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Autore: The Corpse Bride    16/10/2009    6 recensioni
-Bianca, per favore, smettila con questa storia. Non cederò mai. Devo ripetertelo? Sono il tuo professore; non sarò mai il tuo amante.
La ragazzina sbuffò. Sedici anni, capelli rosso fuoco freschi di cotonatura, un trucco nero pesantissimo sfumato dal giorno prima.
Aveva una scollatura così profonda, e una minigonna così corta, e degli stivali così alti, che non si poteva fare a meno di guardarla, a prescindere dagli istinti sessuali che poteva o non poteva provocare.
'Provocare': ecco cosa faceva.
Non chiedeva solo sesso. Chiedeva anche l'altrui disapprovazione. E chiedeva che le parlassero alle spalle, sicuramente. In fin dei conti, per come la vedeva Emanuele, quello che chiedeva era semplicemente attenzione.
-Professore, lei non può sapere per certo che non cederà mai. Chi lo sa cosa potrebbe passarle per la testa domani, o il mese prossimo, o l'anno prossimo?
-Lo so io, cosa mi passerà per la testa: la mia fidanzata, il mio lavoro, i compiti da correggere, le cene fuori coi miei amici. Il mio cane, al massimo. Ma non il sesso con te. Non mi induci in tentazione, Bianca, mettitelo in testa.
-Ma davvero? - lei sorrise malignamente, alzò un sopracciglio, accavallò le gambe e si stese bene sullo schienale; si comportava come una spogliarellista trentenne. - Allora perché ha usato il termine 'cedere'? È alle tentazioni che si 'cede', o sbaglio? Altrimenti avrebbe detto 'non mi piacerai mai'. È già più vicino al concetto del quale lei cercava di convincermi.-Bianca...
-O di convincere se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Bianca quel giorno era assente.
Rimase assente quasi una settimana e la classe era in fibrillazione, quando finalmente la preside si decise a parlare direttamente con la famiglia. Poi convocò gli insegnanti, ed Emanuele perse ancora una volta la sua ora di ricevimento a causa di Bianca.
Sedette sulla comoda poltrona di pelle di fronte a Giovanna. Lei, tacchettando sulle sue décolletés di Gucci, si sedette dopo aver accomodato il soprabito sull'attaccapanni.
-Mi scusi se la costringo a rinunciare alla sua ora – esordì, poggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita delle mani – purtroppo, questa faccenda sta iniziando ad assumere proporzioni piuttosto notevoli.
-Già.
Bianca aveva parlato? Aveva rivelato tutto ai suoi genitori? Stava per essere licenziato e incarcerato?
-Mi è stato comunicato che Bianca rimarrà assente ancora per un po' di tempo. Purtroppo non si tratterà di qualche giorno, mi hanno detto che rimarrà assente per un mese e forse più.
-D'accordo. Non c'è problema, Bianca è sempre stata brava nella mia materia; oltretutto il trimestre è appena iniziato, e nel mezzo ci sono le vacanze di Natale.
-So che è una delle nostre studentesse migliori – osservò Giovanna, riordinando alcuni fascicoli sulla scrivania – sono certa che saprà recuperare.
La questione sembrava chiusa, per la preside. Ma Emanuele, nonostante tutto, voleva saperne di più.
-Preside... - azzardò, guardando le mani di lei e la fede di Bulgari sull'anulare sinistro – una sola cosa. Come posso giustificare ai compagni assenze tanto prolungate e consecutive l'una all'altra?
-Oh beh – fece lei, con la sua consueta calma – non devi giustificare proprio nulla con nessuno, Emanuele, tantomeno con dei ragazzini.
-Lei... lei sa il perché?
-So qualcosa – fu la risposta, il cui tono aveva un che di conclusivo – ma non abbastanza, e ritengo che voi insegnanti possiate continuare a svolgere il vostro lavoro con gli elementi che già avete. Bianca ritornerà e intelligente com'è sono certa che manterrà la sua media al solito livello.
-Senza dubbio – fece Emanuele, sollevato di non essere stato convocato per motivi ben più gravi – bene, terrò presente la sua assenza. Farò in modo di farle comunque avere il materiale.
-La ringrazio molto – Giovanna sorrise e gli porse la mano – bene, la ringrazio del suo tempo, e mi scusi ancora. Arrivederci, Emanuele, buona giornata.
-A lei – strinse la mano magra e fredda di Giovanna, fece un sorriso di circostanza ed uscì dall'ufficio.

-Mariolina, buongiorno.
-Buongiorno, Emanuele – lo guardò, e il suo sguardo diceva tutto. Voleva venirne a capo anche lei.
-Non lo so – rispose, sconsolato – non so nulla. Credo che anche la preside sappia ben poco.
Lei scosse la testa.
-Qualcosa dev'esserci. Abbiamo il diritto di sapere se una nostra alunna è ammalata o ha un problema, oppure no? Come possiamo avvicinarci a lei nel modo giusto, se non conosciamo il motivo di queste assenze?
Alzò le spalle, strinse le labbra e sospirò. Mariolina lo guardò, partecipe, ed annuì.
-Speriamo sia tutto a posto – fece, preoccupata, poi gli toccò una spalla – scappo, che ho la quarta C. Buon lavoro, Emanuele.
-Anche a te.
Durante la giornata incrociò Antonella, che gli lanciò uno sguardo significativo. Trovò anche Sonia per le scale, ma lei non disse nulla; il suo sguardo penetrante poteva significare miliardi di cose, ma raramente lei parlava degli affari degli altri. Tuttavia, sapeva che doveva essere profondamente preoccupata per Bianca.
Quanto a lui, era perplesso. Assenze molto lunghe, e ricorrenti nel tempo. Eppure, ogni volta che tornava, era vispa come l'ultima volta che l'aveva vista.
Quella sera, nonostante avrebbe preferito dimenticarsi di quella ragazzina, ne parlò con Camilla. Quel mistero gli permetteva di sviare la mente da quello che era successo il giorno prima, e, anche se a scuola gli era parso di allontanarsene, era successo tutto in un tempo terribilmente vicino. Meno di ventiquattr'ore, nei fatti.
-Non saprei cosa pensare – era l'opinione di Camilla – dovresti parlare coi genitori, ma mi hai appena detto che hanno chiamato loro stessi, ed evidentemente non vogliono sbottonarsi più di così.
-Puoi soltanto andare per ipotesi – ragionò Emanuele, pensieroso – e la mia ipotesi è che quella ragazzina si droghi. Una volta mi ha confessato che si porta a scuola la vodka per calmarsi, e un'altra volta l'ho trovata che ingoiava delle pastiglie. A me ha detto che era la pillola anticoncezionale, ma ci ho francamente creduto poco. Spesso si esalta, inizia a parlare a raffica, a non stare mai ferma. E, in generale, in classe è sempre su di giri.
-E la madre non sa.
-Non sa, o finge di non sapere; chissà. Probabilmente la madre la trascura e lei cerca le sue attenzioni.
-Oppure cerca di distanziarsi dall'ambiente familiare tramite lo stordimento che le dà la droga.
-So solo che non ha un comportamento normale. Voglio dire; è sempre faticoso tenerla tranquilla, perché è una ragazzina vivace, e purtroppo incanala la sua vivacità nelle, diciamo, pubbliche relazioni. Ma ci sono momenti in cui sembra che non ragioni su quello che dice. E diventa iperattiva. Poi la vedo con le pastiglie in mano, e non me le vuole mostrare. Cosa dovrei pensare?
-Nulla – Camilla scosse la testa – non dovresti pensare nulla. Credo che questa sia la strada giusta.
-Ma allora le assenze? - insistette Emanuele – Quelle, come le giustifichi? Non ne so molto di droga, ma un down dura qualche ora. Non un mese e mezzo.
-Non lo so, Ema. Non saprei giustificarle nemmeno io. Potrei solo pensare che la droga abbia avuto effetti distruttivi, perché, in effetti, se guardi i tossicodipendenti puoi vedere che qualche cellula del cervello si è bruciata. Ma, in tal caso, dovrebbe essere rovinata vita natural durante, quindi non sussiste.
-Salute cagionevole?
-Non ne ho idea. Non conosco Bianca. Sua madre, poi, è inafferrabile; in ufficio è come al solito. Forse non è successo nulla di particolare, magari è ammalata.
-Tanto mistero per una malattia...?
-Non sappiamo di che malattia si tratta, in fondo. Magari è grave, magari è un tumore e lei deve passare periodi lunghi in ospedale.
-Non so. La vedo troppo lanciata, quando torna, perché si tratti di un tumore. E poi, è una ragazza fondamentalmente allegra. È anche vero che piange facilmente, ma, di base, ha un carattere giocoso, vivace.
-Magari vuole distanziarsene il più possibile.
-Vero anche questo. Ma il fisico dovrebbe risentirne, almeno un po'. - Poi ricordò un dettaglio. - In effetti, ultimamente era dimagrita molto. Mi ha detto di aver esagerato con la dieta.
Camilla lo fissò.
-Già – mormorò Emanuele, come in trance – pillole... dimagrita... assenze lunghe... Cristo. E se fossi completamente fuori strada? E se esagerasse con droga e alcool per dimenticare che ha una malattia grave?
-Possibile. Molto probabile. Ma, Ema, perché non te ne accerti di persona?
-Prego?
-Perché non vai a casa sua con la scusa di portarle i compiti e non cerchi d'indagare un po'?
-Perché...
In effetti, non aveva alcun motivo. Fissò Camilla con aria sperduta. Lei scoppiò a ridere.
-Che faccia mi fai? Su, non è difficile. Chiedi l'indirizzo alla segretaria, dille che vuoi avere un colloquio urgente con la famiglia e vai. Ricordati di portarglieli davvero i compiti, però.
-E se i genitori non volessero ricevermi?
-E tu non avvisarli. Presentati lì con la faccia di tolla e fai un bel sorriso. Magari si arrabbieranno, ma intanto sarai entrato in casa loro.
-Sei malefica. Ma amo questo tuo essere malefica – asserì, poi l'afferrò per un polso e se la portò tra le braccia. Un ago invisibile gli punse il cuore e gli fece un male terribile, ma lui finse di non sentirlo e si concentrò sul profumo dei capelli di Camilla.
Dimenticherò, dimenticherò, si disse. Riavrò quello che mi hai rubato. E avrò la vita felice per la quale finora ho combattuto.

-La ringrazio, Annalisa. Buona giornata, arrivederci; e grazie ancora per il suo prezioso aiuto.
Sfoderò un sorriso smagliante e se ne andò agitando la mano. La segretaria era sopra i cinquanta, era bruttina ed era sicuramente poco simpatica, per cui era raro che qualcuno, specialmente un bell'uomo, fosse tanto mieloso con lei.
Emanuele l'aveva fatto per arrivare a Bianca e sperava che Annalisa tenesse la bocca chiusa con la preside; non proprio corretto, certo, ma, in un mondo dove nessuno si preoccupava degli altri, iniziava a chiedersi perché avrebbe dovuto continuare a farlo soltanto lui.
Ora che aveva questa possibilità tra le mani, si sentiva più tranquillo: la lezione fu pacifica, specialmente perché Bianca non c'era e la classe non veniva costantemente agitata da litigi e atti osceni in luogo pubblico. Sentì qualche commento sull'assenza prolungata di “quella troia slabbrata della Ferreri”, ma questo fu quanto; per una volta, poté tornare a casa quasi riposato, confrontando la giornata alla solita routine.
Bianca viveva in un quartiere di Padova, nella prima periferia. Lo raggiunse facilmente con una ventina di minuti di autobus; ebbe qualche difficoltà nel trovare la via, perché Google Maps non era sempre precisissimo e lui non aveva potuto stampare il percorso, ma con l'aiuto di qualche passante riuscì ad arrivare al palazzo giallo chiaro in cui viveva l'alunna più chiacchierata dell'istituto. Fortunatamente, una signora stava uscendo con un barboncino al guinzaglio, e lo lasciò entrare con un sorriso. Emanuele rispose al sorriso, cercando di sembrare disinvolto; salutò la signora, ringraziò e salì le scale. Il condominio contava quattro piani e Bianca viveva proprio all'ultimo; fu quando arrivò col fiato corto sul pianerottolo che, avvicinandosi al campanello, iniziò a sentire delle voci concitate.
All'inizio le sentì in lontananza, probabilmente perché la scena si stava svolgendo in qualche stanza lontana dall'ingresso; ma in capo a pochi secondi si avvicinarono, ed Emanuele, sgomento, udì dei tonfi e una voce maschile che urlava bestemmie ed insulti.
-Tu devi fare quello che ti diciamo noi, hai capito?! - udì distintamente. Poi un altro tonfo. Un urlo di Bianca. Un altro tonfo ancora. - Alzati!
Subito!
-Va' via! Via! - strillò la voce tremante di Bianca - Stammi lontano!
-Smettila di fare queste scene – sbraitò suo padre – bu-hu-hu, a piagnucolare e tremare per farmi sembrare un mostro!
Alzati!
-Vai VIA! - gridò di nuovo lei, col terrore nella voce.
Emanuele sentì il rumore di un altro colpo. Poi Bianca urlò ancora.
-Mamma, aiuto! - la sentì urlare disperata, e poi tossì. - Mollami!
Mamma!
Si udirono altri colpi, questa volta contro una parete. Bianca piangeva, suo padre le diceva che era una testa di cazzo e la madre, ovunque fosse, taceva.
Iniziò a sudare. Questo non era assolutamente previsto. Assolutamente, no, non era previsto. Bianca era la cattiva del suo cast, lei doveva essere condannata, non salvata. E adesso? Cosa poteva fare?
-Vaffanculo, porco D*o – sentì bofonchiare, e poi udì una porta che sbatteva. Ci fu qualche attimo di silenzio, poi una voce di donna che conosceva piuttosto bene intervenne freddamente.
-E sappi che d'ora in poi ti sogni di uscire o che ti diamo ancora la paghetta – proclamò.
Poi, uno scalpiccio nervoso e infine il silenzio.
Rimase lì, di fronte al campanello, indeciso sul da farsi. Se avesse suonato in quel momento, sarebbe stato chiaro che aveva sentito tutto. Decise di aspettare qualche minuto; tirò fuori il libro che aveva nella ventiquattrore e, dopo tre pagine e mezza, in cui sentì la televisione accendersi e diffondere nell'aria voci di tronisti e pretendenti, decise che aveva aspettato abbastanza. Prese un respiro profondo e suonò il campanello.
Dei passi veloci si diressero verso la porta. Sentì il rumore dello spioncino che veniva aperto. Subito dopo, due giri di chiave, e il volto sorridente della signora Milanesi.
-Buongiorno, professor... Vettorel, giusto?
-Buongiorno – tentò di sorridere – spero di non disturbare.
-Ma no, certo che no, abbiamo appena finito di pranzare. E poi io questo pomeriggio sono a casa. Ma prego, si accomodi, non stia lì sulla porta – si scostò per farlo entrare, sempre sorridendo, e gli indicò il grande divano a ferro di cavallo. Bianca non c'era.
-Amore – chiamò, in direzione del reparto notte – c'è il professore di Bianca.
-Sì – sentì arrivare una voce piuttosto tranquilla da qualche camera più in là.
-Allora – la donna catturò subito la sua attenzione – mi dica. C'è qualche problema? Non doveva scomodarsi a venire qui, avrei potuto benissimo venire io.
-Non si preoccupi, non è un problema. Dato che l'ho già disturbata poco tempo fa, questa volta vengo anche per conto degli altri professori.
-C'è qualche problema...?
Ma perché quella donna era sempre convinta che sua figlia causasse problemi...? D'accordo, era vero, ma perché continuava ad accusarla, in continuazione?
-Nessun problema, signora, sono venuta a portarle i compiti di questa settimana e a portarle il programma per i prossimi giorni. Mi hanno avvertito che sarà assente per un po' di tempo, quindi...
-Certo. La ringrazio, lei è troppo gentile. Sarei venuta io stessa.
-Non si preoccupi, davvero.
-No, davvero, posso sempre trovare il tempo, se si tratta dell'istruzione di Bianca. La prossima volta non si faccia problemi a chiamarmi.
Cosa stava cercando di fare? Dimostrargli che lei poteva fare tutto: stare dietro a una casa, a una famiglia distrutta, a un lavoro di responsabilità e anche agli impegni scolastici di sua figlia? Oppure voleva semplicemente che se ne stesse alla larga e che li lasciasse litigare senza freni, in modo da non dover far finta che tutto fosse a posto davanti a un estraneo quando in realtà avevano appena dato una perfetta dimostrazione di quanto due persone potessero essere negate per il mestiere di genitore? Questo pensava Emanuele; in realtà, però, disse tutt'altro.
-D'accordo, se lei mi assicura che non le creo un disturbo, allora mi rivolgerò a lei.
-Non ci vado in quel posto – sentirono un urlo soffocato. Poi l'inequivocabile rumore di un ceffone. - No! - Bianca strillò di nuovo. Udirono qualche colpo contro il muro, poi si sentì mugugnare qualcosa. Infine ci fu il silenzio.
-Se vuole consegnarmi il materiale – la signora Milanesi gli sorrise affabilmente – lo farò avere a Bianca appena starà bene. Ma non si preoccupi; contiamo di mandarla a scuola domani stesso.
-Bene, allora. Be', è stato un piacere rivederla – Emanuele le porse la mano; aveva ragionato che sarebbe stato meno imbarazzante per entrambi se lui se ne fosse andato.
Lei la strinse tranquilla; il suo volto non tradiva alcuna gratitudine per il gesto. Era come se non li avesse nemmeno sentiti.
-Arrivederci, professore. La ringrazio infinitamente della sua preoccupazione.
-Si figuri, se non mi preoccupo per i miei studenti migliori, per chi sennò?
Sorrisero entrambi; Emanuele sperò che almeno questa frase le avrebbe risparmiato qualche sberla.
Non intendeva però rinunciare ad ascoltare la lite; camminò quindi fino alle scale e finse di scenderle, rumorosamente. Si accertò di essere fuori dal campo visivo dello spioncino. Si sedette e rimase seduto finché non ricominciò a sentire qualche voce; evidentemente, la signora Milanesi aveva già calcolato la possibilità che lui si appostasse fuori ad origliare.
Poi sentì di nuovo delle voci echeggiare dal soggiorno.
-Devi sempre farci fare queste figure di merda?! - stavolta era sua madre – Possibile che tu sia così
stupida?
-Lascia perdere – abbaiò suo padre – quando una è deficiente, cos'altro puoi aspettarti? Testa di cazzo. Cristo; sparisci, perché se mi resti sotto gli occhi... - Emanuele, da fuori, avvertì il gorgogliare crescente della rabbia tra i denti stretti di quell'uomo. Sentì i piccoli passi leggeri di Bianca dirigersi da qualche altra parte. Poi, il rumore di un tavolino di cristallo che veniva preso a pugni, la signora Milanesi che protestava, e il signor Ferreri che replicava che era Bianca a portarlo a quel punto, e che se avesse potuto ammazzarla l'avrebbe fatto seduta stante.
Si affrettò a uscire da quel palazzo e quando fu fuori, nonostante il traffico e lo smog, prese una grossa boccata d'aria, come se fosse stato in apnea per troppo tempo.

Camilla ascoltò il suo racconto in silenzio, e, quand'ebbe finito, abbassò gli occhi.
-Capisci, io... non so se il padre fosse ubriaco, o cosa. Non sembrava. Ma sembrava pazzo, dal modo in cui le parlava. Ho pensato per un attimo che l'avrebbe uccisa davvero.
-L'hai visto in faccia?
-No, non l'ho visto. Non ho visto nemmeno Bianca. Li ho sentiti litigare dalle altre stanze, ma nemmeno lei sembrava molto in sé.
-Era drogata...?
-No, sembrava più in stato di shock. Credo sia normale, quando ti aggrediscono a quel modo.
-Secondo te succede spesso....?
-Non lo so, dovrò chiederglielo. Anche se preferirei evitare di parlarle, per la verità.
Camilla lo guardò, interrogativa. Emanuele impallidì; aveva dimenticato che lei non sapeva.
-Sai... a volte preferirei non essere coinvolto fino a questo punto. Vorrei essere come Leandro, fregarmene dei miei studenti e farmi la mia vita incurante di quello che loro pensano di me.
-Non ce la faresti mai. Sei troppo diverso da lui. Tu, per gli altri, ti preoccupi; è il motivo per cui mi piaci così tanto. Sei una delle ultime persone buone rimaste al mondo.
-Non credo – mormorò, cupo – forse, sono solo schiavo dell'opinione altrui. E non mi va di fare la parte del cattivo. Eccolo, il segreto della mia presunta bontà.
-Non è vero. Nessuno ti biasimerebbe se tu ignorassi quella ragazza. Anzi, probabilmente riceveresti l'approvazione generale.
-Della gente sbagliata, però – sospirò lui – di quella più sbagliata. Eppure, sono sempre la maggioranza. Gli stronzi, dico. Sono sempre in vantaggio numerico.
-Perché essere buoni e comprensivi è più difficile che essere ciechi e pieni di pregiudizi.
-Dici? Eppure, alla resa dei conti, la persona corretta con la coscienza pulita può camminare a testa alta e senza interrompersi. Lo stronzo, invece, deve prendersi tutte le sue responsabilità di fronte al mondo.
-La cosa sarebbe bilanciata se ci fosse mai, una resa dei conti. Invece non c'è. Quindi tutte le signore Milanesi e i Leandri di questo mondo continueranno ad andare avanti senza preoccuparsi degli altri, mentre quelli come te sono destinati a sentire il peso di tutti i fardelli di cui si caricano.
-Spero proprio di no – mormorò, poi si coprì gli occhi con una mano.
Se solo avesse potuto parlare. Se solo avesse potuto parlarne con qualcuno.

-Ah, bentornata, Ferreri – esclamò Cappelletto – dai, vieni qui a sederti vicino a me.
Emanuele stava per riprenderlo, ma non ce ne fu bisogno. Lentamente, Bianca si diresse verso il suo banco, senza una parola. Si sedette pesantemente. Voltò lo sguardo verso il cortile e non diede cenno di volersene staccare.
-Ohi... Bianca. Bianca! Cagami. Ohi!
Ma lei non rispondeva. Muta e immobile, continuò a osservare gli alberi spogli e il cielo grigio davanti a lei. Cappelletto si voltò verso Emanuele.
-Prof, non le piaccio più – gemette, sconsolato.
-Be', si potrebbe obiettare che i tuoi modi non sono dei più galanti, Cappelletto.
-E perché? Le ho chiesto di sedersi con me, mica di farmi... vabé, ci siamo capiti, prof.
-Si vede che non le interessi, può capitare. Mettiti il cuore in pace.
-Ecco – sospirò lui – usato e poi abbandonato. Sempre così.
-Ha usato anche te? - intervenne il suo compagno di banco – Ferreri, cos'è, fai la collezione? Quando arrivi a venti ti danno il premio?
-Seeh, venti; nell'ultima settimana, forse – fece una ragazza dall'altra parte della classe; lo disse a voce abbastanza alta perché lo sentissero tutti. Molti risero. Alcuni semplicemente se ne fregavano.
Tra questi ultimi, comunque, c'era Bianca stessa. Non si voltò e non si mosse di un millimetro; continuò a fissare fuori dalla finestra, ingobbita sul banco, con le braccia conserte sul ventre. L'unico movimento che fece, per tutta l'ora, fu quello di sbattere le ciglia.
Quel giorno l'ora era dedicata alla spiegazione, ed Emanuele non poté guardarla con un po' d'attenzione. Fu solo quando suonò la campanella che si permise un'occhiata veloce al suo viso; sotto quel pagliaio di capelli rossi, gli sembrò di notare un'ombra sul suo occhio sinistro.
Non poté accertarsene; poteva soltanto sperare che lei venisse a chiamarlo a ricreazione, ma ci sperava poco. E infatti lei non venne. Quando passò per il controllo delle aule in terza A, la trovò dentro, sola, che continuava a fissare il cortile, ora zeppo di studenti.
Si avvicinò; prese la sedia davanti al suo banco e si sedette. La guardò meglio. Non si era sbagliato; sull'occhio aveva il segno piuttosto evidente di una botta, e le labbra erano un po' rotte.
-È stato lui? - le chiese, con gentilezza. Lei annuì impercettibilmente. - Te ne ha fatti degli altri? - Lei annuì ancora, ma si girò ancora di più verso la finestra. Le toccò un piccolo avambraccio. - Me li fai vedere, Bianca?
Lei si girò verso di lui e afferrò un lembo della vasta scollatura. Scoprì la spalla e riuscì a mostrare metà braccio; c'erano i segni blu e neri di cinque dita che l'avevano afferrata con violenza. Emanuele, atterrito, li sfiorò. Lei si ritrasse.
-Ti ho fatto male? - chiese, preoccupato. Ma lei scosse la testa.
Poi gli diede la schiena, e gli fece cenno di alzare il maglioncino. Dopo essersi guardato attorno per un attimo, eseguì; notò diverse botte sparse, alcune lungo la colonna vertebrale.
-Ce ne sono altre?
Lei fece un cenno d'assenso.
-Cosa ti ha fatto, Bianca...?
La sua espressione si fece sofferente. Fu solo una sfumatura, ma Emanuele la colse. E iniziò a soffrire anche lui.
-Andiamo da un'altra parte, per favore. Voglio parlarti in privato. Senti; io ho ancora la quarta ora, qui, e poi torno a casa. Tu nel frattempo firma un permesso d'uscita falso e vieni fuori. Ti aspetto alla Feltrinelli a mezzogiorno, ok?
Lei annuì ancora, ad occhi bassi, così piano che le chiese di nuovo 'ok?' e lei annuì con un po' più di vigore.
-A dopo, allora. Cerca...
Lei lo guardò. Cerca di fare cosa? Non c'era molto che potesse fare.
-Niente. Mi dispiace. Mi dispiace davvero.
Si allontanò sentendo il suo sguardo penetrante e stanco nella schiena.

A mezzogiorno, quando arrivò alla Feltrinelli, Bianca era già lì. Si era seduta sulla base di una statua poco distante, con uno sguardo buio che non le aveva mai visto.
-Già qui? - la chiamò, con un sorriso. Lei non rispose; fece per alzarsi, ma a metà fece una smorfia e si portò una mano sul fondo della schiena. - Ti fa male? - le chiese. Lei annuì. - Come hai fatto a farti male lì?
-Tirata per terra – mormorò lei, con un soffio di voce talmente sottile che dovette chinarsi vicino alla sua bocca per capire cosa stesse dicendo.
Emanuele si rabbuiò. Con quanta forza doveva averla tirata per terra, per arrivare a farle prendere una tale botta all'osso sacro?
-Comunque andiamo – concluse, mettendole una mano sulla schiena. Lei non reagì – dobbiamo arrivare fino alla stazione dei treni. Poi ti porto a casa in macchina.
Mandò un sms a Camilla in cui le spiegava che doveva parlare con Bianca, perché era piena di lividi, e che preferiva rimanere solo con lei. Camilla rispose che non c'era problema. Emanuele non si sentiva in colpa, perché sapeva che non sarebbe successo nulla. Non sarebbe potuto, con Bianca in quelle condizioni, né lui ne aveva la benché minima intenzione.

Bianca tacque per tutto il tragitto. Fino alla stazione, in treno, fino a casa sua. Rimase totalmente in silenzio e ad Emanuele andò bene così, perché non avrebbe davvero saputo cosa dirle. Si limitò ad aprire un libro e a leggerlo finché non dovettero scendere.
Era strano vederla senza la sua consueta spinta vitale; non si guardava attorno, non parlava, non cercava di catturare la sua attenzione. Se ne stava ad occhi bassi con espressione cupa e sembrava che il solo fatto di respirare e mantenersi in piedi le pesasse enormemente.
-Ti piace la mia casa? - buttò lì, tanto per rompere il silenzio. Bianca annuì. - A te piace leggere, no? Guarda se trovi qualche libro che ti interessa, nel frattempo metto su da mangiare.
-Non si disturbi per me, grazie.
-Come, no? È già l'una. Avrai fame.
-Davvero, no.
-Hai deciso di perdere altri dieci chili...?
-No. È solo che non ho fame. Non ho voglia, tutto qui.
Emanuele la guardò.
-Grazie lo stesso – precisò lei, poi si rivolse verso uno degli innumerevoli scaffali di casa sua.
Lui e Camilla l'avevano progettata in modo che quasi tutte le pareti della casa fossero ricoperte da scaffali pieni di volumi, dischi e dvd. Entrambi aborrivano l'idea delle mensole coperte da soprammobili; li ritenevano inutili e per di più fastidiosi, perché poi andavano spolverati e nessuno dei due ne aveva il tempo. Mentre le librerie erano chiuse da sportelli scorrevoli e contenevano i loro tesori più preziosi.
-Ti piacciono i manga? Ce n'è uno scaffale pieno, in corridoio.
Stava per dire che “Camilla” ne aveva uno scaffale pieno, ma si era trattenuto in tempo. I loro scaffali erano l'uno di fronte all'altro: i manga di Camilla e i comics di Emanuele. Gli Ultimates versus Versailles no Bara. E, in camera loro, avevano un mobiletto solo per le Action Figures.
-Non sono un'appassionata – rispose fiaccamente Bianca – ma in effetti contavo di farmi una cultura al riguardo, prima o poi.
-Guarda pure tutto quello che vuoi – l'assicurò – non farti riguardi. Se ti piace qualcosa, prendilo pure.
-Ok, grazie.
La lasciò vagolare per la casa mentre metteva a bollire l'acqua per una pastasciutta. Poi, mentre cercava il pomodoro, si accorse che Camilla aveva lasciato in frigo del cibo già pronto, con un biglietto che diceva “Devi solo riscaldarlo! Un bacio!”.
Emanuele sospirò.
Gettò l'acqua nel lavello e scaldò il risotto e le bistecche; ma non chiamò Bianca, perché voleva godersi qualche attimo di solitudine. Fu lei a tornare, cinque minuti dopo, mentre apparecchiava la tavola, con in mano un libro di Kundera.
-Lei ha una bellissima libreria – mormorò – davvero. Da grande, vorrei averne una uguale.
-Tu ce l'hai, la tua libreria?
-Sì, ce l'ho una libreria, ma non ci sta più niente, e così mia madre mi costringe a mettere i libri negli scatoloni e a riporli in soffitta o in garage.
-Mah – commentò Emanuele, con una smorfia. I libri per lui erano sacri, e anche per Bianca, ne era certo. Il disprezzo di sua madre per quanto era caro a sua figlia era evidente.
-Preferisce che ci siano foto di quand'ero piccola e pupazzi – continuò lei, inaspettatamente – cose che a me non interessano per niente. Ogni volta le dico di toglierli per fare spazio ai libri, ma non c'è verso.
Si imponeva esattamente come faceva in ufficio, pensò Emanuele. Non era difficile credere che la figlia smaniasse per la libertà; la madre non intendeva concedergliene per nessun motivo e, per giunta, era ben determinata a non lasciarla crescere, a partire dagli scaffali con i pelouches in camera sua.
-Mi dispiace – riprese Emanuele – davvero. Dev'essere dura vivere in quella famiglia.
Bianca alzò le spalle.
-Ci si fa l'abitudine. Si fa l'abitudine a tutto – spiegò, atona.
-Perché non me ne hai mai parlato? Avrei potuto aiutarti.
-No, non avrebbe potuto.
-Beh, ci avrei provato.
-Provare è inutile. Riuscirci invece è impossibile.
-Non essere così pessimista. Se ne parlassimo agli altri insegnanti, magari...
-No! - lo interruppe, agitata – No, assolutamente. Non voglio che lo sappiano. Non voglio sguardi di compassione, la prego di non farlo.
-Ma nessuno prova compassione. Vedi, noi...
-E invece sì che la provate. A partire da lei. Dubito molto che mi avrebbe parlato, se non avesse sentito quella scena in casa mia. Dica la verità: lei ce l'ha a morte con me, per quello che è successo. Ma se mi ignorasse dopo aver sentito quello che ha sentito non potrebbe più vestire i panni della giustizia, e a lei costerebbe troppo rinunciare al ruolo dell'eroe buono.
Arrossì, Il problema di Bianca era che era intelligente, e che capiva fin troppo.
O forse che era sempre, costantemente pronta a vedere il lato molliccio, miserabile, egoista – e quindi umano – delle cose.
-Io sono solo preoccupato per te – si difese Emanuele, senza guardarla negli occhi.
-Certo, lo so. Sono tutti preoccupati per me, quelli che non mi disprezzano. State lì a scrutare le mie espressioni aspettando che cambino ancora, sperando che un giorno io vi riveli chissà quale segreto dietro il mio comportamento scandaloso. Se metteste in gabbia una cavietta e vi raggruppaste attorno a lei per osservare le sue abitudini e farne relazione, sarebbe esattamente la stessa cosa. Perché non vi comprate un topolino e lasciate in pace me?
-Bianca, cos'hai? Perché ti comporti così?
-Perché sono così seccata, mi chiede? Perché non cerco di compiacerla? Perché non sono allegra e spigliata e innamorata come al solito? Perché lei mi tratta come un esperimento, professore; è come aggiungere una sostanza a un miscuglio nella provetta aspettando di vedere se esplode. Be', mi tratti da essere umano, professore, e forse poi tornerò ad essere come le piace ricordarmi.
-Non volevo darti una simile impressione.
-Certo che non voleva darmela, non è mica stupido. Lei voleva darmi l'impressione di essere in pensiero per me nonostante tutte le mie malefatte. Che eroe. Ma mi dispiace, conosco troppi stronzi a questo mondo per credere che la gente sia davvero mossa dalla bontà. Egoismo e gloria personale, ecco da cosa siamo mossi tutti quanti; e lei non fa eccezione, per quanto le piaccia crederlo.
Emanuele abbassò lo sguardo, cupo. Sperò che avesse finito; ma non era così.
-Mi dispiace distruggere la colonna sulla quale si reggeva la sua coscienza, ma lei non è diverso dagli altri. Non so perché mi ero illusa come una ragazzina, in merito. Che stronzate. Non c'è nessuno diverso dagli altri, neanche uno, neanche una persona in tutto il globo terracqueo.
Decise di sorvolare sul fatto che lei era una ragazzina. Provò a cambiare discorso.
-Bianca, è perché tuo padre ti picchia, che ti comporti così...?
Bianca trasalì. Si riprese, e poi lo fissò con odio.
-Certo, mio padre mi picchia e io la do a tutti. Mi sembra una conseguenza alquanto logica e naturale. - Assottigliò gli occhi. - Ma come le viene in mente? Dico, perché deve applicare su di me la sua psicologia da quattro soldi? Sta cercando di capire qual è il bottone che hanno premuto quando ho iniziato a fare sesso? Non è questo, professore. Non cerchi di darci a tutti i costi un motivo. E se anche ci fosse, io non glielo direi, perché non ho intenzione di lasciare che lei si lavi la coscienza a questo modo e che torni a recitare la parte del paladino.
-Bianca, tu ti sbagli. Io mi preoccupo davvero, per te.
-Balle, nessuno si preoccupa né per me né per nessun altro. Ma è già meglio rispetto alle mie abitudini, sa? Di solito, quando metto in fila più di quattro parole, i miei iniziano a dirmi che il mio è solo un bla bla bla di paroloni messi a caso e che solo perché so fare i giri di parole non vuol dire che io abbia ragione.
-Perché lo fai?
-Cosa?
-Perché vai con tutte quelle persone?
-Oh, santo Dio, prof! Insiste? Le è mai capitato, non so, di mangiare un sacco di cioccolata? Semplicemente perché le piace?
-Mi piace la cioccolata, ma non ne mangerei mai una tavoletta al giorno. Perché fa male.
-Beh, il sesso non fa male, quindi fine del discorso.
-Stai facendo la bambina.
-E lei sta facendo l'impiccione.
Rimase spiazzato. Quella era una nuova Bianca che non conosceva. Antipatica, scazzata e delusa.
Dov'era finita quella ragazza sempre sorridente e vivace?
-Lo fa spesso? - le chiese.
-Cosa?
-Alzare le mani.
-Direi di sì.
-E ti capita spesso di avere tutti quei lividi?
-Beh, sì.
-Perché non lo denunci?
-Perché – sembrò esasperata – mio padre mi odierebbe, mia madre mi odierebbe, tutti i parenti mi odierebbero e mi farebbero passare l'inferno.
-Mi sembra che tu l'inferno lo stia già passando.
-Per qualche calcio ogni tanto? Si figuri. Poi passa.
-Ti ha presa a calci?
-Sì, e anche a pugni. L'ultima volta, quando c'era lei, mi ha sbattuto la testa contro il pavimento. Anche contro il muro; mi aveva alzata per aria stringendomi per il collo.
C'erano ancora i segni delle dita sul suo collo.
-Cos'altro ti ha fatto...?
-Ieri? Nient'altro.
-E le volte prima?
-Mah. A volte mi ha presa a bastonate in testa. Schiaffi. Cose così. Non ha un repertorio molto vario.
-Bianca, tu dovresti denunciarlo. Nessuno ti odierà. Tu hai il diritto di vivere tranquilla.
-Mi hanno sempre detto che se ne avessi parlato con qualcuno avrebbero certamente dato ragione a mio padre, perché io ero cattiva e mi meritavo qualunque cosa. In fondo, non mi ha mai spezzato un braccio o fatto sanguinare.
-Ma non ha importanza! Sono violenze su minore!
-Sono solo botte. Tutti i bambini le prendono dai genitori, è una cosa normale.
-Bianca, mia madre e mio padre non hanno mai alzato un dito su di me. E neanche i genitori di Camilla. E neanche moltissimi genitori che conosco.
-Be', perché voi siete due santarellini del cazzo che non gliene danno motivo. Io li faccio arrabbiare, quindi loro reagiscono.
-Ma non è modo di reagire!
-Sì, che lo è. Me l'hanno sempre detto che anche gli altri genitori fanno così. Anche le mie amiche si prendono uno schiaffo quando fanno arrabbiare i loro genitori.
-Ma Bianca, uno schiaffo è un altro discorso! Non voglio dire che sia d'accordo, ma è tutta un'altra storia.
-Senta – concluse, stanca di discutere – le cose stanno a questo modo. Va bene? Per me è meglio così, piuttosto che denunciare mio padre, perdere la causa e subire le sue vendettine del cazzo vita natural durante. Avessi una gamba rotta dalla mia parte, forse avrei qualche speranza – anche se, come controparte, avrei l'odio sempiterno di tutta la mia famiglia. Ma ho solo qualche livido. Non è abbastanza per cancellarlo dalla mia vita per sempre, e, per inciso, se se ne andasse rimarrei con mia madre da sola, e mi creda, è qualcosa che non augurerei a nessuno.
Stava per dirle “Bianca, scappa” ma non poteva. Aveva solo sedici anni, e, ne avesse avuti anche diciotto, non era niente che potesse fare in quattro e quattr'otto.
-Lo vede? - lei alzò le spalle – Non può farci niente. La prossima volta mi dà retta, quando le dico di non fare il buon samaritano?
-No.
Bianca sembrò spiazzata.
-Cosa vuol dire, no?
-Vuol dire no. Vuol dire che ti dimostrerò che al mondo esistono ancora persone mosse semplicemente dall'affetto per un'altra persona, e che di conseguenza s'incazzano se qualcuno le fa del male. Niente gloria personale né coscienza, Bianca. La coscienza non si lava con così poco, non funziona a sostituzione. I tuoi peccati rimangono i tuoi peccati anche se fai cento buone azioni. Se fosse così facile, andrei a dare un euro a un mendicante, invece che star dietro alla testa assurda di una ragazzina impossibile.
Lei guardò fuori dalla finestra con aria malinconica.
-Che c'è? Non mi credi?
Bianca abbassò il capo e chiuse gli occhi. Sospirò.
-Siamo capaci di convincerci di così tante assurdità, pur di pensare che siamo almeno un po' importanti per qualcuno – mormorò, con un tono tanto malinconico che Emanuele si sentì stringere il cuore.
-Cosa devo fare, perché tu ci creda?
-Mi porti indietro nel tempo. Mi riporti a quand'ero piccola, così piccola che non parlavo e non capivo quando mi parlavano. E mi porti a vivere in un altro posto, con altra gente, gente che magari mi vuole bene e riesce a donarmi quell'illusione fondamentale che al mondo esista quella cosa chiamata amore. Non m'importa se non esiste davvero. Ma vorrei avere avuto anch'io, come tanti altri, il diritto di credere a questa favola.
Emanuele abbassò la testa sul piatto. Sentire queste parole dalla bocca di una sedicenne era troppo per quello a cui l'avevano preparato alla SSIS.
No, non era questo che si era immaginato.
-Cosa vuoi fare? - le chiese.
-Nel senso?
-Tornare a casa, rimanere qui... devi vederti con qualcuno?
-No, se non voglio.
-E lo vuoi?
-No.
-Cosa vorresti?
-Vorrei essere capace di crederci come fa lei. Vorrei avere la sua fiducia e, chiamiamola, la sua capacità di illudersi, perché lei sarà anche un illuso, ma vedo che è felice, nel suo mondo d'illusioni. Vorrei non aver capito troppo presto. Dopo, magari. Quando tutto è comunque già finito.
-Mi hai detto che non posso fare niente in questo senso.
-Lo so. Ma speravo che insistesse. Che mi dicesse che si poteva, che ce l'avrebbe fatta. Speravo mi rassicurasse dicendomi che tutto sarebbe andato bene, perché lei era adulto e ne sapeva più di me, speravo che lei s'intestardisse e m'impedisse di continuare a blaterare che non esiste il lieto fine.
-Ma Bianca – si esasperò – che cosa vuoi, da me? Che creda alla tua versione, o che continui a credere nella mia?
-Vorrei che non lo chiedesse a me – sospirò lei – vorrei che lo sapesse già e che fosse lei a dirmelo. Pensavo che lei avesse risposte e una morale incrollabile.
-Bianca...
Sentì una strana angoscia salirgli al petto.
-Potrei dormire un po'? Sono davvero stanca. Ah, e non si preoccupi, se non mi ha convinta. Non ci speravo poi così tanto.
-Mettiti pure sul divano, vado a prenderti una coperta.
Andò su a prenderle la coperta, e rovistò a lungo nel guardaroba in solaio.
In realtà la coperta era dritta davanti a lui. Fu lì che affondò il volto quando dei singhiozzi inspiegabili iniziarono a scuotergli la gola e a incendiargli gli occhi con lacrime roventi.







(Nda: ç_ç povero, povero Ema. Povero, povero.
Dunque! In risposta alle vostre recensioni...
Pnin: Il verbo scavallare esiste XD il programma non me lo segna errore, comunque, anche non fosse esistito, ci stava bene e rendeva l'idea, quindi sarebbe rimasto là comunque XD.
Quanto a Ema, però, vorrei dire una cosa ''XD ragazzi, solo perché non si scopa spensieratamente una sedicenne non significa che il suo sia “buonismo senza capo né coda”, significa che ha una morale e un certo rispetto della legge, nonché del suo ruolo d'insegnante. Sarebbe da condannare, se si comportasse altrimenti da come ha fatto. Vorrei dire qualcosa in più al riguardo ma sarei costretta a fare degli spoiler, per cui per ora mi fermo qui; sicuramente approfondirò il discorso quando vi avrò fornito degli altri elementi per valutare la sua condotta, o magari alla fine della storia :).
Baby_Birba: tranquilla, so che non hai recensito per una buona causa – la tua media scolastica XD – quindi sei perdonata XD. Non posso dirti molto al riguardo di Bianca, perché altrimenti i prossimi capitoli li scriverei per niente XD comunque che beva molto è vero, lo ammette lei stessa, sicuramente ha dei problemi di alcoolismo.
Terrò presente – e anzi ti ringrazio di avermelo fatto notare – la questione dell'aspetto fisico dei personaggi, in effetti è vero, rispetto alle mie altre storie ne ho parlato ben poco. Cercherò di essere più esauriente su questo punto :) grazie ancora per la precisazione ^_^.
Infine, un grazie a
CTA (:* ci vediamo sabato ^.^!), Piaciuque (purtroppo non posso fare spoiler XD lo saprai leggendo!) e Stregatta (wow, sono felice che Bianca piaccia ^.^ pare che sia riuscita a renderla come volevo io, il tuo commento mi fa un grande piacere ^_^!)
E con questo vi auguro una buona settimana! As usual, fatemi sapere se c'è qualcosa che non vi torna o qualche errore... ci tengo a migliorare :)!
Al prossimo capitolo ^_^!)

  
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