Bianca
quel giorno era assente.
Rimase assente quasi una settimana e la
classe era in fibrillazione, quando finalmente la preside si decise a
parlare direttamente con la famiglia. Poi convocò gli
insegnanti, ed
Emanuele perse ancora una volta la sua ora di ricevimento a causa di
Bianca.
Sedette sulla comoda poltrona di pelle di fronte a
Giovanna. Lei, tacchettando sulle sue décolletés
di Gucci, si
sedette dopo aver accomodato il soprabito sull'attaccapanni.
-Mi
scusi se la costringo a rinunciare alla sua ora –
esordì,
poggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita delle mani
–
purtroppo, questa faccenda sta iniziando ad assumere proporzioni
piuttosto notevoli.
-Già.
Bianca aveva parlato? Aveva rivelato
tutto ai suoi genitori? Stava per essere licenziato e
incarcerato?
-Mi è stato comunicato che Bianca rimarrà assente
ancora per un po' di tempo. Purtroppo non si tratterà di
qualche
giorno, mi hanno detto che rimarrà assente per un mese e
forse
più.
-D'accordo. Non c'è problema, Bianca è sempre
stata brava
nella mia materia; oltretutto il trimestre è appena
iniziato, e nel
mezzo ci sono le vacanze di Natale.
-So che è una delle nostre
studentesse migliori – osservò Giovanna,
riordinando alcuni
fascicoli sulla scrivania – sono certa che saprà
recuperare.
La
questione sembrava chiusa, per la preside. Ma Emanuele, nonostante
tutto, voleva saperne di più.
-Preside... - azzardò, guardando
le mani di lei e la fede di Bulgari sull'anulare sinistro –
una
sola cosa. Come posso giustificare ai compagni assenze tanto
prolungate e consecutive l'una all'altra?
-Oh beh – fece lei,
con la sua consueta calma – non devi giustificare proprio
nulla con
nessuno, Emanuele, tantomeno con dei ragazzini.
-Lei... lei sa il
perché?
-So qualcosa – fu la risposta, il cui tono aveva un che
di conclusivo – ma non abbastanza, e ritengo che voi
insegnanti
possiate continuare a svolgere il vostro lavoro con gli elementi che
già avete. Bianca ritornerà e intelligente
com'è sono certa che
manterrà la sua media al solito livello.
-Senza dubbio – fece
Emanuele, sollevato di non essere stato convocato per motivi ben
più
gravi – bene, terrò presente la sua assenza.
Farò in modo di
farle comunque avere il materiale.
-La ringrazio molto –
Giovanna sorrise e gli porse la mano – bene, la ringrazio del
suo
tempo, e mi scusi ancora. Arrivederci, Emanuele, buona giornata.
-A
lei – strinse la mano magra e fredda di Giovanna, fece un
sorriso
di circostanza ed uscì dall'ufficio.
-Mariolina,
buongiorno.
-Buongiorno, Emanuele – lo guardò, e il suo
sguardo
diceva tutto. Voleva venirne a capo anche lei.
-Non lo so –
rispose, sconsolato – non so nulla. Credo che anche la
preside
sappia ben poco.
Lei scosse la testa.
-Qualcosa dev'esserci.
Abbiamo il diritto di sapere se una nostra alunna è ammalata
o ha un
problema, oppure no? Come possiamo avvicinarci a lei nel modo giusto,
se non conosciamo il motivo di queste assenze?
Alzò le spalle,
strinse le labbra e sospirò. Mariolina lo guardò,
partecipe, ed
annuì.
-Speriamo sia tutto a posto – fece, preoccupata, poi gli
toccò una spalla – scappo, che ho la quarta C.
Buon lavoro,
Emanuele.
-Anche a te.
Durante la giornata incrociò Antonella,
che gli lanciò uno sguardo significativo. Trovò
anche Sonia per le
scale, ma lei non disse nulla; il suo sguardo penetrante poteva
significare miliardi di cose, ma raramente lei parlava degli affari
degli altri. Tuttavia, sapeva che doveva essere profondamente
preoccupata per Bianca.
Quanto a lui, era perplesso. Assenze molto
lunghe, e ricorrenti nel tempo. Eppure, ogni volta che tornava, era
vispa come l'ultima volta che l'aveva vista.
Quella sera,
nonostante avrebbe preferito dimenticarsi di quella ragazzina, ne
parlò con Camilla. Quel mistero gli permetteva di sviare la
mente da
quello che era successo il giorno prima, e, anche se a scuola gli era
parso di allontanarsene, era successo tutto in un tempo terribilmente
vicino. Meno di ventiquattr'ore, nei fatti.
-Non saprei cosa
pensare – era l'opinione di Camilla – dovresti
parlare coi
genitori, ma mi hai appena detto che hanno chiamato loro stessi, ed
evidentemente non vogliono sbottonarsi più di
così.
-Puoi
soltanto andare per ipotesi – ragionò Emanuele,
pensieroso – e
la mia ipotesi è che quella ragazzina si droghi. Una volta
mi ha
confessato che si porta a scuola la vodka per calmarsi, e un'altra
volta l'ho trovata che ingoiava delle pastiglie. A me ha detto che
era la pillola anticoncezionale, ma ci ho francamente creduto poco.
Spesso si esalta, inizia a parlare a raffica, a non stare mai ferma.
E, in generale, in classe è sempre su di giri.
-E la madre non
sa.
-Non sa, o finge di non sapere; chissà. Probabilmente la
madre la trascura e lei cerca le sue attenzioni.
-Oppure cerca di
distanziarsi dall'ambiente familiare tramite lo stordimento che le
dà
la droga.
-So solo che non ha un comportamento normale. Voglio
dire; è sempre faticoso tenerla tranquilla,
perché è una ragazzina
vivace, e purtroppo incanala la sua vivacità nelle, diciamo,
pubbliche relazioni. Ma ci sono momenti in cui sembra che non ragioni
su quello che dice. E diventa iperattiva. Poi la vedo con le
pastiglie in mano, e non me le vuole mostrare. Cosa dovrei
pensare?
-Nulla – Camilla scosse la testa – non dovresti
pensare nulla. Credo che questa sia la strada giusta.
-Ma allora
le assenze? - insistette Emanuele – Quelle, come le
giustifichi?
Non ne so molto di droga, ma un down dura qualche ora. Non un mese e
mezzo.
-Non lo so, Ema. Non saprei giustificarle nemmeno io.
Potrei solo pensare che la droga abbia avuto effetti distruttivi,
perché, in effetti, se guardi i tossicodipendenti puoi
vedere che
qualche cellula del cervello si è bruciata. Ma, in tal caso,
dovrebbe essere rovinata vita natural durante, quindi non
sussiste.
-Salute cagionevole?
-Non ne ho idea. Non conosco
Bianca. Sua madre, poi, è inafferrabile; in ufficio
è come al
solito. Forse non è successo nulla di particolare, magari
è
ammalata.
-Tanto mistero per una malattia...?
-Non sappiamo di
che malattia si tratta, in fondo. Magari è grave, magari
è un
tumore e lei deve passare periodi lunghi in ospedale.
-Non so. La
vedo troppo lanciata, quando torna, perché si tratti di un
tumore. E
poi, è una ragazza fondamentalmente allegra. È
anche vero che
piange facilmente, ma, di base, ha un carattere giocoso,
vivace.
-Magari vuole distanziarsene il più possibile.
-Vero
anche questo. Ma il fisico dovrebbe risentirne, almeno un po'. - Poi
ricordò un dettaglio. - In effetti, ultimamente era
dimagrita molto.
Mi ha detto di aver esagerato con la dieta.
Camilla lo fissò.
-Già
– mormorò Emanuele, come in trance –
pillole... dimagrita...
assenze lunghe... Cristo. E se fossi completamente fuori strada? E se
esagerasse con droga e alcool per dimenticare che ha una malattia
grave?
-Possibile. Molto probabile. Ma, Ema, perché non te ne
accerti di persona?
-Prego?
-Perché non vai a casa sua con la
scusa di portarle i compiti e non cerchi d'indagare un
po'?
-Perché...
In effetti, non aveva alcun motivo. Fissò
Camilla con aria sperduta. Lei scoppiò a ridere.
-Che faccia mi
fai? Su, non è difficile. Chiedi l'indirizzo alla
segretaria, dille
che vuoi avere un colloquio urgente con la famiglia e vai. Ricordati
di portarglieli davvero i compiti, però.
-E se i genitori non
volessero ricevermi?
-E tu non avvisarli. Presentati lì con la
faccia di tolla e fai un bel sorriso. Magari si arrabbieranno, ma
intanto sarai entrato in casa loro.
-Sei malefica. Ma amo questo
tuo essere malefica – asserì, poi
l'afferrò per un polso e se la
portò tra le braccia. Un ago invisibile gli punse il cuore e
gli
fece un male terribile, ma lui finse di non sentirlo e si
concentrò
sul profumo dei capelli di Camilla.
Dimenticherò,
dimenticherò,
si disse. Riavrò
quello che mi hai rubato. E avrò la vita felice per la quale
finora
ho combattuto.
-La ringrazio,
Annalisa. Buona giornata, arrivederci; e grazie ancora per il suo
prezioso aiuto.
Sfoderò un sorriso smagliante e se ne andò
agitando la mano. La segretaria era sopra i cinquanta, era bruttina
ed era sicuramente poco simpatica, per cui era raro che qualcuno,
specialmente un bell'uomo, fosse tanto mieloso con lei.
Emanuele
l'aveva fatto per arrivare a Bianca e sperava che Annalisa tenesse la
bocca chiusa con la preside; non proprio corretto, certo, ma, in un
mondo dove nessuno si preoccupava degli altri, iniziava a chiedersi
perché avrebbe dovuto continuare a farlo soltanto lui.
Ora che
aveva questa possibilità tra le mani, si sentiva
più tranquillo: la
lezione fu pacifica, specialmente perché Bianca non c'era e
la
classe non veniva costantemente agitata da litigi e atti osceni in
luogo pubblico. Sentì qualche commento sull'assenza
prolungata di
“quella troia slabbrata della Ferreri”, ma questo
fu quanto; per
una volta, poté tornare a casa quasi riposato, confrontando
la
giornata alla solita routine.
Bianca viveva in un quartiere di
Padova, nella prima periferia. Lo raggiunse facilmente con una
ventina di minuti di autobus; ebbe qualche difficoltà nel
trovare la
via, perché Google Maps non era sempre precisissimo e lui
non aveva
potuto stampare il percorso, ma con l'aiuto di qualche passante
riuscì ad arrivare al palazzo giallo chiaro in cui viveva
l'alunna
più chiacchierata dell'istituto. Fortunatamente, una signora
stava
uscendo con un barboncino al guinzaglio, e lo lasciò entrare
con un
sorriso. Emanuele rispose al sorriso, cercando di sembrare
disinvolto; salutò la signora, ringraziò e
salì le scale. Il
condominio contava quattro piani e Bianca viveva proprio all'ultimo;
fu quando arrivò col fiato corto sul pianerottolo che,
avvicinandosi
al campanello, iniziò a sentire delle voci concitate.
All'inizio
le sentì in lontananza, probabilmente perché la
scena si stava
svolgendo in qualche stanza lontana dall'ingresso; ma in capo a pochi
secondi si avvicinarono, ed Emanuele, sgomento, udì dei
tonfi e una
voce maschile che urlava bestemmie ed insulti.
-Tu devi fare
quello che ti diciamo noi, hai capito?! - udì distintamente.
Poi un
altro tonfo. Un urlo di Bianca. Un altro tonfo ancora. - Alzati!
Subito!
-Va' via!
Via! - strillò la voce tremante di Bianca - Stammi
lontano!
-Smettila di fare queste scene – sbraitò suo padre
–
bu-hu-hu, a piagnucolare e tremare per farmi sembrare un mostro!
Alzati!
-Vai VIA! -
gridò di nuovo lei, col terrore nella voce.
Emanuele sentì il
rumore di un altro colpo. Poi Bianca urlò ancora.
-Mamma, aiuto!
- la sentì urlare disperata, e poi tossì. -
Mollami! Mamma!
Si
udirono altri colpi, questa volta contro una parete. Bianca piangeva,
suo padre le diceva che era una testa di cazzo e la madre, ovunque
fosse, taceva.
Iniziò a sudare. Questo non era assolutamente
previsto. Assolutamente, no, non era previsto. Bianca era la cattiva
del suo cast, lei doveva essere condannata, non salvata. E adesso?
Cosa poteva fare?
-Vaffanculo, porco D*o – sentì bofonchiare, e
poi udì una porta che sbatteva. Ci fu qualche attimo di
silenzio,
poi una voce di donna che conosceva piuttosto bene intervenne
freddamente.
-E sappi che d'ora in poi ti sogni di uscire o che ti
diamo ancora la paghetta – proclamò.
Poi, uno scalpiccio
nervoso e infine il silenzio.
Rimase lì, di fronte al campanello,
indeciso sul da farsi. Se avesse suonato in quel momento, sarebbe
stato chiaro che aveva sentito tutto. Decise di aspettare qualche
minuto; tirò fuori il libro che aveva nella ventiquattrore
e, dopo
tre pagine e mezza, in cui sentì la televisione accendersi e
diffondere nell'aria voci di tronisti e pretendenti, decise che aveva
aspettato abbastanza. Prese un respiro profondo e suonò il
campanello.
Dei passi veloci si diressero verso la porta. Sentì
il rumore dello spioncino che veniva aperto. Subito dopo, due giri di
chiave, e il volto sorridente della signora Milanesi.
-Buongiorno,
professor... Vettorel, giusto?
-Buongiorno – tentò di sorridere
– spero di non disturbare.
-Ma no, certo che no, abbiamo appena
finito di pranzare. E poi io questo pomeriggio sono a casa. Ma prego,
si accomodi, non stia lì sulla porta – si
scostò per farlo
entrare, sempre sorridendo, e gli indicò il grande divano a
ferro di
cavallo. Bianca non c'era.
-Amore – chiamò, in direzione del
reparto notte – c'è il professore di Bianca.
-Sì – sentì
arrivare una voce piuttosto tranquilla da qualche camera più
in
là.
-Allora – la donna catturò subito la sua
attenzione – mi
dica. C'è qualche problema? Non doveva scomodarsi a venire
qui,
avrei potuto benissimo venire io.
-Non si preoccupi, non è un
problema. Dato che l'ho già disturbata poco tempo fa, questa
volta
vengo anche per conto degli altri professori.
-C'è qualche
problema...?
Ma perché quella donna era sempre convinta che sua
figlia causasse problemi...? D'accordo, era vero, ma perché
continuava ad accusarla, in continuazione?
-Nessun problema,
signora, sono venuta a portarle i compiti di questa settimana e a
portarle il programma per i prossimi giorni. Mi hanno avvertito che
sarà assente per un po' di tempo, quindi...
-Certo. La ringrazio,
lei è troppo gentile. Sarei venuta io stessa.
-Non si preoccupi,
davvero.
-No, davvero, posso sempre trovare il tempo, se si tratta
dell'istruzione di Bianca. La prossima volta non si faccia problemi a
chiamarmi.
Cosa stava cercando di fare? Dimostrargli che lei
poteva fare tutto: stare dietro a una casa, a una famiglia distrutta,
a un lavoro di responsabilità e anche agli impegni
scolastici di sua
figlia? Oppure voleva semplicemente che se ne stesse alla larga e che
li lasciasse litigare senza freni, in modo da non dover far finta che
tutto fosse a posto davanti a un estraneo quando in realtà
avevano
appena dato una perfetta dimostrazione di quanto due persone
potessero essere negate per il mestiere di genitore? Questo pensava
Emanuele; in realtà, però, disse tutt'altro.
-D'accordo, se lei
mi assicura che non le creo un disturbo, allora mi rivolgerò
a
lei.
-Non ci vado in quel posto – sentirono un urlo soffocato.
Poi l'inequivocabile rumore di un ceffone. - No! - Bianca
strillò di
nuovo. Udirono qualche colpo contro il muro, poi si sentì
mugugnare
qualcosa. Infine ci fu il silenzio.
-Se vuole consegnarmi il
materiale – la signora Milanesi gli sorrise affabilmente
– lo
farò avere a Bianca appena starà bene. Ma non si
preoccupi;
contiamo di mandarla a scuola domani stesso.
-Bene, allora. Be', è
stato un piacere rivederla – Emanuele le porse la mano; aveva
ragionato che sarebbe stato meno imbarazzante per entrambi se lui se
ne fosse andato.
Lei la strinse tranquilla; il suo volto non
tradiva alcuna gratitudine per il gesto. Era come se non li avesse
nemmeno sentiti.
-Arrivederci, professore. La ringrazio
infinitamente della sua preoccupazione.
-Si figuri, se non mi
preoccupo per i miei studenti migliori, per chi sennò?
Sorrisero
entrambi; Emanuele sperò che almeno questa frase le avrebbe
risparmiato qualche sberla.
Non intendeva però rinunciare ad
ascoltare la lite; camminò quindi fino alle scale e finse di
scenderle, rumorosamente. Si accertò di essere fuori dal
campo
visivo dello spioncino. Si sedette e rimase seduto finché
non
ricominciò a sentire qualche voce; evidentemente, la signora
Milanesi aveva già calcolato la possibilità che
lui si appostasse
fuori ad origliare.
Poi sentì di nuovo delle voci echeggiare dal
soggiorno.
-Devi sempre farci fare queste figure di merda?! -
stavolta era sua madre – Possibile che tu sia così
stupida?
-Lascia
perdere – abbaiò suo padre – quando una
è deficiente, cos'altro
puoi aspettarti? Testa di cazzo. Cristo; sparisci, perché se
mi
resti sotto gli occhi... - Emanuele, da fuori, avvertì il
gorgogliare crescente della rabbia tra i denti stretti di quell'uomo.
Sentì i piccoli passi leggeri di Bianca dirigersi da qualche
altra
parte. Poi, il rumore di un tavolino di cristallo che veniva preso a
pugni, la signora Milanesi che protestava, e il signor Ferreri che
replicava che era Bianca a portarlo a quel punto, e che se avesse
potuto ammazzarla l'avrebbe fatto seduta stante.
Si affrettò a
uscire da quel palazzo e quando fu fuori, nonostante il traffico e lo
smog, prese una grossa boccata d'aria, come se fosse stato in apnea
per troppo tempo.
Camilla ascoltò il suo racconto in
silenzio, e, quand'ebbe finito, abbassò gli occhi.
-Capisci,
io... non so se il padre fosse ubriaco, o cosa. Non sembrava. Ma
sembrava pazzo, dal modo in cui le parlava. Ho pensato per un attimo
che l'avrebbe uccisa davvero.
-L'hai visto in faccia?
-No, non
l'ho visto. Non ho visto nemmeno Bianca. Li ho sentiti litigare dalle
altre stanze, ma nemmeno lei sembrava molto in sé.
-Era
drogata...?
-No, sembrava più in stato di shock. Credo sia
normale, quando ti aggrediscono a quel modo.
-Secondo te succede
spesso....?
-Non lo so, dovrò chiederglielo. Anche se preferirei
evitare di parlarle, per la verità.
Camilla lo guardò,
interrogativa. Emanuele impallidì; aveva dimenticato che lei
non
sapeva.
-Sai... a volte preferirei non essere coinvolto fino a
questo punto. Vorrei essere come Leandro, fregarmene dei miei
studenti e farmi la mia vita incurante di quello che loro pensano di
me.
-Non ce la faresti mai. Sei troppo diverso da lui. Tu, per gli
altri, ti preoccupi; è il motivo per cui mi piaci
così tanto. Sei
una delle ultime persone buone rimaste al mondo.
-Non credo –
mormorò, cupo – forse, sono solo schiavo
dell'opinione altrui. E
non mi va di fare la parte del cattivo. Eccolo, il segreto della mia
presunta bontà.
-Non è vero. Nessuno ti biasimerebbe se tu
ignorassi quella ragazza. Anzi, probabilmente riceveresti
l'approvazione generale.
-Della gente sbagliata, però – sospirò
lui – di quella più sbagliata. Eppure, sono sempre
la maggioranza.
Gli stronzi, dico. Sono sempre in vantaggio numerico.
-Perché
essere buoni e comprensivi è più difficile che
essere ciechi e
pieni di pregiudizi.
-Dici? Eppure, alla resa dei conti, la
persona corretta con la coscienza pulita può camminare a
testa alta
e senza interrompersi. Lo stronzo, invece, deve prendersi tutte le
sue responsabilità di fronte al mondo.
-La cosa sarebbe
bilanciata se ci fosse mai, una resa dei conti. Invece non
c'è.
Quindi tutte le signore Milanesi e i Leandri di questo mondo
continueranno ad andare avanti senza preoccuparsi degli altri, mentre
quelli come te sono destinati a sentire il peso di tutti i fardelli
di cui si caricano.
-Spero proprio di no – mormorò, poi si
coprì gli occhi con una mano.
Se solo avesse potuto parlare. Se
solo avesse potuto parlarne con qualcuno.
-Ah, bentornata,
Ferreri – esclamò Cappelletto – dai,
vieni qui a sederti vicino
a me.
Emanuele stava per riprenderlo, ma non ce ne fu bisogno.
Lentamente, Bianca si diresse verso il suo banco, senza una parola.
Si sedette pesantemente. Voltò lo sguardo verso il cortile e
non
diede cenno di volersene staccare.
-Ohi... Bianca. Bianca! Cagami.
Ohi!
Ma lei non rispondeva. Muta e immobile, continuò a osservare
gli alberi spogli e il cielo grigio davanti a lei. Cappelletto si
voltò verso Emanuele.
-Prof, non le piaccio più – gemette,
sconsolato.
-Be', si potrebbe obiettare che i tuoi modi non sono
dei più galanti, Cappelletto.
-E perché? Le ho chiesto di
sedersi con me, mica di farmi... vabé, ci siamo capiti, prof.
-Si
vede che non le interessi, può capitare. Mettiti il cuore in
pace.
-Ecco – sospirò lui – usato e poi
abbandonato. Sempre
così.
-Ha usato anche te? - intervenne il suo compagno di banco –
Ferreri, cos'è, fai la collezione? Quando arrivi a venti ti
danno il
premio?
-Seeh, venti; nell'ultima settimana, forse – fece una
ragazza dall'altra parte della classe; lo disse a voce abbastanza
alta perché lo sentissero tutti. Molti risero. Alcuni
semplicemente
se ne fregavano.
Tra questi ultimi, comunque, c'era Bianca stessa.
Non si voltò e non si mosse di un millimetro;
continuò a fissare
fuori dalla finestra, ingobbita sul banco, con le braccia conserte
sul ventre. L'unico movimento che fece, per tutta l'ora, fu quello di
sbattere le ciglia.
Quel giorno l'ora era dedicata alla
spiegazione, ed Emanuele non poté guardarla con un po'
d'attenzione.
Fu solo quando suonò la campanella che si permise
un'occhiata veloce
al suo viso; sotto quel pagliaio di capelli rossi, gli
sembrò di
notare un'ombra sul suo occhio sinistro.
Non poté accertarsene;
poteva soltanto sperare che lei venisse a chiamarlo a ricreazione, ma
ci sperava poco. E infatti lei non venne. Quando passò per
il
controllo delle aule in terza A, la trovò dentro, sola, che
continuava a fissare il cortile, ora zeppo di studenti.
Si
avvicinò; prese la sedia davanti al suo banco e si sedette.
La
guardò meglio. Non si era sbagliato; sull'occhio aveva il
segno
piuttosto evidente di una botta, e le labbra erano un po' rotte.
-È
stato lui? - le chiese, con gentilezza. Lei annuì
impercettibilmente. - Te ne ha fatti degli altri? - Lei
annuì
ancora, ma si girò ancora di più verso la
finestra. Le toccò un
piccolo avambraccio. - Me li fai vedere, Bianca?
Lei si girò
verso di lui e afferrò un lembo della vasta scollatura.
Scoprì la
spalla e riuscì a mostrare metà braccio; c'erano
i segni blu e neri
di cinque dita che l'avevano afferrata con violenza. Emanuele,
atterrito, li sfiorò. Lei si ritrasse.
-Ti ho fatto male? -
chiese, preoccupato. Ma lei scosse la testa.
Poi gli diede la
schiena, e gli fece cenno di alzare il maglioncino. Dopo essersi
guardato attorno per un attimo, eseguì; notò
diverse botte sparse,
alcune lungo la colonna vertebrale.
-Ce ne sono altre?
Lei fece
un cenno d'assenso.
-Cosa ti ha fatto, Bianca...?
La sua
espressione si fece sofferente. Fu solo una sfumatura, ma Emanuele la
colse. E iniziò a soffrire anche lui.
-Andiamo da un'altra parte,
per favore. Voglio parlarti in privato. Senti; io ho ancora la quarta
ora, qui, e poi torno a casa. Tu nel frattempo firma un permesso
d'uscita falso e vieni fuori. Ti aspetto alla Feltrinelli a
mezzogiorno, ok?
Lei annuì ancora, ad occhi bassi, così piano
che le chiese di nuovo 'ok?' e lei annuì con un po'
più di
vigore.
-A dopo, allora. Cerca...
Lei lo guardò. Cerca di fare
cosa? Non c'era molto che potesse fare.
-Niente. Mi dispiace. Mi
dispiace davvero.
Si allontanò sentendo il suo sguardo penetrante
e stanco nella schiena.
A mezzogiorno, quando arrivò alla
Feltrinelli, Bianca era già lì. Si era seduta
sulla base di una
statua poco distante, con uno sguardo buio che non le aveva mai
visto.
-Già qui? - la chiamò, con un sorriso. Lei non
rispose;
fece per alzarsi, ma a metà fece una smorfia e si
portò una mano
sul fondo della schiena. - Ti fa male? - le chiese. Lei
annuì. -
Come hai fatto a farti male lì?
-Tirata per terra – mormorò
lei, con un soffio di voce talmente sottile che dovette chinarsi
vicino alla sua bocca per capire cosa stesse dicendo.
Emanuele si
rabbuiò. Con quanta forza doveva averla tirata per terra,
per
arrivare a farle prendere una tale botta all'osso sacro?
-Comunque
andiamo – concluse, mettendole una mano sulla schiena. Lei
non
reagì – dobbiamo arrivare fino alla stazione dei
treni. Poi ti
porto a casa in macchina.
Mandò un sms a Camilla in cui le
spiegava che doveva parlare con Bianca, perché era piena di
lividi,
e che preferiva rimanere solo con lei. Camilla rispose che non c'era
problema. Emanuele non si sentiva in colpa, perché sapeva
che non
sarebbe successo nulla. Non sarebbe potuto, con Bianca in quelle
condizioni, né lui ne aveva la benché minima
intenzione.
Bianca
tacque per tutto il tragitto. Fino alla stazione, in treno, fino a
casa sua. Rimase totalmente in silenzio e ad Emanuele andò
bene
così, perché non avrebbe davvero saputo cosa
dirle. Si limitò ad
aprire un libro e a leggerlo finché non dovettero scendere.
Era
strano vederla senza la sua consueta spinta vitale; non si guardava
attorno, non parlava, non cercava di catturare la sua attenzione. Se
ne stava ad occhi bassi con espressione cupa e sembrava che il solo
fatto di respirare e mantenersi in piedi le pesasse enormemente.
-Ti
piace la mia casa? - buttò lì, tanto per rompere
il silenzio.
Bianca annuì. - A te piace leggere, no? Guarda se trovi
qualche
libro che ti interessa, nel frattempo metto su da mangiare.
-Non
si disturbi per me, grazie.
-Come, no? È già l'una. Avrai
fame.
-Davvero, no.
-Hai deciso di perdere altri dieci
chili...?
-No. È solo che non ho fame. Non ho voglia, tutto
qui.
Emanuele la guardò.
-Grazie lo stesso – precisò lei,
poi si rivolse verso uno degli innumerevoli scaffali di casa sua.
Lui
e Camilla l'avevano progettata in modo che quasi tutte le pareti
della casa fossero ricoperte da scaffali pieni di volumi, dischi e
dvd. Entrambi aborrivano l'idea delle mensole coperte da
soprammobili; li ritenevano inutili e per di più fastidiosi,
perché
poi andavano spolverati e nessuno dei due ne aveva il tempo. Mentre
le librerie erano chiuse da sportelli scorrevoli e contenevano i loro
tesori più preziosi.
-Ti piacciono i manga? Ce n'è uno scaffale
pieno, in corridoio.
Stava per dire che “Camilla” ne aveva uno
scaffale pieno, ma si era trattenuto in tempo. I loro scaffali erano
l'uno di fronte all'altro: i manga di Camilla e i comics di Emanuele.
Gli Ultimates versus Versailles no Bara.
E, in camera
loro, avevano un mobiletto solo per le Action Figures.
-Non sono
un'appassionata – rispose fiaccamente Bianca – ma
in effetti
contavo di farmi una cultura al riguardo, prima o poi.
-Guarda
pure tutto quello che vuoi – l'assicurò
– non farti riguardi. Se
ti piace qualcosa, prendilo pure.
-Ok, grazie.
La lasciò
vagolare per la casa mentre metteva a bollire l'acqua per una
pastasciutta. Poi, mentre cercava il pomodoro, si accorse che Camilla
aveva lasciato in frigo del cibo già pronto, con un
biglietto che
diceva “Devi solo riscaldarlo! Un bacio!”.
Emanuele
sospirò.
Gettò l'acqua nel lavello e scaldò il risotto e
le
bistecche; ma non chiamò Bianca, perché voleva
godersi qualche
attimo di solitudine. Fu lei a tornare, cinque minuti dopo, mentre
apparecchiava la tavola, con in mano un libro di Kundera.
-Lei ha
una bellissima libreria – mormorò –
davvero. Da grande, vorrei
averne una uguale.
-Tu ce l'hai, la tua libreria?
-Sì, ce l'ho
una libreria, ma non ci sta più niente, e così
mia madre mi
costringe a mettere i libri negli scatoloni e a riporli in soffitta o
in garage.
-Mah – commentò Emanuele, con una smorfia. I libri
per lui erano sacri, e anche per Bianca, ne era certo. Il disprezzo
di sua madre per quanto era caro a sua figlia era
evidente.
-Preferisce che ci siano foto di quand'ero piccola e
pupazzi – continuò lei, inaspettatamente
– cose che a me non
interessano per niente. Ogni volta le dico di toglierli per fare
spazio ai libri, ma non c'è verso.
Si imponeva esattamente come
faceva in ufficio, pensò Emanuele. Non era difficile credere
che la
figlia smaniasse per la libertà; la madre non intendeva
concedergliene per nessun motivo e, per giunta, era ben determinata a
non lasciarla crescere, a partire dagli scaffali con i pelouches
in camera sua.
-Mi dispiace – riprese Emanuele – davvero.
Dev'essere dura vivere in quella famiglia.
Bianca alzò le
spalle.
-Ci si fa l'abitudine. Si fa l'abitudine a tutto –
spiegò, atona.
-Perché non me ne hai mai parlato? Avrei potuto
aiutarti.
-No, non avrebbe potuto.
-Beh, ci avrei
provato.
-Provare è inutile. Riuscirci invece è
impossibile.
-Non essere così pessimista. Se ne parlassimo agli
altri insegnanti, magari...
-No! - lo interruppe, agitata – No,
assolutamente. Non voglio che lo sappiano. Non voglio sguardi di
compassione, la prego di non farlo.
-Ma nessuno prova compassione.
Vedi, noi...
-E invece sì che la provate. A partire da lei.
Dubito molto che mi avrebbe parlato, se non avesse sentito quella
scena in casa mia. Dica la verità: lei ce l'ha a
morte con
me, per quello che è successo. Ma se mi ignorasse dopo aver
sentito
quello che ha sentito non potrebbe più vestire i panni della
giustizia, e a lei costerebbe troppo rinunciare al ruolo dell'eroe
buono.
Arrossì,
Il problema di Bianca era che era intelligente, e che capiva fin
troppo.
O forse che era sempre, costantemente pronta a vedere il
lato molliccio, miserabile, egoista – e quindi umano
– delle
cose.
-Io sono solo preoccupato per te – si difese Emanuele,
senza guardarla negli occhi.
-Certo, lo so. Sono tutti
preoccupati per me, quelli che non mi disprezzano. State lì
a
scrutare le mie espressioni aspettando che cambino ancora, sperando
che un giorno io vi riveli chissà quale segreto dietro il
mio
comportamento scandaloso. Se metteste in gabbia una cavietta e vi
raggruppaste attorno a lei per osservare le sue abitudini e farne
relazione, sarebbe esattamente la stessa cosa. Perché non vi
comprate un topolino e lasciate in pace me?
-Bianca,
cos'hai? Perché ti comporti così?
-Perché sono così seccata,
mi chiede? Perché non cerco di compiacerla?
Perché non sono allegra
e spigliata e innamorata come al solito? Perché lei mi
tratta come
un esperimento, professore; è come aggiungere una sostanza a
un
miscuglio nella provetta aspettando di vedere se esplode. Be', mi
tratti da essere umano, professore, e forse poi tornerò ad
essere
come le piace ricordarmi.
-Non volevo darti una simile
impressione.
-Certo che non voleva darmela, non è mica stupido.
Lei voleva darmi l'impressione di essere in pensiero per me
nonostante tutte le mie malefatte. Che eroe. Ma mi dispiace, conosco
troppi stronzi a questo mondo per credere che la gente sia davvero
mossa dalla bontà. Egoismo e gloria personale, ecco da cosa
siamo
mossi tutti quanti; e lei non fa eccezione, per quanto le piaccia
crederlo.
Emanuele abbassò lo sguardo, cupo. Sperò che
avesse
finito; ma non era così.
-Mi dispiace distruggere la colonna
sulla quale si reggeva la sua coscienza, ma lei non è
diverso dagli
altri. Non so perché mi ero illusa come una ragazzina, in
merito.
Che stronzate. Non c'è nessuno diverso dagli altri, neanche
uno,
neanche una persona in tutto il globo terracqueo.
Decise di
sorvolare sul fatto che lei era una ragazzina.
Provò a
cambiare discorso.
-Bianca, è perché tuo padre ti picchia, che
ti comporti così...?
Bianca trasalì. Si riprese, e poi lo fissò
con odio.
-Certo,
mio padre mi picchia e io la do a tutti. Mi sembra una conseguenza
alquanto logica e naturale. - Assottigliò gli occhi. - Ma
come le
viene in mente? Dico, perché deve applicare su di me la sua
psicologia da quattro soldi? Sta cercando di capire qual è
il
bottone che hanno premuto quando ho iniziato a fare sesso? Non
è
questo, professore. Non cerchi di darci a tutti i costi un motivo. E
se anche ci fosse, io non glielo direi, perché non ho
intenzione di
lasciare che lei si lavi la coscienza a questo modo e che torni a
recitare la parte del paladino.
-Bianca, tu ti sbagli. Io mi
preoccupo davvero, per te.
-Balle, nessuno si preoccupa né per me
né per nessun altro. Ma è già meglio
rispetto alle mie abitudini,
sa? Di solito, quando metto in fila più di quattro parole, i
miei
iniziano a dirmi che il mio è solo un bla bla bla di
paroloni messi
a caso e che solo perché so fare i giri di parole non vuol
dire che
io abbia ragione.
-Perché lo fai?
-Cosa?
-Perché vai con
tutte quelle persone?
-Oh, santo Dio, prof! Insiste? Le è mai
capitato, non so, di mangiare un sacco di cioccolata? Semplicemente
perché le piace?
-Mi piace la cioccolata, ma non ne mangerei mai
una tavoletta al giorno. Perché fa male.
-Beh, il sesso non fa
male, quindi fine del discorso.
-Stai facendo la bambina.
-E
lei sta facendo l'impiccione.
Rimase spiazzato. Quella era una
nuova Bianca che non conosceva. Antipatica, scazzata e
delusa.
Dov'era finita quella ragazza sempre sorridente e
vivace?
-Lo fa spesso? - le chiese.
-Cosa?
-Alzare
le mani.
-Direi di sì.
-E ti capita spesso di avere tutti quei
lividi?
-Beh, sì.
-Perché non lo denunci?
-Perché –
sembrò esasperata – mio padre mi odierebbe, mia
madre mi
odierebbe, tutti i parenti mi odierebbero e mi farebbero passare
l'inferno.
-Mi sembra che tu l'inferno lo stia già passando.
-Per
qualche calcio ogni tanto? Si figuri. Poi passa.
-Ti ha presa a
calci?
-Sì, e anche a pugni. L'ultima volta, quando c'era lei, mi
ha sbattuto la testa contro il pavimento. Anche contro il muro; mi
aveva alzata per aria stringendomi per il collo.
C'erano ancora i
segni delle dita sul suo collo.
-Cos'altro ti ha fatto...?
-Ieri?
Nient'altro.
-E le volte prima?
-Mah. A volte mi ha presa a
bastonate in testa. Schiaffi. Cose così. Non ha un
repertorio molto
vario.
-Bianca, tu dovresti denunciarlo. Nessuno ti odierà. Tu
hai il diritto di vivere tranquilla.
-Mi hanno sempre detto che se
ne avessi parlato con qualcuno avrebbero certamente dato ragione a
mio padre, perché io ero cattiva e mi meritavo qualunque
cosa. In
fondo, non mi ha mai spezzato un braccio o fatto sanguinare.
-Ma
non ha importanza! Sono violenze su minore!
-Sono solo botte.
Tutti i bambini le prendono dai genitori, è una cosa
normale.
-Bianca, mia madre e mio padre non hanno mai alzato un
dito su di me. E neanche i genitori di Camilla. E neanche moltissimi
genitori che conosco.
-Be', perché voi siete due santarellini del
cazzo che non gliene danno motivo. Io li faccio arrabbiare, quindi
loro reagiscono.
-Ma non è modo di reagire!
-Sì, che lo è.
Me l'hanno sempre detto che anche gli altri genitori fanno
così.
Anche le mie amiche si prendono uno schiaffo quando fanno arrabbiare
i loro genitori.
-Ma Bianca, uno schiaffo è un altro discorso!
Non voglio dire che sia d'accordo, ma è tutta un'altra
storia.
-Senta – concluse, stanca di discutere – le cose
stanno a questo modo. Va bene? Per me è meglio
così, piuttosto che
denunciare mio padre, perdere la causa e subire le sue vendettine del
cazzo vita natural durante. Avessi una gamba rotta dalla mia parte,
forse avrei qualche speranza – anche se, come controparte,
avrei
l'odio sempiterno di tutta la mia famiglia. Ma ho solo qualche
livido. Non è abbastanza per cancellarlo dalla mia vita per
sempre,
e, per inciso, se se ne andasse rimarrei con mia madre da sola, e mi
creda, è qualcosa che non augurerei a nessuno.
Stava per dirle
“Bianca, scappa” ma non poteva. Aveva solo sedici
anni, e, ne
avesse avuti anche diciotto, non era niente che potesse fare in
quattro e quattr'otto.
-Lo vede? - lei alzò le spalle – Non
può
farci niente. La prossima volta mi dà retta, quando le dico
di non
fare il buon samaritano?
-No.
Bianca sembrò spiazzata.
-Cosa
vuol dire, no?
-Vuol dire no. Vuol dire che ti dimostrerò che al
mondo esistono ancora persone mosse semplicemente dall'affetto per
un'altra persona, e che di conseguenza s'incazzano se qualcuno le fa
del male. Niente gloria personale né coscienza, Bianca. La
coscienza
non si lava con così poco, non funziona a sostituzione. I
tuoi
peccati rimangono i tuoi peccati anche se fai cento buone azioni. Se
fosse così facile, andrei a dare un euro a un mendicante,
invece che
star dietro alla testa assurda di una ragazzina impossibile.
Lei
guardò fuori dalla finestra con aria malinconica.
-Che c'è? Non
mi credi?
Bianca abbassò il capo e chiuse gli occhi.
Sospirò.
-Siamo capaci di convincerci di così tante
assurdità,
pur di pensare che siamo almeno un po' importanti per qualcuno
–
mormorò, con un tono tanto malinconico che Emanuele si
sentì
stringere il cuore.
-Cosa devo fare, perché tu ci creda?
-Mi
porti indietro nel tempo. Mi riporti a quand'ero piccola,
così
piccola che non parlavo e non capivo quando mi parlavano. E mi porti
a vivere in un altro posto, con altra gente, gente che magari mi
vuole bene e riesce a donarmi quell'illusione fondamentale che al
mondo esista quella cosa chiamata amore. Non m'importa se non esiste
davvero. Ma vorrei avere avuto anch'io, come tanti altri, il diritto
di credere a questa favola.
Emanuele abbassò la testa sul piatto.
Sentire queste parole dalla bocca di una sedicenne era troppo per
quello a cui l'avevano preparato alla SSIS.
No, non era questo che
si era immaginato.
-Cosa vuoi fare? - le chiese.
-Nel
senso?
-Tornare a casa, rimanere qui... devi vederti con
qualcuno?
-No, se non voglio.
-E lo vuoi?
-No.
-Cosa
vorresti?
-Vorrei essere capace di crederci come fa lei. Vorrei
avere la sua fiducia e, chiamiamola, la sua capacità di
illudersi,
perché lei sarà anche un illuso, ma vedo che
è felice, nel suo
mondo d'illusioni. Vorrei non aver capito troppo presto. Dopo,
magari. Quando tutto è comunque già finito.
-Mi hai detto che
non posso fare niente in questo senso.
-Lo so. Ma speravo che
insistesse. Che mi dicesse che si poteva, che ce l'avrebbe fatta.
Speravo mi rassicurasse dicendomi che tutto sarebbe andato bene,
perché lei era adulto e ne sapeva più di me,
speravo che lei
s'intestardisse e m'impedisse di continuare a blaterare che non
esiste il lieto fine.
-Ma Bianca – si esasperò – che cosa
vuoi, da me? Che creda alla tua versione, o che continui a credere
nella mia?
-Vorrei che non lo chiedesse a me – sospirò lei
–
vorrei che lo sapesse già e che fosse lei a dirmelo. Pensavo
che lei
avesse risposte e una morale incrollabile.
-Bianca...
Sentì
una strana angoscia salirgli al petto.
-Potrei dormire un po'?
Sono davvero stanca. Ah, e non si preoccupi, se non mi ha convinta.
Non ci speravo poi così tanto.
-Mettiti pure sul divano, vado a
prenderti una coperta.
Andò su a prenderle la coperta, e rovistò
a lungo nel guardaroba in solaio.
In realtà la coperta era dritta
davanti a lui. Fu lì che affondò il volto quando
dei singhiozzi
inspiegabili iniziarono a scuotergli la gola e a incendiargli gli
occhi con lacrime roventi.
(Nda:
ç_ç povero, povero Ema. Povero, povero.
Dunque! In risposta alle
vostre recensioni...
Pnin:
Il verbo scavallare esiste XD il programma non me lo segna errore,
comunque, anche non fosse esistito, ci stava bene e rendeva l'idea,
quindi sarebbe rimasto là comunque XD.
Quanto a Ema, però,
vorrei dire una cosa ''XD ragazzi, solo perché non si scopa
spensieratamente una sedicenne non significa che il suo sia
“buonismo
senza capo né coda”, significa che ha una morale e
un certo
rispetto della legge, nonché del suo ruolo d'insegnante.
Sarebbe da
condannare, se si comportasse altrimenti da come ha fatto. Vorrei
dire qualcosa in più al riguardo ma sarei costretta a fare
degli
spoiler, per cui per ora mi fermo qui; sicuramente
approfondirò il
discorso quando vi avrò fornito degli altri elementi per
valutare la
sua condotta, o magari alla fine della storia :).
Baby_Birba:
tranquilla, so che non hai recensito per una buona causa – la
tua
media scolastica XD – quindi sei perdonata XD. Non posso
dirti
molto al riguardo di Bianca, perché altrimenti i prossimi
capitoli
li scriverei per niente XD comunque che beva molto è vero,
lo
ammette lei stessa, sicuramente ha dei problemi di alcoolismo.
Terrò
presente – e anzi ti ringrazio di avermelo fatto notare
– la
questione dell'aspetto fisico dei personaggi, in effetti è
vero,
rispetto alle mie altre storie ne ho parlato ben poco.
Cercherò di
essere più esauriente su questo punto :) grazie ancora per
la
precisazione ^_^.
Infine, un grazie a CTA
(:* ci vediamo sabato ^.^!), Piaciuque
(purtroppo non posso fare spoiler XD lo saprai leggendo!) e Stregatta
(wow, sono
felice che Bianca
piaccia ^.^ pare che sia riuscita a renderla come volevo io, il tuo
commento mi fa un grande piacere ^_^!)
E con questo vi auguro una
buona settimana! As usual, fatemi sapere se c'è qualcosa che
non vi
torna o qualche errore... ci tengo a migliorare :)!
Al prossimo
capitolo ^_^!)