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Autore: Kelian    18/10/2009    1 recensioni
Una notte di luna piena può trasformare la vita di una persona. Racconto breve scritto in prima persona.
Genere: Triste, Sovrannaturale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutta colpa della luna

 

Una sera ero sola, non sapevo cosa fare. Cosa puoi fare in una sera d’estate in un campo nella sterminata campagna? Mi stesi e guardai le stelle, cominciai a studiare le costellazioni; poi la vidi, là, tonda e luminosa, così grande seppur lontana…la luna, sogno di anime romantiche, dolce sfera che provoca insani disturbi negli esseri viventi.
Rimasi ammaliata da quella visione che in poco tempo aveva riempito il mio spazio visivo. Mille ricordi mi tornarono alla mente con mille emozioni e sentimenti di intensità sconfinata, mi sentì cambiare in modo indelebile; alla fine svenni.
Quando mi risvegliai era l’alba, il cielo era dipinto di viola e oro con qualche punta di blu e rosa, sembrava un dipinto di un pittore malinconico. Avevo freddo ed ero coperta dalla fresca rugiada della notte, in qualche modo riuscì ad arrivare a casa e appena mi stesi sul letto mi addormentai di colpo.
Aprì gli occhi, il sole entrava caldo dalla finestra aperta e una lama di luce illuminava mia madre addormentata al mio capezzale; appena mi mossi lei si svegliò di soprassalto e un sorriso più luminoso del sole comparve sul suo viso segnato dalla preoccupazione.
Mi disse piangendo ma ancora col sorriso sulle labbra che per due settimane non era riuscita a svegliarmi per quanto avesse provato, per quindici giorni una violenta febbre aveva attanagliato il mio corpo e nel mio delirio l’unica cosa che dicevo, urlavo, era : “La luna! La luna!”; la febbre alta era alternata a momenti in cui il mio corpo diventava di una temperatura glaciale, la pelle impallidiva, profonde occhiaie segnavano il mio viso mettendo in incredibile risalto le mie labbra divenute del colore del sangue.
Di quelle due settimane non ricordo nulla neppure adesso che ho passato mille avventure e parlato con centinaia di persone specialiste in quest’argomento prima che venissero da me uccise.
Da quel giorno, da quando mi svegliai, la mia vita cambiò radicalmente: il mio corpo, il mio carattere, la mia mente subirono trasformazioni che dentro di me sapevo irreversibili.
Di giorno facevo fatica a stare sveglia con la testa che ciondolava sui banchi di scuola e con il perenne intontimento della stanchezza che non mi dava pace, mentre di notte diventavo matta per riuscire a dormire, era come se appena arrivava l'oscurità il mio corpo si risvegliasse e riacquistasse energia. Non riuscivo più a tenere nulla nello stomaco, tutte le volte che mangiavo dovevo poi correre in bagno a vomitare e il mio corpo in questo stato stava deperendo in fretta.
Fui ricoverata in ospedale ma per quanto cercarono disperatamente una cura a questa misteriosa malattia, nulla sembrava funzionare e nel giro di un mese dal mio risveglio, io morii.
Aprì gli occhi ancora una volta e quello che vidi era il buio totale, li richiusi, mi sentì leggera come l’aria e quando li riaprì la mia amica luna mi stava guardando di profilo mentre una leggera brezza accarezzava il mio corpo emaciato.
Mi guardai intorno e vidi che mi trovavo in un cimitero, sentì i morsi morbosi della fame e subito l’immagine di mia madre si stagliò netta nella mia mente come una fotografia, così decisi che sarei andata da lei a saziare la mia fame.
Arrivai a casa mia, entrai di soppiatto, lei era li sul letto che dormiva, sugli occhi i segni del suo pianto appena spento e il suo corpo era ancora pervaso dagli spasmi provocati dal dolore della mia prematura perdita per colpa di quell’oscura malattia senza nome. Mi avvicinai piano a lei e le scoprì il collo sfiorandoglielo, era così caldo al tatto e potevo sentire la vita scorrerle sotto la pelle; ci appoggiai delicatamente la bocca là dove lo scorrere era più veloce, morsi delicatamente fino a che non sentì un sapore metallico in bocca e poi cominciai a bere il liquido caldo che usciva dalla ferita, il liquido che rinfrescava la mia gola riarsa, sentivo che la vita lasciava quel corpo ed entrava in me pian piano.
Lasciai mia madre morta dissanguata sul suo letto ma non una goccia di sangue era stata persa sulle lenzuola.
Voglio precisare che all’inizio di questa nuova vita agivo d’istinto, non sapevo chi ero né cosa facevo ma sapevo solo che avevo fame, rimanevano però i ricordi delle mie azioni e solo dopo molti decenni quando da bestia senza controllo cominciai a divenire più “umana” e passai in rassegna ciò che aveva immagazzinato la mia mente dalla mia nuova nascita capì cos’ero diventata: un vampiro.
Andavo avanti così per anni, dormendo di giorno e seguendo i morsi della fame di notte. Mia madre fu l’unica vittima che uccisi al primo incontro, con gli altri riuscì sempre a fermarmi per poi tornare in seguito quando i crampi allo stomaco chiedevano di essere placati.
Nel momento in cui presi coscienza di cos’ero diventata, cosa facevo e dovevo fare per sopravvivere, rimasi orripilata da me stessa ma ormai era diventata la mia natura, cercai comunque di non far più del male a nessuno, non andai più in cerca di sangue umano ma di quello animale e visto che abitavo in campagna ciò non mi creava grandi problemi ma il sangue animale non mi dava la stessa forza di quello umano così raramente andavo in cerca di persone ma senza provocare ai corpi gravi danni come facevo invece in passato.
Fu proprio una di queste rare volte, con la luna piena che mi sorrideva attorniata dalle sue onnipresenti ancelle, che entrai in una casa e vi trovai un ragazzo che aveva più o meno la stessa età che avevo quando risorsi a nuova vita, stava dormendo rannicchiato come un bambino piccolo che cerca protezione e una lama argentata gli illuminava il viso sereno mettendo in risalto le sfumature dorate dei suoi capelli.
Rimasi incantata a fissare quel ragazzo che sembrava così indifeso nella magia del sonno che a me era negato, per la prima volta provai tenerezza per una delle mie vittime e una mostruosa vergogna per quello che stavo facendo così scappai via dalla paura di queste nuove sensazioni e mi andai a rifugiare nel cimitero senza nemmeno mangiare, quel ragazzo mi aveva colpito profondamente.
La sera dopo quando mi svegliai il mio stomaco protestò fortemente attanagliato dai crampi della fame, andai in cerca di cibo nella sterminata campagna che circondava il cimitero e trovai un cervo solitario, mi avventai su di lui come una belva, agile come un gatto e scura come la notte.
Quando fui sazia un’immagine attraversò la mia mente e li rimase senza volersene più andare anche se tentai di cancellarla in tutti i modi possibili. Nella mia testa il ragazzo biondo stava ancora dormendo sotto la luce protettrice della luna, continuai a vagare e vederlo come in un sogno e quando ripresi coscienza delle mie azioni, mi accorsi di essere davanti a casa sua.
Entrai di soppiatto come facevo sempre e rimasi seduta sul bancale della finestra a guardarlo dormire, contemplandolo, imprimendo nella mia memoria ogni suo più piccolo particolare cercando di capire quello che mi stava succedendo e perché un essere umano dormiente mi avesse colpito così profondamente. Nei mesi a venire tornai spesso da lui, in pratica ogni notte, dopo che avevo mangiato e la particolarità era che il tipo di sangue con cui mi nutrivo non m’interessava più, mangiare era diventato qualcosa di meccanico e lo facevo solo per sopravvivere ma che fosse umano o animale non importava in quanto tutto aveva ormai lo stesso sapore, il mio unico pensiero era il ragazzo, perciò mangiavo quello che capitava senza fare una ricerca accurata nei dintorni.
Una notte entrai in camera sua lo trovai sveglio che mi stava aspettando e stavo per scappare dalla paura di essere scoperta quando lui con un semplice: “Aspetta!” mi fermò; mi voltai piano presa dal terrore, lo trovai a squadrarmi poi con voce calma mi chiese chi fossi.
Non sapevo cosa rispondere, la sua voce così calda e dolce mi aveva pietrificato, era così tanto tempo che qualcuno non mi parlava così tranquillamente che per un secondo fui certa di non sapere più il significato delle parole di quella lingua, la mia lingua madre con la quale ero cresciuta, poi ricordai e gli dissi chi ero ma non cos’ero perché avevo paura che si spaventasse e io non volevo anche se non ne sapevo il motivo.
Mi rivolse un’altra domanda dopo la mia risposta, mi chiese perché andassi da lui ogni notte ed osservarlo, mi disse che se n’era accorto ormai da qualche tempo ma era la prima volta che riusciva ad aspettarmi sveglio. Non riuscì a rispondere alla sua domanda, non perché non volevo ma perché non potevo poiché nemmeno io conoscevo la risposta, il motivo di questa mia mania; sentivo solo che dovevo assolutamente farlo, dovevo vederlo.
Io non risposi e lui continuava ad aspettare parole di una spiegazione che non sarebbe mai arrivata. Rimanemmo a guardarci reciprocamente per un tempo che sembrò un’eternità, io ero caduta senza difese nell’oceano blu dei suoi tristi occhi. Quando lui capì che la risposta non sarebbe mai arrivata mi rivolse altre domande che riguardavano la mia persona, non erano domande specifiche, curiose, fatte per sondarmi ma solo per sapere se poteva o meno fidarsi di me.
Io risposi ad ogni domanda in modo meccanico perché ero ancora immersa nei suoi occhi ma inconsciamente sentivo una leggera rabbia che cominciava ad avvolgermi, pensai che dovessero essere i vampiri ad ipnotizzare le loro vittime e non il contrario come stava invece succedendo ma aveva qualcosa di magnetico che m’intrappolava nel suo sguardo. Però mi accorsi che qualcosa di diverso era frammisto alla rabbia, era rispetto, ammirazione e qualcosa di cui ancora non conoscevo né nome né significato in quanto non avevo ancora provato un simile sentimento.
L’alba ci colse impreparati, non sembrava che il tempo stesse scorrendo così in fretta mentre diffidenti stavamo a poco a poco conoscendoci nella notte frizzante così quando la prima e soffusa sfumatura rosata comparve all’orizzonte io me ne andai lasciandolo con la promessa che la notte dopo sarei tornata da lui, non fui mai più sincera di quella volta.
La notte successiva andai da lui e quella dopo e poi quella seguente, non riuscì a resistere al suo richiamo così forte come la polvere di ferro che non può resistere alla calamita, andavo da lui ogni notte. Col tempo cominciai e resistere al potere ipnotico dei suoi profondi occhi blu e iniziai a parlare con lui con più disinvoltura e sentendomi più a mio agio.
Io e quel ragazzo parlammo di tutto, scoprì che era sorprendentemente intelligente, con un Q.I. molto superiore alla media per la sua età, alla fine tra noi nacque una forte e profonda amicizia, tanto da portarlo a confidarmi con le lacrime agli occhi il suo segreto. Una malattia mortale e senza nome stava attanagliando il suo giovane corpo, per quell’epoca era una malattia sconosciuta e non esisteva cura, era destinato alla morte.
Mi disse che gli rimaneva pochissimo tempo da vivere e mi ringraziò per il tempo che gli avevo concesso e per avergli fatto compagnia in quanto da quando aveva scoperto di essere malato non aveva più amici perché doveva stare chiuso in casa. Alla notizia della sua imminente morte il mio cuore si squarciò e dalla ferita uscì dolore e pena per quel tenero ragazzo e di colpo capì che avevo il terrore di non poterlo più vedere così gli dissi che una cura esisteva ma che lo avrebbe cambiato per sempre, che non sarebbe più potuto tornare indietro se si fosse pentito della decisione che aveva preso.
Il ragazzo sembrava interessato a questa misteriosa cura così mi decisi a raccontargli il mio segreto.
Cominciai a raccontargli la mia storia; sul volto del giovane riuscì a leggere la curiosità, poi man mano che la storia procedeva la curiosità lasciava il posto all’incredulità e quando finì di raccontare come non potessi stare lontano da lui e del perché andavo la ogni sera un dolce sorriso, il primo che vedevo da quando lo conobbi, comparve sul suo bel volto; il mio cuore si fece più leggero perché non leggevo in lui paura ma affetto anche se ora ero io ad essere curiosa della sua reazione.
Gli accennai la mia perplessità e mi disse con ancora il sorriso sulle labbra che aveva intuito cos’ero ma non ne era sicuro inoltre mi rivelò che anche lui provava per me gli stessi sentimenti che io provavo per lui, anche lui mi aspettava la notte non vedendo l’ora che io arrivassi e il sentimento sconosciuto e senza nome che provavo per lui si chiamava amore per il resto del mondo.
Fu per guarire dalla malattia, per passare l’eternità con me e per altri motivi di minor importanza che decise di aggregarsi alle schiere dei signori della notte.
Mi si avvicinò con misurata lentezza e sentì le sue labbra sulle mie ed erano così ardenti che quasi mi scottarono, una cosa nuova successe al mio corpo: un caldo tepore mai sentito prima e una sensazione come un volo di farfalle alla bocca dello stomaco ma per la prima volta mi lasciai andare alla deriva lasciandomi trasportare da lui e dall’istinto.
Mentre mi baciava si tolse la maglia che in quel momento portava e mi porse il collo. All’inizio non volevo perché avevo paura di fargli male ma il mio istinto diceva che dovevo farlo così appoggiai delicatamente la mia bocca sul suo collo, gli diedi un bacio poi con tutta la dolcezza di cui ero capace gli bucai la pelle e la vena; il ragazzo non poté fare a meno di sussultare, io presi paura e feci per allontanarmi ma lui mi disse di non preoccuparmi e continuare a succhiare il suo sangue perché tutto questo era necessario alla sua guarigione e alla nostra unione.
Continuai a bere con le lacrime agli occhi il liquido caldo che tante volte aveva riempito la mia bocca e che non mi aveva mai fatto nessun effetto. Gli bevvi quasi tutto il sangue che aveva in corpo e me n’andai lasciandolo in fin di vita e con la promessa da parte sua che sarebbe venuto appena gli fosse stato possibile.
Come avevo scoperto nel corso dei lunghi secolo in cui le mie vittime divennero vampiri, dopo la morte loro non perdevano la loro coscienza ma sapevano esattamente cos’erano e cosa stavano facendo appena la loro nuova non-vita cominciava a differenza di me che ero diventata non-morta in un modo insolito.
Lo aspettai una settimana nel cimitero dove avevo la mia dimora ma alla fine arrivò come promesso, appena mi vide mi corse incontro e mi baciò con passione e desiderio, poi andammo in cerca di cibo e, come già c’eravamo messi d’accordo, cercammo solo sangue animale e non umano.
Vivemmo felici ognuno con la compagnia dell'altro, girando il mondo e visitando posti e luoghi sconosciuti al genere umano; dove i dirupi cadevano a picco sul mare, la risacca sommergeva e scopriva ritmicamente gli scogli e la luna argentata si rispecchiava all’orizzonte bella come una giovane sposa il giorno prima delle proprie nozze. Ma come tutte le cose belle anche questo periodo non durò per sempre.
Nel nostro romantico girovagare arrivammo in un paesino di campagna della magica Irlanda, cercammo qualcosa che potesse fornirci un po’ di cibo e trovammo così una fattoria abbastanza isolata e utile ai nostri scopi, entrammo cauti per non far spaventare le bestie e trovammo circa due dozzine di grossi e grassi bovini; ci guardammo sorridendo, esattamente ciò che stavamo cercando.
Andammo dalla mucca che secondo noi era più adatta alle nostre esigenze e cominciammo a succhiarle il sangue ma successe qualcosa che ancora oggi è fuori dalla mia comprensione perché tuttora non riesco a capire cosa successe, gli animali si impaurirono e cominciarono a muggire fortemente, ad agitarsi e a correre svegliando gli abitanti della casa adiacente alla stalla dove si trovavano gli animali ma noi presi dall’estasi del pasto non ci accorgemmo di nulla e per la prima volta venimmo visti mentre stavamo banchettando. Scappammo con le ali ai piedi in preda ad un terrore senza eguali.
Il guaio era irrimediabile, i contadini sparsero la voce, lo dissero ai vicini, agli amici e ai parenti ed in poco tempo tutto il territorio aveva scoperto della nostra esistenza. Subito partì una caccia al vampiro perché avevano paura per la loro incolumità ma soprattutto per i loro figli in quanto sapevano per certo che i sangue dei bambini era quello più ricercato dalle creature della notte; avevano già perso molti infanti a causa dei vampiri e ancora ne stavano perdendo.
Quei contadini non potevano sapere che noi avevamo deciso di non bere sangue umano, non potemmo nemmeno cercare di spiegarglielo perché non ce lo permisero e se anche ce lo avrebbero permesso non ci avrebbero creduto; i pregiudizi fanno fatica ad andarsene anche se la prova che li smentisce è sotto gli occhi, il genere umano vede solo ciò che vuole e gli fa comodo. A loro non importavano le nostre spiegazioni ma ciò che eravamo e divenimmo il capro espiatorio della situazione.
Avevo il vago sentore che in quella zona ci fossero altri vampiri e che la gente del villaggio non avendoli mai visti li avessero confusi con noi; venni a sapere dopo quello che feci che era così ma non è ancora il momento di parlare di questo.
Da quel momento non potemmo fare altro che nasconderci, non potemmo nemmeno scappare in quanto eravamo troppo deboli e anche trasformarci era diventato impossibile vivendo per molto tempo con sangue animale che riduceva al minimo i nostri poteri da vampiri; eravamo disperati, non sapevamo che fare e avevamo fame.
Dopo due settimane passate a nasconderci come meglio potevamo in un bosco, mangiando piccoli animali che trovavamo in giro e vivendo nella paura di essere scoperti, la situazione era diventata insostenibile. Dopo averne molto discusso decidemmo di uscire per cercare cibo e una via di fuga.
Ci allontanammo cautamente dal bosco con i sensi all’erta e il cuore che batteva in un ritmo insostenibile.
Arrivammo in un campo attorniato da boschi dove solo l’erba cresceva verde e rigogliosa, alta fino al ginocchio, morbida come la seta; questa radura era per noi un passaggio obbligato se volevamo raggiungere la nostra salvezza. Prendemmo coraggio e cominciammo ad attraversare l’immenso mare verde, un leggero venticello caldo baciava il nostro corpo pallido. La luna piena illuminava la notte e le stelle, sue ancelle, le facevano compagnia nella volta celeste ma, come tutti sanno, la luna è volubile e traditrice, se essa mi aveva donato una vita immortale e i poteri delle tenebre, quella notte fu la rovina della mia esistenza da non morta, la mia maledizione mi stava osservando dall’alto a mia insaputa e io stavo correndo incontro alla trappola che essa con aiuto di complici mi aveva teso…ci aveva teso.
Procedemmo cautamente in mezzo all’erba finché arrivammo al centro della radura e li restammo immobili e terrorizzati: davanti a noi una schiera d’uomini. Ci voltammo per fuggire ma anche quella via c’era preclusa come ai nostri lati, ci accorgemmo di non avere più vie di scampo e tutta la disperazione e la paura umana che avevamo acquistato io e il mio compagno in questi lunghi anni insieme ci sommerse.
Impauriti ci abbracciammo stretti e urlando cercammo di spiegare il loro equivoco ma come previsto non vollero nemmeno ascoltarci, continuarono ad avvicinarsi inesorabilmente mostrando martelli e paletti appuntiti preparati per l’occasione che aspettavano da qualche tempo per vendicarsi del dolore che nostri simili avevano loro inferto.
Io piangevo ed il mio compagno cercava di calmarmi accarezzandomi teneramente i capelli e rivolgendomi parole dolci che mostravano una sicurezza che non possedeva. Mi disse che saremmo morti insieme, che non avremmo sofferto se eravamo uniti e che presto ci saremmo ritrovati nei regni celesti posti nell’infinità dell’universo, ma non sapeva quanto stava sbagliando.
Prima che ce n’accorgemmo c’immobilizzarono, io opposi una lieve resistenza ma appena vedi il cenno di diniego e la calma che aveva il mio ragazzo, feci ciò che loro volevano, diventai docile come un agnellino.
I contadini ci separarono e uno di loro prese il primo paletto ed un martello e si avvicinarono al mio caro ragazzo che mi guardava da lontano con le lacrime agli occhi, gli misero il paletto sul cuore e diedero il primo colpo. Un urlo squarciò la notte. Un urlo terribile, infernale che però era carico di dolore e risentimento ma anche perdono.
Ciò che successe poi fu orribile: appena il paletto entrò nel suo corpo il vampiro fu preso dalle convulsioni ed un alto getto di sangue nero uscì violento dalla ferita che gli avevano inferto, più il paletto affondava nella carne più gli effetti erano orribili e senti che calde lacrime nefaste scendevano ancora una volta sulle mie guance. Ad un certo punto il mio compagno non si mosse più, era morto ed il mio cuore morì con lui.
Rabbia e rancore nacquero in me per quello che era successo, mentre il giovane moriva loro ridevano e tiravano sospiri di sollievo; queste scene trasformarono collera e odio in cieca e fredda furia omicida. La mia forza divenne dieci volte più grande e con uno scatto riuscì a liberarmi, subito cominciai a dilaniare i corpi di quei contadini con unghie e denti, li uccisi tutti barbaramente ma ancora adesso non sono pentita di ciò che feci.
Quando me ne andai da quella radura maledetta e senza nome il verde dell’erba fu nascosto dal rosso del sangue e dall’argento della luna, saziai con i loro corpi e la loro linfa vitale la mia fame sia fisica che di vendetta e da quell’istante giurai che non avrei mai provato sentimenti pietosi verso il genere umano ma solo cieca furia e rancore per quello che mi avevano fatto.
Da quando ho fatto quella promessa, mi sono saziata solo di sangue umano.
Ora sono stanca di questa vita, sono secoli che vivo da non-morta e solo una minima parte di questo tempo l’ho passato veramente felice, il resto l’ho vissuto facendo divenire intere popolazioni vampiri succhia sangue.
Ora voglio solo finire la mia esistenza consegnandomi ad un gruppo di persone che mi segue da anni. Il mio odio per il genere umano non si è ancora estinto e mai lo sarà ma più vado avanti e più nuovi dolori si sommano ad altri e il peso sulle mie spalle è ormai diventato insostenibile.
Prima di morire volevo raccontare la mia storia, gli eventi che mi hanno portato ad essere ciò che sono fisicamente e psicologicamente. So che il mio comportamento non può essere perdonato né tanto meno lo voglio perché ho solo seguito il mio istinto.
Ora andrò a caccia un’ultima volta, poi mi farò catturare e uccidere.
Addio, presto raggiungerò il mio compagno.

 

Fine

   
 
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