CAPITOLO 4
Com’era imprevedibile il
fato. Un giorno si pensava al futuro, al matrimonio, al comune desiderio di
avere un figlio; e il giorno dopo…il nulla.
Probabilmente era proprio questa imprevedibilità a rendere la vita tanto rara e
preziosa. E non solo la vita, anche la felicità, sempre così
fugace e indispensabile. Con la stessa velocità in cui questa bussava
alla propria porta, allo stesso modo il destino la richiamava a se, rendendo
tutto più difficile e complicato.
Forse era proprio per questo
motivo che qualcuno arrivava al punto di desiderare di non essere mai felice;
dopotutto, come si poteva rimpiangere qualcosa che non si era mai posseduto?
Era come chiedere ad un orfano che non aveva mai conosciuta
sua madre se le mancava come genitore, se le mancava il suo sorriso e la sua
presenza, o se semplicemente le mancasse l’idea di lei. Era impossibile provare
nostalgia per qualcosa che non si era mai stretto a se. Impossibile, ma estremamente doloroso.
Chissà
come la pensava Susan, chissà se era una persona felice. Avrà coltivato anche lei sogni,
desideri, ambizioni? Avrà provato rabbia, delusione o rimorso per qualcosa
lungo la sua breve vita?
Qualsiasi fosse
stata la risposta a tutte quelle domande, a quel punto non aveva nessuna
importanza. Non ora, non mentre tre persone in veste
lavorativa la osservavano stesa sulla fredda lastra della sala riservata alle
autopsie.
Oramai Susan Long non avrebbe più potuto vivere la sua esistenza, non
avrebbe più riso di gioia o pianto di dolore; non avrebbe più abbracciato i
suoi cari, o esultato per una causa vinta.
Ora, l’ultima cosa che
sarebbe stata in grado di fare, era lasciar libero accesso a chi in quel
momento scrutava il suo corpo senza vita, attendendo che questi rivelasse
essenziali informazioni su chi le aveva precluso
qualsiasi possibilità di continuare a sorridere, di continuare ad aggrapparsi a
quella tanto desiderata felicità.
Lentamente Patrick Jane si
avvicinò al copro della donna, il quale, supino,
appariva decisamente più curato rispetto a quando era stata gettato sul ciglio
della strada.
Il sangue, che fino a poco
prima macchiava la sua candida pelle orientale, era stato accuratamente lavato,
eliminando persino le sue tracce dai lunghi capelli neri, ora pettinati all’indietro
per rendere visibile il volto segnato.
Nonostante la cura a cui era
stato sottoposto, il cadavere presentava chiari e
visibili segni di percosse, nel viso, negli arti, nel ventre; persino nel
torace, il quale mostrava la indistinguibile Y presente in quasi tutti i corpi
sottoposti all’autopsia.
Le braccia della Y erano
incise profondamente nella carne della donna, e si estendevano implacabili
dalla parte anteriore di ogni spalla fino
all’estremità inferiore dello sterno.
La sua cassa toracica era
stata esposta, i suoi organi asportati e, alcuni, svuotati del loro
contenuto. Il tutto per una frazione di tempo che subito dopo avrebbe
visto gli stessi organi riposti nel loro luogo originale, come se da lì non si
fossero mai spostati.
La dottoressa James, che nel
frattempo era rimasta in silenzio, sollevò la cartella della vittima,
sistemandosi distrattamente gli occhiali da vista sul naso.
Nonostante la mezza età, il medico legale appariva ancora una bella donna
di colore, non molto alta e dagli zigomi leggermente pronunciati. Gli occhi, di
un intenso color nocciola, sembravano quasi riflettere tutto ciò che, per anni,
erano stati costretti ad osservare: cadaveri
decomposti, fragili innocenti senza un alito di vita, ferite rivoltanti. Tutti
aspetti ormai superficiali per il suo sguardo vigile e attento.
“Allora…” cominciò
la dottoressa, posando per un secondo lo sguardo sulla cartella, per poi
tornare a fissare il cadavere steso sul tavolo
settorio “Dall’esame esterno del cadavere sono
risultate evidenti lacerazioni in gran parte dei tessuti…in particolar modo
sulla parte superiore. La camicia è stata strappata in più punti…” spiegò,
indicando le braccia della vittima “…entrambi i polsi dell’indumento sono stati
lacerati e imbrattati di sangue…e, se osservate il medesimo punto sul corpo
della vittima, infatti, noterete le escoriazioni sulla
pelle…Probabilmente la vittima è stata ammanettata o tenuta legata con delle
catene!” suggerì il medico, lanciando uno sguardo alla donna di fronte a lei.
Mentre ascoltava le parole della dottoressa, Lisbon non sembrava voler
staccare per un solo secondo gli occhi dal corpo di Susan; come se cercasse in
tutti i modi di captare qualsiasi segnale che quel cadavere potesse in qualche
modo inviarle.
Facendo lo stesso, ma con
ogni probabilità ottenendo molti più risultati rispetto alla collega, Patrick
alternava la sua attenzione tra il cadavere e il medico di fronte a lui.
Entrambe le donne, infatti, in qualche modo gli stavano rivelando più di quanto
in realtà volessero dire.
Anche Lisbon, a suo modo, gli stava parlando; ma nessuno dei
segnali mandati dal suo corpo sembrava essere particolarmente
lusinghieri.
“La gonna nera era
completamente imbrattata di terriccio e sangue, ma non presentava nessuna
lacerazione. L’assassino non sembra essere stato spinto da ragioni sessuali!”
“Ora i vestiti li ha la
scientifica?!” le chiese Patrick, facendo il giro del
tavolo.
“Esatto! Verranno
studiati ed esaminati singolarmente…appena riceveremo i risultati ve li
manderemo subito” gli rispose Meredith James con voce quasi rassicurante “ Ad
ogni modo per quanto riguarda le caratteristiche somatiche…”
“Oh sì lo
sappiamo…trentacinque anni, di origini orientali…anzi
per essere precisi di origini cinesi, da parte di padre. Occhi verdi, ha
sofferto di anoressia più o meno all’età di sedici
anni. I ca…” mentre si stava apprestando a continuare
il suo lungo monologo ricco di impensabili, quanto
azzeccate, informazioni riguardanti la vittima, Jane si bloccò, quasi sicuramente
a causa della sguardo seccato della dottoressa. Per non parlare di quello del
suo capo, le cui sopracciglia ricurve esprimevano più di mille parole.
Alzando le mani in segno di
scuse, per nulla sentite, il consulente si allontanò di qualche passo, non resistendo
alla tentazione di lanciare un sorriso divertito a Teresa.
“…la prego…lo perdoni”
esclamò Lisbon, scusandosi al posto di Jane, come del resto capitava ogni qual
volta si trovassero ad indagare su qualche caso. Sia che si trattasse
di parenti della vittima, che di figure di spicco della politica, lui doveva
sempre risaltare rispetto alla massa, dicendo o facendo la cosa meno opportuna.
Come in quel momento.
Fortunatamente la dottoressa
James non sembrava il genere di persona che se la prendeva per questi modi di
fare poco convenzionali. Anche se la seccatura dipinta sui suoi occhi era decisamente impossibile da ignorare.
“La vittima…” continuò, dedicando a Jane un solo altro sguardo scocciato
“…presenta un tatuaggio dietro l’orecchio, una K” rivelò, spostando
leggermente di lato la testa inerme della donna, mostrando così la piccola
opera d’arte, quasi invisibile viste le sue dimensioni ridotte.
“sotto le unghie non c’era
la presenza di nessun corpo estraneo, terriccio o pelle… al contrario erano fin troppo pulite…”
“L’assassino potrebbe averle
pulite prima di liberarsi del corpo” suggerì Lisbon.
“Sì potrebbe essere…o forse
la vittima non si è resa conto di ciò che le stava accadendo…potrebbe aver
conosciuto l’assassino o, peggio ancora, essersi fidata di lui…” esclamò,
risistemando il capo della donna.
“Ad ogni modo…dai fenomeni
abiotici è risultato che la donna si trovava in un
ambiente piccolo, probabilmente privo di finestre”
“è morta soffocata allora…”
”Difficile dirlo. Le
percussioni sul corpo sono molte e tutte ugualmente gravi. Quando
abbiamo esposto la cassa toracica, abbiamo visto tre costole fuori posto e una
di queste era riuscita a lacerare il polmone destro. Sarebbe deceduta nel giro
di qualche ora. Il corpo, inoltre, presenta chiari segni di
disidratazione. Non mangiava da giorni. In altre parole, sarebbero
bastate si e no un altro paio d'ore perché si
verificasse un arresto cardiaco…il qualsiasi modo sarebbe andata…il finale
sarebbe stato sempre lo steso-”
“La voleva morta…a tutti i
costi” sussurrò Teresa, lanciando un ultimo sguardo alla vittima.
“La ringrazio dottoressa
James…” aggiunse la mora, dopo qualche secondo di silenzio, durante il quale
sul volto di Jane sembravano essere passate una decina
di teorie diverse “…ci tenga informati!”
“Certo” rispose Meredith,
coprendo nuovamente il cadavere con il consueto telo bianco.
Susan non era solamente
stata uccisa; era stata torturata e questo il medico legale lo aveva
chiaramente lasciato intendere.
La domanda che
continuava rimanere senza risposta era: perché lo aveva fatto? E, soprattutto, perché?
Non appena varcarono la
soglia dell’ufficio del CBI, la prima cosa su cui posarono
lo sguardo Teresa e Patrick furono i tre membri della squadra, i quali,
ciascuno seduto sulla propria postazione, sembravano del tutto presi dal loro
lavoro.
“Capo!” esclamò Van Pelt
sollevando il volto dallo schermo del suo computer, non appena li vide dirigersi
verso di loro.
Una volta raggiunte le
scrivanie dei loro colleghi, Lisbon e Jane si fermarono; quest
ultimo con aria molto più rilassata rispetto a quella
della mora. In fin dei conti succedeva sempre così;
quando lei pensava di essere a mille miglia di distanza dalla risoluzione di un
caso, lui le porgeva quel suo sorriso soddisfatto, alzando per quanto possibile
i livelli della sua impazienza.
“Scoperto qualcosa?!” chiese Cho, con il suo tono di voce profondo e
controllato.
“Non proprio…” gli rispose
Lisbon, cercando di ignorare lo sguardo di Patrick “…la vittima è morta in
seguito a percosse…disidratazione, soffocamento e
chissà per quali altri motivi.”
“L’ha torturata..” osservò addolorata Van Pelt,
come se si trattasse di una conoscente e non di una perfetta sconosciuta, come
lo era in realtà.
Chissà
perché ogni caso colpiva così profondamente il cuore della bella rossa seduta
davanti al computer. Non c’era occasione in cui
non dimostrasse indifferenza o freddezza nei confronti
di qualcuno; Grace doveva sempre e comunque esternare le sue emozioni, che
fossero positive o meno. Già, ma a quanto sembrava, il genere di sentimenti esercitava un ruolo decisamente importante in
questo intricato gioco di emozioni.
Difatti, nonostante lo
sapesse tutto il quartiere generale del CBI, per non parlare
del resto di Sacramento, Grace non sembrava minimamente intenzionata a
esternare ciò che provava per il suo collega, Wayne Rigsby. Eppure lui in più
di un’occasione le aveva fatto intendere quanto ci
teneva a lei.
L’’idea di Van Pelt, però,
non sembrava voler cambiare di una virgola, neppure dopo quasi un anno di
“sofferenza”, se così la si voleva chiamare.
Nonostante
nel lavoro si mostrasse sempre emotiva e indulgente, Grace
era una persona molto chiusa, capace di rimanere in silenzio persino con se
stessa, come aveva involontariamente fatto notare a Jane, durante la sua
improvvisa cecità.
Quel giorno il consulente
aveva letto nel cuore e nella mente dei suoi colleghi, più di quanto non
facesse già in realtà. Evidentemente la cecità lo aveva davvero reso più
speciale di quanto già non fosse.
“Già…aspetteremo i
risultati della scientifica!” la liquidò Lisbon, leggermente innervosita dai
continui buchi nell’acqua che non smettevano di presentarsi nello svolgimento
di quel caso “…voi avete scoperto qualcosa?” le chiese il capo, rivolgendo la
sua attenzione anche al robusto agente al suo fianco.
“Non proprio. Ma oggi non ti
è arrivato il messaggio sul cellulare?” le chiese Rigsby, leggermente confuso-
“No!” rispose subito la
mora, sentendo le guance arrossarsi in una sola frazione di secondo.
Se non sbagliava quel messaggio lo aveva sentito arrivare, eccome se lo aveva
sentito arrivare; ma il leggerlo si era dimostrata un’azione decisamente più
complicata, soprattutto in una situazione come quella in cui si era ritrovava
lei, dove l’essere inginocchiata sotto la scrivania di Van Pelt era l’aspetto
meno imbarazzante.
“…lo studio legale ci
ha consegnato la lista completa dei criminali finiti in carcere grazie ai Long
o a Strass, rilevando quelli seguiti principalmente da
Susan. Ci sono due nomi, Michael Smith e Jasse Becker…entrambi finiti in
carcere per truffa e rapina a mano armata!” cominciò a
spiegare Rigsby, cercando di non dare importanza allo sguardo di Lisbon.
“Perfetto…ora dove sono?”
chiese Teresa, dando una veloce occhiata al fascicolo indicato dal suo
sottoposto.
“…in carcere…entrambi…”
prese la parola Van Pelt, sapendo di non dare affatto
delle buone notizie.
Il volto di Lisbon, infatti,
non riuscì a trattenersi dall’esprimere tutta la sua
disapprovazione. Un intero giorno d’indagini del tutto inutili; né lei, né Cho,
Rigsby o Van Pelt...nessuno aveva fatto un solo passo avanti.
Solitamente, dove non
riuscivano ad ottenere risultati dai familiari o dal luogo del delitto, ci
pensava il cadavere ad indicare una pista; o per lo meno la loro spiccata vena
investigativa. E se anche il cadavere dava cilecca, rimaneva sempre..
“Allora che ne pensi?!” chiese improvvisamente la voce di Lisbon, non del tutto
entusiasta nel chiedere consiglio al consulente della sua squadra, che sembrava
particolarmente impegnato ad aprire una bottiglietta d’acqua, comprata poco
prima dal distributore fuori dall’ufficio.
Senza rispondere alla
domanda della collega, Jane cominciò a bere, assaporando esageratamente l’acqua
naturale a temperatura ambiente. Senza dire una parola e
senza rivolgere uno sguardo a Lisbon, Jane richiuse la bottiglia,
guardandosi in giro con un’espressione annoiata.
Sul viso di Lisbon,
inevitabilmente, si dipinse un’inconfondibile espressione di stupore; una di
quelle espressioni che da tempo ormai la distinguevano
dal resto della squadra.
“Jane…” lo richiamò,
squadrandolo con occhi quasi sospetti.
“sì?…”
“ti ho fatto una domanda…”
gli fece notare, sarcastica, riuscendo a far sorridere perfino Cho, il quale
non si era ancora alzato dalla sua scomoda sedia in
ferro.
“Oh sì lo so…ti ho sentita..” le rispose, divertito.
“E
che ne diresti di rispondere?”
“mm…no grazie” esclamò
Patrick, sapendo di spiazzare non poco la donna al suo fianco
“No?....”
ripeté la donna, questa volta decisamente stupita
“NO…” continuò, sempre
sorridendo con fare spontaneo e affascinante “almeno finché non mi chiederai scusa…”
“scusa…? Scusa
per cosa?” finse di non capire Lisbon, cominciando a sentirsi
leggermente imbarazzata per la presenza dei suoi colleghi.
In fin dei conti, come
poteva mentire a se stessa? Da quando, quella mattina aveva detto a Jane che
loro due erano semplici colleghi e che confondere il lavoro con la vita
privata non era professionale, non aveva fatto altro che maledire se stessa e
il suo carattere impaziente e, alle volte, privo
del suo stesso controllo. Anche se, a dire il vero, se lui avesse tenuto la
bocca chiusa riguardo la sua vita sentimentale tutti
quei problemi non ci sarebbero stati.
Perché diavolo a lui non capitavano mai quelle situazioni?
Jane sembrava
sapersela cavare in ogni situazione e con ogni persona, di qualunque sesso si
trattasse. Anche con lei, che era il suo capo,
non dimostrava di avere il benché minimo problema a mentirle, o ingannarla o a
farsi perdonare costruendole una semplice rana di carta.
Già…e perché lei avrebbe
dovuto perdere la testa per trovare la cosa giusta da dire, o semplicemente per
trovare il coraggio di chiedergli scusa, quando lui poteva cavarsela con
uno dei suoi tanti trucchetti? Non era corretto.
“Oh lo sai bene per cosa
Teresa Lisbon…” continuò Patrick, scaturendo il divertimento di Rigsby.
“Sai…alle volte Jane è quasi
impossibile capire i tuoi giochetti mentali…” gli disse, porgendogli una delle
sue inconfondibili smorfie “ma ammetto che forse…e
dico forse…potrei aver detto qualcosa di…poco carino…” ammise Lisbon,
cercando di ignorare i volti di Cho e Rigsby.
“Visto?!...ci
si sente meglio se si ammettono le proprie colpe…e se si chiede scusa!”
continuò Jane, avvicinandosi di qualche passo a lei, facendo così accelerare
non tanto i battiti cardiaci di Lisbon, quanto quelli di Rigsby, le cui idee
riguardo i due davanti a lui si facevano sempre più concrete.
“già…mi dispiace“ esclamò
Teresa, guardando Patrick dritto negli occhi “…ma io
non le so fare le rane di carta!” concluse sarcastica, spiazzando non poco
l’uomo di fronte a lei.
Più soddisfatta di quanto
non lo era mai stata, il capo della squadra si
apprestò a dirigersi nel suo ufficio, lasciando il suo team
leggermente…provato.
“Bene…” esclamò Jane,
troppo sincero per nascondere lo stupore, il quale
traspariva perfettamente dal sorriso che improvvisamente si era dipinto sulle
sue labbra, mentre Lisbon gli dava le spalle.
“Bene!” dichiarò a sua
volta Lisbon.
“Vorrà dire
che non ti dirò la mia teoria!”
“Oh ma tu non ce l’hai una teoria…” lo corresse compiaciuta Lisbon,
bloccandosi proprio di fronte alla scritta “Teresa Lisbon” incisa a caratteri
neri sottili al centro della porta in vetro “…o forse ce l’hai, ma non hai la
minima intenzione di condividerla” aggiunse, tornando a posare i suoi occhi
chiari sulla figura atletica in piedi al fianco di Rigsby “…io ho una teoria…anzi
due: o non ne sei ancora sicuro al cento per cento, o ti manca ancora un
piccolo pezzo del puzzle.” Affermò, con voce tranquilla “Jane…ti piace troppo
l’idea di arrivare prima di tutti gli altri, il vedere le nostre facce stupite quando ci accorgiamo che la tua stramba teoria alla
fine è quella esatta. È una cosa che ti diverte…anche troppo direi. E il sapere
che non hai nulla in grado di confermare la tua
improponibile quasi impensabile idea non ti fa sentire soddisfatto. Quindi…” si
apprestò a concludere puntando il sottile indice della
sua mano destra verso di lui “…anche se ti chiedessi scusa…cosa che per altro
no farò…tu non me lo diresti, perché sei troppo egocentrico e testardo per
rendermi partecipe!” detto questo gli sorrise compiaciuta, per poi scomparire
dietro la porta davanti a lei, senza dargli il tempo di rispondere.
“Wow…” esclamò Rigsby
divertito, lacerando l’improvviso silenzio calato sui quattro componenti del team “…adesso mi ricordo perché è lei il
capo!” aggiunse ironico, ottenendo l’appoggio di Cho, il quale sembrava persino
più soddisfatto del collega.
Dal canto suo Jane non
poteva fare altro che sorridere; era inutile mentire a se stesso: Teresa
Lisbon l’aveva spiazzato, e solamente nel giro di qualche secondo.
Mai, come allora, Patrick
Jane si era ritrovato a ringraziare il cielo di non aver conferito alla donna
le sue stesse capacità mentali. Sarebbe stata una donna crudele e
manipolatrice, più di quanto lo fosse lui.
“…ha ragione? Davvero non hai nemmeno una pista?” gli chiese Van Pelt, girando la
sedia verso di lui.
“…certo che ce l’ho!”
“Ma
non vuoi dircela…” esclamò Cho, anticipando la risposta del collega.
“e
perché non dovrei?”
“Perché
non l’hai detta al capo…” gli fece notare con innocenza Rigsby.
“Tutti abbiamo
sempre una teoria. In una maniera o nell’altra, quando ci si trova davanti ad
una situazione inspiegabile, o per lo meno forte dal punto di vista emozionale,
il nostro istinto è sempre quello di darci una spiegazione. È stato il padre?
Il marito? Un condannato infuriato? Un cliente insoddisfatto?...in
un modo o in un altro, la nostra mente crea sempre e comunque un
colpevole…anche se spesso ci si sofferma sulla persona sbagliata!”
“Per questo motivo si cerca
di indagare evitando di soffermarsi sulle supposizioni!” gli fece notare Van
Pelt, composta e matura come sempre.
“già, che fregatura eh?” gli
disse divertito.
“ in poche parole, stai dicendo che hai un’idea ma che quasi sicuramente è quella
sbagliata?!” gli chiese, leggermente confuso Cho che, nel frattempo, si era
alzato dalla sua sedia.
L’unica risposta che però
riuscì ad ottenere fu il sorriso solare di Jane che senza dire una parola e
gettandosi la giacca dietro la schiena, uscì dall’ufficio, ignorando gli
sguardi dei tre detective puntati sulla sua schiena.
*******
La sera era giunta veloce
quasi quanto il mattino, lasciando che una leggera brezza facesse il suo
ingresso tra le strade di Sacramento.
L’aria era decisamente più respirabile e fresca rispetto a qualche ora
prima, rendendo quasi necessario indossare una leggera giacca sopra la maglia
semi-autunnale. In fin dei conti l’estate era
tramontata da un po’ di tempo, e godere di quella freschezza serale era il
minimo viste le alte temperature del pomeriggio.
Certo, in California il
freddo non era decisamente all’ordine del giorno,
anzi; ma almeno una minima differenza rispetto a luglio o agosto era giusto
sentirla.
Senza accorgersi del
silenzio che da un po’ regnava sovrano negli uffici del CBI, Teresa si sistemò
la pistola e il distintivo sulla cinta dei jeans,
allungandosi verso la scrivania per spegnere il computer che aveva utilizzato
fino a poco prima. Anche se le seccava ammetterlo, lei
e la tecnologia non sempre avevano un buon rapporto; non a caso ogni qual volta
si trattasse di fare qualche ricerca su internet assegnava il compito a
Grace, la quale sembrava essere nata con il computer tra le braccia.
Dopotutto, ognuno aveva le
proprie capacità e tra le sue non rientrava del tutto la
predisposizione informatica.
Una volta
spenta anche la luce del suo ufficio, la mora uscì dalla stanza, sistemandosi
distrattamente le maniche della giacca nera che aveva appena indossato.
Alzato lo sguardo sulle
scrivanie di fronte a lei, Teresa ebbe la conferma di ciò che, probabilmente,
aveva immaginato poco prima: non c’era nessuno. Tutti erano tornati a casa, chi
dalle loro famiglie, chi dalla propria fidanzata o, perché no, dal proprio cane, o qualsiasi fosse l’animale domestico. Che avessero il coraggio di tenere-
Lei non aveva ne famiglia, ne cani o gatti impazienti del suo rientro.
Poteva rimanere fuori casa anche tutta la notte che nessuno se ne sarebbe
accorto, nemmeno il suo vicino, che forse non sapeva neanche che lei era un
poliziotto.
Perfino Minelli,
che in quanto a carattere non brillava certo per dolcezza e simpatia, se ne andava sempre prima di lei. Anche Van Pelt, Cho e Rigsby
erano usciti da un paio d’ore e lei, invece di seguire il loro esempio, era
rimasta chiusa nel suo ufficio, sperando che qualche improvvisa ispirazione le dicesse come risolvere quel caso.
Velocemente si diresse verso
il parcheggio del CBI, raggiungendo la sua amata auto nera, la quale quel
giorno era stranamente rimasta al suo posto per tutto il pomeriggio. Non era da
lei privarsi della guida, soprattutto se come opzione
c’era il dover salire sul ferro vecchio di Jane.
-…non ci salirei neanche
morta…- si disse, sorridendo, fermandosi davanti lo sportello del guidatore.
Già, ma allora perché quel
pomeriggio aveva lasciato guidare Jane? Perché non
avevano usato la sua auto?
Senza il bisogno di trovare
una risposta quella domanda, Teresa appoggio le mani
su entrambe le tasche della giacca, sbarrando istintivamente gli occhi.
“Le chiavi…” disse a voce
alta, rivolgendosi più a se stessa che a qualcuno o qualcosa in particolare.
Come aveva potuto
dimenticarlo?
Aveva perso le chiavi dopo
essersi risvegliata e, dalla fretta, aveva smesso di cercarle, immergendosi
completamente su quel caso.
Se solo Jane non si fosse
divertito a prenderla in giro, a quell’ora non se ne
starebbe lì in piedi davanti alla sua auto,
inesorabilmente chiusa,
“Maledizione!”
imprecò nervosa, estraendo il cellulare dalla tasca.
Cos’altro avrebbe potuto fare? Non poteva rimanere
lì; era tardi, tutti erano rientrati. E lui…lui non
avrebbe potuto lasciarla lì, dopotutto le doveva un favore; e forse più di uno.
Ma allora perché era così difficile comporre quel
numero?
“Pronto…”
disse, con un tono di voce leggermente più basso rispetto al solito “…ho bisogno di un favore…”.
Rimanendo
in silenzio un paio di secondi, sulle labbra di Teresa si dipinse un leggero
sorriso, dolce e, al contempo, quasi imbarazzato; un sorriso che troppo spesso
non riusciva a controllare, soprattutto con lui.
Ahhhh lo so lo so è passato un
sacco di tempo…scusatemi scusatemi scusatemiiiii!!!
Questa
settimana sono stata un po’
impegnata e, tra una cosa e l’altra, non ho mai avuto il tempo di aggiornare.
In più il capitolo si è dimostrato un po’ difficile, per lo meno rispetto agli altri. Scrivevo e scrivevo, poi mi accorgevo di aver
dato troppi indizi…allora tornavo indietro, cancellavo e rifacevo tutto di
nuovo. Un macello XDXD
Che
dire…una sfida che mi ha tenuta lontana per un po’…ma per vostra sfortuna sono tornata!!! Muhahahaha J
Coooomunque prima di dilungarmi come
sempre passo subito ai ringraziamenti per chi ha recensito:
evelyn_cla:
Grazie per supportarmi sempre e per
continuare a leggere e recensire. Sei sempre la prima a commentare e questo,
lo sai, mi fa sempre un enorme piacere. Anche se sei impegnata con la tua ff (che a proposito mi fai venire
le crisi cardiache ogni volta
XD) sei sempre pronta a recensire la mia….grazieeeeeeeeeeeeee sei mitica!!!!
Teresa la sto strapazzando un po’…ma
qui dai mi sono trattenuta!!!! Cmq
le sue espressioni mi sa che sono uno dei motivi per cui tifiamo per lei….W LE FACCINE DI LISBON XDXD!
[Dato che ci sono ti volevo dire che ho preso
una cosuccia dalla tua firma…XDXD troppo bella la gif di Teresa e Patrick…non
ho saputo resistere!!!!]
Brucy: sono
davvero davvero contenta che la mia storia abbia
attirato la tua attenzione….non
solo per le relazioni tra i pg
ma anche per il caso; diciamo che mi sto scervellando non poco per riuscire a
farlo sviluppare come voglio, anche se devo ammettere che si sta dimostrando
un’impresa molto ardua. Ma ce
la farò…promessoXD
Ginger_and_the_Factory: sono d’accordissimo
con teeeeee!!!! Lisbon e Jane
devono assolutamente stare insieme. Sono perfetti…lui capisce lei e lei capisce lui. Quindi incrociamo le dita per le prossime serie. E
nel frattempo, come dici tu, godiamoci le ff…XDXD
23jo: Grazie
mille per la recensione…è sempre una gran soddisfazione vedere che qualcun
altro riconosce il tuo lavoro. Cmq
sono una ragazza…xDXD
Spero di leggere qualche altra tua
recensione (e lo stesso per tutti gli altri utenti^^)
Che dire…non immaginate quanto sono
felice e soddisfatta nel vedere tutti questi commenti (…si lo so sono 4 ma io sono una che si accontenta XD).
Ogni volta che leggo una recensione mi
viene una voglia di scrivere pazzesca…per questo dedico a tutti voi questo capitolo e tutti gli altri
già scritti e che scriverò.
Grazie di aver speso un po’ del vostro
tempo per leggere questa…creazione chiamiamola così.
Grazie grazie grazie!!^^
Un bacione…a presto
Ps:
ho modificato eri-aggiornato il capitolo, cercando di correggere gli errori
grammaticali che ho fatto (da asina XD)…spero di averli corretti tutti,
altrimenti ditemelo; perché purtroppo, leggendolo e rileggendolo le stesse cose
un miliardo di volte, molti errori non riesco a
vederli (anche i più vistosi) e così li lascio. È come quello studio che hanno
fatto in America dove hanno dimostrato che il cervello tende a correggere
automaticamente le parole scritte in maniera errata.
(Se
se…tutte scuse XD)
Cmq
ringrazio Brucy per avermelo fatto notare….grazieeeeee!!!!!! se non me l’avessi
detto non me ne sarei accorta!!!!!Baci
T.L.