobus fino alle
nove.
-Andiamo allora.
Bianca frugò nel portafogli e gli porse
qualche banconota; Emanuele scosse la testa – allontanarla
con la
mano avrebbe potuto portare a sfiorarla, e lui non lo voleva
– e si
avviò verso la porta.
Pagarono in silenzio e in silenzio si
sedettero in automobile; lei si riaddormentò quasi
all'istante e lui
ascoltò il telegiornale via radio e qualche trasmissione di
politica, ovvero, qualcosa che non lo facesse pensare ai sentimenti e
a sé stesso – pericolo latente in caso di
trasmissione di qualche
canzone pop.
Svegliò Bianca con un “ehi”, e lei
aprì gli
occhi, se li strofinò con i pugni, sbadigliò e
poi afferrò lo
zaino.
-Arrivederci, prof – disse con voce impastata, aprendo la
portiera.
-Ciao, Bianca – rispose educatamente, poi ripartì
velocemente. Dallo specchietto notò che lei non si era
girata verso
di lui.
Notò anche un'andatura molto barcollante, uno sguardo un
po' perso nel vuoto, ma ormai non gli interessava più. Non
le
avrebbe mai più permesso di prendersi un solo secondo della
sua
attenzione.
Il giorno dopo, purtroppo, l'avrebbe vista.
Disgraziatamente, doveva tenere lezione nella sua classe quasi ogni
giorno della settimana, escluso il mercoledì. Si
consolò pensando
che, quantomeno, aveva soltanto la quinta ora; ovvero, ci sarebbe
rimasto assieme poco tempo, e comunque non avrebbe dovuto subire lo
shock di rivederla non appena tornato a scuola.
Mentre il treno
scorreva rumoroso sulle rotaie, e il signore in completo accanto a
lui sfogliava il giornale nell'aria impastata e sonnolenta delle
fredde mattine d'inverno, ricordò la sera prima.
Ricordò che,
appena giunto a casa, per assicurarsi di non pensare al pomeriggio
appena concluso si era versato un intero bicchiere di Anima Nera. E,
più tardi, Camilla era tornata a casa, e l'aveva trovato
disteso sul
divano con gli occhi socchiusi e la testa penzoloni dal bracciolo.
L'aveva guardata mentre spalancava gli occhi, gettava cappotto e
borsa su una sedia e gli si precipitava accanto; lei aveva lanciato
un'occhiata al bicchiere e alla bottiglia, poi un'occhiata a lui, poi
di nuovo al bicchiere, e lui le aveva mormorato “non
domandarmi”
e lei non aveva fatto domande.
Scoprì che non era possibile
dimenticare. Scoprì che qualunque cosa lei avesse fatto
–
chiederglielo, non chiederglielo, estorcerglielo, guardarlo con la
sua incantevole dolcezza – lui avrebbe sempre ricordato.
Anche se
gliel'avesse taciuto. Ogni volta che gli fosse balenato in testa, e
lui avesse bevuto per scacciarlo o pianto o battuto la testa contro
il muro, anche se lei non l'avesse mai scoperto, né
sospettato, lui
avrebbe saputo cos'aveva fatto, e la consapevolezza l'avrebbe
tormentato per tutta la vita.
Quanti anni ci volevano a
dimenticare davvero cosa si ha fatto alla persona che si ama...?
-Mi
scusi, devo scendere – fece il signore in completo.
-Certo,
prego – replicò educatamente Emanuele, alzandosi
per fare
spazio.
Era terribile quella forzata vicinanza con gli estranei
nel momento più intimo e sensibile della propria giornata.
La
mattina, Emanuele tollerava soltanto la presenza di Camilla: per come
la vedeva lui, la mattina, quando hai le palpebre pesanti, la lingua
incollata al palato, la testa dolorante per il riposo a cui sei
costretto a rinunciare, non bisognerebbe mai ritrovarsi gomito a
gomito con un estraneo che sfoglia il Mattino, o tenta di leggere un
libro abbandonandosi ogni tanto al sonno, o addenta svogliatamente la
brioche sorseggiando un cappuccino caldo comprato in stazione.
Specialmente in quelle mattine gelide e nebbiose d'inverno, quando
fuori era buio e dentro quella luce fastidiosa sembrava invitare i
passeggeri a svegliarsi e a fare qualcosa, ché la giornata
era già
iniziata.
E se uno non vuole, pensava Emanuele, se uno non vuole,
che la sua giornata abbia inizio...? E se uno volesse dormire per
sempre e dimenticarsi quello che ha fatto...?
-Avvisiamo i gentili
passeggeri che tra due minuti raggiungeremo la fermata Padova
Centrale.
Doveva alzarsi; adesso lo aspettavano un autobus – il
3, il 24, il 18, il 12, il 16, non aveva che da scegliere – e
cinque ore passate a cercare di conficcare a viva forza delle nozioni
nelle teste caotiche dei suoi studenti.
Caotiche, sì. Non aveva
mai pensato che fossero delle teste vuote; tutt'altro. Se fossero
state vuote davvero, non avrebbe fatto alcuna fatica a riempirle. Ma
dato che erano già quasi piene, tra relazioni, sport, hobby,
preoccupazioni, obblighi e divieti, Emanuele aveva sempre pensato che
fosse normale che rimanesse poco spazio per Torquato Tasso e Ludovico
Ariosto, che non avevano certo lo stesso appeal di
una partita
a Soul Calibur. Si stupiva anzi che altri colleghi
la
pensassero altrimenti.
Lui non si sentiva poi molto lontano dai
suoi studenti. Per quanto riguardava quelli di quinta, aveva appena
undici anni più di loro; avrebbe davvero potuto essere il
loro
fratello maggiore. E, nonostante alcuni tra i più piccoli
pensassero
che i professori non facessero altro oltre a correggere compiti e
prepararne altri a sorpresa, benché fosse costretto ad
ammettere che
per alcuni dei suoi colleghi la deduzione fosse piuttosto azzeccata,
beh, nel suo caso non era così. A lui piaceva andare in
discoteca,
provare cocktail di birra agli Irish Pub, fare sesso con la sua
ragazza, giocare con le varie consolle e, certo, anche leggere, ma
nel suo tempo libero non leggeva di certo Ludovico Ariosto. Nella sua
borsa c'erano volumi di John Fante e Chuck Pahlaniuk, e, come buona
parte dei suoi studenti, amava i film di Kubrick e di Tarantino. A
volte andava al cinese e comprava la cena take away e poi lui e
Camilla guardavano assieme un horror che faceva paura più a
lui che
a lei, e a volte prendevano un giorno di ferie dal lavoro e se ne
andavano assieme in giro per qualche città, o lontano, nei
colli, ad
esempio, a fine estate, rubando i fichi dagli alberi sul ciglio della
strada e sfrecciando in moto sulle vie strette e silenziose,
circondate da prati e fiori.
Ma quei pensieri felici svanirono
nello spazio di un attimo, quando gli tornò in mente il
pomeriggio
precedente. Aveva rotto tutto quanto. E non poteva incolpare Bianca,
no, non sarebbe stato giusto, perché la colpa era stata solo
sua.
Come sua mamma gli aveva detto migliaia di volte da piccolo: se ti
dicono di buttarti in canale, tu ti butti?, esclamava con stizza. E
lui diceva: no, mi butto solo se voglio io!, e quella volta si era
buttato, e l'aveva fatto solo e soltanto perché l'aveva
voluto.
Aveva rovinato tutto, per sempre. Non avrebbe più potuto
pensare a Camilla senza che qualche macchiolina nera sgocciolasse sul
quadro ad acquerello della loro vita assieme. E forse un giorno,
pensò nel panico, forse un giorno pur che non gli venisse in
mente
tutto quanto avrebbe smesso di pensare a lei, e tutto sarebbe finito
per sempre.
Non avrebbe potuto accusare altri che sé
stesso.
Senza volerle alcun male, senza volerla ferire, anzi,
preoccupandosi solo di amarla e rispettarla finché la morte
non li
avesse separati, era arrivato a separarsi da lei da solo. Senza
nemmeno averlo mai desiderato. Un giorno non avrebbe più
sorriso al
pensiero delle carezze delicate di Camilla e questo soltanto
perché
Bianca aveva fatto sì di fargli mettere il piede in fallo,
solo per
pochi attimi che non gli avevano dato assolutamente niente.
Se ci
fosse stato un modo per cancellare quel ricordo, l'avrebbe seguito
alla lettera. Droga, veleno, botte, ipnosi, scappare all'estero per
sempre. L'avrebbe fatto. Non importavano le conseguenze, ma voleva
tornare a prima. A quando lui non aveva nulla da rimproverarsi e
poteva guardare Camilla negli occhi e riusciva a parlare con Bianca
senza sentirsi crescere dentro un malessere terribile.
Camilla la
sera prima l'aveva accarezzato a lungo sulla fronte, baciato sul
viso, abbracciato forte mentre lui guardava il soffitto senza
parlare. Quando lui era tornato dal bagno dopo aver vomitato, si era
trovato sul tavolo una camomilla calda e un piatto di riso in bianco.
E poi lui aveva mangiato in silenzio, mentre Camilla lavava i piatti,
e quando aveva finito lei aveva lavato anche la tazza e il piatto
sporco d'olio e poi l'aveva accompagnato a letto, e si era sdraiata
assieme a lui senza accendere l'iMac per guardare un film. Lui si era
sistemato a pancia in su, con gli occhi serrati, immobile e teso. Lei
gli aveva spostato il braccio e aveva appoggiato la testa sul suo
petto e il piccolo pugno semichiuso sul suo addome, come facevano
ogni notte.
Si addormentò quasi subito, per via dell'alcool, e
quando si svegliò la mattina con Camilla tra le braccia, e
guardò i
suoi capelli scuri e lisci e i suoi occhi con le ciglia lunghe ancora
chiusi, le lacrime iniziarono a straripare dalle palpebre e gli
bruciavano nei bulbi come l'inferno.
Pianse a lungo,
silenziosamente, e per tutto quel tempo fu costretto a rimanere
immobile e a strozzare i singhiozzi, per non
svegliarla.
Indipendentemente da quanto gli ci sarebbe voluto per
guarire da quel dolore, avrebbe dovuto aspettare da solo.
(Nda: lo so lo so lo so ;_; era lunghissimo, biscottino premio se siete arrivati fin qui ç_ç. Tra l'altro, essendo questo capitolo lungo tre volte uno dei precedenti, penso capirete che questa volta non sono riuscita a portarmi avanti con la stesura; dovrete attendere che io scriva il capitolo 6 :). Nel frattempo il sostegno e il feedback sono sempre i benvenuti ù_u.
Una
nota al proposito della madre di Bianca: posso capire che sia
antipatica, e che possa apparire lo stereotipo della mamma in
carriera sempre impegnata che non ha tempo per i figli. Da un lato
sicuramente è vero, ma, come succede nella vita reale,
dietro allo
stereotipo e agli atteggiamenti sgradevoli c'è sempre un
qualcosa
che spinge la persona a comportarsi in un certo modo. Tuttavia non
sempre nella vita reale è possibile scavare fino ad arrivare
a quel
qualcosa; in questa storia non ho interesse ad analizzare i suoi
problemi personali, se non in relazione con quelli della figlia.
Quindi, per chi mi chiedeva se l'avrei approfondita: posso solo dire
che la rivedremo e che sapremo qualcosa di più su di lei, ma
che
rimane comunque un personaggio secondario, quindi non
riceverà lo
stesso livello di introspezione che ho dedicato ad Emanuele e a
Bianca, ovvero i protagonisti. Dato che spesso, nel nostro
quotidiano, non arriviamo a conoscere i dettagli più
nascosti della
personalità di chi ci sta davanti, così
accadrà nella mia storia;
spesso ci si fa l'idea di una persona dalla sua apparenza e, non
avendo occasione di andare più in là nella
conoscenza, ci si tiene
questa idea e la si dà per corretta. Do per scontato, nelle
mie
storie, che non esistano personaggi solo buoni o solo cattivi, e
anzi, per me non ha significato l'essere 'buono' o 'cattivo',
esistono cause ed effetti ed ognuno ha vissuto i propri. Solo che non
posso dedicare un capitolo alla nostra Miranda Priestly XD
l'impostazione stessa della storia non lo concede, al massimo
conoscerete qualcosa del rapporto madre/figlia e in generale gli
avvenimenti accaduti in questa famiglia, ma non andrò
più in là
:).
In particolare mi rivolgo a Pnin: sono curiosa di sapere,
perché mi aiuterebbe molto, cosa non ti è
piaciuto della
caratterizzazione di questo personaggio; pensavo che saltasse di
più
all'occhio, per mancanza di approfondimento, magari Camilla, ma la
signora Milanesi non me l'aspettavo XD. Fammi sapere se ti va ;) mi
sarebbe sicuramente molto utile.
E con questo chiudo e vi
ringrazio tantissimo dei vostri commenti, siete davvero molto
gentili. Spero che la storia continui a mantenere un buon livello e
che non vi deluda :). Grazie ancora per il sostegno ^_^.)