Tutta colpa della luna
Una sera ero
sola, non sapevo cosa fare. Cosa puoi fare in
una sera d’estate in un campo nella sterminata campagna? Mi stesi e guardai le
stelle, cominciai a studiare le costellazioni; poi la vidi, là, tonda e
luminosa, così grande seppur lontana…la luna, sogno di anime
romantiche, dolce sfera che provoca insani disturbi negli esseri viventi.
Rimasi ammaliata da quella visione che in poco tempo aveva riempito il mio
spazio visivo. Mille ricordi mi tornarono alla mente con mille emozioni e
sentimenti di intensità sconfinata, mi sentì cambiare
in modo indelebile; alla fine svenni.
Quando mi risvegliai era l’alba, il cielo era dipinto
di viola e oro con qualche punta di blu e rosa, sembrava un dipinto di un
pittore malinconico. Avevo freddo ed ero coperta dalla fresca rugiada della
notte, in qualche modo riuscì ad arrivare a casa e appena mi stesi sul letto mi
addormentai di colpo.
Aprì gli occhi, il sole entrava caldo dalla finestra aperta e una lama di luce
illuminava mia madre addormentata al mio capezzale; appena mi mossi lei si
svegliò di soprassalto e un sorriso più luminoso del sole comparve sul suo viso
segnato dalla preoccupazione.
Mi disse piangendo ma ancora col sorriso sulle labbra che per due settimane non
era riuscita a svegliarmi per quanto avesse provato,
per quindici giorni una violenta febbre aveva attanagliato il mio corpo e nel
mio delirio l’unica cosa che dicevo, urlavo, era : “La luna! La luna!”; la
febbre alta era alternata a momenti in cui il mio corpo diventava di una
temperatura glaciale, la pelle impallidiva, profonde occhiaie segnavano il mio
viso mettendo in incredibile risalto le mie labbra divenute del colore del
sangue.
Di quelle due settimane non ricordo nulla neppure adesso che ho passato mille
avventure e parlato con centinaia di persone specialiste in quest’argomento
prima che venissero da me uccise.
Da quel giorno, da quando mi svegliai, la mia vita cambiò radicalmente: il mio
corpo, il mio carattere, la mia mente subirono trasformazioni che dentro di me sapevo irreversibili.
Di giorno facevo fatica a stare sveglia con la testa che ciondolava sui banchi
di scuola e con il perenne intontimento della stanchezza che non mi dava pace,
mentre di notte diventavo matta per riuscire a dormire, era come se appena arrivava
l'oscurità il mio corpo si risvegliasse e
riacquistasse energia. Non riuscivo più a tenere nulla nello stomaco, tutte le
volte che mangiavo dovevo poi correre in bagno a vomitare e il mio corpo in
questo stato stava deperendo in fretta.
Fui ricoverata in ospedale ma per quanto cercarono disperatamente una cura a
questa misteriosa malattia, nulla sembrava funzionare e nel giro di un mese dal
mio risveglio, io morii.
Aprì gli occhi ancora una volta e quello che vidi era il buio totale, li richiusi, mi sentì leggera come l’aria e quando li riaprì
la mia amica luna mi stava guardando di profilo mentre una leggera brezza
accarezzava il mio corpo emaciato.
Mi guardai intorno e vidi che mi trovavo in un cimitero, sentì i morsi morbosi
della fame e subito l’immagine di mia madre si stagliò netta nella mia mente
come una fotografia, così decisi che sarei andata da lei a saziare la mia fame.
Arrivai a casa mia, entrai di soppiatto, lei era li
sul letto che dormiva, sugli occhi i segni del suo pianto appena spento e il
suo corpo era ancora pervaso dagli spasmi provocati dal dolore della mia
prematura perdita per colpa di quell’oscura malattia senza nome. Mi avvicinai
piano a lei e le scoprì il collo sfiorandoglielo, era
così caldo al tatto e potevo sentire la vita scorrerle sotto la pelle; ci
appoggiai delicatamente la bocca là dove lo scorrere era più veloce, morsi
delicatamente fino a che non sentì un sapore metallico in bocca e poi cominciai
a bere il liquido caldo che usciva dalla ferita, il liquido che rinfrescava la
mia gola riarsa, sentivo che la vita lasciava quel corpo ed entrava in me pian
piano.
Lasciai mia madre morta dissanguata sul suo letto ma non una goccia di sangue era stata persa sulle lenzuola.
Voglio precisare che all’inizio di questa nuova vita agivo d’istinto, non sapevo chi ero né cosa facevo ma sapevo solo che avevo fame,
rimanevano però i ricordi delle mie azioni e solo dopo molti decenni quando da
bestia senza controllo cominciai a divenire più “umana” e passai in rassegna
ciò che aveva immagazzinato la mia mente dalla mia nuova nascita capì cos’ero
diventata: un vampiro.
Andavo avanti così per anni, dormendo di giorno e seguendo i morsi della fame
di notte. Mia madre fu l’unica vittima che uccisi al primo incontro, con gli
altri riuscì sempre a fermarmi per poi tornare in seguito quando i crampi allo
stomaco chiedevano di essere placati.
Nel momento in cui presi coscienza di cos’ero diventata, cosa facevo e dovevo
fare per sopravvivere, rimasi orripilata da me stessa
ma ormai era diventata la mia natura, cercai comunque
di non far più del male a nessuno, non andai più in cerca di sangue umano ma di
quello animale e visto che abitavo in campagna ciò non mi creava grandi
problemi ma il sangue animale non mi dava la stessa forza di quello umano così
raramente andavo in cerca di persone ma senza provocare ai corpi gravi danni
come facevo invece in passato.
Fu proprio una di queste rare volte, con la luna piena che mi sorrideva
attorniata dalle sue onnipresenti ancelle, che entrai
in una casa e vi trovai un ragazzo che aveva più o meno la stessa età che avevo
quando risorsi a nuova vita, stava dormendo rannicchiato come un bambino
piccolo che cerca protezione e una lama argentata gli illuminava il viso sereno
mettendo in risalto le sfumature dorate dei suoi capelli.
Rimasi incantata a fissare quel ragazzo che sembrava così indifeso nella magia
del sonno che a me era negato, per la prima volta provai tenerezza per una
delle mie vittime e una mostruosa vergogna per quello che stavo facendo così
scappai via dalla paura di queste nuove sensazioni e mi andai a rifugiare nel
cimitero senza nemmeno mangiare, quel ragazzo mi aveva
colpito profondamente.
La sera dopo quando mi svegliai il mio stomaco protestò fortemente attanagliato
dai crampi della fame, andai in cerca di cibo nella sterminata campagna che
circondava il cimitero e trovai un cervo solitario, mi avventai su di lui come una belva, agile come un gatto e scura come la notte.
Quando fui sazia un’immagine attraversò la mia mente e
li rimase senza volersene più andare anche se tentai di cancellarla in tutti i
modi possibili. Nella mia testa il ragazzo biondo stava ancora dormendo sotto
la luce protettrice della luna, continuai a vagare e vederlo come in un sogno e
quando ripresi coscienza delle mie azioni, mi accorsi
di essere davanti a casa sua.
Entrai di soppiatto come facevo sempre e rimasi seduta sul bancale della
finestra a guardarlo dormire, contemplandolo, imprimendo nella
mia memoria ogni suo più piccolo particolare cercando di capire quello
che mi stava succedendo e perché un essere umano dormiente mi avesse colpito
così profondamente. Nei mesi a venire tornai spesso da lui, in pratica ogni
notte, dopo che avevo mangiato e la particolarità era che il tipo di sangue con
cui mi nutrivo non m’interessava più, mangiare era diventato qualcosa di
meccanico e lo facevo solo per sopravvivere ma che fosse
umano o animale non importava in quanto tutto aveva ormai lo stesso sapore, il
mio unico pensiero era il ragazzo, perciò mangiavo quello che capitava senza
fare una ricerca accurata nei dintorni.
Una notte entrai in camera sua lo trovai sveglio che mi stava aspettando e
stavo per scappare dalla paura di essere scoperta quando lui con un semplice:
“Aspetta!” mi fermò; mi voltai piano presa dal terrore, lo trovai a squadrarmi
poi con voce calma mi chiese chi fossi.
Non sapevo cosa rispondere, la sua voce così calda e dolce mi aveva
pietrificato, era così tanto tempo che qualcuno non mi parlava così
tranquillamente che per un secondo fui certa di non sapere più il significato
delle parole di quella lingua, la mia lingua madre con la quale ero cresciuta,
poi ricordai e gli dissi chi ero ma non cos’ero perché
avevo paura che si spaventasse e io non volevo anche se non ne sapevo il
motivo.
Mi rivolse un’altra domanda dopo la mia risposta, mi chiese perché andassi da
lui ogni notte ed osservarlo, mi disse che se n’era accorto ormai da qualche
tempo ma era la prima volta che riusciva ad aspettarmi sveglio. Non riuscì a
rispondere alla sua domanda, non perché non volevo ma perché non potevo poiché
nemmeno io conoscevo la risposta, il motivo di questa mia mania; sentivo solo
che dovevo assolutamente farlo, dovevo vederlo.
Io non risposi e lui continuava ad aspettare parole di una spiegazione che non
sarebbe mai arrivata. Rimanemmo a guardarci reciprocamente per un tempo che
sembrò un’eternità, io ero caduta senza difese
nell’oceano blu dei suoi tristi occhi. Quando lui capì che la risposta non
sarebbe mai arrivata mi rivolse altre domande che riguardavano la mia persona,
non erano domande specifiche, curiose, fatte per sondarmi ma solo per sapere se
poteva o meno fidarsi di me.
Io risposi ad ogni domanda in modo meccanico perché ero ancora immersa nei suoi
occhi ma inconsciamente sentivo una leggera rabbia che cominciava ad
avvolgermi, pensai che dovessero essere i vampiri ad ipnotizzare le loro
vittime e non il contrario come stava invece succedendo ma aveva qualcosa di
magnetico che m’intrappolava nel suo sguardo. Però mi accorsi che qualcosa di
diverso era frammisto alla rabbia, era rispetto, ammirazione e qualcosa di cui
ancora non conoscevo né nome né significato in quanto
non avevo ancora provato un simile sentimento.
L’alba ci colse impreparati, non sembrava che il tempo stesse
scorrendo così in fretta mentre diffidenti stavamo a poco a poco conoscendoci
nella notte frizzante così quando la prima e soffusa sfumatura rosata comparve
all’orizzonte io me ne andai lasciandolo con la promessa che la notte dopo
sarei tornata da lui, non fui mai più sincera di quella volta.
La notte successiva andai da lui e quella dopo e poi quella seguente, non
riuscì a resistere al suo richiamo così forte come la polvere di ferro che non può resistere alla calamita, andavo da lui ogni notte. Col
tempo cominciai e resistere al potere ipnotico dei suoi profondi occhi blu e
iniziai a parlare con lui con più disinvoltura e sentendomi più a mio agio.
Io e quel ragazzo parlammo di tutto, scoprì che era sorprendentemente
intelligente, con un Q.I. molto superiore alla media per la sua età, alla fine
tra noi nacque una forte e profonda amicizia, tanto da portarlo a confidarmi
con le lacrime agli occhi il suo segreto. Una malattia mortale e senza nome
stava attanagliando il suo giovane corpo, per quell’epoca era una malattia
sconosciuta e non esisteva cura, era destinato alla morte.
Mi disse che gli rimaneva pochissimo tempo da vivere e mi ringraziò per il
tempo che gli avevo concesso e per avergli fatto
compagnia in quanto da quando aveva scoperto di essere malato non aveva più
amici perché doveva stare chiuso in casa. Alla notizia della sua imminente
morte il mio cuore si squarciò e dalla ferita uscì dolore e pena per quel
tenero ragazzo e di colpo capì che avevo il terrore di non poterlo più vedere
così gli dissi che una cura esisteva ma che lo avrebbe cambiato per sempre, che
non sarebbe più potuto tornare indietro se si fosse pentito della decisione che
aveva preso.
Il ragazzo sembrava interessato a questa misteriosa cura così
mi decisi a raccontargli il mio segreto.
Cominciai a raccontargli la mia storia; sul volto del giovane riuscì a leggere
la curiosità, poi man mano che la storia procedeva la curiosità lasciava il
posto all’incredulità e quando finì di raccontare come non potessi stare
lontano da lui e del perché andavo la ogni sera un
dolce sorriso, il primo che vedevo da quando lo conobbi, comparve sul suo bel
volto; il mio cuore si fece più leggero perché non leggevo in lui paura ma
affetto anche se ora ero io ad essere curiosa della sua reazione.
Gli accennai la mia perplessità e mi disse con ancora il sorriso sulle labbra
che aveva intuito cos’ero ma non ne era sicuro inoltre
mi rivelò che anche lui provava per me gli stessi sentimenti che io provavo per
lui, anche lui mi aspettava la notte non vedendo l’ora che io arrivassi e il
sentimento sconosciuto e senza nome che provavo per lui si chiamava amore per
il resto del mondo.
Fu per guarire dalla malattia, per passare l’eternità con me e per altri motivi
di minor importanza che decise di aggregarsi alle schiere dei signori della notte.
Mi si avvicinò con misurata lentezza e sentì le sue labbra sulle mie ed erano
così ardenti che quasi mi scottarono, una cosa nuova successe al mio corpo: un
caldo tepore mai sentito prima e una sensazione come un volo di farfalle alla
bocca dello stomaco ma per la prima volta mi lasciai andare alla deriva
lasciandomi trasportare da lui e dall’istinto.
Mentre mi baciava si tolse la maglia che in quel
momento portava e mi porse il collo. All’inizio non volevo perché avevo paura
di fargli male ma il mio istinto diceva che dovevo farlo così appoggiai
delicatamente la mia bocca sul suo collo, gli diedi un bacio poi con tutta la
dolcezza di cui ero capace gli bucai la pelle e la vena; il ragazzo non poté
fare a meno di sussultare, io presi paura e feci per allontanarmi ma lui mi
disse di non preoccuparmi e continuare a succhiare il suo sangue perché tutto
questo era necessario alla sua guarigione e alla nostra unione.
Continuai a bere con le lacrime agli occhi il liquido caldo che tante volte aveva riempito la mia bocca e che non mi aveva mai fatto
nessun effetto. Gli bevvi quasi tutto il sangue che aveva in corpo e me n’andai
lasciandolo in fin di vita e con la promessa da parte sua che sarebbe venuto appena gli fosse stato possibile.
Come avevo scoperto nel corso dei lunghi secolo in cui
le mie vittime divennero vampiri, dopo la morte loro non perdevano la loro
coscienza ma sapevano esattamente cos’erano e cosa stavano facendo appena la
loro nuova non-vita cominciava a differenza di me che ero diventata non-morta
in un modo insolito.
Lo aspettai una settimana nel cimitero dove avevo la mia dimora ma alla fine
arrivò come promesso, appena mi vide mi corse incontro e mi baciò con passione
e desiderio, poi andammo in cerca di cibo e, come già c’eravamo messi
d’accordo, cercammo solo sangue animale e non umano.
Vivemmo felici ognuno con la compagnia dell'altro, girando il mondo e visitando
posti e luoghi sconosciuti al genere umano; dove i dirupi cadevano a picco sul
mare, la risacca sommergeva e scopriva ritmicamente gli scogli e la luna
argentata si rispecchiava all’orizzonte bella come una
giovane sposa il giorno prima delle proprie nozze. Ma come tutte le cose belle
anche questo periodo non durò per sempre.
Nel nostro romantico girovagare arrivammo in un paesino di campagna della magica Irlanda, cercammo qualcosa che potesse fornirci
un po’ di cibo e trovammo così una fattoria abbastanza isolata e utile ai
nostri scopi, entrammo cauti per non far spaventare le bestie e trovammo circa
due dozzine di grossi e grassi bovini; ci guardammo sorridendo, esattamente ciò
che stavamo cercando.
Andammo dalla mucca che secondo noi era più adatta alle nostre esigenze e
cominciammo a succhiarle il sangue ma successe qualcosa che ancora oggi è fuori dalla mia comprensione perché tuttora non riesco a
capire cosa successe, gli animali si impaurirono e cominciarono a muggire
fortemente, ad agitarsi e a correre svegliando gli abitanti della casa
adiacente alla stalla dove si trovavano gli animali ma noi presi dall’estasi
del pasto non ci accorgemmo di nulla e per la prima volta venimmo visti mentre
stavamo banchettando. Scappammo con le ali ai piedi in preda ad un terrore
senza eguali.
Il guaio era irrimediabile, i contadini sparsero la voce, lo dissero
ai vicini, agli amici e ai parenti ed in poco tempo tutto il territorio aveva
scoperto della nostra esistenza. Subito partì una caccia al vampiro perché
avevano paura per la loro incolumità ma soprattutto per i loro figli in quanto sapevano per certo che i sangue dei bambini era
quello più ricercato dalle creature della notte; avevano già perso molti
infanti a causa dei vampiri e ancora ne stavano perdendo.
Quei contadini non potevano sapere che noi avevamo deciso di non bere sangue
umano, non potemmo nemmeno cercare di spiegarglielo perché non ce lo permisero e se anche ce lo avrebbero permesso non ci
avrebbero creduto; i pregiudizi fanno fatica ad andarsene anche se la prova che
li smentisce è sotto gli occhi, il genere umano vede solo ciò che vuole e gli
fa comodo. A loro non importavano le nostre spiegazioni ma ciò che eravamo e divenimmo il capro espiatorio della situazione.
Avevo il vago sentore che in quella zona ci fossero
altri vampiri e che la gente del villaggio non avendoli mai visti li avessero
confusi con noi; venni a sapere dopo quello che feci che era così ma non è
ancora il momento di parlare di questo.
Da quel momento non potemmo fare altro che nasconderci, non potemmo nemmeno
scappare in quanto eravamo troppo deboli e anche
trasformarci era diventato impossibile vivendo per molto tempo con sangue
animale che riduceva al minimo i nostri poteri da vampiri; eravamo disperati,
non sapevamo che fare e avevamo fame.
Dopo due settimane passate a nasconderci come meglio potevamo in un bosco,
mangiando piccoli animali che trovavamo in giro e vivendo nella paura di essere
scoperti, la situazione era diventata insostenibile. Dopo averne molto discusso
decidemmo di uscire per cercare cibo e una via di fuga.
Ci allontanammo cautamente dal bosco con i sensi all’erta e il cuore che
batteva in un ritmo insostenibile.
Arrivammo in un campo attorniato da boschi dove solo l’erba cresceva verde e
rigogliosa, alta fino al ginocchio, morbida come la seta; questa radura era per
noi un passaggio obbligato se volevamo raggiungere la nostra salvezza.
Prendemmo coraggio e cominciammo ad attraversare l’immenso mare verde, un
leggero venticello caldo baciava il nostro corpo pallido. La luna piena
illuminava la notte e le stelle, sue ancelle, le facevano compagnia nella volta
celeste ma, come tutti sanno, la luna è volubile e
traditrice, se essa mi aveva donato una vita immortale e i poteri delle
tenebre, quella notte fu la rovina della mia esistenza da non morta, la mia
maledizione mi stava osservando dall’alto a mia insaputa e io stavo correndo
incontro alla trappola che essa con aiuto di complici mi aveva teso…ci aveva
teso.
Procedemmo cautamente in mezzo all’erba finché arrivammo al centro della radura
e li restammo immobili e terrorizzati: davanti a noi una schiera d’uomini. Ci
voltammo per fuggire ma anche quella via c’era preclusa come ai nostri lati, ci
accorgemmo di non avere più vie di scampo e tutta la disperazione e la paura
umana che avevamo acquistato io e il mio compagno in questi lunghi anni insieme
ci sommerse.
Impauriti ci abbracciammo stretti e urlando cercammo di spiegare il loro
equivoco ma come previsto non vollero nemmeno ascoltarci, continuarono ad
avvicinarsi inesorabilmente mostrando martelli e paletti appuntiti preparati
per l’occasione che aspettavano da qualche tempo per vendicarsi del dolore che
nostri simili avevano loro inferto.
Io piangevo ed il mio compagno cercava di calmarmi accarezzandomi teneramente i
capelli e rivolgendomi parole dolci che mostravano una sicurezza che non
possedeva. Mi disse che saremmo morti insieme, che non avremmo sofferto se
eravamo uniti e che presto ci saremmo ritrovati nei regni celesti posti
nell’infinità dell’universo, ma non sapeva quanto stava sbagliando.
Prima che ce n’accorgemmo c’immobilizzarono, io opposi
una lieve resistenza ma appena vedi il cenno di diniego e la calma che aveva il
mio ragazzo, feci ciò che loro volevano, diventai docile come un agnellino.
I contadini ci separarono e uno di loro prese il primo paletto ed un martello e
si avvicinarono al mio caro ragazzo che mi guardava da lontano con le lacrime
agli occhi, gli misero il paletto sul cuore e diedero il primo colpo. Un urlo
squarciò la notte. Un urlo terribile, infernale che però era
carico di dolore e risentimento ma anche perdono.
Ciò che successe poi fu orribile: appena il paletto entrò nel suo corpo il
vampiro fu preso dalle convulsioni ed un alto getto di sangue nero uscì
violento dalla ferita che gli avevano inferto, più il
paletto affondava nella carne più gli effetti erano orribili e senti che calde
lacrime nefaste scendevano ancora una volta sulle mie guance. Ad un certo punto
il mio compagno non si mosse più, era morto ed il mio
cuore morì con lui.
Rabbia e rancore nacquero in me per quello che era successo, mentre il giovane
moriva loro ridevano e tiravano sospiri di sollievo; queste scene trasformarono
collera e odio in cieca e fredda furia omicida. La mia forza divenne dieci volte più grande e con uno scatto riuscì a liberarmi, subito
cominciai a dilaniare i corpi di quei contadini con unghie e denti, li uccisi
tutti barbaramente ma ancora adesso non sono pentita di ciò che feci.
Quando me ne andai da quella radura maledetta e senza
nome il verde dell’erba fu nascosto dal rosso del sangue e dall’argento della
luna, saziai con i loro corpi e la loro linfa vitale la mia fame sia fisica che
di vendetta e da quell’istante giurai che non avrei mai provato sentimenti
pietosi verso il genere umano ma solo cieca furia e rancore per quello che mi
avevano fatto.
Da quando ho fatto quella promessa, mi sono saziata solo di sangue umano.
Ora sono stanca di questa vita, sono secoli che vivo da non-morta e solo una
minima parte di questo tempo l’ho passato veramente
felice, il resto l’ho vissuto facendo divenire intere popolazioni vampiri
succhia sangue.
Ora voglio solo finire la mia esistenza consegnandomi ad un gruppo di persone
che mi segue da anni. Il mio odio per il genere umano non si è ancora estinto e
mai lo sarà ma più vado avanti e più nuovi dolori si sommano ad altri e il peso
sulle mie spalle è ormai diventato insostenibile.
Prima di morire volevo raccontare la mia storia, gli eventi che mi hanno
portato ad essere ciò che sono fisicamente e
psicologicamente. So che il mio comportamento non può essere perdonato né tanto
meno lo voglio perché ho solo seguito il mio istinto.
Ora andrò a caccia un’ultima volta, poi mi farò
catturare e uccidere.
Addio, presto raggiungerò il mio compagno.
Fine