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Autore: Teresa Lisbon    11/10/2009    4 recensioni
Al California Bureau of Investigation un nuovo caso viene affidato alla squadra di Lisbon. Un caso difficile che non sembra presagire nulla di buono. A San Francisco una donna, Susan Long, viene trovata morta sul ciglio della strada, mostrando i chiari segni di percosse su tutto il corpo. Omicidio passionale o Premeditato? Entrambe le opzioni sembrano probabili; ma con il proseguire delle indagini le vittime aumentano facendo arrivare il CBI alla conclusione che non si tratti di un assassino alle prime armi. Chi è l’assassino? E perché sembra così interessato alla squadra del CBI? Jane, Lisbon, Rigsby, Cho e Van Pelt si ritroveranno a fare i conti con un serial killer pronto e tutto pur di ottenere ciò che vuole con conseguenze sconvolgenti nel cuore e nelle menti di ciascuno di loro. Nel bene….e nel male.
Genere: Generale, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 4

CAPITOLO 4

 

 

 

 

Com’era imprevedibile il fato. Un giorno si pensava al futuro, al matrimonio, al comune desiderio di avere un figlio; e il giorno dopo…il nulla.

Probabilmente era proprio questa imprevedibilità a rendere la vita tanto rara e preziosa. E non solo la vita, anche la felicità, sempre così fugace e indispensabile. Con la stessa velocità in cui questa bussava alla propria porta, allo stesso modo il destino la richiamava a se, rendendo tutto più difficile e complicato.

Forse era proprio per questo motivo che qualcuno arrivava al punto di desiderare di non essere mai felice; dopotutto, come si poteva rimpiangere qualcosa che non si era mai posseduto? Era come chiedere ad un orfano che non aveva mai conosciuta sua madre se le mancava come genitore, se le mancava il suo sorriso e la sua presenza, o se semplicemente le mancasse l’idea di lei. Era impossibile provare nostalgia per qualcosa che non si era mai stretto a se. Impossibile, ma estremamente doloroso.

Chissà come la pensava Susan, chissà se era una persona felice. Avrà coltivato anche lei sogni, desideri, ambizioni? Avrà provato rabbia, delusione o rimorso per qualcosa lungo la sua breve vita?

Qualsiasi fosse stata la risposta a tutte quelle domande, a quel punto non aveva nessuna importanza. Non ora, non mentre tre persone in veste lavorativa la osservavano stesa sulla fredda lastra della sala riservata alle autopsie.

Oramai Susan Long non avrebbe più potuto vivere la sua esistenza, non avrebbe più riso di gioia o pianto di dolore; non avrebbe più abbracciato i suoi cari, o esultato per una causa vinta.

Ora, l’ultima cosa che sarebbe stata in grado di fare, era lasciar libero accesso a chi in quel momento scrutava il suo corpo senza vita, attendendo che questi rivelasse essenziali informazioni su chi le aveva precluso qualsiasi possibilità di continuare a sorridere, di continuare ad aggrapparsi a quella tanto desiderata felicità. 

Lentamente Patrick Jane si avvicinò al copro della donna, il quale, supino, appariva decisamente più curato rispetto a quando era stata gettato sul ciglio della strada.

Il sangue, che fino a poco prima macchiava la sua candida pelle orientale, era stato accuratamente lavato, eliminando persino le sue tracce dai lunghi capelli neri, ora pettinati all’indietro per rendere visibile il volto segnato.

Nonostante la cura a cui era stato sottoposto, il cadavere presentava chiari e visibili segni di percosse, nel viso, negli arti, nel ventre; persino nel torace, il quale mostrava la indistinguibile Y presente in quasi tutti i corpi sottoposti all’autopsia.

Le braccia della Y erano incise profondamente nella carne della donna, e si estendevano implacabili dalla parte anteriore di ogni spalla fino all’estremità inferiore dello sterno.

La sua cassa toracica era stata esposta, i suoi organi asportati e, alcuni, svuotati del loro contenuto.  Il tutto per una frazione di tempo che subito dopo avrebbe visto gli stessi organi riposti nel loro luogo originale, come se da lì non si fossero mai spostati.

La dottoressa James, che nel frattempo era rimasta in silenzio, sollevò la cartella della vittima, sistemandosi distrattamente gli occhiali da vista sul naso.

Nonostante la mezza età, il medico legale appariva ancora una bella donna di colore, non molto alta e dagli zigomi leggermente pronunciati. Gli occhi, di un intenso color nocciola, sembravano quasi riflettere tutto ciò che, per anni, erano stati costretti ad osservare: cadaveri decomposti, fragili innocenti senza un alito di vita, ferite rivoltanti. Tutti aspetti ormai superficiali per il suo sguardo vigile e attento.

“Allora…” cominciò la dottoressa, posando per un secondo lo sguardo sulla cartella, per poi tornare a fissare il cadavere steso sul tavolo settorio “Dall’esame esterno del cadavere sono risultate evidenti lacerazioni in gran parte dei tessuti…in particolar modo sulla parte superiore. La camicia è stata strappata in più punti…” spiegò, indicando le braccia della vittima “…entrambi i polsi dell’indumento sono stati lacerati e imbrattati di sangue…e, se osservate il medesimo punto sul corpo della vittima, infatti, noterete le escoriazioni sulla pelle…Probabilmente la vittima è stata ammanettata o tenuta legata con delle catene!” suggerì il medico, lanciando uno sguardo alla donna di fronte a lei.

Mentre ascoltava le parole della dottoressa, Lisbon non sembrava voler staccare per un solo secondo gli occhi dal corpo di Susan; come se cercasse in tutti i modi di captare qualsiasi segnale che quel cadavere potesse in qualche modo inviarle.

Facendo lo stesso, ma con ogni probabilità ottenendo molti più risultati rispetto alla collega, Patrick alternava la sua attenzione tra il cadavere e il medico di fronte a lui. Entrambe le donne, infatti, in qualche modo gli stavano rivelando più di quanto in realtà volessero dire.

Anche Lisbon, a suo modo, gli stava parlando; ma nessuno dei segnali  mandati dal suo corpo sembrava essere particolarmente lusinghieri.

“La gonna nera era completamente imbrattata di terriccio e sangue, ma non presentava nessuna lacerazione. L’assassino non sembra essere stato spinto da ragioni sessuali!”

“Ora i vestiti li ha la scientifica?!” le chiese Patrick, facendo il giro del tavolo.

“Esatto! Verranno studiati ed esaminati singolarmente…appena riceveremo i risultati ve li manderemo subito” gli rispose Meredith James con voce quasi rassicurante “ Ad ogni modo per quanto riguarda le caratteristiche somatiche…”

“Oh sì lo sappiamo…trentacinque anni, di origini orientali…anzi per essere precisi di origini cinesi, da parte di padre. Occhi verdi, ha sofferto di anoressia più o meno all’età di sedici anni. I ca…” mentre si stava apprestando a continuare il suo lungo monologo ricco di impensabili, quanto azzeccate, informazioni riguardanti la vittima, Jane si bloccò, quasi sicuramente a causa della sguardo seccato della dottoressa. Per non parlare di quello del suo capo, le cui sopracciglia ricurve esprimevano più di mille parole.

Alzando le mani in segno di scuse, per nulla sentite, il consulente si allontanò di qualche passo, non resistendo alla tentazione di lanciare un sorriso divertito a Teresa.

“…la prego…lo perdoni” esclamò Lisbon, scusandosi al posto di Jane, come del resto capitava ogni qual volta si trovassero ad indagare su qualche caso. Sia che si trattasse di parenti della vittima, che di figure di spicco della politica, lui doveva sempre risaltare rispetto alla massa, dicendo o facendo la cosa meno opportuna. Come in quel momento.

Fortunatamente la dottoressa James non sembrava il genere di persona che se la prendeva per questi modi di fare poco convenzionali. Anche se la seccatura dipinta sui suoi occhi era decisamente  impossibile da ignorare.

“La vittima…” continuò, dedicando a Jane un solo altro sguardo scocciato “…presenta un tatuaggio dietro l’orecchio, una K” rivelò, spostando leggermente di lato la testa inerme della donna, mostrando così la piccola opera d’arte, quasi invisibile viste le sue dimensioni ridotte.

“sotto le unghie non c’era la presenza di nessun corpo estraneo, terriccio o pelle… al contrario erano fin troppo pulite…”

“L’assassino potrebbe averle pulite prima di liberarsi del corpo” suggerì Lisbon.

“Sì potrebbe essere…o forse la vittima non si è resa conto di ciò che le stava accadendo…potrebbe aver conosciuto l’assassino o, peggio ancora, essersi fidata di lui…” esclamò, risistemando il capo della donna.

“Ad ogni modo…dai fenomeni abiotici è risultato che la donna si trovava in un ambiente piccolo, probabilmente privo di finestre”

“è morta soffocata allora…”

”Difficile dirlo. Le percussioni sul corpo sono molte e tutte ugualmente gravi. Quando abbiamo esposto la cassa toracica, abbiamo visto tre costole fuori posto e una di queste era riuscita a lacerare il polmone destro. Sarebbe deceduta nel giro di qualche ora. Il corpo, inoltre, presenta chiari segni di disidratazione.  Non mangiava da giorni.  In altre parole, sarebbero bastate  si e no un altro paio d'ore perché si verificasse un arresto cardiaco…il qualsiasi modo sarebbe andata…il finale sarebbe stato sempre lo steso-”

“La voleva morta…a tutti i costi” sussurrò Teresa, lanciando un ultimo sguardo alla vittima.

“La ringrazio dottoressa James…” aggiunse la mora, dopo qualche secondo di silenzio, durante il quale sul volto di Jane sembravano essere passate una decina di teorie diverse “…ci tenga informati!”

“Certo” rispose Meredith, coprendo nuovamente il cadavere con il consueto telo bianco.

Susan non era solamente stata uccisa; era stata torturata e questo il medico legale lo aveva chiaramente lasciato intendere.

La domanda che continuava  rimanere senza risposta era: perché lo aveva fatto? E, soprattutto, perché?

 

 

 

Non appena varcarono la soglia dell’ufficio del CBI, la prima cosa su cui posarono lo sguardo Teresa e Patrick furono i tre membri della squadra, i quali, ciascuno seduto sulla propria postazione, sembravano del tutto presi dal loro lavoro.

“Capo!” esclamò Van Pelt sollevando il volto dallo schermo del suo computer, non appena li vide dirigersi verso di loro.

Una volta raggiunte le scrivanie dei loro colleghi, Lisbon e Jane si fermarono; quest ultimo con aria molto più rilassata rispetto a quella della mora. In fin dei conti succedeva sempre così; quando lei pensava di essere a mille miglia di distanza dalla risoluzione di un caso, lui le porgeva quel suo sorriso soddisfatto, alzando per quanto possibile i livelli della sua impazienza.

“Scoperto qualcosa?!” chiese Cho, con il suo tono di voce profondo e controllato.

“Non proprio…” gli rispose Lisbon, cercando di ignorare lo sguardo di Patrick “…la vittima è morta in seguito a percosse…disidratazione, soffocamento e chissà per quali altri motivi.”

“L’ha torturata..osservò addolorata Van Pelt, come se si trattasse di una conoscente e non di una perfetta sconosciuta, come lo era in realtà.

Chissà perché ogni caso colpiva così profondamente il cuore della bella rossa seduta davanti al computer. Non c’era occasione in cui non dimostrasse indifferenza o freddezza nei confronti di qualcuno; Grace doveva sempre e comunque esternare le sue emozioni, che fossero positive o meno. Già, ma a quanto sembrava, il genere di sentimenti esercitava un ruolo decisamente importante in questo intricato gioco di emozioni.

Difatti, nonostante lo sapesse tutto il quartiere generale del CBI, per non parlare del resto di Sacramento, Grace non sembrava minimamente intenzionata a esternare ciò che provava per il suo collega, Wayne Rigsby. Eppure lui in più di un’occasione le aveva fatto intendere quanto ci teneva a lei.

L’’idea di Van Pelt, però, non sembrava voler cambiare di una virgola, neppure dopo quasi un anno di “sofferenza”, se così la si voleva chiamare.

Nonostante nel lavoro si mostrasse sempre emotiva e indulgente, Grace era una persona molto chiusa, capace di rimanere in silenzio persino con se stessa, come aveva involontariamente fatto notare a Jane, durante la sua improvvisa cecità.

Quel giorno il consulente aveva letto nel cuore e nella mente dei suoi colleghi, più di quanto non facesse già in realtà. Evidentemente la cecità lo aveva davvero reso più speciale di quanto già non fosse.

 “Già…aspetteremo i risultati della scientifica!” la liquidò Lisbon, leggermente innervosita dai continui buchi nell’acqua che non smettevano di presentarsi nello svolgimento di quel caso “…voi avete scoperto qualcosa?” le chiese il capo, rivolgendo la sua attenzione anche al robusto agente al suo fianco.

“Non proprio. Ma oggi non ti è arrivato il messaggio sul cellulare?” le chiese Rigsby, leggermente confuso-

“No!” rispose subito la mora, sentendo le guance arrossarsi in una sola frazione di secondo.

Se non sbagliava quel messaggio lo aveva sentito arrivare, eccome se lo aveva sentito arrivare; ma il leggerlo si era dimostrata un’azione decisamente più complicata, soprattutto in una situazione come quella in cui si era ritrovava lei, dove l’essere inginocchiata sotto la scrivania di Van Pelt era l’aspetto meno imbarazzante.

 “…lo studio legale ci ha consegnato la lista completa dei criminali finiti in carcere grazie ai Long o a Strass, rilevando quelli seguiti principalmente da Susan. Ci sono due nomi, Michael Smith e Jasse  Becker…entrambi finiti in carcere per truffa e rapina a mano armata!” cominciò a spiegare Rigsby, cercando di non dare importanza allo sguardo di Lisbon.

“Perfetto…ora dove sono?” chiese Teresa, dando una veloce occhiata al fascicolo indicato dal suo sottoposto.

“…in carcere…entrambi…” prese la parola Van Pelt, sapendo di non dare affatto delle buone notizie.

Il volto di Lisbon, infatti, non riuscì a trattenersi dall’esprimere tutta la sua disapprovazione. Un intero giorno d’indagini del tutto inutili; né lei, né Cho, Rigsby o Van Pelt...nessuno aveva fatto un solo passo avanti.

Solitamente, dove non riuscivano ad ottenere risultati dai familiari o dal luogo del delitto, ci pensava il cadavere ad indicare una pista; o per lo meno la loro spiccata vena investigativa. E se anche il cadavere dava cilecca, rimaneva sempre..

“Allora che ne pensi?!” chiese improvvisamente la voce di Lisbon, non del tutto entusiasta nel chiedere consiglio al consulente della sua squadra, che sembrava particolarmente impegnato ad aprire una bottiglietta d’acqua, comprata poco prima dal distributore fuori dall’ufficio.

Senza rispondere alla domanda della collega, Jane cominciò a bere, assaporando esageratamente l’acqua naturale a temperatura ambiente. Senza dire una parola e senza rivolgere uno sguardo a Lisbon, Jane richiuse la bottiglia, guardandosi in giro con un’espressione annoiata.

Sul viso di Lisbon, inevitabilmente, si dipinse un’inconfondibile espressione di stupore; una di quelle espressioni che da tempo ormai la distinguevano dal resto della squadra.

“Jane…” lo richiamò, squadrandolo con occhi quasi sospetti.

 “sì?…”

“ti ho fatto una domanda…” gli fece notare, sarcastica, riuscendo a far sorridere perfino Cho, il quale non si era ancora alzato dalla sua scomoda sedia in ferro.

“Oh sì lo so…ti ho sentita..” le rispose, divertito.

E che ne diresti di rispondere?”

“mm…no grazie” esclamò Patrick, sapendo di spiazzare non poco la donna al suo fianco

“No?....” ripeté la donna, questa volta decisamente stupita

 “NO…” continuò, sempre sorridendo con fare spontaneo e affascinante “almeno finché non mi chiederai scusa…”

“scusa…? Scusa per cosa?” finse di non capire Lisbon, cominciando a sentirsi leggermente imbarazzata per la presenza dei suoi colleghi.

In fin dei conti, come poteva mentire a se stessa? Da quando, quella mattina aveva detto a Jane che loro due erano semplici colleghi e che confondere  il lavoro con la vita privata non era professionale, non aveva fatto altro che maledire se stessa e il suo carattere impaziente e,  alle volte, privo del suo stesso controllo. Anche se, a dire il vero, se lui avesse tenuto la bocca chiusa riguardo la sua vita sentimentale tutti quei problemi non ci sarebbero stati.

Perché diavolo a lui non capitavano mai quelle situazioni?

Jane sembrava sapersela cavare in ogni situazione e con ogni persona, di qualunque sesso si trattasse. Anche con lei, che era il suo capo, non dimostrava di avere il benché minimo problema a mentirle, o ingannarla o a farsi perdonare costruendole una semplice rana di carta.

Già…e perché lei avrebbe dovuto perdere la testa per trovare la cosa giusta da dire, o semplicemente per trovare il coraggio di chiedergli scusa, quando lui poteva cavarsela con uno dei suoi tanti trucchetti? Non era corretto.

“Oh lo sai bene per cosa Teresa Lisbon…” continuò Patrick, scaturendo il divertimento di Rigsby.

“Sai…alle volte Jane è quasi impossibile capire i tuoi giochetti mentali…” gli disse, porgendogli una delle sue inconfondibili smorfie “ma ammetto che forse…e dico forse…potrei aver detto qualcosa di…poco carino…” ammise Lisbon, cercando di ignorare i volti di Cho e Rigsby.

“Visto?!...ci si sente meglio se si ammettono le proprie colpe…e se si chiede scusa!” continuò Jane, avvicinandosi di qualche passo a lei, facendo così accelerare non tanto i battiti cardiaci di Lisbon, quanto quelli di Rigsby, le cui idee riguardo i due davanti a lui si facevano sempre più concrete.

“già…mi dispiace“ esclamò Teresa, guardando Patrick dritto negli occhi “…ma io non le so fare le rane di carta!” concluse sarcastica, spiazzando non poco l’uomo di fronte a lei.

Più soddisfatta di quanto non lo era mai stata, il capo della squadra si apprestò a dirigersi nel suo ufficio, lasciando il suo team leggermente…provato.

 “Bene…” esclamò Jane, troppo sincero per nascondere lo stupore, il quale traspariva perfettamente dal sorriso che improvvisamente si era dipinto sulle sue labbra, mentre Lisbon gli dava le spalle.

“Bene!”  dichiarò a sua volta Lisbon.

“Vorrà dire che non ti dirò la mia teoria!”

“Oh ma tu non ce l’hai una teoria…” lo corresse compiaciuta Lisbon, bloccandosi proprio di fronte alla scritta “Teresa Lisbon” incisa a caratteri neri sottili al centro della porta in vetro “…o forse ce l’hai, ma non hai la minima intenzione di condividerla” aggiunse, tornando a posare i suoi occhi chiari sulla figura atletica in piedi al fianco di Rigsby “…io ho una teoria…anzi due: o non ne sei ancora sicuro al cento per cento, o ti manca ancora un piccolo pezzo del puzzle.” Affermò, con voce tranquilla “Jane…ti piace troppo l’idea di arrivare prima di tutti gli altri, il vedere le nostre facce  stupite quando ci accorgiamo che la tua stramba teoria alla fine è quella esatta. È una cosa che ti diverte…anche troppo direi. E il sapere che non hai nulla in grado di confermare la tua improponibile quasi impensabile idea non ti fa sentire soddisfatto. Quindi…” si apprestò a concludere puntando il sottile indice della sua mano destra verso di lui “…anche se ti chiedessi scusa…cosa che per altro no farò…tu non me lo diresti, perché sei troppo egocentrico e testardo per rendermi partecipe!” detto questo gli sorrise compiaciuta, per poi scomparire dietro la porta davanti a lei, senza dargli il tempo di rispondere.

“Wow…” esclamò Rigsby divertito, lacerando l’improvviso silenzio calato sui quattro componenti del team “…adesso mi ricordo perché è lei il capo!” aggiunse ironico, ottenendo l’appoggio di Cho, il quale sembrava persino più soddisfatto del collega.

Dal canto suo Jane non poteva fare altro che sorridere;  era inutile mentire a se stesso: Teresa Lisbon l’aveva spiazzato, e solamente nel giro di qualche secondo.

Mai, come allora, Patrick Jane si era ritrovato a ringraziare il cielo di non aver conferito alla donna le sue stesse capacità mentali. Sarebbe stata una donna crudele e manipolatrice, più di quanto lo fosse lui.

“…ha ragione? Davvero non hai nemmeno una pista?” gli chiese Van Pelt, girando la sedia verso di lui.

“…certo che ce l’ho!”

Ma non vuoi dircela…” esclamò Cho, anticipando la risposta del collega.

e perché non dovrei?”

Perché non l’hai detta al capo…” gli fece notare con innocenza Rigsby.

“Tutti abbiamo sempre una teoria. In una maniera o nell’altra, quando ci si trova davanti ad una situazione inspiegabile, o per lo meno forte dal punto di vista emozionale, il nostro istinto è sempre quello di darci una spiegazione. È stato il padre? Il marito? Un condannato infuriato? Un cliente insoddisfatto?...in un modo o in un altro, la nostra mente crea sempre e comunque un colpevole…anche se spesso ci si sofferma sulla persona sbagliata!”

“Per questo motivo si cerca di indagare evitando di soffermarsi sulle supposizioni!” gli fece notare Van Pelt, composta e matura come sempre.

“già, che fregatura eh?” gli disse divertito.

“ in poche parole, stai dicendo che hai un’idea ma che quasi sicuramente è quella sbagliata?!” gli chiese, leggermente confuso Cho che, nel frattempo, si era alzato dalla sua sedia.

L’unica risposta che però riuscì ad ottenere fu il sorriso solare di Jane che senza dire una parola e gettandosi la giacca dietro la schiena, uscì dall’ufficio, ignorando gli sguardi dei tre detective puntati sulla sua schiena. 

 

 

*******

 

La sera era giunta veloce quasi quanto il mattino, lasciando che una leggera brezza facesse il suo ingresso  tra le strade di Sacramento.

L’aria era decisamente più respirabile e fresca rispetto a qualche ora prima, rendendo quasi necessario indossare una leggera giacca sopra la maglia semi-autunnale. In fin dei conti l’estate era tramontata da un po’ di tempo, e godere di quella freschezza serale era il minimo viste le alte temperature del pomeriggio.

Certo, in California il freddo non era decisamente all’ordine del giorno, anzi; ma almeno una minima differenza rispetto a luglio o agosto era giusto sentirla.

Senza accorgersi del silenzio che da un po’ regnava sovrano negli uffici del CBI, Teresa si sistemò la pistola e il distintivo sulla cinta dei jeans, allungandosi verso la scrivania per spegnere il computer che aveva utilizzato fino a poco prima. Anche se le seccava ammetterlo, lei e la tecnologia non sempre avevano un buon rapporto; non a caso ogni qual volta si trattasse di fare qualche ricerca su internet  assegnava il compito a Grace, la quale sembrava essere nata con il computer tra le braccia.

Dopotutto, ognuno aveva le proprie capacità e tra le sue non rientrava del tutto la predisposizione informatica.

Una volta spenta anche la luce del suo ufficio, la mora uscì dalla stanza, sistemandosi distrattamente le maniche della giacca nera che aveva appena indossato.

Alzato lo sguardo sulle scrivanie di fronte a lei, Teresa ebbe la conferma di ciò che, probabilmente, aveva immaginato poco prima: non c’era nessuno. Tutti erano tornati a casa, chi dalle loro famiglie, chi dalla propria fidanzata o, perché no, dal proprio cane, o qualsiasi fosse l’animale domestico. Che avessero il coraggio di tenere-

Lei non aveva ne famiglia, ne cani o gatti impazienti del suo rientro. Poteva rimanere fuori casa anche tutta la notte che nessuno se ne sarebbe accorto, nemmeno il suo vicino, che forse non sapeva neanche che lei era un poliziotto.

Perfino Minelli, che in quanto a carattere non brillava certo per dolcezza e simpatia, se ne andava sempre prima di lei. Anche Van Pelt, Cho e Rigsby erano usciti da un paio d’ore e lei, invece di seguire il loro esempio, era rimasta chiusa nel suo ufficio, sperando che qualche improvvisa ispirazione le dicesse come risolvere quel caso.

Velocemente si diresse verso il parcheggio del CBI, raggiungendo la sua amata auto nera, la quale quel giorno era stranamente rimasta al suo posto per tutto il pomeriggio. Non era da lei privarsi della guida, soprattutto se come opzione c’era il dover salire sul ferro vecchio di Jane.

-…non ci salirei neanche morta…- si disse, sorridendo, fermandosi davanti lo sportello del guidatore.

Già, ma allora perché quel pomeriggio aveva lasciato guidare Jane? Perché non avevano usato la sua auto?

Senza il bisogno di trovare una risposta quella domanda, Teresa appoggio le mani su entrambe le tasche della giacca, sbarrando istintivamente gli occhi.

“Le chiavi…” disse a voce alta, rivolgendosi più a se stessa che a qualcuno o qualcosa in particolare.

Come aveva potuto dimenticarlo?

Aveva perso le chiavi dopo essersi risvegliata e, dalla fretta, aveva smesso di cercarle, immergendosi completamente su quel caso.

Se solo Jane non si fosse divertito a prenderla in giro, a quell’ora non se ne starebbe lì in piedi davanti alla sua auto,  inesorabilmente chiusa,

“Maledizione!” imprecò nervosa, estraendo il cellulare dalla tasca.

Cos’altro avrebbe potuto fare? Non poteva rimanere lì; era tardi, tutti erano rientrati. E lui…lui non avrebbe potuto lasciarla lì, dopotutto le doveva un favore; e forse più di uno. Ma allora perché era così difficile comporre quel numero?

“Pronto…” disse, con un tono di voce leggermente più basso rispetto al solito “…ho bisogno di un favore…”.

Rimanendo in silenzio un paio di secondi, sulle labbra di Teresa si dipinse un leggero sorriso, dolce e, al contempo, quasi imbarazzato; un sorriso che troppo spesso non riusciva a controllare, soprattutto con lui.

 

 

Ahhhh lo so lo so è passato un sacco di tempo…scusatemi scusatemi scusatemiiiii!!!

Questa settimana sono stata un po’ impegnata e, tra una cosa e l’altra, non ho mai avuto il tempo di aggiornare. In più il capitolo si è dimostrato un po’ difficile, per lo meno rispetto agli altri. Scrivevo e scrivevo, poi mi accorgevo di aver dato troppi indizi…allora tornavo indietro, cancellavo e rifacevo tutto di nuovo. Un macello XDXD

Che dire…una sfida che mi ha tenuta lontana per un po’…ma per vostra sfortuna sono tornata!!! Muhahahaha J

Coooomunque prima di dilungarmi come sempre passo subito ai ringraziamenti per chi ha recensito:

 

evelyn_cla: Grazie per supportarmi sempre e per continuare a leggere e recensire. Sei sempre la prima a commentare e  questo, lo sai, mi fa sempre un enorme piacere. Anche se sei impegnata con la tua ff (che a proposito mi fai venire le crisi cardiache ogni volta XD) sei sempre pronta a recensire la mia….grazieeeeeeeeeeeeee sei mitica!!!!

Teresa la sto strapazzando un po’…ma qui dai mi sono trattenuta!!!! Cmq le sue espressioni mi sa che sono uno dei motivi per cui tifiamo per lei….W LE FACCINE DI LISBON XDXD!

[Dato che ci sono ti volevo dire che ho preso una cosuccia dalla tua firma…XDXD troppo bella la gif di Teresa e Patrick…non ho saputo resistere!!!!]

 

 

Brucy: sono davvero davvero contenta che la mia storia abbia attirato la tua attenzione….non solo per le relazioni tra i pg ma anche per il caso; diciamo che mi sto scervellando non poco per riuscire a farlo sviluppare come voglio, anche se devo ammettere che si sta dimostrando un’impresa molto ardua. Ma ce la farò…promessoXD

 

 

Ginger_and_the_Factory: sono d’accordissimo con teeeeee!!!! Lisbon e Jane devono assolutamente stare insieme. Sono perfetti…lui capisce lei e lei capisce lui. Quindi incrociamo le dita per le prossime serie. E nel frattempo, come dici tu, godiamoci le ffXDXD

 

 

23jo: Grazie mille per la recensione…è sempre una gran soddisfazione vedere che qualcun altro riconosce il tuo lavoro. Cmq sono una ragazza…xDXD

Spero di leggere qualche altra tua recensione (e lo stesso per tutti gli altri utenti^^)

 

Che dire…non immaginate quanto sono felice e soddisfatta nel vedere tutti questi commenti (…si lo so sono 4 ma io sono una che si accontenta XD).

Ogni volta che leggo una recensione mi viene una voglia di scrivere pazzesca…per questo dedico a tutti voi questo capitolo e tutti gli altri già scritti e che scriverò.

Grazie di aver speso un po’ del vostro tempo per leggere questa…creazione chiamiamola così.

Grazie grazie grazie!!^^

Un bacione…a presto

 

Ps: ho modificato eri-aggiornato il capitolo, cercando di correggere gli errori grammaticali che ho fatto (da asina XD)…spero di averli corretti tutti, altrimenti ditemelo; perché purtroppo, leggendolo e rileggendolo le stesse cose un miliardo di volte, molti errori non riesco a vederli (anche i più vistosi) e così li lascio. È come quello studio che hanno fatto in America dove hanno dimostrato che il cervello tende a correggere automaticamente le parole scritte in maniera errata.

(Se se…tutte scuse XD)

Cmq ringrazio Brucy per avermelo fatto notare….grazieeeeee!!!!!! se non me l’avessi detto non me ne sarei accorta!!!!!Baci

 

T.L.

 

  
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