16.
Non riuscì più a ignorare la luce che filtrava attraverso le
cortine e nemmeno il caldo che, sebbene non potesse essere poi così
tardi, era già opprimente. Si mise supina e si stiracchiò pigramente
finendo di scacciare gli ultimi residui di sonnolenza. Rotolò quindi
fuori dal letto e andò a farsi una rapida doccia fresca stando in piedi
nella grande vasca da bagno, cercando di ignorare i segnali che provenivano
dal suo stomaco. L'aveva decisamente maltrattato durante la sera precedente
saltando la cena e bevendo cocktail alcolici. Infatti dopo la serata
passata a ballare con Jerrylex aveva speso quella successiva con Ilah. La
ragazzina, in preda a uno dei suoi eccessi di cameratismo femminile,
si era lamentata del fatto che non erano mai uscite a fare baldoria
insieme. Così l'aveva accontentata, credendo da un lato di poter finalmente
instaurare un rapporto meno turbolento con la permalosa, volubile e
insolente ragazzina. Dall'altro temeva che quella vecchia volpe di
Jerrylex, andato in bianco la sera della festa in albergo, tornasse alla
carica con metodi un po' più spicci.
Una volta spalmata la pelle con l'indispensabile protezione solare,
indossò i suoi larghi pantaloncini al ginocchio e una comoda maglia senza
maniche, nera con gli orli bianchi e dalla scollatura quadrata forse un
po' troppo generosa. Si guardò allo specchio: si vedevano le spalline del
reggiseno e notò che la pelle si era arrossata per il sole, ma non
scurita. Pelle da astronauta, si disse. Non aveva bevuto molto: l'alcol
le aveva lasciato un brutto ricordo sul palato e null'altro. Decise
quindi di accontentare le richieste del suo stomaco e di andare a vedere
se era ancora aperta la sala da pranzo dell'albergo per fare colazione.
Aveva appena finito di mangiare quando un impiegato dell'albergo la
raggiunse e molto cortesemente le chiese, bisbigliando discretamente
anche se non c'era nessun altro nella sala da pranzo, di passare dalla
reception prima possibile. La cosa la insospettì: solitamente il personale
dell'albergo non faceva altro che sorriderle. Si alzò poco dopo e
abbandonata la sala da pranzo tristemente deserta si recò alla reception
dove l'attendeva il medesimo impiegato che era venuto a chiamarla. Questi
le porse una semplice busta di carta bianca, chiusa con la colla. Dovette
lacerarla per aprirla e la cosa le dispiacque un po': la carta vera,
bianca e spessa, ruvida al tatto era una delle cose che, abbandonata la
Terra per la vita sulle stazioni, aveva rimpianto di più. Le era sempre
piaciuta tantissimo fin da bambina quando riceveva fantasiosi e colorati
biglietti d'auguri per il suo compleanno.
Riconobbe subito la scrittura, sottile e obliqua: era il pugno di
Jerrylex. Generici saluti e al posto della firma due sole parole:
“non cercarmi”. Un po' minaccia, un po' richiesta: tipico di quell'individuo. Si
accorse che il biglietto, piegato a metà, era stato scritto anche
all'interno. C'erano delle istruzioni per il collegamento a una certa rete,
rese volutamente complicate poiché anche quelle erano state scritte a mano
e con indirizzi numerici al posto dei nomi. Ma non era quello a preoccuparla:
padroneggiava i computer abbastanza da sapere come venirne fuori. Chiese
all'impiegato dell'hotel se c'era un terminale per potersi collegare alla
Rete e quello la condusse in un locale apposito che era stato attrezzato
con computer e paraventi di paglia intrecciata che garantivano una certa
privacy. Anche lì non c'era nessuno oltre lei.
Si collegò dove richiesto e seguite le istruzioni comprese immediatamente
che aveva dato il via a una procedura di qualche genere. Non sapeva esattamente
cosa aveva lanciato: ogni tentativo di tracciare gli indirizzi un istante
dopo aver concluso la procedura non aveva prodotto risultati. Jerrylex,
pirata e criminale informatico aveva di certo colpito ancora. Miki si dette
della stupida: se si fosse trattato di una trappola, c'era cascata in pieno
come una dilettante. Fece qualche tentativo del tutto inutile e poi, per
non tornare nella hall col viso imporporato dalla vergogna, visitò qualche
sito di notizie nell'attesa che le passassero gli evidenti segni
dell'imbarazzo. Odiava sentirsi stupida: per la rabbia ondate di calore
la attraversavano e le prudeva perfino la nuca.
Stava per concludere il collegamento quando si rese conto di un messaggio i
ndirizzato a lei. Non era possibile risalire al mittente che aveva usato
un nome di fantasia, ma dal contenuto Miki capì che si trattava ancora di
lui. Con dei giri di parole la stava avvisando che la falsa identità che
la proteggeva non sarebbe durata ancora a lungo e che era una questione di
ore, non di giorni. In più quello era l'ultimo giorno di permanenza in
albergo, poiché i soldi versati in anticipo erano finiti. Se aveva intenzione
di fermarsi ancora, avrebbe dovuto farlo a spese sue.
Miki maledisse il pirata informatico un paio di volte, a denti stretti
anche se nessuno l'avrebbe sentita. D'istinto si collegò alla banca per
verificare quanti soldi le erano rimasti: aveva bisogno del denaro per
tornare su Apollo ed era pronta a scommettere che avrebbe dovuto fare da
balia anche a Ilah. Quando vide il saldo totale le mancò il fiato. C'erano
più di ventimila crediti. Una cifra enorme! Certo non proveniva
dall'altalenante reddito delle sirene telasiane: per mettere insieme una
cifra del genere avrebbe dovuto avere una percentuale sui ricavi di gran
lunga più elevata di quella che le era stata riconosciuta. Guardò i dettagli:
c'era un accredito di ventimila, tondi tondi, tutti in una volta. Il momento
dell'accredito sul suo conto era... cinque minuti prima. Appena
arrivati. Cominciò a capire cosa aveva combinato seguendo le istruzioni
di Jerrylex. Erano parte dei soldi del colpo che lui aveva fatto ai danni
della yakuza. Ebbe un brivido: sperò che quel vecchio bastardo sapesse
davvero bene il fatto suo e che quel denaro fosse davvero non rintracciabile,
altrimenti era già morta. Ma ventimila! Tutti per lei! Avrebbe pagato la
revisione al Coyote e ne sarebbero avanzati ancora. Una ragione di più per
partire immediatamente. Chiuse il collegamento cancellando le tracce
dell'utilizzo di quel terminale e corse a chiamare Ilah. Era ora di
tornare a casa.