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Autore: Kronos333    12/10/2009    3 recensioni
Mi chiamo Lucas Kane, e sono un assassino. Se vivete a New York forse avete sentito già parlare di me, ovviamente non con il mio vero nome. Mi chiamano “The Kill”. Non “The Killer”, ma “The Kill”. Le persone riconoscono in me l’essenza stessa dell’uccisione. Sono un mostro. Gode nel sentire gemere le sue vittime, le uccide con un coltello da macellaio, ne beve il sangue, riesce ad essere in più posti contemporaneamente, le pallottole non lo fermano. Non è umano. Sono queste le voci che girano su di me. Non sono notizie ufficiali, sono le leggende metropolitane che strisciano tra la gente comune come tanti viscidi vermi. Io sono una leggenda metropolitana. Ma io, a differenza degli ufo e dei fantasmi sono vero. E sono vere quasi tutte le voci che circolano su di me. Questa è la mia storia, leggetela se ne avete voglia, leggetela e tremate.
Genere: Dark, Drammatico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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IL FUOCO BIANCO 

Mi chiamo Lucas Kane, e sono un assassino. Se vivete a New York forse avete sentito già parlare di me, ovviamente non con il mio vero nome. Mi chiamano “The Kill”. Non “The Killer”, ma “The Kill”. Le persone riconoscono in me l’essenza stessa dell’uccisione. Sono un mostro. Gode nel sentire gemere le sue vittime. Le uccide con un coltello da macellaio Ne beve il sangue. Riesce ad essere in più posti contemporaneamente. Le pallottole non lo fermano. Non è umano. Sono queste le voci che girano su di me. Non sono notizie ufficiali, sono le leggende metropolitane che strisciano tra la gente comune come tanti viscidi vermi. Io sono una leggenda metropolitana. Ma io, a differenza degli ufo e dei fantasmi sono vero. E sono vere quasi tutte le voci che circolano su di me. Questa è la mia storia, leggetela se ne avete voglia, leggetela e tremate.


New York era una città caotica e disordinata. Non esistevano regole al di fuori di quelle non scritte. Le regole non scritte sono molto più potenti di quelle scritte, perché sono reali. Si trovavano tanti di quei neonati nella spazzatura che non si capiva dove metterli, ormai tutti gli orfanotrofi erano pieni. Fu così che il governo approvò una legge che prevedeva un assegno mensile di trecento dollari alle famiglie per ogni bambino che accettavano di tenere con loro. È così che comincia la mia storia. Io sono nato dai rifiuti di questa società capitalista e consumista. Io e mia sorella Wendy fummo trovati tra un televisore rotto e un sacco dell’immondizia e fummo affidati alla famiglia Kane. George Kane faceva il macellaio e viveva grazie ai sei assegni mensili che gli mandava il governo. Oltre a me e a Wendy c’erano un ragazzo di colore, Carlos, Due ragazzi di nove e dieci anni, Michol e Tommy, e una bambina di appena un anno, Mary Rose. La nostra “mamma”, Lois Kane era un donnone robusto, una di quelle matrone che vedi sempre intente a stirare o a cucinare. Io e Wendy eravamo gemelli, e quando accadde avevamo entrambi quindici anni. Mia sorella è sempre stata bellissima. Già a undici anni era diventata donna, e a tredici i suoi seni si erano gonfiati oltre misura. Aveva due lucenti occhi castani, i capelli ramati leggermente mossi che incorniciavano un viso perfetto, labbra carnose e ben disegnate e un sorriso tonificante che ti lasciava una sensazione di fiducia e speranza ogni volta che era diretto verso di te. Amavo mia sorella. Nonostante fossimo molto poveri riuscivamo a tirare avanti. Nemmeno le frequenti litigate dei signori Kane  riuscivano a turbare la pace che ci eravamo costruiti. Eravamo felici.

Un giorno, stavamo andando a fare la spesa insieme, un gruppo di ragazzi ci circondò. Erano di qualche anno più grandi, forse sui diciotto o vent’anni. Iniziarono a fare apprezzamenti su Wendy, anche qualche battuta pesante. Li ignorammo e tirammo dritto ma loro continuarono a seguirci. Alla fine uno di loro, i capelli di un disgustoso giallo paglia, ci si parò davanti.  Sorrise beffardo. E toccò il seno di mia sorella. Un montante. Sul mento. Il ragazzo barcollò indietro stordito e mi guardò stupefatto. Io ero ancora lì, con il pugno alzato. Mi furono subito addosso, in tre. Gancio. Diretto. Di nuovo gancio. Erano a terra. Mi gettai sugli altri in preda alla collera. «Lucas no!». Non ascoltai Wendy, volevo solo punire chi aveva osato tanto. Ricevetti molti colpi, ma li incassai e tornai alla carica. Alla fine rimasi solo io in piedi. Wendy mi fissava sbalordita, e spaventata. «Lucas… ma cosa…». Io mi asciugai un rivolo di sangue sulla guancia con il dorso della mano. «Torniamo a casa». «Ma… Lucas…». «Torniamo a casa» ordinai furioso.

Lois si arrabbiò molto, non avevamo fatto la spesa. Wendy controllò se aveva i soldi in tasca e venne a chiamarmi. «Io non vengo». «Ma…». «Io non vengo». Ero troppo sconvolto da quello che era successo. Mi era piaciuto picchiare quei ragazzi, avevo provato un piacere intenso nel sentire i gemiti di dolore e il suono di ossa rotte sotto le mie nocche. Dovevo riflettere. «Quindi… vado da sola?» chiese Wendy titubante. «Fa un po’ come ti pare» le urlai in faccia sbattendo la porta.

 Fa un po’ come ti pare

Ormai era calata la sera, erano passate più di tre ore da quando Wendy era uscita di casa. Alla fine arrivò la telefonata. George e Lois uscirono subito, io li seguii. Il corpo di Wendy era riverso a terra, il sangue ormai rappreso sulla faccia insozzava i suoi morbidi capelli color rame. Stuprata e poi uccisa con due colpi di pistola, negli occhi. Il vestitino rosa giaceva strappato poco lontano, in un angolo del capannone.

Fa un po’ come ti pare

Non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo. Sperai intensamente che i poliziotti si rivelassero gli improbabili attori di uno di quegli idioti show televisivi dove si prendeva in giro la gente. Ma non era così. Tutto quanto era vero, maledettamente vero.

Fa un po’ come ti pare

Rimasi a vegliare sul cadavere di Wendy fino a quando due uomini non lo avvolsero in un sacco di plastica nero. Ironico. Un sacco dell’immondizia gli aveva fatto da culla, e ora quello stesso sacco le faceva da tomba.

Fa un po’ come ti pare

Wendy…

George e Lois mi riportarono a casa discutendo se dovessero adottare un maschio o una femmina. Mi venne da vomitare. Mentre fuori infuriava il temporale io riflettevo, scavavo nella mia memoria. Avevo già visto da qualche parte il biondino. Peter Newton! Il ragazzo che ci aveva infastiditi quel pomeriggio, l’assassino di Wendy. Saltai giù dal letto e mi vestii rapidamente. Scesi fino al piano di sotto, dove George teneva i suoi attrezzi da macellaio e presi quello più vicino a me: un grosso coltellaccio da cucina con l’impugnatura in legno. Dopo di che uscii nella pioggia battente diretto al magazzino dove sapevo che si ritrovava la banda di Newton. Fu in quel momento che scoprii il mio primo potere, la velocità. Le mie gambe presero a muoversi ad una velocità sovraumana e mi ritrovai a gareggiare con i lampi che squarciavano il cielo notturno. Era una sensazione inebriante. Sentivo i colpi dei piedi sull’asfalto in ritardo tanto andavo veloce. Il vento gelido e pungente mi feriva la faccia e l’attrito mi procurava una sensazione di oppressione al petto. Determinato a fare giustizia arrivai al magazzino abbandonato in meno di un minuto. Prima di entrare un oggetto nero gettato per terra attirò la mia attenzione. Era un passamontagna di lana, completamente nero fatta eccezione per la K rossa che troneggiava sulla fronte, probabilmente disegnata dal precedente proprietario. Credo sia stato quello il momento in cui il destino mi diede per la prima volta un segno. Il mio fato, il mio karma, in qualunque modo vogliate chiamarlo bussò violentemente alla porta e mi prese come un fiume di fango e di rifiuti prende i barboni quando esonda la fogna. Forse in quello stesso secondo dall’altra parte del mondo una farfalla stava sbattendo le ali provocando quella tromba d’aria che mi sconvolse l’esistenza. Senza sapere bene il perché mi infilai il passamontagna. Strinsi la ruvida impugnatura di legno del coltello nella mano ed entrai nel magazzino. In fondo a questo, illuminati dalla luce di alcune candele e di un paio di torce elettriche una decina di ragazzi stava ridendo e scherzando. Numerose bottiglie di birra vuote erano sul pavimento e si vedeva anche numerosi mozziconi di sigarette e di canne rollate male. Osservai meglio quei ragazzi. Newton stringeva in mano qualcosa e gli altri facevano a gara per toccarla. Socchiusi gli occhi per vedere di cosa si trattava. Quando la capii la mia bocca si spalancò in un muto grido di orrore. Erano mutandine da donna, le mutande di Wendy. Fu allora che vidi per la prima volta il fuoco bianco. Apparve davanti al mio occhio interiore tanto vivido e tangibili che ebbi quasi paura di scottarmi. Fu come il getto del vulcano quando è arrabbiato ma bianco come le nuvole quando il cielo è limpido. Era bellissimo, come solo le catastrofi naturali e i mostri ancestrali possono esserlo. Senza paura attraversai quelle fiamme candide, e tutto divenne sangue. Mi lanciai contro i ragazzi con il coltello sguainato e ne sgozzai due. Gli altri urlarono di terrore. Io mi avventai su un terzo e gli squarciai la pancia con un taglio netto mettendo in mostra gli organi. Uno schizzo di sangue mi colpì in faccia, caldo e vivo. L’odore mi inebriò e mi lasciai invadere completamente dal fuoco bianco. Fu un massacro. Mi guardai intorno, cadaveri ovunque. Ma mancava qualcuno, mancava Newton. Mi lanciai al suo inseguimento fuori dal magazzino. Lo vidi correre dall’altro lato della strada. Con un rapido scatto mi parai di fronte a lui, e lui sparò. Fu così che scoprii il mio secondo potere: l’invulnerabilità. Il colpo mi rimbalzò addosso lasciandomi solo un leggero fastidio, come se mi avessero dato un pizzicotto. Newton cadde all’indietro terrorizzato. «Ma chi cazzo sei?». Io mi inginocchiai accanto a lui e mi tolsi il passamontagna. Appena mi riconobbe il ragazzo sgranò gli occhi. «Cosa sei?». «Non credo che l’informazione ti sarà utile dove sto per mandarti». Poi mi chinai su di lui e lo sgozzai, con un morso.

Quella notte ci fu un sopravvissuto, un certo Matt Banner, che raccontò del misterioso assassino con la K sulla fronte. È così che è nata la leggenda di “The Kill”, la mia leggenda.

Note dell’autore: So che probabilmente molti di voi mi uccideranno visto che ho già aperta un’altra long-fic ma dico subito che “Figlia della Volpe” non sarà lasciata incompiuta. Volevo solo provare a scrivere un’idea che mi turbina in testa da luglio. In questa storia ho cambiato completamente il carattere che di solito do al personaggio principale e anche all’ambientazione creando una specie di incrocio tra “Sin City” e “Metal Gear Solid”. Commentate per favore.
  
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