Spara alla polvere
Did you try to live on your own
When you burned down the house and home?
Did you stand too close to the fire?
Like a liar looking for forgiveness from a stone
21 Guns – Green Day
Sulle
strade battute dal sangue, Ismael – l’eco di una
lacrima sul volto – attraversò
l’accampamento con passi spediti, tanto veloci nella loro
fragile furia in modo
da evitare i corpi accatastati uno sull’altro in un angolo
del campo.
C’erano
mani, piedi, gambe, braccia, teste, grida spente in
quell’accumulo di vite.
Quegli
esseri umani erano diventati nulla nello stesso
istante che coincideva
con la loro morte, in una nuvola di paura e di sofferenza, e il soldato
non
aveva il coraggio di guardarli troppo a lungo, quasi potessero
lanciargli una
maledizione.
Ismael
non l’aveva voluta la guerra. O meglio, non gliene era mai
importato più di
tanto: prima di scoprirla nella disperazione, la considerava soltanto
una
macabra utopia.
Ed ora,
con un fucile sulla spalla, due pugnali nascosti negli stivali e una
revolver
incastrata nella cinta, doveva capovolgere le sue idee a proposito.
Doveva
dipingere un quadro di terrore, con qualche colore soffuso a ricordare
l’inquietudine prima della battaglia, tonalità
accese per la vittoria della
morte e luci scure per disegnare il non senso di quei gesti che era
costretto a
ripetere un’infinità di volte: caricare, mirare,
colpire.
Bum, e
uccideva un cuore.
Ora,
mentre batteva i piedi su quel terreno che aveva visto morire, pensava
a come
sarebbe stata la sua vita se non avesse dovuto far parte della
battaglia.
Magari
sarebbe potuto andare a vivere in campagna – cielo
d’estate, danze notturne -
insieme alla sua famiglia, che si era lasciato alle spalle, sulla
soglia di una
casa che sarebbe stata in seguito distrutta.
Ma lui
non l’avrebbe mai saputo.
Continuò
a camminare ancora per un bel tratto prima di raggiungere la sua tenda,
entrarvi e lasciarsi cadere sulla branda che gli era stata affidata.
Era stata
una lunga giornata anche quella.
Fumo,
cenere, morte.
Uno,
due,
tre… trenta.
I giorni
passarono come fiume che scorre, e il tempo scandiva il trascorrere dei
minuti
con un nuovo ghigno in volto. Una clessidra che segnava che la guerra
non
sarebbe mai finita, sabbia corrotta, vetro illuso.
Ismael si
stava preparando all’ennesima battaglia, il loro reggimento
avrebbe dovuto
assalire una cittadina, che sorgeva accanto ad un lago, per rubare le
provviste
alimentari che cominciavano a scarseggiare.
Mancavano
poche ore all’attacco e i soldati stavano marciando verso la
meta con uno
sguardo perso nel nulla, quasi fossero automi che eseguivano gli ordini
e
basta, per non guardare in faccia l’orrore che si portavano
dietro.
Il
giovane era come loro, solo un barlume di vita in più negli
occhi color ocra.
Teneva il
fucile appoggiato alla spalla e camminava a testa alta, quando invece
avrebbe
voluto sotterrarsi e smettere di tremare come una foglia.
La notte
era calata su di loro come una compagna benvoluta, facendo dono di un
manto di
astri, e il vento copriva i loro passi. Pareva quasi che la natura si
fosse
messa d’accordo per aiutare l’assedio, ansiosa
spettatrice di uno spargimento
di vite.
E Ismael
si chiedeva perché. Perché avrebbero dovuto
uccidere quando qualche minaccia
avrebbe sortito lo stesso effetto?
Perché
rubare le esistenze altrui e continuare a farlo?
Si era
poi risposto da solo: gli soldati si nutrivano anche di morte, in fin
dei
conti. Dopo un po’, attaccare ed uccidere diventava quasi
indispensabile come
l’ossigeno, e tutti sentivano il bisogno di lasciarsi andare
nella violenza.
Una
persona che ha visto, ha compiuto e ha sofferto non può
sopravvivere in altro
modo, o quasi.
Oh, erano
arrivati.
Era
un
piccolo centro abitato, nulla di sensazionale, terra battuta che
dormiva sotto
una luna nuova. Le case erano disposte in file parallele, creando
così un
ordine monotono, ma dolce.
Le luci,
a quell’ora, erano ormai spente.
Non si
erano preparati a nessuno scontro imprevisto perché
mancavano i soldati di
guardia, o forse c’erano, ma non alle porte della cittadina.
Il gruppo
di Ismael entrò furtivo, ombre sui muri.
Avanzò
lungo le strade con le armi in pugno, un sospiro, e cominciò
a disperdersi nei vari
edifici, spalancando le porte con un solo calcio e qualche ordine
nell’aria, in
un grido di rabbia.
Il
ragazzo trasse un profondo respiro prima di fare irruzione
all’interno di una
casa dalla facciata rossiccia, prendendo la mira e sparando al primo
uomo che
gli si parò davanti, strappandogli addirittura il tempo di
sorprendersi.
Non si
poté neanche immergere nei sensi di colpa che
sparò ad un altro giovane –
doveva avere la sua stessa età, diciotto anni –
con un colpo preciso a distanza
ravvicinata.
Caddero i
due corpi, cadde la polvere.
Spara
alla polvere, Ismael.
Credendo di aver ucciso tutti, nel silenzio che seguì, il
soldato cominciò a rovistare nelle credenze con una certa
foga. Voleva uscire
da lì il prima possibile, buttarsi alle spalle quello che
stava succedendo e
sopravvivere.
La
sua
mente non voleva pensare al gesto che aveva appena compiuto.
Portò via
solo alimenti, ignorando i gioielli nascosti in un cassetto della
cucina, e se
li ficcò nella borsa a tracolla che si era portato dietro.
Fece per
avviarsi verso la porta che pian piano si era rinchiusa per il vento,
quando ad
un certo punto udì un passo.
Si voltò
di scatto, cercando di riacquistare il sangue freddo che aveva avuto
poco
prima, e sussultò nel trovarsi di fronte ad una bambina.
Stranamente
fu un’immagine vivida: nonostante il semibuio,
poté quasi intravedere ogni
lineamento del suo volto delicato, la forma rotonda delle sue guance, e
le
lacrime che solcavano la sua pelle di infante. Portava una sottoveste
di
velluto, di un rosa confetto, e stringeva al suo petto la sagoma di un
pupazzo.
I suoi capelli le ricadevano sulle spalle in onde gentili, di un color
ramato,
e gli occhi luccicavano di un verde offuscato.
Ismael
non riuscì a reagire.
Abbassò
la canna del fucile, ritirò la pistola nella cinta, tacque.
A terra,
i corpi dei due uomini.
Il sangue
che cominciava a formare una pozza scarlatta sul pavimento di legno.
Fotografie
più eloquenti di troppe parole inutili.
- È solo
un incubo, vero? – piagnucolò la piccola,
mordendosi il labbro inferiore.
Il
giovane annuì, preferendo il silenzio. Avrebbe dovuto
uccidere anche lei?
- Mi
sveglierò presto? – continuò
l’altra, piangendo. Piangendo, piangendo.
Lui annuì
una seconda volta, piegandosi un attimo sulle ginocchia per arrivare
alla sua
altezza.
Solitamente
non incontrava i bambini durante le sue escursioni, preferiva evitarli,
così
come le donne. Ma quella doveva essere stata una notte sfortunata.
Incrociò
il suo sguardo e sollevò una mano per accarezzarle i
riccioli, ma si fermò a
mezz’aria.
No, non
voleva corrompere anche quel corpo.
- Come ti
chiami? – mormorò, la voce roca.
Quand’era che era divenuta così simile a
quella di un uomo? Un uomo che soffre e obbedisce.
La
piccola abbozzò una smorfia. – Yanna. –
Ismael
sospirò, incapace di proferire altro.
Qualcuno
gli stava dilaniando il cuore senza alcuna pietà, rubandogli
battiti su
battiti. Sentì una fitta così dolorosa che per un
attimo si dovette appoggiare
alla parete dietro di lui, e percepì sul suo corpo lo
sguardo di lei.
Ancora lacrime.
- Ti
sveglierai presto, Yanna. – replicò, prima di
portare la mano verso la
revolver. La tirò nuovamente fuori, la caricò con
un gesto a cui era ormai
abituato e trasse un altro profondo respiro.
Datemi
un sogno in cui vivere perché la realtà mi sta
uccidendo, aveva letto
una volta, inciso
sul muro di una stanza della base.
Erano parole a cui si sarebbe aggrappato volentieri, se
solo gli
avessero potuto dare una speranza in più.
Viveva da
troppo tempo in un mondo di cartapesta, illusione fittizia, morte
reale.
- Me lo
prometti? – Quella vocina doveva avere sì e no tre
o quattro anni, aveva ancora
il suono dell’innocenza intrisa nelle note.
Non si
meritava la morte, nessuna delle sue vittime se la meritava.
Ismael
abbozzò un sorriso sbiadito e assentì.
– Te lo prometto. –
Tre parole, mira alla testa.
Premette
il grilletto e sparò.
Poche ore
dopo i soldati del suo gruppo trovarono il suo corpo steso a terra,
immerso nel
suo stesso sangue, e una bambina con gli occhi sbarrati accanto a lui.
Stringeva
forte il suo pupazzo e piangeva.
Ismael, che
Dio ascolti, fuggi,
fuggi, fuggi.
Dì addio alla vita.