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Autore: Bellis    15/10/2009    2 recensioni
Un vento gelido ha spazzato le distese del Continente, nei primi del Novecento. Vent'anni dopo, la stessa dolorosa brezza si insinua nel cuore dell'ormai anziano Mycroft Holmes, e di coloro che gli sono più vicini.
(Attenzione: character death, angst.)
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sinceramente, non so bene perchè ho scritto un testo così, che risulta un puro sfogo di carattere melanconico. E' il primo caso del genere nella mia 'carriera' su EFP, direi. Probabilmente, avevo solamente bisogno di esprimere i sentimenti che provo, in questo periodo, in cui i ricordi affiorano troppo numerosi nella mia mente. L'anno scorso, una possibilità di sfogo mi è stata fornita dai 'miei' amati Malandrini di Hogwarts. Quest'anno, sono Holmes e Watson a donarmela.
Ripeto gli avvertimenti che ho segnalato nella presentazione: on-screen main character death (ovvero, morte di un personaggio principale narrata direttamente), angst psicologico, drammaticità. Se non vuoi proseguire, capirò benissimo e non mi offenderò. Prometto.
Bellis



Per Sempre 1895

L'appartamento di Pall Mall non aveva mai accolto volentieri la confusione, il rumore, tutto ciò che potesse turbare la rigida routine giornaliera del suo unico occupante. Tuttavia, in quel particolare giorno, era ancor più silenzioso e buio del solito: le tende erano tirate sulle finestre, e un telo grigio copriva discretamente la sola lampada ad olio, lasciando solo un piccolo spiraglio perchè non mancasse l'aria che alimentava la flebile fiamma tremolante; la tiepida luce irradiava il comodino della camera da letto, e non osava spingersi tanto più in là di questo modestissimo traguardo.

Mycroft Holmes riuscì a notare, anche dall'alto del suo giaciglio, che la porta della stanza era socchiusa, ed un paio di occhi grigi si erano appena affacciati all'apertura, scrutando febbrilmente il luogo invero già ben conosciuto.

Suo fratello si addentrò nella stanza, procedendo lentamente, quasi con esitazione. Il funzionario governativo si stupì di questo fatto: Sherlock Holmes era famoso per la sua grande padronanza di sé e la sicurezza che dimostrava nelle situazioni più atipiche ed intricate. L'inutile riflessività non gli si addiceva affatto. Lo osservò, con attenzione, cercando di capire se le movenze affettate potessero definirsi una conseguenza della vecchiaia: dopotutto, gli anni passavano per tutti, e quell'ultimo decennio era sembrato durare secoli. Ciascuno di quegli ultimi periodi di tempo pareva essersi dilatato ed aver coperto l'arco di un quinquennio, tanto grave e drammatico era stato il contesto della grande Guerra che si era combattuta in Europa.

Ma, no – le sembianze di Sherlock non erano cambiate affatto. La stessa figura alta, il medesimo sguardo intento, ed il volto pallido, che faceva risaltare ancora di più l'intensità degli occhi. I capelli erano ormai bianchi - ma questo non voleva dire nulla; non era dovuto al fisico, quell'attuale, insolito contegno.

In realtà, Mycroft conosceva bene il motivo di questa stranezza, e fu con un senso di colpa che si rese conto di aver evitato, sino a quel momento, di assumersi la responsabilità dell'evento. Fece del proprio meglio per sorridere bonariamente e attese ciò che suo fratello avrebbe voluto dire. Erano due le possibili domande, e l'anziano uomo credeva di sapere quale Sherlock avrebbe posto prima.

"Come stai, Mycroft?" chiese quello, a voce bassa, in un sussurro calmo e, per quanto possibile, distaccato.

Il pungolo della sorpresa colpì di nuovo la mente dell'infermo, ed egli sollevò le sopracciglia. Un cenno stanco che non riusciva a dimostrare nemmeno una frazione dell'incisività di una volta.
Aveva valutato che sarebbe stata un'altra, la prima delle interrogazioni.

Forse il fratello minore non era mutato nell'aspetto, ma sicuramente il suo spirito si era trasformato. Dallo scienziato che era, come trentenne già troppo saggio e troppo competente, era diventato una persona estremamente più matura, più incline all'ascolto ed al confronto. Il viaggio che egli aveva forzatamente compiuto, girando in lungo e in largo il Continente, lo aveva segnato, così come la successiva vicenda del Friesland [1], durante la quale aveva quasi perduto il suo più caro amico.

Mycroft riflettè rapidamente, cercando una pecca in questa semplice serie di deduzioni, non trovandone alcuna. Dopotutto, la concatenazione era evidente: mentre la prima reazione dello Sherlock Holmes di trent'anni prima sarebbe stata una raffica di inquisizioni sul cosa e sul perchè dei fatti, ora il quesito affiorato spontaneamente al suo pensiero era di natura emotiva.

"Non troppo bene, ragazzo mio." si decise a replicare pianamente.

L'altro abbassò per qualche momento lo sguardo, annuendo. Infine, giunse la domanda che Mycroft si aspettava, "Perchè non mi hai informato? Quale motivo ti ha trattento dal dirmi che..."

Il funzionario di Whitehall scosse il capo, per quanto glie lo consentisse la pila di cuscini che lo sorreggeva, "Dirti cosa, Sherlock? Che sono ormai vecchio e, come tale, debole?" puntualizzò, con una gentilezza inusuale.

Un brontolìo seccato si fece strada attraverso la saletta calda e buia.
"Conosci perfettamente il significato delle mie parole, Mycroft."

"E' vero." ammise quello, concedendosi un profondo sospiro, che non gli donò molto sollievo.
Passò qualche minuto nel più perfetto silenzio, ma l'animo di entrambi non ne trasse alcun ristoro.

"Ti sei confidato con Watson, però." rimarcò il più giovane Holmes, con accento di evidente rammarico. Ancora evitava il contatto visivo col parente, preferendo – e questo preoccupò notevolmente Mycroft – rimanere in una parziale ignoranza, piuttosto che confrontarsi con la verità.

"E' un buon medico." spiegò l'altro, con senso pratico, "Inoltre, è l'unico a Londra capace di intendere l'essenzialità delle mie motivazioni."

La fronte di Sherlock Holmes si corrugò.

"Sapevo che l'importanza del tuo più recente caso non ti avrebbe concesso nemmeno la più insignificante distrazione, figliolo. Non potevo permetterti di gettare al vento mesi di lavoro e di indagine per una faccenda così banale. Nel contempo, mi trovavo nella necessità di aiuto, che mi poteva essere fornito solamente da un dottore in medicina." continuò l'anziano uomo, tranquillamente, come se si trovasse nella Sala degli Estranei del Diogenes Club, intento in uno stimolante gioco deduttivo, "John Watson si profilava come l'unica scelta logica."

L'altro rimase immobile, crollando il capo, di tanto in tanto.

"In questo modo, i reali di Spagna hanno potuto riavere il loro prezioso sigillo. A proposito, Sherlock – le mie congratulazioni. La prima parte dell'enigma era banalmente risolvibile, tuttavia il tuo lavoro di analisi è stato encomiabile, e - "

"Mycroft..." il nome, pronunciato in tono allarmato, bastò a interrompere quel flusso ininterrotto di parole affrettate. Il malato seppe all'istante cosa aveva provocato tanto sgomento in suo fratello: era assai raro che divagasse. Di fatto, era probabilmente la prima volta che lo faceva.

Indugiò in una sofferente pausa, prima di proseguire, "Avevo previsto che Watson mi avrebbe assecondato. E avevo capito che, sebbene il suo ufficio preveda il vincolo del segreto professionale, al momento giusto egli ti avrebbe, in qualche modo, comunicato la mia condizione. E' stato così?"

Sherlock deglutì visibilmente, ma la sua voce si mantenne quieta e rispettosa, come era normale, nelle sue conversazioni col fratello maggiore.
"Non lo ha fatto a parole," esordì cercando di esprimersi con la massima precisione, "ma ho notato alcune anomalie nel suo comportamento, e l'ho spinto ad esporle."

L'altro scoppiò a ridere, un suono rombante e cupo, che comunicava, per una volta, appieno la sottile ironia di quel divertimento istintivo, all'immaginare il buon ingenuo Watson sottoposto ad un terzo grado da parte del celebre detective. Ma questo momentaneo diletto costò troppa energia, e lo lasciò, esausto, ad appoggiarsi pesantemente al giaciglio. Sherlock si accostò a lui con la massima solerzia, aiutandolo, con parecchia goffaggine, a sistemarsi più comodamente tra le coperte.

"Ragazzo mio," lo apostrofò Mycroft, "Invero non riesco a capacitarmi del fatto che il dottor Watson sia riuscito a sopportare i tuoi modi per tanto tempo."

Il fratello minore sorrise appena, scoprendo che i muscoli del suo viso incredibilmente rigidi, per lo sforzo a cui erano sottoposti, nel tentativo di mantenerli educatamente distesi.

Il silenzio che seguì fu denso di un profondo imbarazzo, che nessuno dei due fu in grado di spezzare. Era come un cupo incantesimo, una maligna ombra di magìa nera che si insinuava nella stanza e raffreddava la fiamma che debolmente rischiarava l'aria.

"Presto starò meglio, Sherlock. E' inutile che tu ti preoccupi." commentò infine Mycroft, un sussurro appena udibile.

"Rimarrò qui per il resto della giornata. Se mai Watson dovesse aver bisogno di qualcosa." dichiarò l'altro Holmes tentativamente, giocherellando coi polsini della camicia.

"Ti ringrazio."

Le ultime sillabe quasi si persero nell'eco che rimbalzò sui muri dell'ampia camera, mentre il funzionario governativo le pronunciava, accarezzando distrattamente l'orlo della coperta con una mano più magra del consueto. Era stanco. Si sentiva completamente spossato, e sapeva, nel profondo del cuore, che non si trattava di una situazione passeggera. Non era un problema di sonno - non ne aveva mai avuti, essendo una persona fondamentalmente metodica.
Un diverso tipo di stanchezza, dalla quale non era umanamente possibile riprendersi.

Ma non poteva cedere - non ancora. Almeno, non finchè il fratello era lì. Non poteva lasciare che lui vedesse. Quale insegnamento gli avrebbe trasmesso, nel salutarlo con un gesto di estrema debolezza?

Era troppo tardi. Avrebbe dovuto far meglio i suoi calcoli. Non sarebbe riuscito a resistere per un intero altro giorno. L'insensibilità vagava su di lui avvolgendolo nel suo confortevole abbraccio.

Mycroft socchiuse le palpebre, facendo appello a quell'ultimo barlume di concentrazione che ancora permaneva nella nebbia indistinta del suo formidabile intelletto.
"Vorresti versarmi un bicchiere d'acqua, per favore, fratello mio?" mormorò, sperando con ogni fibra del proprio animo che l'altro lo sentisse.

"Ma certo." rispose sùbito Sherlock, chinando brevemente il capo e sorridendo rapidamente, prima di raggiungere il tavolinetto antistante il giaciglio e sollevare brocca e bicchiere, all'unisono.

Quando riportò lo sguardo su Mycroft, quello se n'era già andato.

**********************

Il dottor Watson sedeva immobile nella sala da pranzo, circondato dall'arredamento elegante ma spartano che poteva appartenere solo al pragmatico Holmes suo paziente. Per qualche minuto aveva cercato di tenersi impegnato con piccoli lavoretti, come ordinare alla cameriera di procurarsi alcuni estratti di erbe dal più vicino farmacista, o riordinare le suppellettili sulla mensola.
Non che avessero bisogno di essere riordinate: erano perfettamente linde ed allineate.

Infine, aveva ceduto alla malinconia. Certo, Mycroft Holmes poteva definirsi un infermo come tutti gli altri che si erano affidati alla sua esperienza, ma in definitiva era troppo vicino al suo più caro amico per poter essere considerato un comune mortale.

Per questa ragione - e solamente per questa - Watson aveva accettato di tacere la sua condizione a Sherlock Holmes. Non aveva potuto rifiutare un favore a un conoscente di vecchia data, a una persona che ammirava e alla quale sentiva di dovere un profondo rispetto.

La feroce tenaglia del rimorso affiorò nuovamente al suo cuore, ed egli la represse con fermezza. Aveva fatto il proprio dovere, mantenendo il segreto quando il suo paziente aveva richiesto espressamente il silenzio. E non era riuscito a portare sino in fondo il suo proposito, giacchè la mente allenata dell'investigatore lo aveva spinto a tradirsi.

Watson sorrise amaramente, con mesto affetto, nascondendo un sospiro e concludendo che, alla fine, aveva fatto del suo meglio. Ed era risaputo, che questo non avrebbe mai potuto risultare sufficiente a superare in astuzia Sherlock Holmes.

Un improvviso rumore gli fece sollevare il capo di scatto. Era il tintinnìo cacofonico di vetro infranto, ed era molto vicino. Proveniva senza dubbio dalla stanza di Mycroft.

Il medico si levò in piedi, zoppicando più velocemente che potè verso la saletta. La porta era accostata, ed egli esitò solo per un attimo, prima di allungare la destra e spingere l'asse di legno, rivelando ciò che stava accadendo all'interno.

Sherlock Holmes era in piedi, vicino al tavolino scuro, dirimpetto al giaciglio, dove le coltri bianche giacevano immobili e composte. Sul pavimento di pietra una pozza d'acqua ed alcuni frammenti sfaccettati indicavano che la brocca ed il bicchiere si erano irreparabilmente distrutti in quel luogo. A giudicare la posizione dell'uomo, che, scioccato, fissava il letto, probabilmente i recipienti gli erano sfuggiti di mano.

Il dottore guardò per qualche istante Mycroft e capì.
Deglutì, irrigidendosi nello stroncare un brivido sul nascere, ed avanzò sino alla figura che giaceva tranquillamente sui cuscini. Appoggiò due dita sulla gola, ed ebbe la conferma che non avrebbe mai voluto trovare.

Holmes era rimasto esattamente nello stesso punto in cui il medico l'aveva visto prima. Solo, aveva abbassato il volto, nascondendolo agli occhi dell'unico altro presente - perchè a Mycroft non avrebbe potuto celare nulla, nemmeno in questo modo.

John Watson non lo aveva mai visto piangere. Non lo vide nemmeno questa volta, perchè, avvicinandosi a lui, mantenne lo sguardo ostinatamente fisso dinanzi a sè, ed anche quando la presa della sua mano si strinse sulla spalla magra del detective, come segno di empatia e comprensione, non volle recare alcuna intrusione a un dolore così profondo e così radicato.

Ripensò agli anni passati. La sua attenzione, volendo evadere da quella stanza cupa, da quel luogo e da quel momento, sembrò espandersi, ed abbracciare i mesi, gli anni, i decenni: la vita.

Da quel fatidico 1881, i giorni erano passati in triplice filare, marciando speditamente intorno ai protagonisti della magia del tardo Diciannovesimo Secolo. A volte si erano raggruppati, formando plotoni dall'aspetto sesquipedale, e procedendo a passo di corsa, con un fragore degno del più agguerrito tra gli eserciti.

In altre occasioni, si erano attardati, come soldati lavativi allo sbando, procedendo mollemente e sparpagliando i loro possedimenti lungo le strade, tra i fiori e le messi, nei campi, non sapendo nemmeno riconoscere un buon raccolto da un'erbaccia trovata in un giardino incolto.

Il periodo più terribile era però stato quello che aveva scavato un solco, un trauma indelebile nel ricordo e nel cuore. Lì era guerra aperta, erano scariche di fucileria, il rombo del cannone, i brandelli dell'anima divisi ed irrimediabilmente separati. E non si erano riuniti mai più, dopo quei fatidici tre anni durante i quali Watson aveva perduto il suo più caro amico e la sua diletta moglie.

Per quanto avesse cercato di oltrepassare quella perigliosa zona di battaglia, il medico non vi era mai riuscito completamente - e nemmeno Holmes, lo sentiva.

Poi, il Novecento aveva fatto irruzione, proclamando a gran voce la sua superiorità, portando l'innovazione, esaltando lo spirito degli uomini e trascinando l'incauto orgoglio a vette incommensurabilmente alte - tutto ciò, ovviamente, sino al 1914. Gli effetti di quel conflitto che aveva avvelenato l'Europa, spargendosi come una epidemia, come una virulenza inestinguibile, erano tristemente evidenti anche a distanza di sei anni, e ancora straziavano gli stati che si erano trovati ad essere vittime e seviziatori allo stesso tempo, vincitori e vinti.

Il Novecento, che sembrava aver depennato impietosamente dal dizionario d'uso la parola 'tradizione', che aveva minato i più solidi pilastri dell'onore e della coscienza umana, scrollandoli e facendo cedere le loro rocciose fondamenta.

Ora, un altro di quei massicci impervi se n'era andato. Per sempre perduto nelle nebbie di una Londra grigia, inquinata, nella quale al delicato rumore di ruote e zoccoli si era sostituito il frastuono incessante dei motori.

Mycroft non avrebbe fatto ritorno. Un'altra istituzione cancellata, altri animi indeboliti e addolorati.

Watson serrò le palpebre, avvertendo la spalla dell'amico sussultare lievemente. Se quella grande forza di cui i cantori narravano, che si addiceva all'Uomo più di ogni altra caratteristica, stava scomparendo, cosa sarebbe rimasto dei tempi passati? Forse nemmeno il ricordo? Chi avrebbe mai più osato riprendere gli usi antichi, se i nuovi li avevano tanto barbaramente eliminati?

L'indole militare e genuinamente fiera di Watson gli impose di riaprire gli occhi ed accettare la realtà.
Mostrare dignità e coraggio era in fondo il modo migliore per mantener viva quella disciplina apparentemente tanto lontana, ma in verità tipica della generazione precedente.

Guardò Holmes che, profondamente commosso, stava lottando per mantenere il controllo, e d'istinto lo abbracciò saldamente, meravigliandosi quando quello non tentò di sottrarsi a quel goffo gesto, che non mirava a consolarlo quanto a dimostrargli la vicinanza di un amico.

Un vento freddo aveva spazzato quei territori ormai desolati. Minacciava di farsi ancora più gelido e spietato: ma lo avrebbero affrontato insieme.


"Here, though the world explode, these two survive,
And it is always eighteen ninety-five."

- Vincent Starrett


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[1] : "[...] riguardando, infatti, i miei appunti, vedo che a quel periodo risale il caso dei documenti dell'ex presidente Murillo, nonchè l'incredibile vicenda del vapore olandese Friesland che, per poco, non costò la vita ad entrambi.", "Il Ritorno di Sherlock Holmes", L'avventura del costruttore di Norwood, trad. Nicoletta Rosati Bizzotto. -- Torna SU


   
 
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